Ritenuto in fatto
1.− Con ricorso notificato il 10-12 aprile 2013 e depositato il successivo 18 aprile, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, in riferimento agli artt. 81 e 117, terzo comma, della Costituzione, gli artt. 11 (rectius: 12), comma 1, lettera c), e 15 (rectius: 16), comma 1, lettera a), della legge della Regione Puglia 6 febbraio 2013, n. 7 (Norme urgenti in materia socio-assistenziale).
Premette il ricorrente che l’art. 15 (rectius: 16), comma 1, lettera a), della legge reg. n. 7 del 2013, modificando il comma 3-octies dell’art. 8 della legge della Regione Puglia 9 agosto 2006, n. 26 (Interventi in materia sanitaria), dispone che, ai fini della continuità assistenziale le convenzioni stipulate dalla Regione con le strutture sanitarie residenziali extra ospedaliere «già in essere alla data del 10 febbraio 2013 sono sostituite mediante stipula degli accordi contrattuali anche nelle more del conseguimento di una maggiore offerta di servizi rispetto a quelli minimi regolamentari e anche in assenza di ulteriore fabbisogno nel distretto socio-sanitario di riferimento, a valere sul fabbisogno complessivo del territorio aziendale e tenuto conto della popolazione standardizzata con indice di vecchiaia».
Tale disposizione, autorizzando la sostituzione delle convenzioni in essere con le suddette strutture sanitarie in accordi contrattuali senza la positiva conclusione della procedura di accreditamento nei confronti delle strutture stesse (o prescindendone), contrasterebbe con i principi fondamentali in materia di «tutela della salute» contenuti nella legislazione statale di settore e, in particolare, con quelli riguardanti l’accreditamento delle strutture sanitarie e i relativi accordi contrattuali, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
Nello specifico, secondo il ricorrente, la norma impugnata si porrebbe in contrasto con il principio fondamentale in materia di «tutela della salute» di cui all’art. 8-bis, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), secondo il quale «La realizzazione di strutture sanitarie e l’esercizio di attività sanitarie, l’esercizio di attività sanitarie per conto del Servizio sanitario nazionale e l’esercizio di attività sanitarie a carico del Servizio sanitario nazionale sono subordinate, rispettivamente, al rilascio delle autorizzazioni di cui all’articolo 8-ter, dell’accreditamento istituzionale di cui all’articolo 8-quater, nonché alla stipulazione degli accordi contrattuali di cui all’articolo 8-quinques». Il medesimo comma 3 stabilisce inoltre che tali disposizioni valgono anche per le strutture e le attività sociosanitarie.
Risulterebbe violato anche l’art. 8-quater, comma 1, del decreto legislativo citato, secondo il quale: «L’accreditamento istituzionale è rilasciato dalla regione alle strutture autorizzate, pubbliche o private e ai professionisti che ne facciano richiesta, subordinatamente alla loro rispondenza ai requisiti ulteriori di qualificazione, alla loro funzionalità rispetto agli indirizzi di programmazione regionale e alla verifica positiva dell’attività svolta e dei risultati raggiunti». La norma precisa, ulteriormente, che «Al fine di individuare i criteri per la verifica della funzionalità rispetto alla programmazione nazionale e regionale, la regione definisce il fabbisogno di assistenza secondo le funzioni sanitarie individuate dal Piano sanitario regionale per garantire i livelli essenziali e uniformi di assistenza, nonché gli eventuali livelli integrativi locali e le esigenze connesse all’assistenza integrativa di cui all’articolo 9». Il comma 2 dello stesso articolo prevede, altresì, che «La qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli accordi contrattuali di cui all’articolo 8-quinques».
Il ricorrente evoca anche l’art. 8-quinquies, comma 2, del richiamato decreto legislativo, che, con riguardo agli accordi contrattuali, prevede che «la regione e le unità sanitarie locali, anche attraverso valutazioni comparative della qualità e dei costi, definiscono accordi con le strutture pubbliche ed equiparate, comprese le aziende ospedaliere-universitarie, e stipulano contratti con quelle private e con i professionisti accreditati». Le disposizioni successive (art. 8-quinques, comma 2, lettera b) disciplinano i contenuti dei suddetti accordi, tra i quali è di particolare rilievo «il volume massimo di prestazioni che le strutture presenti nell’ambito territoriale della medesima unità sanitaria locale, si impegnano ad assicurare, distinto per tipologia e per modalità di assistenza», nonché (lettera d) «il corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate, globalmente risultante dalla applicazione dei valori tariffari e della remunerazione extra-tariffaria delle funzioni incluse nell’accordo».
Dal complesso di tali disposizioni statali emergerebbe che solo le strutture che siano state in precedenza accreditate possono stipulare accordi contrattuali o contratti e che la disciplina dell’accreditamento presuppone inderogabilmente l’accertamento del possesso dei requisiti ulteriori di qualificazione e di funzionalità in relazione agli indirizzi di programmazione regionale e della positiva verifica dell’attività svolta e dei risultati conseguiti. Scopo di tale disciplina sarebbe quello di garantire che le prestazioni erogate per conto e a carico del servizio sanitario regionale siano caratterizzate da elevati livelli di qualità, efficacia ed efficienza, e che siano coerenti rispetto alla programmazione regionale e al fabbisogno assistenziale, anche al fine di evitare lo spreco a comunque la cattiva gestione di risorse pubbliche.
Per tali ragioni, la norma regionale in esame, posta dall’art. 15 (rectius: 16), comma 1, lettera a), nell’autorizzare la stipula da parte di alcune strutture sanitarie di accordi contrattuali senza la positiva conclusione della procedura di accreditamento nei confronti delle strutture stesse (o prescindendone), contrasterebbe con i menzionati principi fondamentali in materia di «tutela della salute» contenuti negli artt. da 8-bis a 8-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, così violando l’art. 117, terzo comma, Cost.
1.2.− La seconda norma oggetto di impugnazione da parte del Presidente del Consiglio dei ministri è l’art. 11 (rectius: 12), comma 1, lettera c), della legge reg. n. 7 del 2013 che, aggiungendo il comma 3-bis all’art. 69 della legge della Regione Puglia 10 luglio 2006, n. 19 (Disciplina del sistema integrato dei servizi sociali per la dignità e il benessere delle donne e degli uomini in Puglia), sopprime i trasferimenti alle Aziende sanitarie locali (ASL) dei fondi destinati al rimborso delle spese di trasporto o di viaggio e soggiorno sostenute dagli assistiti per gli interventi di trapianto, previsti dalla legge della Regione Puglia 21 novembre 1996, n. 25 (Rimborso delle spese sostenute per interventi di trapianto).
Secondo il ricorrente, la disposizione regionale in esame che elimina tali trasferimenti finanziari senza, tuttavia, abrogare gli artt. 1 e 2 della legge reg. n. 25 del 1996 che pongono in capo alle ASL l’obbligo di operare detto rimborso, comporta il permanere di una prestazione per la quale non viene tuttavia specificato il mezzo di copertura finanziaria. Si determinerebbe, in tal modo, una violazione dell’art. 81 Cost., sussistendo oneri per il Servizio sanitario regionale rimasti privi della necessaria copertura finanziaria.
2.− In data 20 maggio 2013 si è costituita la Regione Puglia chiedendo il rigetto del ricorso.
Preliminarmente, la resistente evidenzia che la legge impugnata è stata ripubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Puglia del 22 febbraio 2013, n. 29, al fine di procedere alla rettifica di errori materiali. Poiché nella pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia dell’11 febbraio 2013, n. 21, non era stato inserito l’art. 5, si è resa necessaria una nuova pubblicazione che ha comportato la variazione dell’intera numerazione degli articoli della legge. Ne consegue che il riferimento contenuto nel ricorso all’art. 15, comma l, lettera a), della legge reg. n.7 del 2013 deve intendersi all’art. 16, così come quello all’art. 11, comma l, lettera c), è riferito all’art 12 del testo rettificato.
La legge della Regione Puglia 28 maggio 2004, n. 8 (Disciplina in materia di autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio, all’accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private), ha quale ambito di applicazione tutte le strutture sanitarie e, tra quelle sociosanitarie, le Residenze sanitarie assistenziali (RSA). Ne consegue che, al di fuori delle RSA, la materia dell’autorizzazione e dell’accreditamento di strutture sociosanitarie è disciplinata dalla legge reg. n. 19 del 2006 e dal Regolamento attuativo regionale 18 gennaio 2007, n. 4.
Detto Regolamento di attuazione stabilisce i criteri e i requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi necessari per l’acquisizione dell’autorizzazione all’esercizio e dell’accreditamento per le strutture sociosanitarie. L’art. 30, inoltre, stabilisce che le Residenze sociosanitarie assistenziali (RSSA), già convenzionate con le ASL alla data di promulgazione del Regolamento regionale n. 4 del 2007, possono ottenere automaticamente l’accreditamento in via provvisoria purché iscritte nell’apposito registro delle strutture sociosanitarie e sociali di cui all’art. 53 della legge reg. n. 19 del 2006.
Nella fase transitoria, sempre il medesimo art. 30, fa salvi i rapporti instaurati dalle strutture e dai servizi al fine di permettere l’erogazione delle prestazioni il cui costo si pone a carico del servizio pubblico e stabilisce, inoltre, che i nuovi contratti possono essere stipulati sulla base degli specifici riferimenti normativi e delle autorizzazioni in essere, ancorché provvisorie.
L’art. 8 della legge reg. n. 26 del 2006, così come integrato dall’art. 10 della legge della Regione Puglia 25 febbraio 2010, n. 4 (Norme urgenti in materia di sanità e servizi sociali), contiene la disciplina degli accordi contrattuali da sottoscrivere tra il Direttore generale delle ASL e le RSSA, nell’ambito del fabbisogno ivi stabilito.
Le strutture legittimate alla stipulazione dei suddetti contratti sono solo quelle che possiedono i requisiti previsti dalla legge reg. n. 19 del 2006 e dal Regolamento regionale n. 4 del 2007, a seguito di pubblicizzazione dei posti letto disponibili.
Sotto quest’ultimo profilo, con delibera della Giunta 13 marzo 2012, n. 484, la Regione Puglia ha approvato linee guida al fine di specificare le modalità da seguire per la pubblicizzazione dei posti letto disponibili nel territorio di competenza delle ASL pugliesi, nel rispetto del fabbisogno regionale. Inoltre, sono stati individuati ulteriori requisiti (aggiuntivi rispetto a quelli già contenuti nella normativa regionale di settore) che le strutture devono possedere al fine di stipulare i contratti, nell’ipotesi in cui vi siano più istanze da parte delle RSSA a fronte di una limitata disponibilità dei posti letto da assegnare.
La menzionata disciplina trova applicazione anche per le RSSA interessate dalla modifica contenuta nell’art. 8, comma 3-octies, oggetto di impugnazione. Il legislatore regionale, al successivo art. 15, comma l, lettera a), si è limitato a disporre che solo per le convenzioni già in essere, fermo restando il possesso dei predetti requisiti e, comunque, nell’ambito del fabbisogno stabilito, non è necessaria la pubblicizzazione dei posti letto ancora disponibili.
2.1.− Con riferimento alla seconda questione, la difesa regionale evidenzia che gli artt. 1 e 2 della legge reg. n. 25 del 1996, che obbligano le ASL a rimborsare le spese per i trapianti, non sono stati abrogati e, pertanto, resta fermo l’impegno della Regione di rifondere le Aziende sanitarie degli importi erogati a tale titolo.
Nell’atto di costituzione si evidenzia, inoltre, che il capitolo di spesa in esame è finanziato annualmente per un importo che non ha mai superato la cifra di € 1.000.000,00 (per il 2013 è pari ad € 200.000,00) a fronte di una spesa consolidata di oltre 4 milioni di euro in media, alla quale il Servizio sanitario regionale fornisce copertura con fondi di bilancio autonomo regionale (extra FSN e FSR), nel rispetto delle linee guida per i rimborsi e le prescrizioni di cui alla legge reg. n. 25 del 1996.
Secondo la Regione, l’abolizione del suddetto capitolo sarebbe propedeutica all’accensione di un nuovo capitolo di spesa, in seno alle Unità previsionali di base dell’Area politiche per la salute, allo scopo di determinare preventivamente il limite massimo di spesa per i rimborsi rispetto a cui allineare tutti i rimborsi riconosciuti dalle ASL e attivare procedure più puntuali di verifica e controllo dei suddetti rimborsi.
Considerato in diritto
1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, in riferimento agli artt. 81 e 117, terzo comma, della Costituzione, gli artt. 11 (rectius: 12), comma 1, lettera c), e 15 (rectius: 16), comma 1, lettera a), della legge della Regione Puglia 6 febbraio 2013, n. 7 (Norme urgenti in materia socio-assistenziale).
1.1.− Preliminarmente deve rilevarsi che la legge regionale in esame è stata oggetto di una duplice pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione Puglia, perché, per mero errore materiale, nella prima pubblicazione era stato omesso l’art. 5. A seguito della nuova pubblicazione, comprensiva del suddetto art. 5, la numerazione degli articoli successivi è cambiata: pertanto, le disposizioni impugnate devono intendersi gli artt. 12, comma 1, lettera c), e 16, comma 1, lettera a), della legge reg. n. 7 del 2013.
2.− La prima questione che viene sottoposta all’esame di questa Corte è, dunque, quella relativa all’art.16, comma 1, lettera a), della legge reg. n. 7 del 2013. Secondo il ricorrente, tale disposizione − nello stabilire che «Ai fini della continuità assistenziale le convenzioni già in essere alla data del 10 febbraio 2013 sono sostituite mediante stipula degli accordi contrattuali anche nelle more del conseguimento di una maggiore offerta di servizi rispetto a quelli minimi regolamentari e anche in assenza di ulteriore fabbisogno nel distretto socio-sanitario di riferimento, a valere sul fabbisogno complessivo del territorio aziendale e tenuto conto della popolazione standardizzata con indice di vecchiaia» − violerebbe i principi fondamentali in materia di tutela della salute contenuti negli artt. 8-bis, 8-ter, 8-quater e 8-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e, di conseguenza, l’art. 117, terzo comma, Cost.
In altri termini, la norma autorizzerebbe la stipula da parte di alcune strutture sanitarie di accordi contrattuali senza la (o a prescindere dalla) positiva conclusione della procedura di accreditamento nei confronti delle strutture stesse.
3.− La questione è inammissibile.
3.1.− Il ricorrente si limita ad enucleare nel dettaglio la disciplina statale, motivando il ricorso solo sull’esistenza in tale legislazione del principio dell’accreditamento delle strutture sanitarie, senza tuttavia indicare le ragioni in base alle quali ritiene che le norme regionali impugnate ne comporterebbero la violazione.
Nel ricorso, infatti, viene riportato per esteso il contenuto degli artt. 8-bis, 8-ter, 8-quater e 8-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, evocati come principi fondamentali della materia «tutela della salute», asserendo in conclusione che la norma impugnata si pone in contrasto con tali principi.
Ne consegue che, sulla base della giurisprudenza di questa Corte, la questione deve essere dichiarata inammissibile per carenza di motivazione in quanto il ricorso è privo di qualsiasi svolgimento argomentativo circa i motivi della violazione, da parte delle norme impugnate, del principio di accreditamento evocato quale parametro interposto dalla legislazione statale nella materia concorrente della «tutela della salute» (ex plurimis, sentenze n. 114 del 2013, n. 309, n. 115 e n. 99 del 2012, n. 312 del 2010).
4.− La seconda questione sollevata dal Presidente del Consiglio con il ricorso in esame è relativa all’art. 12, comma 1, lettera c), della legge reg. n. 7 del 2013.
Il ricorrente lamenta il fatto che il legislatore regionale abbia soppresso un capitolo di bilancio che prevedeva il trasferimento alle Aziende sanitarie locali di somme destinate ai rimborsi delle spese di trasporto e di viaggio per coloro che avevano subito un trapianto e per il donatore dell’organo, rimborsi previsti dalla legge della Regione Puglia 21 novembre 1996, n. 25 (Rimborso delle spese sostenute per interventi di trapianto).
Secondo, la difesa statale, infatti, la norma impugnata, nell’eliminare i trasferimenti finanziari senza abrogare gli artt. 1 e 2 della legge reg. n. 25 del 1996 che pongono in capo alle ASL l’obbligo di operare detto rimborso, avrebbe violato l’art. 81, quarto comma, Cost. in quanto avrebbe fatto mancare la copertura finanziaria ad una norma che obbliga la Regione ad erogare rimborsi.
4.1.− La questione non è fondata.
La legge regionale n. 25 del 1996 prevede, all’art. 1, il rimborso delle spese di trasporto di viaggio e di soggiorno che il cittadino in attesa di trapianto o che abbia già subito un trapianto e il relativo donatore abbiano sopportato per l’effettuazione: a) degli esami preliminari e per la tipizzazione tessutale; b) dell’intervento di trapianto; c) di tutti i controlli successivi, nonché di quelli per le complicanze derivanti dall’intervento stesso; d) dell’eventuale espianto.
Il successivo art. 2, comma 2, prevede, inoltre, che: «Il rimborso delle spese previste dalla presente legge è corrisposto, entro i limiti indicati dall’articolo 1 e delle disponibilità finanziarie destinate nel bilancio regionale, ai pazienti il cui reddito imponibile familiare non è superiore a euro 80 mila annui».
Al di là da questioni che riguardano comportamenti di fatto della parte resistente non rilevanti nel presente giudizio, risulta evidente l’erroneo presupposto interpretativo in cui è incorso il ricorrente, secondo cui la Regione sarebbe obbligata ad erogare il rimborso nei confronti di tutti coloro che si trovino nelle condizioni previste dalla legge anche se nel bilancio regionale non siano destinate risorse a tale finalità.
Dalla lettura del citato art. 2, comma 2, infatti, emerge che la Regione è obbligata a corrispondere i suddetti rimborsi ai pazienti il cui reddito non superi gli 80 mila euro annui solo nei limiti delle disponibilità finanziarie destinate nel bilancio regionale. Si tratta, dunque, di una prestazione di carattere assistenziale che la Regione assicura nei limiti delle disponibilità di bilancio che annualmente ritiene di destinare a tale finalità.
L’eliminazione dello stanziamento comporta che per l’anno 2013 non potranno essere erogati rimborsi, ferma restando la possibilità, per gli anni successivi, di destinare nuovamente risorse finanziarie disponibili per questa finalità.
La norma impugnata, pertanto, non determina alcuna violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost. e la questione sollevata deve essere dichiarata non fondata.