Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 17 ottobre 2013, la Corte d’appello di Trieste ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 184 (Attuazione della delega conferita dall’articolo 1, comma 39, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di ricongiunzione, di riscatto e di prosecuzione volontaria ai fini pensionistici), «nella parte in cui essa, in base all’interpretazione datane in primo grado e più corretta, vieta il cumulo fra contribuzione previdenziale volontaria e contribuzione nella gestione separata nei casi […] di prosecuzione dell’attività lavorativa per un limitato quantitativo di ore a settimana e per redditi da lavoro con compensi ben inferiori a tremila euro annui», in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, 35, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione.
2.– La Corte rimettente premette in fatto di essere stata adìta per la riforma della sentenza 24 settembre 2010, n. 142, con la quale il Tribunale ordinario di Udine aveva accolto solo in parte la domanda, posta in via subordinata, di restituzione delle somme versate a titolo di contribuzione volontaria dalla ricorrente in primo grado. Quest’ultima – precisa la Corte rimettente – si era rivolta al giudice di primo grado, esponendo quanto segue: di avere svolto attività di lavoro subordinato dal 1° settembre 1967 sino al giorno 11 agosto 2000 e di avere così maturato una contribuzione pari a 1699 settimane utili ai fini pensionistici, nonché di avere provveduto a versare all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), a seguito di autorizzazione a proseguire volontariamente la contribuzione, fino a tutto il mese di marzo dell’anno 2004, la somma di 24.355,80 euro, sì da raggiungere un numero totale di 1829 settimane utili ai fini della pensione; di avere intrapreso, negli anni dal 2003 al marzo 2005, un’attività di lavoro saltuario come promotrice commerciale solo nei fine settimana, versando i contributi nella gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), con iscrizione avvenuta nell’ottobre 2002; di aver ottenuto, nell’aprile 2005, la pensione, a seguito della maturazione dell’anzianità contributiva per effetto del cumulo fra contributi per lavoro dipendente e contributi volontari; di avere richiesto, nel giugno 2007, la pensione supplementare per il lavoro svolto come promotrice dal 2003 al 2005; di avere dapprima ricevuto segnalazione dall’INPS, nell’ottobre 2008, della circostanza che la doppia contribuzione dalla predetta effettuata nel periodo 2003-2005 (a titolo di contribuzione volontaria e di gestione separata) non era consentita dall’art. 6 del d.lgs. n. 184 del 1997, e poi di aver subìto la revoca della pensione di anzianità in essere per avvenuto annullamento della contribuzione volontaria, con conseguente accertamento della sussistenza di un indebito di 82.502,96 euro per i ratei di pensione a lei pagati dall’aprile 2005 all’ottobre 2008.
La Corte rimettente prosegue ricordando che, sulla base delle richiamate premesse, la ricorrente chiedeva al giudice di primo grado di accertare il suo diritto a proseguire nella contribuzione volontaria nel periodo 2003-2005, di annullare il provvedimento di revoca della pensione di anzianità di cui aveva goduto sino al mese di ottobre 2008 e, in subordine, di condannare l’INPS a restituire le somme pagate per la contribuzione volontaria. Il Tribunale ordinario di Udine accoglieva, in parte, solo la domanda presentata in via subordinata. La Corte d’appello di Trieste ribadisce di essere stata adita per la riforma della decisione, in quanto in essa il giudice di primo grado si sarebbe basato su un’erronea interpretazione del quadro normativo di riferimento e, in particolare, dell’art. 6 del d.lgs. n. 184 del 1997, ritenendo che esso vietasse il cumulo delle due contribuzioni (quella volontaria e quella inerente alla gestione separata), e comunque non avrebbe rilevato – come avrebbe dovuto – il carattere discriminatorio del citato art. 6 in tema di divieto di cumulo, ove raffrontato ad altre analoghe fattispecie in cui detto divieto non sussisteva.
