SENTENZA N. 115
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Gaetano SILVESTRI; Giudici : Luigi MAZZELLA, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 3 agosto 2010, relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse nel libro intitolato «Lo sbirro e lo Stato» dal senatore Raffaele Iannuzzi nei confronti del dottor Guido Lo Forte ed altri, promosso dal Tribunale ordinario di Roma, con ricorso notificato il 19 febbraio 2013, depositato in cancelleria il 5 marzo 2013 ed iscritto al n. 6 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2012, fase di merito.
Visto l’atto di costituzione del Senato della Repubblica;
udito nell’udienza pubblica dell’8 aprile 2014 il Giudice relatore Paolo Grossi;
udito l’avvocato Tommaso Edoardo Frosini per il Senato della Repubblica.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso depositato il 9 agosto 2012, il Tribunale ordinario di Roma, in composizione monocratica, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica, in relazione alla deliberazione del 3 agosto 2010 (Doc. IV-ter, n.17-A) con la quale l’Assemblea ha dichiarato l’insindacabilità delle opinioni espresse da Raffaele Iannuzzi, all’epoca dei fatti senatore della Repubblica, nei confronti dei magistrati Guido Lo Forte, Giancarlo Caselli, Antonio Ingroia e Ignazio De Francisci.
Il ricorrente espone che oggetto del giudizio de quo sono le affermazioni (analiticamente trascritte nei singoli capi di imputazione riportati nel ricorso) contenute nel libro intitolato «Lo sbirro e lo Stato», a firma del senatore Iannuzzi, pubblicato nel 2008 (con il quale l’autore aveva, tra l’altro, riproposto i contenuti di un suo precedente articolo, apparso su «Il Giornale» del 7 novembre 2004 e intitolato «Mafia: 13 anni di scontri tra PM e Carabinieri»). Tali dichiarazioni hanno determinato l’instaurazione a carico del predetto del procedimento penale per il reato di diffamazione a mezzo stampa, di cui agli artt. 595, primo, secondo e terzo comma, del codice penale, e agli artt. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa) e 61, numero 10, del codice penale. Ciò, in ragione del fatto che nel contesto della pubblicazione – nella quale vengono ricostruite le vicende giudiziarie cui avevano preso parte per le loro funzioni i querelanti, che venivano indicate come conseguenza o comunque espressione di una “guerra” promossa dalla Procura di Palermo contro il ROS dei Carabinieri per delegittimare importanti esponenti dell’Arma, – i suddetti magistrati vengono, tra l’altro, definiti «professionisti dell’antimafia», la cui attività giudiziaria sarebbe stata improntata a dolosa faziosità e ad intenti persecutori, comunque ispirata da finalità illecite attuate mediante comportamenti devianti.
Riferite le vicende processuali – nel corso delle quali, sulla richiesta di rinvio a giudizio del senatore Iannuzzi, il giudice per le indagini preliminari aveva ordinato (su eccezione della difesa ed opposizione delle parti civili costituite) la trasmissione di copia degli atti al Senato e sospeso il procedimento penale, ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), che era stato poi ripreso, trascorso il novantesimo giorno dalla ricezione degli atti da parte del Senato, e definito con il rinvio a giudizio – il ricorrente deduce che, nel frattempo, con la citata delibera del 3 agosto 2010, l’Assemblea del Senato ha respinto la proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari (che aveva concluso che le dichiarazioni in esame non ricadevano nell’ipotesi dell’art. 68, primo comma, Cost.), affermandone così l’insindacabilità.
Poiché, a seguito di tale delibera, la difesa dell’imputato ha invocato la emissione di una sentenza di non doversi procedere, mentre il pubblico ministero ed il difensore delle parti civili hanno chiesto sollevarsi conflitto di attribuzione ai sensi dell’art. 134 Cost., il giudice (in accoglimento di quest’ultima domanda) rileva come la Corte costituzionale abbia ripetutamente chiarito che – se è indubbio che la garanzia dell’insindacabilità si estende anche alle dichiarazioni rese fuori dall’ambito parlamentare – è però necessario che sussista un nesso funzionale tra le affermazioni extra moenia e le funzioni in concreto svolte dal parlamentare che ne è stato l’artefice. E che non risulta sufficiente (onde qualificare ciò che altrimenti realizzerebbe l’esercizio della libera manifestazione del pensiero assicurata a tutti dall’art. 21 Cost.) un semplice collegamento di argomento e/o di contesto politico tra l’attività parlamentare e le dichiarazioni rese, che viceversa debbono essere riproduttive delle opinioni sostenute in sede parlamentare, al fine di renderle note ai cittadini.
Pertanto, ad avviso del giudice a quo, la garanzia costituzionale della insindacabilità non opera sulla base di un mero collegamento con lo status di parlamentare in sé considerato (diversamente trasformandosi l’istituto previsto dall’art. 68 Cost. in un ingiustificato privilegio personale incompatibile con il principio di eguaglianza e con il diritto di accesso alla giustizia da parte dei cittadini lesi dalle dichiarazioni) ma necessita che queste siano effettivamente e sostanzialmente corrispondenti ai contenuti di attività tipicamente parlamentari e costituiscano divulgazione o comunicazione all’esterno di atti già compiuti nell’ambito della stretta funzione parlamentare.
Tanto premesso, il ricorrente rileva come il tema del disegno di legge avente ad oggetto la «Istituzione di una commissione di inchiesta sulla gestione di coloro che collaborano con la giustizia» (A.S. 2292 delle XIV legislatura) – indicato dal medesimo senatore Iannuzzi, nel corso della sua audizione da parte della Giunta per le autorizzazioni, quale attività parlamentare alla quale le opinioni espresse nel libro sarebbero funzionalmente collegate – riguardi in realtà il tema generale della gestione dei “pentiti” e delle conseguenze delle dichiarazioni da loro rese. Ed osserva come, neppure nella relazione che accompagna il disegno di legge, vi sia qualsivoglia riferimento alle specifiche vicende giudiziarie cui si riferiscono le accuse contenute nel libro. Sicché – considerato anche che il lasso di tempo intercorrente tra la presentazione del disegno di legge (23 giugno 2003) e la pubblicazione del libro (risalente al febbraio 2008) è talmente ampio da farne escludere il carattere divulgativo – la condotta addebitabile all’imputato esulerebbe dall’esercizio delle funzioni parlamentari, non presentando alcun legame con atti funzionali neppure nell’accezione più ampia.
Peraltro, secondo il giudice a quo, non ricorre (contrariamente a quanto eccepito dalla difesa dell’imputato) una ipotesi di bis in idem per il fatto che il libro «Lo sbirro e lo Stato» riproduce un articolo già pubblicato nel 2004 sul quotidiano «Il Giornale» (già posto ad oggetto di un procedimento penale, avanti al Tribunale di Milano, a carico del senatore Iannuzzi, per il reato di diffamazione col mezzo della stampa, e sul cui contenuto il Senato si era ugualmente pronunciato nel senso dell’insindacabilità delle opinioni espresse dall’autore, con conseguente proposizione di altro conflitto di attribuzioni, ammesso ma poi dichiarato improcedibile per tardivo deposito dell’atto introduttivo notificato) e per il quale il senatore Iannuzzi era stato poi prosciolto dal giudice per le indagini preliminari. Osserva infatti il ricorrente che oggetto dell’attuale procedimento non sono le affermazioni contenute in detto articolo di giornale ma quelle contenute nell’intero libro, che non si esaurisce affatto nel precedente scritto.
In conclusione, dunque, il giudice a quo (sospeso il processo) ha chiesto che la Corte, ammesso il conflitto, dichiari che non spettava al Senato della Repubblica la valutazione di insindacabilità della condotta addebitabile al senatore Iannuzzi, in quanto estranea alla previsione di cui all’art. 68 Cost. e, di conseguenza, annulli la delibera del Senato medesimo adottata il 3 agosto 2010.
2.– Il ricorso è stato dichiarato ammissibile con ordinanza n. 13 del 2013, ritualmente notificata, unitamente al ricorso introduttivo, in data 19 febbraio 2013 e depositata nella cancelleria di questa Corte il successivo 5 marzo.
3.– Il Senato della Repubblica si è costituito con memoria nella quale ha conclusivamente richiesto di affermare la sussistenza del potere del Senato «di dichiarare [l’] insindacabilità [del] le opinioni espresse dal sen. Raffaele Iannuzzi e, comunque, dichiarare le stesse coperte dalla garanzia di insindacabilità prevista dall’art. 68, comma 1, della Costituzione».
Dopo aver ripercorso la giurisprudenza costituzionale in tema di «nesso funzionale», il Senato sottolinea come un «aggiornamento» di quella giurisprudenza potrebbe meglio rispondere alle esigenze di bilanciamento tra i valori costituzionali coinvolti, segnalando come uno spunto in tale senso potrebbe essere offerto dall’art. 3, comma 1, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), il quale individua anche l’attività di denuncia politica come connessa alla funzione parlamentare, ancorché svolta al di fuori del Parlamento. Sicché, per il Senato, un «aggiornamento interpretativo del “nesso funzionale” potrebbe dunque portare alla sua individuazione in tutte le occasioni in cui il parlamentare raggiunga il cittadino-elettore illustrando la propria posizione».
Nel merito, la difesa del resistente osserva che lo scritto, oggetto del giudizio penale a quo, risulta originariamente pubblicato nel 2004 (e solo ristampato nel 2008); e che pertanto esso è collegato con l’attività parlamentare dell’allora senatore Iannuzzi, ed in particolare con la presentazione, quale primo firmatario, di un disegno di legge in data 25 giugno 2003, relativo alla istituzione di una commissione di inchiesta sulla «gestione dei collaboratori di giustizia».
Peraltro – rilevato che nell’ordinanza del giudice ricorrente non sono indicate le affermazioni diffamatorie che sarebbero contenute nel libro de quo, al di fuori di quanto affermato nel precedente articolo già pubblicato nel 2004 – il Senato osserva che le opinioni espresse in quella occasione furono ritenute insindacabili dal Senato; la qual cosa determinò un conflitto di attribuzione sollevato dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, che fu dichiarato improcedibile dalla Corte costituzionale (con ordinanza n. 253 del 2007) in quanto depositato fuori termine, con conseguente proscioglimento del senatore Inannuzzi. Pertanto, la questione qui risollevata ricadrebbe nel principio del ne bis in idem, laddove la Corte ha affermato la non reiterabilità del conflitto di attribuzione quando il precedente conflitto proposto sia stato dichiarato improcedibile (come affermato dalla sentenza n. 40 del 2004).
Considerato in diritto
1.1.– Il Tribunale ordinario di Roma, in composizione monocratica, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica, in relazione alla deliberazione del 3 agosto 2010 (Doc. IV-ter, n.17-A), con la quale l’Assemblea ha dichiarato l’insindacabilità delle opinioni espresse da Raffaele Iannuzzi, all’epoca dei fatti senatore della Repubblica, nei confronti dei magistrati Guido Lo Forte, Giancarlo Caselli, Antonio Ingroia e Ignazio De Francisci.
Il senatore Iannuzzi è chiamato a rispondere del reato di diffamazione a mezzo stampa in ragione delle affermazioni (analiticamente trascritte, con riferimento a ciascuna delle parti offese, nei capi di imputazione riportati nelle prime 8 pagine del ricorso) contenute nel libro intitolato «Lo sbirro e lo Stato», a firma del medesimo, pubblicato nel 2008 (nel quale l’autore aveva, tra l’altro, riproposto i contenuti di un suo precedente articolo, apparso su «Il Giornale» del 7 novembre 2004 e intitolato «Mafia: 13 anni di scontri tra PM e Carabinieri»). Nel contesto dello scritto del 2008, le vicende giudiziarie cui avevano preso parte per le loro funzioni i querelanti sono descritte come espressioni di una “guerra” promossa dalla Procura di Palermo contro il ROS dei Carabinieri per delegittimare importanti esponenti dell’Arma, con finalità diverse da quella istituzionale; e i suddetti magistrati vengono definiti «professionisti dell’antimafia», la cui attività giudiziaria sarebbe stata improntata a dolosa faziosità e ad intenti persecutori, comunque ispirata da finalità illecite attuate mediante comportamenti devianti.
Il giudice ricorrente ricorda come la giurisprudenza costituzionale sia costante nel ritenere – onde verificare la sussistenza di un nesso funzionale tra le affermazioni extra moenia e le funzioni in concreto svolte dal parlamentare che ne è stato l’artefice – che la garanzia costituzionale della insindacabilità (onde evitare che si trasformi in un ingiustificato privilegio personale) necessita che le opinioni siano effettivamente e sostanzialmente corrispondenti ai contenuti di attività tipicamente parlamentari e ne costituiscano divulgazione o comunicazione all’esterno. E sottolinea che nella specie il carattere divulgativo delle opinioni espresse non si ravvisa, sia per il contenuto generico del richiamato atto parlamentare tipico, sia per il rilevante lasso di tempo intercorso tra la sua presentazione da parte dello Iannuzzi (in data 23 giugno 2003) e la pubblicazione del libro (risalente al febbraio 2008).
1.2.– Il ricorso è stato dichiarato ammissibile con l’ordinanza n. 13 del 2013, ritualmente notificata e depositata.
1.3.– Nel costituirsi, il Senato invoca un «aggiornamento» della giurisprudenza costituzionale, che (rispondendo alle esigenze di bilanciamento tra i valori coinvolti), contempli anche l’attività di denuncia politica come connessa alla funzione di parlamentare, in tutte le occasioni in cui lo stesso parlamentare raggiunga il cittadino-elettore illustrando la propria posizione.
Nel merito, la difesa osserva come lo scritto in questione (mera ristampa di quello pubblicato nel 2004) sia collegato con l’attività parlamentare dell’allora senatore Iannuzzi, espressa nella presentazione del detto disegno di legge; e come – non essendo state indicate le opinioni diffamatorie che sarebbero contenute nel libro de quo al di fuori di quelle contenute nel precedente articolo (già oggetto di esame in sede di conflitto, allora sollevato dal GIP del Tribunale di Milano, dichiarato improcedibile, con conseguente proscioglimento dell’imputato) – l’odierno conflitto lederebbe il principio del ne bis in idem.
2.– Deve, preliminarmente, essere confermata l’ammissibilità del ricorso, sussistendo i richiesti presupposti soggettivi ed oggettivi per il conflitto.
3.1.– Nel merito il ricorso è fondato.
3.2.– La consolidata giurisprudenza costituzionale ha ripetutamente messo in luce la circostanza che (ai fini dell’individuazione del perimetro entro il quale riconoscere la garanzia della insindacabilità delle opinioni espresse dai membri del Parlamento, in contesti diversi dal rigoroso ambito di svolgimento dell’attività parlamentare strettamente intesa) lo scrutinio deve tenere contemporaneamente conto di due esigenze, entrambe di risalto costituzionale. Da un lato, quella di salvaguardare – secondo una tradizione consolidata nelle costituzioni moderne – l’autonomia e la libertà delle assemblee parlamentari, quali organi di diretta rappresentanza popolare, dalle possibili interferenze di altri poteri; dall’altro, quella di garantire ai singoli il diritto alla tutela della loro dignità di persone, presidiato dall’art. 2 della Costituzione oltre che da diverse norme convenzionali (sentenza n. 313 del 2013). Va dunque ribadito che – se l’attività del parlamentare intra moenia può essere sindacata e, se del caso, censurata anche attraverso gli strumenti previsti dai regolamenti parlamentari (con la conseguenza che comportamenti eventualmente lesivi della dignità delle persone possono essere opportunamente prevenuti), le condotte «esterne» rispetto all’attività parlamentare tipica, in tanto possono godere della garanzia della insindacabilità, prevista dall’art. 68, primo comma, Cost., in quanto risultino rigorosamente riconducibili alle specifiche e «qualificate» attribuzioni parlamentari.
Questa Corte ha quindi, da un lato, chiarito che il nesso che deve sussistere tra «la dichiarazione divulgativa extra moenia e l’attività parlamentare propriamente intesa, non può essere visto come un semplice collegamento di argomento o di contesto politico fra l’una e l’altra, ma come identificabilità della dichiarazione quale espressione della attività parlamentare, postulandosi anche, a tal fine, una sostanziale contestualità tra i due momenti, a testimonianza dell’unitario alveo “funzionale” che le deve, appunto, correlare» (sentenza n. 82 del 2011; anche sentenze n. 55 del 2014, n. 305 del 2013 e n. 39 del 2012).
Dall’altro lato, ha affermato che (poiché la garanzia della insindacabilità opera in relazione non alle opinioni espresse «in occasione» o «a causa» delle funzioni parlamentari, ma soltanto a quelle riconducibili “all’esercizio” delle funzioni medesime) qualsiasi diversa lettura dilaterebbe il perimetro costituzionalmente tracciato, generando un’immunità non più soltanto funzionale, ma, di fatto, sostanzialmente «personale», a vantaggio di chi sia stato eletto membro del Parlamento (sentenza n. 10 del 2000). Conseguenza, questa, che (come sottolineato nella sentenza n. 313 del 2013) si porrebbe in contrasto con le censure mosse, in varie occasioni, all’Italia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale – proprio sul tema dell’insindacabilità delle opinioni dei parlamentari e del confliggente diritto di accesso ad un tribunale da parte del privato che si assuma offeso da quelle opinioni, sancito dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 – ha ritenuto che non si possa «giustificare un rifiuto di accesso alla giustizia per il solo fatto che la disputa potrebbe essere di natura politica oppure connessa ad un’attività politica», dovendosi considerare estraneo alla garanzia della insindacabilità un comportamento che non sia connesso «all’esercizio di funzioni parlamentari stricto sensu» (sentenza 30 gennaio 2003, Cordova contro Italia, ricorso n. 45649/99, e sentenza 30 gennaio 2003, Cordova contro Italia, ricorso n. 40877/98, nonché sentenza 24 febbraio 2009, CGIL e Cofferati contro Italia, ricorso n. 46967/07, e le altre pronunce ivi citate).
3.3.– Pertanto – se tutto ciò vale a contrassegnare il confine entro il quale configurare la prerogativa costituzionale dell’insindacabilità agli effetti della tutela da riconoscere ai terzi danneggiati dalle opinioni espresse extra moenia dai membri del Parlamento – lo scrutinio relativo alla sussistenza del nesso funzionale tra opinione «divulgativa» e atti parlamentari «tipici», di cui la prima si assume essere espressione, va in ogni caso condotto in termini particolarmente rigorosi, secondo un parametro che questa Corte ha da tempo individuato nella «corrispondenza sostanziale» (tra le altre, sentenza n. 137 del 2001), che si pone in linea anche con la ricordata giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in cui, nel bilanciamento tra le contrapposte esigenze, si richiede la sussistenza di un «legame evidente» tra l’atto in ipotesi lesivo e l’esercizio della funzione tipica del parlamentare (sentenza n. 313 del 2013).
Ne consegue che va ribadito che la tesi del Senato – secondo la quale il concetto di «nesso funzionale» dovrebbe essere «aggiornato», fino a ritenersi sussistente «in tutte quelle occasioni in cui il parlamentare raggiunga il cittadino, illustrando la propria posizione» – appare, «proprio per la eccessiva vaghezza dei termini e dei concetti impiegati, non compatibile con il disegno costituzionale: da un lato, infatti, essa si concentra su un’attività (quella “politica“) non necessariamente coincidente con la funzione parlamentare, posto che, tra l’altro, questa si esprime, di regola, attraverso atti tipizzati (non è un caso che l’art. 68 Cost. circoscriva l’irresponsabilità dei membri del Parlamento alle “opinioni espresse” ed ai “voti dati” “nell’esercizio delle loro funzioni”); dall’altro, la tesi in questione non mette in collegamento diretto opinioni espresse e atti della funzione, ma semplicemente attribuisce allo stesso parlamentare la selezione dei temi “politici” da divulgare; al punto da rendere, in definitiva, lo stesso parlamentare arbitro dei confini entro i quali far operare la garanzia della insindacabilità» (sentenza n. 313 del 2013).
3.4.– Ciò premesso, questa Corte rileva che, nella specie, le numerose e particolareggiate affermazioni espresse dal senatore Iannuzzi nel libro «Lo sbirro e lo Stato» del 2008 (analiticamente elencate nei capi di imputazione trascritti nel ricorso dal giudice confliggente), non presentano alcuna attinenza con atti funzionalmente tipici riferibili allo stesso parlamentare. Invero, il contenuto del disegno di legge avente ad oggetto la «Istituzione di una commissione di inchiesta sulla gestione di coloro che collaborano con la giustizia» (A.S. 2292 della XIV legislatura, comunicato alla Presidenza del Senato il 29 maggio 2003 ed assegnato alla Commissione giustizia il 25 giugno 2003) – indicato dal medesimo Iannuzzi, nel corso della sua audizione da parte della Giunta per le autorizzazioni, quale attività parlamentare alla quale le opinioni espresse nel libro sarebbero funzionalmente collegate e poi richiamato dalla difesa del Senato nella memoria di costituzione – si connota per un approccio generale al tema della gestione dei “pentiti” e dell’accertamento della genuinità delle dichiarazioni da loro rese. E, neppure nella relazione che accompagna il disegno di legge (in cui vengono riportati a dimostrazione del cattivo controllo degli apparati dello Stato i casi di Baldassarre Di Maggio e di Totuccio Contorno) v’è alcuna comunanza di argomenti in riferimento alle specifiche vicende (di asserito conflitto tra alcuni magistrati palermitani ed esponenti dell’Arma dei Carabinieri e della Polizia di Stato) narrate nel libro in questione.
Inoltre, alla assenza di una sostanziale corrispondenza di significato tra le opinioni espresse nel libro ed il richiamato atto parlamentare tipico, si aggiunge anche la non configurabilità di un ragionevole «legame temporale» tra attività parlamentare ed attività divulgativa esterna, giacché la richiamata attività funzionale risale a quasi cinque anni prima della pubblicazione incriminata.
3.5.– Né, infine, appare condivisibile la doglianza di ne bis in idem, mossa dal Senato – sull’assunto che nel ricorso non sarebbero indicate le opinioni diffamatorie contenute nel libro del 2008 al di fuori di quelle contenute nel precedente articolo già pubblicato nel 2004. Nel libro pubblicato l’autore avrebbe riproposto i contenuti del suo precedente articolo, le cui affermazioni erano già state oggetto di un procedimento penale, avanti al Tribunale di Milano, a carico del senatore Iannuzzi, per il reato di diffamazione col mezzo della stampa. Su questo il Senato si era ugualmente pronunciato nel senso dell’insindacabilità delle opinioni espresse dall’autore, cui era conseguita la proposizione di altro conflitto di attribuzioni, ammesso dalla Corte, (ordinanza n. 17 del 2007 e poi dichiarato improcedibile per tardivo deposito dell’atto introduttivo notificato, (ordinanza n. 253 del 2007).
Siffatta eccezione (oltre che basata sulla inesatta affermazione che l’imputazione ascritta nel processo a quo riguardi solo i fatti già pubblicati nell’articolo del 2004) risulta anche sotto altri profili priva di fondamento, giacché l’attuale conflitto di attribuzione tra poteri riguarda una ulteriore e diversa delibera di insindacabilità, adottata rispetto ad affermazioni contenute in una nuova e più ampia opera. In particolare, poi, dall’esame dei capi di imputazione trascritti nel ricorso introduttivo, risulta chiaro come l’accusa di avere riproposto i contenuti diffamatori dell’articolo pubblicato su «Il Giornale» del 7 novembre 2004, intitolato «Mafia: 13 anni di scontri tra PM e Carabinieri», (nel quale si ricostruivano vicende giudiziarie cui avevano preso parte per le loro funzioni i magistrati in questione, «indicandole come conseguenza o comunque espressione di una “guerra” promossa dalla Procura di Palermo contro il ROS dei Carabinieri per delegittimare importanti esponenti dell'Arma, con finalità diverse da quella istituzionale»), riguardi solo una delle numerose ipotesi diffamatorie addebitate all’imputato, rispetto alle quali tutte viene riferita la impugnata dichiarazione di insindacabilità.
3.6.– Avuto, dunque, riguardo agli approdi cui è pervenuta la giurisprudenza di questa Corte, risulta conseguente che la deliberazione del Senato della Repubblica oggetto del presente ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sia stata adottata in violazione dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, ledendo le attribuzioni della autorità giudiziaria ricorrente; e che essa, pertanto, debba essere annullata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara che non spettava al Senato della Repubblica deliberare che le affermazioni scritte da Raffaele Iannuzzi, senatore all’epoca dei fatti, per le quali pende procedimento penale davanti al Tribunale ordinario di Roma per il reato di diffamazione a mezzo stampa, previsto e punito dall’art. 595, primo, secondo e terzo comma, del codice penale, e dagli artt. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa) e 61, numero 10), del codice penale, di cui al ricorso in epigrafe, costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;
2) annulla, per l’effetto, la delibera di insindacabilità adottata dal Senato della Repubblica nella seduta del 3 agosto 2010 (doc. IV-ter, n. 17-A).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2014.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI