Ritenuto in fatto
1.‒ Con il ricorso in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto questione di legittimità costituzionale di talune disposizioni della legge della Regione Lombardia 19 febbraio 2014, n. 11 (Impresa Lombardia: per la libertà di impresa, il lavoro e la competitività), volta a promuovere la crescita e le innovazioni del sistema produttivo regionale.
Sono stati, in particolare, denunciati gli articoli:
− 3, comma 1, lettera g), sul «riconoscimento del “Made in Lombardia”», per contrasto con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione «ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario»;
− 4, comma 1, prevedente la «costituzione […] di un circuito di moneta complementare», per violazione dell’art. 117, comma secondo, lettera e), Cost.;
− 6, commi 1, 2 e 13 (recanti disciplina di un iter semplificato per taluni aspetti delle attività economiche), per contrasto con l’art. 117, comma secondo, lettere m) ed s), Cost.; nonché commi 4 (concernente “accordi per la competitività”) e 5 (sul regime sanzionatorio di dichiarazioni mendaci), per violazione, rispettivamente, dell’art. 117, comma secondo, lettera s) e lettera l), Cost.;
− 7, commi 6, lettera b), e 7 (in tema di ricorso alla Conferenza dei servizi ed all’istituto del silenzio assenso nell’ambito del procedimento svolto dallo Sportello unico per le attività produttive), per contrasto con l’art. 117, comma secondo, lettera s), Cost.
2.− Successivamente alla proposizione del ricorso, la Regione Lombardia ha emanato la legge regionale 5 agosto 2014, n. 24 (Assestamento del bilancio 2014-2016 – I Provvedimento di variazione con modifiche di leggi regionali), il cui art. 21, comma 3, ha inciso su tutte le disposizioni denunciate.
3.− In prossimità dell’udienza di discussione, la Regione Lombardia, già costituitasi, ha depositato memoria per sostenere il carattere satisfattivo, per lo Stato, delle modifiche apportate dallo ius supervenies a ciascuna delle disposizioni oggetto della odierna impugnativa, e per chiedere, in via principale, una declaratoria di cessazione della materia del contendere.
In sede di udienza l’Avvocatura dello Stato si è rimessa, al riguardo, alla decisione di questa Corte.
Considerato in diritto
1.‒ Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, in via principale, le diposizioni di cui agli artt. 3, comma 1, lettera g), 4, comma 1, 6, commi 1, 2, 4, 5 e 13, e 7, commi 6, lettera b), e 7, della legge della Regione Lombardia 19 febbraio 2014, n. 11 (Impresa Lombardia: per la libertà di impresa, il lavoro e la competitività).
E ne ha dedotto il contrasto, rispettivamente, con l’art. 117, primo comma, in relazione ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, e con l’art. 117, secondo comma, lettere e), m), s) ed l), della Costituzione, quanto alla competenza esclusiva dello Stato nelle materie della moneta, dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali, della tutela dell’ambiente e dell’ordinamento penale.
2.− La Regione Lombardia, costituitasi nel presente giudizio per resistere al ricorso, ha, per altro, nelle more, approvato la legge 5 agosto 2014, n. 24 (Assestamento del bilancio 2014-2016 − I Provvedimento di variazione con modifiche di leggi regionali), il cui art. 21, comma 3, ha modificato tutte le disposizioni, della precedente legge regionale n. 11 del 2014, sottoposte all’odierno vaglio di costituzionalità.
3.− In conseguenza e per effetto dello ius superveniens, il testo di ciascuno dei censurati articoli della legge della Regione Lombardia n. 11 del 2014 risulta riformulato in senso satisfattivo delle ragioni del ricorrente.
3.1 − La disposizione di cui all’art. 3, comma 1, lettera g), della citata legge n. 11 del 2014 − attributiva alla Giunta regionale del compito di istituire «il riconoscimento del “Made in Lombardia” finalizzato alla certificazione della provenienza del prodotto» − è stata denunciata, infatti, per contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., sul presupposto che l’imputazione ad una autorità pubblica del “sistema di marcatura” avrebbe effetti, almeno potenzialmente, restrittivi sulla libertà di circolazione delle merci tra Stati membri, in violazione delle prescrizioni comunitarie (artt. 34 e 35 del TFUE).
Nel testo della predetta disposizione, risultante dalle modifiche apportatevi dall’art. 21, comma 3, della successiva legge regionale n. 24 del 2014, risulta ora, però, eliminato il marchio “Made in Lombardia” e, in luogo dello stesso, è prevista l’istituzione di «marchi collettivi regionali, secondo la disciplina nazionale ed europea vigente», da rinvenirsi, quest’ultima, negli artt. 66 e 67 del Regolamento CE n. 207/09 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, che attiene ai “Marchi comunitari collettivi”.
Ai sensi dell’art. 66 citato, detti marchi sono, in particolare, «idonei a distinguere i prodotti o servizi dei membri dell’associazione titolare da quelli di altre imprese», anche in relazione alla loro provenienza geografica, e possono essere depositati da «associazioni di fabbricanti, produttori, prestatori di servizi o commercianti».
L’operato rinvio alla disciplina europea ha così mutato la portata precettiva della norma originaria in esame, che risulta, quindi, non più orientata ad un intervento diretto della Regione nella istituzione del marchio di origine, bensì volta a promuovere l’istituzione di marchi collettivi in ambito regionale, lasciati, però, all’iniziativa privata.
Dal che la sua attuale compatibilità con i parametri evocati.
3.2.− La disposizione di cui all’art. 4, comma 1, dell’impugnata legge della Regione Lombardia n. 11 del 2014 − prevedente «la costituzione, in forma sperimentale, di un circuito di moneta complementare […] quale strumento elettronico di compensazione multimediale locale per lo scambio di beni e di servizi» − è stata, a sua volta, modificata dalla successiva legge regionale n. 24 del 2014, la quale ha non solo espunto dal testo della norma il riferimento al termine «moneta» (che scompare anche dalla rubrica della disposizione), ma ha esplicitamente anche affermato il «carattere di volontarietà» del sistema di «compensazione regionale multilaterale e complementare», e previsto il «rispetto dei principi e delle norme tributarie dello Stato» nella sua attuazione. E ciò evidentemente supera la censura del ricorrente − che si incentra sul richiamo alla costituzione di «un sistema monetario locale» e fa valere il parametro della lettera e) del secondo comma dell’art. 117 Cost. e, dunque, la competenza esclusiva statale nella materia della “moneta” − essendo, appunto, venuto meno l’originario riferimento alla istituzione di una moneta locale.
3.3.− Anche con riguardo all’art. 6 − denunciato nei suoi commi 1, 2, 13 (sulla disciplina di un iter semplificato per l’avvio ed altri aspetti delle attività economiche), 4 (prevedente accordi sulla competitività sostitutivi dei provvedimenti amministrativi) e 5 (sul regime sanzionatorio di dichiarazioni mendaci), per violazione della competenza esclusiva statale di cui, rispettivamente, alle lettere m), s) ed e), Cost. − le modifiche apportate alla norma impugnata consentono di ritenere superati i motivi dell’impugnazione medesima.
3.3.1.− Le censure rivolte alla disciplina del procedimento regionale semplificato, nella sua originaria formulazione, per i profili della mancata previsione dell’onere di allegazione documentale, nonché dell’aggravio in capo alle imprese della dichiarazione sostitutiva e in capo alle pubbliche amministrazioni dell’acquisizione della documentazione al fine di effettuare i dovuti controlli di regolarità, risultano, infatti, superate, nel testo modificato, dal riferimento all’art. 9 della legge 11 novembre 2011, n. 180 (Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese) − che attiene all’inserimento nel registro delle imprese delle relative certificazioni ed all’accesso telematico gratuito delle pubbliche amministrazioni a tale registro − in congruente correlazione con le previsioni (anch’esse introdotte dalla legge sopravvenuta) che la comunicazione unica regionale resa allo Sportello unico per le attività produttive (di seguito SUAP) «attesti la presenza nel fascicolo informatico d’impresa o il rilascio da parte della pubblica amministrazione dei documenti sulla conformità o la regolarità degli interventi o delle attività» e che, quanto alla non necessità di allegazione di documenti aggiuntivi, l’onere di trasmissione telematica, ai fini dell’acquisizione al fascicolo informatico d’impresa presso la camera di commercio, resti in capo alle pubbliche amministrazioni per il tramite del SUAP.
3.3.2.− Il termine per ottemperare alle prescrizioni dell’Amministrazione, a carico dell’impresa, censurato, per la sua ampiezza, nel testo originario che lo stabiliva come «non inferiore a centottanta giorni», è stato, a sua volta, sensibilmente e ragionevolmente ridotto ad un terzo (60 giorni) dalla disposizione modificativa.
3.3.3.− L’omessa esclusione, presupposta dal ricorrente, dell’applicazione della procedura regionale semplificata e degli accordi per la competitività ai casi in cui sussistano vincoli ambientali paesaggistici e naturali, è stata pure essa superata dallo ius superveniens, che ha reso esplicita tale esclusione.
3.3.4.− Con riguardo al regime sanzionatorio (sub comma 5 dell’art. 6), la legge di modifica si è del pari allineata alle indicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri, facendo espressamente salve le «disposizioni sanzionatorie» previste dall’art. 19, comma 6, della legge n. 241 del 1990.
3.4.− La disciplina sopravvenuta ha recepito, infine, le indicazioni del ricorrente anche per quanto attiene alle disposizioni di cui all’art. 7, commi 6, lettera b), e 7, della legge regionale n. 11 del 2014, sospettate di contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in ragione della denunciata omessa esclusione della applicazione del silenzio assenso per i procedimenti che coinvolgano vincoli di tipo ambientale, paesaggistico o culturale (in contrasto con gli artt. 14-ter, comma 7, e 20, della legge n. 241 del 1990), nel caso di autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, nonché di autorizzazioni per gli impianti alimentati ad energia rinnovabile.
Nel testo della disposizione censurata, in particolare sub lettera b) del comma 6 del citato art. 7, è stata, infatti, introdotta la previsione di esclusione del «silenzio assenso» nelle ipotesi indicate dal successivo comma 7. E detto comma è stato, a sua volta, integrato con la previsione secondo cui il «silenzio assenso» non opera [e quindi la decorrenza dei termini fissati dallo stesso comma 6, lettera b), parte «dalla comunicazione dell’esito favorevole delle relative procedure»], oltre che nei casi (già indicati originariamente nello stesso comma 7) di VIA, VAS, verifica di VIA, verifica di VAS, AIA – contemplati dall’art. 14-ter, comma 7, della legge n. 241 del 1990 (quale norma interposta richiamata dal ricorrente) – anche in quelli relativi «ad autorizzazione unica per nuovo impianto di smaltimento e di recupero dei rifiuti di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 (Norme in materia ambientale) o ad autorizzazione unica per impianto alimentato ad energia rinnovabile di cui all’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), oppure ad alcuno dei casi individuati dall’art. 20, comma 4, della L. 241 del 1990» (anch’esso richiamato dal ricorrente come norma interposta).
4.− Non è poi contestato che, nelle more della sopravvenuta modifica legislativa, le norme impugnate non abbiano ricevuto attuazione.
5.− Può, pertanto, in conclusione, dichiararsi cessata la materia del contendere.