3.– Considerato ciò, la Corte rimettente, ritenendo che l’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 184 del 1997 impedisca il ricorso alla contribuzione volontaria, per contestuali periodi di assicurazione ad una forma di previdenza obbligatoria, in ipotesi in cui, oltre a detta contribuzione vi sia stata anche quella versata nella cosiddetta gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del predetto articolo, anzitutto in riferimento all’art. 3, primo e secondo comma, Cost. Esso infatti determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento rispetto ad attività di lavoro simili per impegno orario e per reddito conseguito, alle quali non si applica il divieto di cumulo dei versamenti effettuati in via volontaria, come nel caso del lavoro dipendente a tempo parziale di tipo verticale, orizzontale e ciclico, di cui all’art. 8 del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564 (Attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 39, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di contribuzione figurativa e di copertura assicurativa per periodi non coperti da contribuzione), come integrato dall’art. 3, comma 1, sub d), del decreto legislativo 29 giugno 1998, n. 278 (Disposizioni correttive del D.Lgs. 16 settembre 1996, n. 564, del D.Lgs. 24 aprile 1997, n. 181, e del D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 157, del D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 180 e del D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 184, in materia pensionistica), nonché per le prestazioni occasionali di carattere accessorio, di cui agli artt. 70 e 72 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), come precisato dallo stesso INPS nella circolare 9 luglio 2010, n. 91. La diversità di trattamento del cumulo tra contribuzione volontaria ed altre forme di contribuzione sarebbe difficilmente giustificabile anche con riguardo alla tutela del lavoro in ogni sua forma ed applicazione apprestata dall’art. 35, primo comma, Cost., dato che ogni prestazione di lavoro merita eguale considerazione anche sul versante contributivo. Sarebbe, infine, violato l’art. 38, secondo comma, Cost., in quanto la differenziazione posta in risalto priverebbe soggetti come la ricorrente di un idoneo riconoscimento dell’attività svolta e degli accantonamenti effettuati per provvedere alla propria vecchiaia.
Considerato in diritto
1.– La Corte d’appello di Trieste dubita della legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 184 (Attuazione della delega conferita dall’articolo 1, comma 39, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di ricongiunzione, di riscatto e di prosecuzione volontaria ai fini pensionistici), in quanto vieterebbe il cumulo fra contribuzione previdenziale volontaria e contribuzione nella gestione separata, anche nei casi, come quello oggetto del giudizio principale, di prosecuzione dell’attività lavorativa «per un limitato quantitativo di ore a settimana e per redditi da lavoro con compensi ben inferiori a tremila euro annui», in contrasto con gli artt. 3, primo e secondo comma, 35, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione.
Muovendo dalla considerazione che «l’interpretazione più corretta» del comma 2 dell’art. 6 del d.lgs. n. 184 del 1997 è quella accolta in primo grado, secondo la quale detta norma vieterebbe, in ogni caso, il cumulo di versamenti effettuati in via volontaria, la Corte rimettente denuncia, anzitutto, l’irragionevolezza di tale previsione generale, nella parte in cui si applica a tipologie di prestazioni lavorative, come quelle dedotte ad oggetto del giudizio pendente dinanzi a sé, del tutto simili, per impegno orario e per reddito conseguito, ad altre escluse da tale divieto.
Fra queste ultime, in particolare, il rimettente individua quelle riconducibili al lavoro subordinato a tempo parziale, di tipo verticale, orizzontale e ciclico, di cui all’art. 8 del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564 (Attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 39, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di contribuzione figurativa e di copertura assicurativa per periodi non coperti da contribuzione), come integrato dall’art. 3, comma 1, sub d), del decreto legislativo 29 giugno 1998, n. 278 (Disposizioni correttive del D.Lgs. 16 settembre 1996, n. 564, del D.Lgs. 24 aprile 1997, n. 181, e del D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 157, del D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 180 e del D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 184, in materia pensionistica), e le prestazioni occasionali di tipo accessorio, disciplinate agli artt. 70 e 72 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30).
Una simile irragionevole disparità di trattamento determinerebbe anche la lesione del principio di tutela del lavoro in ogni sua forma ed applicazione, costituzionalmente garantito dall’art. 35, primo comma, Cost., considerato che ogni prestazione di lavoro merita eguale considerazione anche sul versante contributivo e ciò, nella specie, andrebbe a danno di talune categorie di lavoratori (come l’appellante del giudizio principale). Inoltre, per i lavoratori rientranti nella tipologia contrattuale descritta, risulterebbe compromesso, in modo altrettanto irragionevole, il giusto riconoscimento dell’attività svolta e degli accantonamenti effettuati per provvedere alla vecchiaia.
2.– La questione è inammissibile, per difetto di motivazione sulla rilevanza.
La Corte rimettente prospetta il dubbio che il comma 2 dell’art. 6 del d.lgs. n. 184 del 1997, vietando il cumulo fra contribuzione previdenziale volontaria e contribuzione nella gestione separata, anche nei casi, come quello oggetto del giudizio principale, di «prosecuzione dell’attività lavorativa per un limitato quantitativo di ore a settimana e per redditi da lavoro con compensi ben inferiori a tremila euro annui», determini una irragionevole disparità di trattamento rispetto ad attività di lavoro simili per impegno orario e per reddito conseguito, alle quali non si applica il divieto di cumulo dei versamenti effettuati in via volontaria. E tuttavia non fornisce alcuna motivazione sulle ragioni per le quali, nel caso sottoposto al suo giudizio, essa ritiene debba applicarsi la regola generale del divieto di cumulo di cui alla norma censurata, diversamente da quanto accade nel caso del lavoro subordinato a tempo parziale, di tipo verticale, orizzontale e ciclico, e nel caso delle prestazioni occasionali di tipo accessorio.
2.1.– Occorre ricordare che sul decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61 (Attuazione della direttiva 97/81/CE relativa all’accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES), integrato con correzioni dal decreto legislativo 26 febbraio 2001, n. 100 (Disposizioni integrative e correttive del D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, recante attuazione della direttiva 97/81/CE relativa all’accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES), si sono innestate negli anni numerose modifiche legislative, a conferma della centralità del lavoro a tempo parziale nel quadro delle politiche occupazionali.
In relazione alla disciplina previdenziale, l’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 61 del 2000 prevede criteri di adattamento per il calcolo dei contributi previdenziali.
In considerazione delle caratteristiche peculiari delle prestazioni di lavoro a tempo parziale, in riferimento alle quali il versamento contributivo è correlato alla retribuzione, corrisposta in rapporto ai soli periodi in cui la prestazione di lavoro ha effettivamente luogo, l’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 564 del 1996, successivo alla norma ora all’esame di questa Corte, stabilisce che per i periodi di non effettuazione della prestazione lavorativa, non coperti quindi da contribuzione obbligatoria, coloro che svolgono attività di lavoro dipendente con contratti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, orizzontale o ciclico, «possono essere autorizzati […] alla prosecuzione volontaria del versamento dei contributi nel fondo pensionistico di appartenenza […]» al fine di garantire la copertura assicurativa dei periodi di attività svolta in regime di orario ridotto, altrimenti non coperti (come chiarito nella circolare INPS 25 marzo 2009, n. 45, evocata dal rimettente, che rinvia alla circolare 23 febbraio 2006, n. 29). Tutto questo rende ragione della mancata applicazione del divieto di cui al comma 2 dell’art. 6 del d.lgs. n. 184 del 1997.
2.2.– Quanto al lavoro occasionale di tipo accessorio, si tratta di un istituto introdotto nel nostro ordinamento dagli artt. 70 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), successivamente modificato, allo scopo di agevolare la regolarizzazione, dal punto di vista fiscale, contributivo e assicurativo, di prestazioni lavorative caratterizzate da elementi di discontinuità e di marginalità nel mercato del lavoro. Questa tipologia contrattuale ha subìto profondi mutamenti nel corso degli anni, secondo un itinerario che ha condotto ad ampliarne l’ambito di applicazione, fino al punto di ricomprendervi tutte quelle «attività lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare» (così l’art. 70 del d.lgs. n. 276 del 2003, nel testo modificato dall’art. 7, comma 2, lettera e, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, recante «Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto –IVA – e altre misure finanziarie urgenti», convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 99). La finalità perseguita dal legislatore sempre più si indirizza a tutelare soggetti deboli nel mercato del lavoro, anche al fine di regolarizzarne la posizione contributiva.
In questa prospettiva si deve collocare la circolare INPS 9 luglio 2010, n. 91 che recita: «La natura della prestazione di carattere accessorio, delineata nella norma che la disciplina quale attività lavorativa che configura rapporti di natura meramente accessoria e occasionale, esclude che i lavoratori interessati possano essere ricompresi nelle categorie individuate dal comma 2 dell’art. 6 del citato decreto legislativo e pertanto non si ravvisa incompatibilità tra prosecuzione volontaria e contribuzione proveniente da lavoro occasionale accessorio, affluita alla Gestione Separata o al Fondo Pensione Lavoratori Dipendenti».
2.3.– Nell’ordinanza di rimessione la Corte descrive l’attività lavorativa – per cui era stata versata la contribuzione nella gestione separata ex art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, contestualmente alla contribuzione volontaria, oggetto di contestazione – quale attività di «lavoro saltuario come promotrice commerciale», svolta «solo nei fine settimana», «percependo degli importi pari ad euro 2.527 (nel 2003), euro 2.909 (nel 2004) ed euro 1.211 (nel 2005)». Non si forniscono altri elementi sufficienti a consentire di comprendere la natura ed i caratteri del rapporto di lavoro in questione, né il regime di tutele ad esso applicabile. Non è dato intendere se la natura “saltuaria” della prestazione sia riconducibile a un rapporto di lavoro occasionale di tipo accessorio, svolto da un soggetto a rischio di esclusione sociale, per un compenso inferiore alla somma dei cinquemila euro, somma indicata quale tetto massimo per tali prestazioni lavorative. Ugualmente incerta risulta la configurazione di un rapporto di lavoro a tempo parziale, di tipo “verticale”, svolto solo in alcuni giorni della settimana, secondo una cadenza prestabilita nel contratto individuale di lavoro. La Corte rimettente non adduce specifiche e valide motivazioni, al fine di ricondurre la prestazione di lavoro in oggetto entro l’ambito di applicazione della norma censurata, né si premura di assimilarla alle fattispecie individuabili quali tertia comparationis. A queste ultime, peraltro, il divieto di cumulo non si applica in virtù di disposizioni sopravvenute al d.lgs. n. 184 del 1997 recante il medesimo divieto.
L’indeterminatezza della fattispecie esaminata impedisce a questa Corte di svolgere la valutazione di omogeneità delle situazioni poste a raffronto, necessaria al fine di giudicare sulla sussistenza della pretesa irragionevole discriminazione operata dalla norma censurata (fra le tante, sentenza n. 139 del 2014, ordinanze n. 100 del 2013 e n. 276 del 2012). In definitiva, la non esauriente motivazione in ordine alla riconducibilità della prestazione di lavoro esaminata all’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 184 del 1997 non consente di formulare una valutazione sull’irragionevolezza della discriminazione asseritamente derivante dalla norma censurata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 184 (Attuazione della delega conferita dall’articolo 1, comma 39, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di ricongiunzione, di riscatto e di prosecuzione volontaria ai fini pensionistici), sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, 35, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte d’appello di Trieste con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 aprile 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 giugno 2015.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI