Ritenuto in fatto
1. — Con ricorso notificato l’11 giugno 2012 e depositato il 18 giugno 2012, iscritto al n. 7 del registro conflitti tra enti 2012, previa delibera della Giunta regionale del 18 aprile 2012, n. 16/40, la Regione autonoma Sardegna ha proposto conflitto di attribuzione contro il Presidente del Consiglio dei ministri per l’annullamento, previa sospensione, del decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali del 3 aprile 2012 (Ripartizione della quota complessiva di cattura del tonno rosso per la campagna di pesca 2012), pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 21 maggio 2012, n. 117, per violazione degli articoli 3, primo comma, lettera i), e 6 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) in relazione agli artt. 1 e 2 del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1965, n. 1627 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna in materia di pesca e saline sul demanio marittimo e nel mare territoriale) e agli artt. 1, comma 1, e 2, comma 2, del decreto legislativo 6 febbraio 2004, n. 70 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Sardegna concernenti il conferimento di funzioni amministrative alla Regione in materia di agricoltura); degli artt. 3, 5, 9, 117, terzo, quarto, quinto e sesto comma, e 119 (recte 118) della Costituzione, del principio di leale collaborazione fra lo Stato e le Regioni; dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 4, comma 2, del regolamento (CE) 6 aprile 2009, n. 302/2009 (Regolamento del Consiglio concernente un piano pluriennale di ricostituzione del tonno rosso nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo che modifica il regolamento (CE) n. 43/2009 e che abroga il regolamento (CE) n. 1559/2007), al regolamento (CE) 17 gennaio 2012, n. 44/2012 (Regolamento del Consiglio che stabilisce, per il 2012, le possibilità di pesca concesse nelle acque UE e, per le navi UE, in determinate acque non appartenenti all’UE, per alcuni stock ittici e gruppi di stock ittici che sono oggetto di negoziati o accordi internazionali), alla Convenzione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico, adottata a Rio de Janeiro nella Conferenza tenutasi tra il 2 e il 14 maggio 1966 e ratificata in Italia con la legge 4 giugno 1997, n. 169 (Adesione della Repubblica italiana alla Convenzione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico, con Atto finale ed annessi, adottata dalla Conferenza dei Plenipotenziari di Rio de Janeiro tenutasi dal 2 al 14 maggio 1966 e al Protocollo con Atto finale fatto a Parigi il 9-10 luglio 1984 nonché all’Atto finale ed al Protocollo con Regolamenti interno e finanziario fatti a Madrid il 4-5 giugno 1992, e loro esecuzione), della raccomandazione 10-04 della Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico (ICCAT).
2. — Premette la ricorrente che il decreto ministeriale in oggetto è stato impugnato dinnanzi al tribunale amministrativo regionale (TAR) del Lazio con due distinti ricorsi proposti sia dalla Regione autonoma Sardegna che dalla Tonnare Sulcitane s.r.l., rispettivamente rubricati al n. 3643 ed al n. 3629 del registro generale 2012. Entrambi i ricorrenti hanno presentato istanza di idonee misure cautelari, sulle quali il giudice amministrativo si è pronunciato con le ordinanze del 30 maggio 2012, n. 1924 e n. 1926, entrambe depositate il 31 maggio 2012.
2.1. — In tali pronunce il TAR, rilevando che le questioni sollevate dovrebbero essere approfondite nella sede di merito, ha affermato che la pesca a circuizione può essere svolta in un arco temporale limitato (16 maggio – 14 giugno 2012), con la conseguenza che l’eventuale sospensione del decreto impugnato rischierebbe di rendere inutilizzabile la quota percentuale assegnata a tale sistema e che ogni altra misura adottata che consentisse, in via cautelare, una diversa ripartizione delle quote tra i vari sistemi rischierebbe di invadere la discrezionalità dell’amministrazione resistente, peraltro senza il necessario contraddittorio con tutte le parti interessate.
2.2. — Nelle ordinanze citate il giudice amministrativo dà inoltre conto del fatto che con il decreto del direttore generale del dipartimento delle politiche europee ed internazionali 23 maggio 2012, n. 13718 non impugnato in quella sede, il Ministero resistente ha ripristinato la quota indivisa di 120 tonnellate per le tonnare fisse senza operare una ripartizione tra le singole tonnare, come invece previsto con il d.m. 3 aprile 2012.
2.3. — Rileva la ricorrente che il decreto direttoriale n. 13718 del 2012 si è limitato, per ciò che concerne l’autorizzazione alla pesca con il sistema delle tonnare fisse, ad eliminare la quota massima di pescato assentito alle tre tonnare già autorizzate con il d.m. 3 aprile 2012, permettendo a ciascuna di esse di sforare quei limiti, purché non venga superata la quota totale riservata al suddetto sistema di pesca.
In seguito all’emanazione del decreto direttoriale n. 13718 del 2012, la Regione Sardegna ha trasmesso la nota dell’Assessore all’agricoltura e alla riforma agropastorale del 31 maggio 2012, prot. n. 834/GAB, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali e al direttore della direzione generale della pesca marittima e dell’acquacoltura.
In tale nota si rappresenta che «visti i contenuti del decreto direttoriale n. 13718 del 23.5.2012, considerato che le disposizioni previste non sono soddisfacenti e non tengono conto di quanto richiesto dall’Amministrazione regionale, si chiede che lo stesso venga sostituito e sia prevista una quota di pesca individuale per il singolo impianto di tonnara con la possibilità di trasferire le quote tra i diversi operatori, analogamente a quanto previsto per gli altri sistemi, e che eventuali sforamenti della quota di pesca siano coperti dalla quota di riserva. Si chiede, inoltre, l’immediata abrogazione del divieto di effettuare catture accessorie (by-catch) e si propone un aumento della quota non divisa prevista dal D.M. n. 5595 del 3.4.2012, con correlativa diminuzione delle quote dedicate alla pesca sportiva/ricreativa e soprattutto della quota assegnata al sistema della circuizione».
3. — In via preliminare la ricorrente afferma che il presente conflitto è dotato di tono costituzionale, poiché vengono in considerazione le attribuzioni costituzionali della Regione autonoma Sardegna ed il regime costituzionale dei suoi rapporti con lo Stato, senza che abbia rilevanza la vicenda consumatasi, almeno parzialmente, dinnanzi al TAR Lazio.
4. — Nel merito, la Regione autonoma Sardegna assume innanzitutto la violazione dell’art. 3 della legge costituzionale n. 3 del 1948, recante lo statuto speciale per la Sardegna, e dell’art. 117 Cost. Difatti, l’art. 3, primo comma, lettera l), del citato statuto attribuisce alla Regione autonoma Sardegna la competenza legislativa esclusiva in materia di «caccia e pesca», competenza confermata dall’art. 117, terzo e quarto comma, Cost.
4.1. — Le disposizioni statali relative alla quota individuale di pescato assentito a ciascuna delle tonnare fisse della Sardegna e alle imbarcazioni sarde che utilizzano il c.d. sistema di pesca a “Palangaro (LL)” violerebbero, secondo la ricorrente, la suddetta competenza legislativa esclusiva. Spetterebbe difatti al legislatore regionale dettare la normativa concernente le autorizzazioni amministrative alla campagna di pesca (quali, a titolo esemplificativo, procedimento, domande, criteri di valutazione delle medesime, autorità amministrativa incaricata, forme e modalità dei controlli).
4.2. — A giudizio della Regione, non si potrebbe eccepire che la questione oggetto del presente ricorso afferisca alla materia «tutela dell’ambiente». Le finalità di tutela ambientale, presenti nella normativa sulla pesca del tonno rosso, sarebbero perseguite mediante la determinazione, in conformità agli accordi internazionali, del totale ammissibile di cattura con il regolamento (CE) n. 44/2012. Nel rispetto del sistema di contingentamento delle quote di pesca e della normativa posta a presidio dei beni ambientali, quale quella relativa alle modalità di pesca e ai periodi di pesca, l’ulteriore disciplina rientrerebbe, secondo la ricorrente, nella materia «pesca», di competenza esclusiva della Regione. In particolare a quest’ultima competerebbe l’adozione di norme concernenti il procedimento e l’autorizzazione delle imbarcazioni tonniere e delle tonnare fisse alla campagna di pesca annuale.
4.3. — La ricorrente inoltre con nota del 20 marzo 2012, prot. n. 384/GAB, indirizzata al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali ed alla Commissione consultiva centrale per la pesca e l’acquacoltura, ha espresso riserve sullo schema di decreto qui impugnato, affermando che la Regione autonoma Sardegna deve essere ritenuta la «amministrazione competente per la ripartizione della quota assegnata a livello nazionale in quote individuali per singolo impianto di tonnara» e rilevando che la gestione decentrata consentirebbe una migliore allocazione della quota complessiva assegnata alle tonnare fisse gestite da imprese residenti nella Regione, con conseguenti maggiori opportunità di presenza nel mercato di queste ultime. Sotto questo profilo, l’attività delle tonnare fisse e le relative autorizzazioni di pesca al tonno rosso devono essere valutate non solamente in base a criteri attinenti all’attività ittico-industriale, ma anche in relazione all’inserimento della stessa nel contesto socio-economico al quale afferisce, come risulta dallo stesso decreto impugnato, laddove riconosce «l’opportunità di valorizzare la continuità dell’esercizio dell’attività di pesca del tonno rosso, in quanto strettamente connesso al principio di tradizionalità».
4.4. — Conclude sul punto la Regione autonoma Sardegna che dovrebbe essere il legislatore regionale a stabilire in che modo debbano essere individuati i sistemi di pesca al tonno rosso e gli operatori autorizzati a svolgere tale attività. Al contrario il decreto impugnato impedirebbe persino la selezione, da parte della Regione, del richiedente più idoneo ad ottenere la concessione di uno specchio d’acqua per il posizionamento di una tonnara fissa.
5. — La ricorrente lamenta altresì la violazione degli artt. 3 e 6 della citata legge costituzionale n. 3 del 1948, nonché del d.P.R. n. 1627 del 1965 e del d. lgs. n. 70 del 2004.
5.1. — A giudizio della Regione autonoma Sardegna con il decreto impugnato lo Stato non solo avrebbe violato la competenza legislativa esclusiva, ma avrebbe altresì usurpato le funzioni amministrative in materia di «pesca», alla stessa spettanti in forza degli artt. 3 e 6 dello statuto. In particolare l’art. 3, primo comma, lettera i), dello statuto, tra le competenze elenca, tra le materie di competenza legislativa esclusiva, la «pesca» e l’art. 6 dello statuto fissa il principio del parallelismo nella titolarità, in capo alla Regione Sardegna, di competenze legislative e di funzioni amministrative. Ne conseguirebbe che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali avrebbe esercitato funzioni amministrative in tema di regolamentazione dell’attività di pesca, specialmente attraverso il rilascio di autorizzazioni e permessi speciali per la campagna del 2012, che sarebbero di sicuro appannaggio della Regione. In tal senso la ricorrente richiama le disposizioni del d.P.R. n. 1627 del 1965, il quale ha trasferito all’amministrazione regionale le funzioni «concernenti la regolamentazione della pesca, i divieti e le autorizzazioni in materia di pesca» (art. 1) e ha previsto che «i provvedimenti concernenti le concessioni di pesca» siano «adottati dall’amministrazione regionale» (art. 2). Tali attribuzioni della Regione autonoma Sardegna sarebbero state rafforzate dal d.lgs. n. 70 del 2004, che ha trasferito alla stessa «tutte le funzioni e i compiti in materia di agricoltura – ivi comprese le cooperative e i consorzi – foreste, pesca, agriturismo, caccia, sviluppo rurale, alimentazione, svolti dal soppresso Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali, anche tramite enti o altri soggetti pubblici» (art. 1, comma 1). Ulteriore conferma della spettanza regionale delle funzioni in materia di pesca si avrebbe dalle disposizioni di cui all’art. 2, commi 1 e 2, del decreto legislativo citato, che indica tra le competenze riservate allo Stato la sola disciplina generale e il coordinamento nazionale della gestione delle risorse ittiche marine di interesse nazionale oltre le 12 miglia.
5.2. — Lo Stato con un decreto in larga parte di natura provvedimentale, avente valore di autorizzazione alla campagna di pesca del 2012 per i soggetti individuati nei rispettivi allegati, avrebbe esercitato funzioni amministrative, in tal modo usurpando la relativa competenza spettante alla Regione autonoma Sardegna.
6. — In via subordinata rispetto ai primi due motivi di ricorso, la Regione autonoma Sardegna lamenta la violazione degli artt. 3 e 6 dello statuto, nonché degli artt. 117 e 119 (recte 118) Cost. e del principio di leale collaborazione.
6.1. — La ricorrente osserva che a partire dalla sentenza n. 303 del 2003 la Corte costituzionale ha affermato che la chiamata in sussidiarietà da parte dello Stato di funzioni amministrative attribuite alle Regioni può aversi solo qualora non sia altrimenti possibile soddisfare l’istanza unitaria ad esse sottesa ed ha chiarito che per valutare la corretta «applicazione dei principi di sussidiarietà e adeguatezza, diviene elemento valutativo essenziale la previsione di un’intesa fra lo Stato e le Regioni interessate, alla quale sia subordinata l’operatività della disciplina». A tale proposito, la Regione autonoma Sardegna rileva che anche a voler ritenere che l’amministrazione statale abbia ravvisato le condizioni per tale attrazione in sussidiarietà – peraltro non menzionata nel decreto impugnato, né ammessa o concessa dalla ricorrente – non è stata raggiunta l’intesa con il livello di governo titolare in via principale di dette funzioni, vale a dire quello regionale.
6.2. — Secondo la Regione ricorrente non integrano la fattispecie dell’intesa taluni atti ai quali si fa riferimento nei considerando del decreto impugnato, quali il parere favorevole della Commissione consultiva centrale per la pesca marittima e l’acquacoltura, acquisito dall’amministrazione procedente e la nota dell’Assessorato all’agricoltura e riforma agropastorale della Regione autonoma Sardegna del 22 marzo 2012, n. 402, «con la quale l’Assessorato ha proposto, indicandone anche la consistenza, l’attribuzione di quote individuali di cattura alle tonnare fisse operanti nel proprio ambito territoriale».
6.2.1. — In particolare la Commissione consultiva centrale per la pesca marittima e l’acquacoltura non sarebbe una sede idonea all’intesa, poiché è composta da «quindici dirigenti del settore pesca e acquacoltura delle Regioni designati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano», ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera k), del decreto legislativo 26 maggio 2004, n. 154 (Modernizzazione del settore pesca e dell’acquacoltura, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 7 marzo 2003, n. 38). Sul punto la ricorrente richiama anche l’art. 2, comma 2, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle Regioni, delle Province e dei Comuni, con la Conferenza Stato – città ed autonomie locali), ai sensi del quale «le intese si perfezionano con l’espressione dell’assenso del Governo e dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano». Inoltre il parere reso dalla Commissione suddetta non realizzerebbe in modo idoneo il necessario coinvolgimento delle Regioni, ed in particolare della Regione autonoma Sardegna, perché tale organo ha natura prettamente tecnica, si compone di rappresentanti di tutte le Regioni ed ha disatteso le tesi della ricorrente, come emergerebbe dal contenuto del decreto impugnato. Inoltre, come risulta dall’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 154 del 2004, il compito istituzionale della Commissione consultiva centrale è quello di rendere pareri, che sono dichiarazioni di scienza, non di promuovere o concludere tra le parti accordi o intese, che implicano una dichiarazione di volontà. Rileva la ricorrente che la distinzione ontologica e funzionale tra parere ed intesa è chiarita dallo stesso legislatore statale, laddove all’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 281 del 1997 enumera le funzioni della Conferenza Unificata Stato-Regioni-Autonomie locali, distinguendo quelle che consistono nel promuovere e sancire intese ed accordi e quelle che consistono nell’esprimere pareri. Da ultimo, la Regione ricorda come già in passato la Corte costituzionale abbia dichiarato l’illegittimità costituzionale di disposizioni di legge nella parte in cui non prevedevano, oltre alla partecipazione delle Regioni e delle Province autonome in seno alla Conferenza Stato-Regioni, anche un coinvolgimento diretto della singola Regione titolare di una posizione in fatto o in diritto distinta dalle altre (sentenza n. 31 del 2010).
6.2.2. — Alcuna intesa tra Stato e Regione ricorrente è stata raggiunta anche con riferimento alla nota assessorile n. 402 del 2012, con la quale all’esito della riunione della Commissione centrale per la Pesca e l’Acquacoltura del 21 marzo 2012 l’amministrazione ricorrente ha ribadito «l’insoddisfazione per la quota complessivamente assegnata al sistema tonnare fisse e per l’accoglimento di quanto richiesto con le precedenti note» e ha formulato un’apposita proposta circa la ripartizione delle quote tra le tre tonnare della Sardegna, al fine di indicare «la modalità di calcolo più corretta» per la suddivisione della quota assentita al comparto delle tonnare fisse.
6.2.3. — A fronte dell’assenza di un qualche tentativo da parte dello Stato di raggiungere un accordo con la Regione circa la quota di pesca da riservare alle tonnare fisse e per le altre questioni oggetto del decreto impugnato, la ricorrente afferma di avere a più riprese cercato un’interlocuzione con il Ministero. In particolare, con nota del 26 gennaio 2012, n. 126/GAB, indirizzata al Ministero per le politiche agricole alimentari e forestali ed ai componenti della Commissione consultiva centrale per la pesca e l’acquacoltura, l’Assessore all’agricoltura e riforma agropastorale della Regione ricorrente ha lamentato «l’assenza di una preventiva consultazione Stato-Regione nelle sedi più adeguate per la discussione dei criteri di ripartizione tra le diverse sub-aree geografiche e i relativi sistemi imprenditoriali delle opportunità di cattura, anche in riferimento alle specifiche competenze della Regione autonoma Sardegna in materia di pesca di cui allo Statuto ed alle successive disposizioni di attuazione». Nella medesima nota, preso atto dell’assenza di un’idonea sede di confronto istituzionale, la Regione ha enumerato una serie di misure da adottare per la gestione del contingente di pesca del tonno rosso, quali il «riconoscimento di una quota individuale, non inferiore a 100 tonnellate, per le tonnare fisse della Sardegna», la «modifica del sistema di rilascio delle licenze di pesca speciale del tonno», il «riconoscimento di una quota alle imbarcazioni sarde che utilizzano il sistema palangari». Nella successiva nota del 20 marzo 2012, n. 384/GAB, la Regione ha ribadito le proprie riserve, sottolineando «la notevole importanza che l’attività delle tonnare fisse ricopre per l’economia della Regione Sardegna, in particolare per la zona sud-occidentale dell’Isola, e (…) la necessità che le stesse siano salvaguardate con misure di gestione specifiche» e rilevando che le disposizioni recate dalle bozze di decreto sottoposte alla Commissione per il parere «non consentirebbero alle tre tonnare fisse attive nell’Isola, Isola Piana-Carloforte, Capo Altano Portoscuso e Porto Paglia-Gonnesa, di sostenersi economicamente, con gravi danni per l’economia della zona» e che «la quota di 120 tonnellate, prevista nella bozza di decreto (…) è inconciliabile con l’equilibrio economico delle tre tonnare fisse sarde». Inoltre la ricorrente ha messo in evidenza le proprie attribuzioni in materia in forza dello statuto e delle norme di attuazione, chiedendo che l’amministrazione regionale fosse «individuata quale amministrazione competente al rilascio dei permessi speciali per la pesca del tonno rosso con il sistema delle tonnare fisse nei limiti delle quote assegnate», al fine di «evitare i limiti creati dal sistema attuale previsto dal Decreto Ministeriale del 20 settembre 2007 che non permette all’Amministrazione regionale di operare una valutazione comparativa per la scelta del richiedente più idoneo ad ottenere la concessione di uno specchio acqueo per il posizionamento di una tonnara fissa». La Regione ha ritenuto altresì di dover essere «individuata quale Amministrazione competente per la ripartizione della quota assegnata a livello nazionale in quote individuali per singolo impianto di tonnara», misura «più volte chiesta e sollecitata dalle società che gestiscono le tonnare fisse, in quanto consentirebbe una gestione migliore della quota complessiva e garantirebbe pari opportunità rispetto agli operatori autorizzati all’utilizzo di altri sistemi». Ne consegue che la Regione autonoma Sardegna ha palesato e motivato la propria contrarietà al decreto approvato poi dal Ministero, contestando al contempo la titolarità di tale competenza in capo all’amministrazione statale e chiedendo l’apertura di uno specifico confronto istituzionale tra Stato e Regione.
7. — Ancora in via subordinata rispetto ai primi due motivi di ricorso la Regione Sardegna lamenta la violazione degli artt. 3 e 6 dello statuto, nonché degli artt. 117 e 119 (recte 118) Cost. e del principio di leale collaborazione.
7.1. — Stante la spettanza in via principale alla Regione autonoma Sardegna delle funzioni amministrative in materia di «pesca» ai sensi dei citati artt. 3 e 6 dello statuto, nonché in base alle relative norme di attuazione di cui al d.P.R. n. 1627 del 1965 e al d.lgs. n. 70 del 2004, a giudizio della ricorrente, nel caso in cui lo Stato avesse ravvisato le condizioni per la chiamata in sussidiarietà delle funzioni amministrative esercitate con il decreto impugnato, quest’ultimo avrebbe dovuto contenere una compiuta motivazione delle ragioni impeditive dell’intervento della Regione stessa, motivazione che nel caso di specie sarebbe del tutto assente. A tale proposito la Regione richiama testualmente quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 303 del 2003 e ricorda che lo Stato non avrebbe neppure tentato di perseguire l’intesa con la Regione autonoma Sardegna, la quale avrebbe invece a più riprese cercato un’interlocuzione con il ministero. Nel carteggio intercorrente tra le parti la Regione avrebbe dato conto di essere il livello di governo più idoneo ad adottare i provvedimenti di autorizzazione alla pesca per le imprese armatrici della Sardegna ed avrebbe altresì indicato le modalità di espletamento di tali funzioni in armonia con lo Stato.
7.2. — Secondo la ricorrente, il difetto di motivazione del decreto impugnato comporterebbe la violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza, in correlazione con gli artt. 3 e 6 dello statuto e con le disposizioni del d.P.R. n. 1627 del 1965 e del d.lgs. n. 70 del 2004, poiché la sottrazione alla Regione autonoma Sardegna delle proprie competenze in materia di pesca sarebbe avvenuta senza che sia stata espressa alcuna motivazione sulla necessità che tali funzioni fossero accentrate in capo al Ministero. Il difetto di motivazione, che si riverbererebbe sull’indebita usurpazione delle competenze regionali e nella violazione del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione, sarebbe ancor più aggravato dal rilievo che nelle note del 26 gennaio 2012 e del 20 marzo 2012 la Regione stessa aveva rivendicato sia la titolarità formale delle funzioni amministrative, sia la possibilità concreta di svolgere tali funzioni in perfetta armonia con lo Stato mediante il rilascio dei permessi speciali per la pesca del tonno per le navi tonniere con sistema di pesca a “Palangaro (LL)” e le tonnare gestite da imprese residenti nella Regione autonoma Sardegna.
8. — La Regione autonoma Sardegna lamenta la violazione degli artt. 3 e 6 dello statuto, nonché degli artt. 117 e 119 (recte 118) Cost. e del principio di leale collaborazione sotto ulteriori profili.
8.1. — La ricorrente rileva che il decreto ministeriale impugnato non recherebbe solamente misure di natura provvedimentale, ma detterebbe anche disposizioni di carattere più generale proprio in ordine alle tonnare fisse. Il riferimento è in particolare al comma 4, secondo periodo, dell’unico articolo che compone il dispositivo del decreto, in cui si dettano regole sull’attività delle tonnare non ammesse alla compagna di pesca 2012, prescrivendo che l’autorità incaricata di autorizzare l’attività di pesca sportivo/turistica sia «la direzione generale della pesca marittima e dell’acquacoltura di questo ministero», cui va formulata «espressa domanda» e che la funzione di vigilanza sia attribuita alla «locale Autorità marittima», che deve essere «tempestivamente informata» dello svolgimento di tale attività. Sarebbe allora evidente, a giudizio della Regione, che lo Stato avrebbe adottato norme di rango regolamentare in materie esulanti dalla sua competenza legislativa, in violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost. e dell’art. 6 dello statuto.
8.2. — Si aggiunge nuovamente che anche laddove lo Stato avesse rilevato la ricorrenza delle condizioni per l’attrazione in sussidiarietà di tale funzione regolatrice della materia, il decreto rimarrebbe illegittimo, dal momento che non è stata raggiunta né promossa l’intesa con le Regioni – specie con la ricorrente – titolari in via principale della detta potestà regolamentare.
9. — La Regione autonoma Sardegna lamenta inoltre la violazione degli artt. 3 e 6 dello statuto, del d.P.R. n. 1627 del 1965 e del d. lgs. n. 70 del 2004, degli artt. 3 e 117 Cost., in relazione all’art. 4, comma 2, del regolamento (CE) n. 302/2009.
9.1. — Sul punto la ricorrente osserva che la risorsa ittica del tonno rosso è oggetto di tutela internazionale ad opera della «Convenzione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico», adottata a Rio de Janeiro nella Conferenza tenutasi tra il 2 e il 14 maggio 1966, del successivo protocollo con atto finale firmato a Parigi il 9-10 luglio 1984, nonché dell’atto finale e relativo protocollo con regolamento interno e finanziario, firmati a Madrid il 4 maggio 1992, atti ratificati con la legge n. 169 del 1997. Con tale Convenzione è stata istituita la Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi (ICCAT), che annualmente redige una raccomandazione vincolante per gli Stati firmatari, salva espressa riserva. Mediante tali raccomandazioni viene regolata la stagione di pesca e vengono definiti i contingenti autorizzati agli Stati aderenti alla Convenzione. Con ulteriori raccomandazioni l’ICCAT definisce le linee generali per la conservazione della risorsa ittica tutelata. L’Unione europea è parte contraente della Convenzione citata a far data dal 14 novembre 1997 e a seguito della raccomandazione n. 08-05 volta a istituire un nuovo piano di ricostituzione del tonno rosso nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo, la cui durata è prevista fino al 2022, ha adottato il regolamento (CE) n. 302/2009. Quest’ultimo «stabilisce i principi generali per l’applicazione, da parte della Comunità, di un piano triennale di ricostruzione del tonno rosso (Thunnus thynnus) raccomandato dalla Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico (ICCAT)» (art. 1). L’art. 4 del regolamento citato dispone che «ciascuno Stato membro redige un piano di pesca annuale per le navi da cattura e le tonnare che praticano la pesca del tonno rosso nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo» (comma 2). Tale piano di pesca annuale specifica, tra l’altro, il «metodo utilizzato per l’assegnazione dei contingenti» (art. 4, comma 3, lettera a), del regolamento), con particolare riferimento alla navi tonniere.
9.2. — A giudizio della ricorrente il decreto impugnato difetterebbe di ogni motivazione in ordine ai criteri utilizzati per la definizione della quota fissa assentita nella determinazione dei contingenti tra i vari sistemi di pesca, limitandosi ad enumerare le quote individuali di cattura assegnate alle singole navi e alle singole tonnare. Tale previsione sarebbe irrazionale e quindi violerebbe anche l’art. 3 Cost., in relazione alle norme costituzionali e statutarie che disciplinano l’autonomia della Regione Sardegna, perché disporrebbe in assenza della definizione di un piano e di un metodo di valutazione. Quindi lo Stato non avrebbe solamente esercitato le competenze attribuite dalla Costituzione, dallo statuto e dalle norme di attuazione dello statuto alla Regione autonoma Sardegna, ma lo avrebbe fatto in violazione della disposizione di diritto comunitario citata e, di conseguenza, dell’art. 117, primo comma, Cost. Del pari lo Stato avrebbe impedito alla Regione Sardegna di esercitare la propria competenza volta «all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea», attribuita dall’art. 117, quinto comma, Cost.
10. — La Regione Sardegna lamenta inoltre la violazione del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5, 117 e 119 (recte 118), Cost., degli artt. 3 e 6 della legge costituzionale n. 3 del 1948, del d.P.R. n. 1627 del 1965, del d.lgs. n. 70 del 2004, degli artt. 3, 117 e 119 (recte 118) Cost., anche in riferimento al regolamento (UE) n. 44/2012.
10.1. — La ricorrente sul punto ricorda come spetti all’ICCAT la definizione mediante raccomandazione dei contingenti di pesca assentiti alle Parti contraenti per ogni stagione annuale di pesca e che, come affermato nelle motivazioni dello stesso decreto impugnato, «al termine dei lavori della 22° sessione ordinaria dell’ICCAT, le Parti Contraenti hanno deciso di confermare, anche per la campagna di pesca 2012, la piena vigenza della raccomandazione ICCAT n. 10-04, con particolare riguardo al totale ammissibile di cattura (TAC)». Di conseguenza il Consiglio dell’Unione europea ha adottato il regolamento (UE) n. 44/2012, il quale stabilisce, per il 2012, le possibilità di pesca concesse nelle acque UE e, per le navi UE, in determinate acque non appartenenti all’UE, per alcuni stock ittici e gruppi di stock ittici che sono oggetto di negoziati o accordi internazionali.
L’ottavo considerando del regolamento citato dispone, quanto alla ripartizione interna dell’ammontare di cattura (TAC) assegnato nei diversi Stati membri, che esso sia stabilito «tenendo conto degli aspetti biologici e socioeconomici e garantendo nel contempo parità di trattamento ai settori della pesca».
10.2. — Il decreto impugnato, a giudizio della ricorrente, ribadisce tale previsione, affermando che è opportuno «procedere ad un’adeguata ripartizione del totale ammissibile di cattura (TAC) attribuito all’Italia con il predetto regolamento (UE) n. 44/2012, tra i diversi sistemi di pesca autorizzati, tenendo conto del numero di unità autorizzate per ciascuno di essi al fine di conseguire e mantenere adeguati livelli di sostenibilità economica e di redditività». Tuttavia, lo Stato avrebbe disatteso le indicazioni presentate dalla Regione Sardegna con la citata nota del 26 gennaio 2012, n. 126/GAB, nella quale la quota minima per ogni tonnara fissa è indicata nella misura di 100 tonnellate di pescato, nonché quanto osservato con la nota del 20 marzo 2012, n. 384/GAB, in cui è stato rilevato che la quota di 120 tonnellate stabilita complessivamente per tutte e tre le tonnare sarde «è inconciliabile con l’equilibrio economico delle tre tonnare fisse sarde né si può accettare che possa essere consentito di partecipare alla campagna di pesca 2012 solo alle due tonnare che nel corso dell’ultimo triennio hanno evidenziato maggiori valori in termini di esercizio dell’attività. Una disposizione del genere determinerebbe la chiusura di una delle società che attualmente gestiscono le tonnare fisse e la conseguente perdita di posti di lavoro in un’area già gravemente interessata da una profonda crisi economica. Considerata l’esperienza della passata stagione di pesca, considerati inoltre i notevoli costi d’esercizio di una tonnara fissa, si ritiene che sia necessaria una quota di almeno 100 tonnellate per singola tonnara fissa». Il decreto impugnato, nel riservare al sistema di pesca a tonnara fissa solamente il 6,7 per cento dell’ammontare complessivo attribuito all’Italia, per un totale di 120 tonnellate, violerebbe dunque il principio della sostenibilità socioeconomica della pesca al tonno rosso e il principio di parità di trattamento dei settori della pesca, stabilito dalla normativa comunitaria e richiamato dalla Regione autonoma Sardegna nell’interlocuzione con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. Tale conclusione troverebbe riscontro in altri documenti adottati negli scorsi anni dall’amministrazione statale e dalla Commissione europea. Il riferimento è, in particolare, al decreto del 10 maggio 2011, n. 19044 del Direttore generale delle politiche europee ed internazionali, direzione generale della pesca marittima e dell’acquacoltura, del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, adottato in risposta alla nota della Commissione europea dell’8 febbraio 2011, n. 139727, con la quale la Commissione europea ha formulato alcune riserve sul piano annuale di pesca al tonno rosso. Tale impianto di pesca prevedeva per il sistema a tonnara fissa sei impianti autorizzati per un contingente complessivo di cattura pari a 120 tonnellate. Sul punto la Commissione europea ha evidenziato la necessità di incrementare il contingente di cattura assegnato e/o di prevedere la riduzione del numero degli impianti autorizzati per l’annualità 2011, in ragione del fatto che la quota di 120 tonnellate è stata ritenuta insufficiente a garantire la sostenibilità economica delle tonnare fisse. In forza di questi rilievi, il piano di pesca è stato modificato, riducendo il numero delle tonnare autorizzare alla pesca e, soprattutto, aumentando fino a 140 tonnellate l’ammontare del contingente di pesca assentito.
Se ne deduce, secondo la ricorrente, che il Ministero, nel predisporre il decreto per la campagna di pesca per il 2012, avrebbe totalmente trascurato i rilievi svolti dalla Commissione europea due anni prima, riducendo il contingente di pesca destinato alle tonnare fisse addirittura al di sotto della quota, che suscitò l’intervento critico della citata istituzione comunitaria. In tal modo sarebbe rimasto inosservato il principio di sostenibilità economica dell’impresa ittica e sarebbero stati violati i richiamati parametri interposti di legittimità costituzionale.
10.3. — Per le medesime ragioni, a giudizio della ricorrente, il Ministero con il decreto impugnato avrebbe esercitato competenze riservate alla Regione autonoma Sardegna dagli artt. 3 e 6 dello statuto, dal d.P.R. n. 1627 del 1965 e dal d. lgs. n. 70 del 2004, nonché dagli artt. 3, 117 e 119 (recte 118), Cost., anche in spregio al principio di non discriminazione e di parità di trattamento tra i diversi sistemi di pesca. Infatti, il decreto impugnato avrebbe privilegiato le imbarcazioni tonniere a sistema a “Circuizione (PS)”, prevedendo per le stesse una quantità di pescato riservato in grado di garantire la sostenibilità socio-economica dell’impresa armatrice.
11. — La ricorrente lamenta infine la violazione del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5, 117 e 119 (recte 118) Cost., degli artt. 3 e 6 dello statuto, del d.P.R. n. 1627 del 1965, del d.lgs. n. 70 del 2004, degli artt. 3, 9, 117 e 119 (recte 118) Cost., in relazione al regolamento (CE) n. 302 del 2009, alla Convenzione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico, ratificata con legge n. 169 del 1997, e alla raccomandazione n. 10-04 dell’ICCAT, poiché il decreto impugnato, pur asserendo di perseguire il fine della conservazione e della tutela della fauna marina, ostacolerebbe il sistema di pesca maggiormente compatibile con l’ambiente.
11.1. — Secondo la Regione autonoma Sardegna il decreto impugnato, nell’assegnare alle tonnare fisse una quota estremamente esigua del totale ammissibile di cattura nazionale, non ha tenuto in debito conto che la regolamentazione internazionale e comunitaria della pesca al tonno rosso determinerebbe un evidente favor per l’utilizzo del sistema a “Tonnara fissa (TRAP)”. Tale preferenza deriverebbe dalla circostanza che quest’ultimo è maggiormente selettivo sia quanto alla taglia degli animali pescati, sia quanto alle stesse specie oggetto della banchina di pesca, coniugandosi per tale ragione alle finalità di tutela ambientale e di ricostituzione della fauna ittica alla base della normativa internazionale e comunitaria di settore.
Si tratterebbe di un rilievo che, a giudizio della ricorrente, costituirebbe fatto notorio ai sensi dell’art. 115, comma 2, del codice di procedura civile e che si desumerebbe da plurimi, convergenti ed inequivoci elementi della legislazione e della prassi amministrativa di settore. In particolare sia il regolamento (CE) n. 302/2009, sia la raccomandazione n. 10-04 dell’ICCAT, dettano un intero corpus di disposizioni intese a limitare e controllare la pesca effettuata con le navi tonniere con il sistema a “Circuizione (PS)”, prevedendo cautele che non vengono ripetute per il sistema a “Tonnara fissa (TRAP)”. Più nel dettaglio, la raccomandazione ICCAT n. 10-04 ai paragrafi 28 e seguenti fissa il limite minimo di taglia delle specie pescate a 30 Kg, con l’eccezione di «catture accidentali» effettuate da navi tonniere. Per le tonnare, invece, una simile eccezione non è necessaria, proprio in ragione del fatto che si tratta di un sistema selettivo quanto alla taglia. Nello stesso senso, l’art. 7 del regolamento (CE) n. 302/2009 definisce il periodo annuale in cui è consentita la pesca al tonno rosso, introducendo periodi di divieto della pesca molto restrittivi per tutti i sistemi di pesca, fatta eccezione per le tonnare, proprio in ragione del fatto che si tratta di un sistema a minor impatto ambientale e che si svolge, sia per tradizione secolare che per ragioni tecniche, in periodi limitati dell’anno. In particolare, il sistema di pesca con la tonnara fissa è retaggio di una tradizione secolare, che ha uno straordinario valore storico-culturale e costituisce anche un’attrazione turistica per le zone costiere. Rileva la Regione autonoma Sardegna che principio di tradizionalità nell’esercizio dell’attività di pesca al tonno è riconosciuto anche nello stesso decreto impugnato, ma in esso verrebbe privilegiata la pesca con il sistema a “Circuizione (PS)”, nonostante questo sia privo dello specifico valore storico-culturale, che connota le tonnare fisse.
Inoltre sia il decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali del 14 aprile 2005 (Riapertura dei termini d’iscrizione per gli esercenti impianti relativi al sistema «Tonnara fissa»), che il decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali del 20 settembre 2007 (Ripartizione della quota nazionale di cattura del tonno rosso tra i sistemi di pesca e criteri di attribuzione e ripartizione delle quote individuali per la campagna di pesca 2007) ricordano, nei rispettivi preamboli, «il basso sfruttamento delle risorse attraverso il sistema tonnara fissa, e per contro la sempre maggiore valenza turistica sotto il profilo socio-economico della medesima attività», specie rispetto al sistema a “Circuizione (PS)”, che risulta maggiormente sfuggente ai controlli sulle modalità e sulla quantità di pesca, meno selettivo rispetto alle specie bersaglio e rispetto alla taglia degli esemplari catturati. Infine con il regolamento (CE) 12 giugno 2008, n. 530/2008 (Regolamento della Commissione del che istituisce misure di emergenza per quanto riguarda le tonniere con reti a circuizione dedite alla pesca del tonno rosso nell'Oceano Atlantico, ad est di 45° di longitudine O, e nel Mar Mediterraneo), sono state adottate misure di emergenza necessitate dalla accertata eccessiva capienza delle navi tonniere a circuizione, ritenute responsabili del rapido esaurimento del totale ammissibile di cattura di tonno nell’Atlantico Orientale e del Mediterraneo. Nei considerando 6 e 7 del citato regolamento si afferma che «le possibilità di pesca del tonno rosso (…) nel Mar Mediterraneo, assegnate alle tonniere con reti a circuizione battenti bandiera della Grecia, della Francia, dell’Italia, di Cipro e di Malta o immatricolate in tali paesi, si considerano esaurite il 16 giugno 2008» e che «la capacità di cattura giornaliera di una singola tonniera con reti a circuizione è talmente elevata che il livello di cattura autorizzato può essere raggiunto o superato molto rapidamente».
Sulla base di queste considerazioni la Commissione con il citato regolamento ha vietato il proseguimento della campagna di pesca del tonno rosso da parte delle sole navi tonniere con reti a circuizione.
12. — La Regione ricorrente ha proposto nel ricorso anche istanza di sospensione cautelare, richiedendo alla Corte costituzionale l’adozione di ogni misura idonea alla tutela interinale delle attribuzioni regionali e, in ogni caso, la sospensione dell’efficacia del decreto impugnato.
12.1 — Quanto al fumus, la ricorrente rinvia ai motivi enunciati nel ricorso ed osserva che l’usurpazione delle competenze regionali in materia di pesca e l’assenza dell’intesa con la Regione sono elementi che possono essere accertati già ad un sommario esame della questione.
12.2 — Quanto al periculum, sarebbe di immediata evidenza il pregiudizio grave ed irreparabile arrecato dal decreto impugnato agli interessi della ricorrente, in ragione del fatale esaurirsi della stagione di pesca 2012 nelle more del presente giudizio, con la conseguenza che la Regione non avrà più modo o occasione di esercitare le proprie attribuzioni costituzionali al fine di regolamentare la pesca al tonno rosso nell’anno in corso. A tale proposito si ricorda che l’attività di pesca della tonnara fissa non avviene nel corso dell’intero anno solare ma, in ragione dell’attraversamento del mare antistante alle coste sarde da parte di banchi di tonni, solamente tra la primavera e l’estate di ogni anno. Tale circostanza aggraverebbe il profilo dell’irreparabilità del danno, che incombe sulla Regione, sull’industria ittica regionale e sulle comunità locali. La Regione ribadisce sul punto che la comparazione degli opposti interessi – criterio adottato dal TAR Lazio nelle ordinanze cautelari sopra richiamate – giustificherebbe la maggiore tutela per la pesca con il sistema a tonnara fissa rispetto agli altri metodi di cattura, anche perché, come rilevato nel settimo considerando del regolamento (CE) n. 530/2008, «la capacità di cattura giornaliera di una singola tonniera con reti a circuizione è talmente elevata che il livello di cattura autorizzato può essere raggiunto o supertato molto rapidamente». Secondo la Regione autonoma Sardegna non rileverebbe nel giudizio pendente dinnanzi alla Corte costituzionale l’integrità del contraddittorio vagliato dal TAR nel rigettare l’istanza cautelare, dal momento che nel giudizio per conflitto lo stesso è per definizione completo con la presenza degli enti interessati. Inoltre il cattivo esito della stagione di pesca 2012, che andrebbe a sommarsi ai danni già maturati nelle passate stagioni – nelle quali si è verificato un continuo abbassamento della quantità di pescato riservata alle tonnare fisse, come risulterebbe dalla tabella di cui all’allegato C del decreto impugnato – comprometterebbe senza rimedio l’industria della pesca al tonno nella Regione autonoma Sardegna, che ricopre estrema importanza per l’economia regionale ed, in particolare, per la zona sud-occidentale dell’isola, con la conseguente perdita di lavoro in un’area già gravemente interessata da una profonda crisi economica. A questo proposito la Regione produce il verbale della seduta del 23 marzo 2012 del Consiglio Provinciale di Carbonia-Iglesias, in cui, tra l’altro, si è dato conto del fatto che la quantità di 120 tonnellate di pescato è «del tutto insufficiente per rendere remunerativa l’attività dei tre stabilimenti esistenti e quindi inidonea a garantire le unità lavorative esistenti», come pure del fatto che, come «conseguenza immediata» dell’adozione del decreto impugnato si è verificato «il licenziamento di cinquanta lavoratori».
12.3. — Da ultimo, la ricorrente osserva che il d.m. del 23 maggio 2012 non è satisfattivo delle censure formulate, poiché non innova quanto all’intero contingente assegnato al sistema di pesca delle tonnare fisse, elemento che è stato determinato unilateralmente dal Ministero, pretermesse le competenze attribuite alla ricorrente dallo statuto e dalle norme di attuazione. La non satisfattività di tale decreto risulterebbe dalla nota assessorile n. 834/GAB, in cui la ricorrente è tornata nuovamente a chiedere un «aumento della quota non divisa prevista dal D.M. n. 5595 del 3.4.2012, con correlativa diminuzione delle quote indicate alla pesca sportiva/ricreativa e soprattutto della quota assegnata al sistema della circuizione».
13. — Con memoria depositata in cancelleria il 23 luglio 2012, previa delibera del Consiglio del ministri del 20 luglio 2012, si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
14. — Il resistente, al fine dichiarato di inquadrare correttamente la controversia, premette il quadro degli obiettivi, dei soggetti e delle modalità di adozione delle norme, che disciplinano il settore della pesca del tonno rosso, unica specie del Mediterraneo oggetto di assegnazione di quote di cattura.
14.1. — Il Presidente del Consiglio rileva innanzitutto che l’interesse pubblico sotteso alla regolamentazione di tale tipo di pesca è quello di garantire il delicato equilibrio tra gli interessi economici degli operatori del settore e la necessità di tutelare il sistema eco-ambientale, onde pervenire al risultato della sostenibilità di lungo periodo dell’attività di pesca attraverso uno sfruttamento sostenibile delle risorse. Si tratta di un interesse sovranazionale e sovracomunitario. Pertanto, in linea con le norme internazionali e comunitarie sono state adottate misure che disciplinano l’accesso alle risorse, quali la limitazione delle catture, il contenimento dello sforzo di pesca, l’adozione di misure tecniche di contenimento, l’avvio di piani pluriennali di ricostruzione degli stock, l’adozione di piani pluriennali di mantenimento degli stock.
Rileva il resistente che, proprio in ragione della circostanza che il tonno rosso è una specie altamente migratoria, la tutela deve necessariamente essere predisposta nell’ambito della cooperazione internazionale, come avvenuto con la Convenzione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico. In seno a tale Convenzione è stata istituita la relativa Commissione internazionale, all’interno della quale a partire dal 14 novembre 1997 gli Stati membri sono rappresentati dalla Commissione europea. Le raccomandazioni adottate dall’ICCAT per la gestione e la conservazione delle risorse, tra le quali quelle che determinano i totali ammissibili di cattura (TAC), sono vincolanti per le Parti contraenti che non sollevino obiezioni entro sei mesi dalla notifica. I TAC si suddividono in quote che vengono attribuite alle varie Parti contraenti. Per ciò che concerne i TAC relativi al tonno rosso assegnati all’Italia, essi costituiscono una quota del totale attribuito dall’ICCAT all’Unione europea, la quale poi procede a ripartire lo stesso tra gli Stati membri con regolamento del Consiglio, adottato annualmente. Con proprio decreto l’amministrazione italiana provvede all’ulteriore distribuzione del contingente di cattura, come assegnato dall’UE tra i vari sistemi di pesca professionali autorizzati (circuizione, palangaro, tonnara fissa); all’assegnazione di una quota alla pesca sportiva e/o ricreativa; alla costituzione di una riserva (c.d. quota non divisa) a copertura di eventuali eccessi di pesca da parte dei citati sistemi di pesca professionali ovvero delle c.d. catture accessorie e di quelle oggetto di sequestro; alla determinazione delle quote individuali di cattura (obbligatoria solo per il sistema a circuizione). Le predette determinazioni vengono trasfuse in un apposito piano annuale di pesca, che ai sensi del vigente regolamento (CE) n. 302/2009, viene sottoposto al vaglio della Commissione europea, affinché questa ne valuti la conformità ai parametri tecnici stabiliti a livello internazionale, secondo quanto prescritto dalla raccomandazione ICCAT n. 10-04.
Il resistente evidenzia allora come le decisioni assunte a livello nazionale siano dipendenti in maniera imprescindibile dal richiamato contesto internazionale.
14.2. — Con specifico riferimento alla campagna di pesca 2012, l’ICCAT ha confermato il medesimo TAC dell’anno precedente, con la conseguenza che anche il contingente di cattura assegnato dall’UE all’Italia è rimasto invariato rispetto al 2011. Il decreto impugnato è stato, infatti, adottato in base al regolamento (CE) n. 44/2012, il quale stabilisce, per il 2012, la ripartizione tra le flotte degli Stati membri del totale ammissibile di cattura del tonno rosso. Per la flotta italiana è stato stabilito il massimale di 1.787, 91 tonnellate (Allegato ID) ed un numero di 12 imbarcazioni autorizzate alla pesca con il sistema a circuizione (Allegato IV, Tabella A). Al fine di individuare le 12 imbarcazioni autorizzate alla pesca del tonno rosso con il sistema a circuizione, è stato adottato il decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali del 22 dicembre 2011 (Ricognizione del sistema «circuizione-PS» ai fini della campagna di pesca del tonno rosso, per l’anno 2012), pubblicato in G.U. del 22 marzo 2012, n. 68, per avere un quadro aggiornato delle quote individuali di cattura. Sul punto il resistente rammenta che nel corso degli ultimi anni il predetto TAC ha subito una sensibile riduzione, ben oltre il 50 per cento, determinando la conseguente diminuzione del nostro contingente nazionale, che è passato dalle 4.200 tonnellate del 2008 alle circa 1.800 del 2011-2012.
Tale drastica riduzione, decisa in sede internazionale, avrebbe indotto l’amministrazione, su richiesta delle competenti istituzioni comunitarie, ad operare una radicale rivisitazione dell’intero comparto nazionale del tonno rosso mediante la ristrutturazione delle flotte interessate e la revisione/modifica delle percentuali di ripartizione del contingente nazionale di cattura. Relativamente al primo aspetto, il settore maggiormente interessato è stato quello della “circuizione” che, attraverso un’accelerata procedura di concentrazione delle imprese di pesca operanti, ha visto la propria flotta ridursi dalle circa 70 imbarcazioni, autorizzate nel 2008, alle sole 12 nel biennio 2011-2012, dal momento che il mantenimento di una flotta numericamente elevata era incompatibile con un contingente di cattura progressivamente ridotto, soprattutto in termini di sostenibilità economica della specifica attività di impresa. Per altro verso, la revisione/modifica delle percentuali di ripartizione del contingente nazionale di cattura si è resa necessaria proprio per assicurare il pieno rispetto degli stringenti parametri di sostenibilità economica come stabiliti dall’ICCAT. Attraverso la richiamata contrazione della flotta a “circuizione” è stato possibile ridurne la percentuale di assegnazione di circa 8 punti (dall’85 per cento del 2008 si è passati al 77 per cento del 2012), il tutto a vantaggio degli altri sistemi di pesca professionali, vale a dire “palangaro” e “tonnara fissa”, che hanno rispettivamente goduto nel 2012 di un incremento di 2 e 3 punti percentuali, rispetto alla base storica del 2008.
In definitiva, quindi, per il 2012, del pari che per le precedenti campagne di pesca al tonno rosso, i criteri adottati per procedere alla ripartizione del contingente di cattura assegnato dall’UE, sono obbligatoriamente e rigidamente ispirati ai parametri quantitativi ed economici stabiliti nelle sedi sovranazionali. Il resistente rileva che il mancato rispetto di questi ultimi potrebbe determinare il blocco delle attività di pesca da parte delle superiori autorità comunitarie ed internazionali.
Sarebbe evidente, a giudizio del Presidente del Consiglio che le disposizioni nazionali in materia sono il risultato di un negoziato anche politico con la Commissione, che accetta il piano e rende così possibile lo svolgimento della campagna di pesca al tonno rosso. Il piano pesca elaborato dall’Italia ai sensi dell’art. 4 del regolamento (CE) n. 302/2009 per l’annualità 2012 è stato a tal fine comunicato alla Commissione europea e, non essendo stati sollevati rilievi, deve intendersi approvato. La Commissione da parte sua, provvede a trasmettere il piano all’ICCAT, che ne fa propri gli elementi, come risulterebbe dal fatto che le imbarcazioni autorizzate alla pesca del tonno per il 2012 sono indicate sul sito del medesimo organo internazionale.
Rileva il resistente che anche per quanto riguarda le tonnare fisse il decreto impugnato, in linea con le indicazioni internazionali e comunitarie di continuità con le precedenti annualità, conferma il numero di tonnare autorizzate per l’annualità 2011. Inoltre la difesa erariale precisa che il citato decreto richiama la nota della Regione Sardegna n. 402 del 2012 – e non la nota del 20 marzo 2012 indicata dalla ricorrente – di proposta delle quote individuali di cattura da attribuire alle tonnare fisse operanti nel proprio ambito territoriale, che viene esattamente recepita nella parte dispositiva del decreto. Al riguardo si sottolinea che proprio nello spirito di leale collaborazione tra diverse amministrazioni ed al fine di venire incontro alle esigenze del settore, sulla richiesta presentata dalla Regione autonoma Sardegna con nota del 18 maggio 2012, n. 760, l’amministrazione ha adottato il decreto direttoriale del 23 maggio 2012, n. 13718, che dispone la compensatività delle quote tra i diversi impianti di tonnare fisse, al fine di bilanciare le catture tra i diversi impianti.
15. — Il resistente, in punto di diritto, eccepisce innanzitutto l’inammissibilità del ricorso sotto il profilo della sopravvenuta carenza di interesse alla decisione.
15.1 — Rileva il Presidente del Consiglio che è la stessa Regione autonoma Sardegna ad osservare che il decreto censurato è stato oggetto di due ricorsi dinnanzi al TAR Lazio, iscritti al R.G. n. 3629 e n. 3642 del 2012. A tali gravami si è poi aggiunto quello promosso dalla Tonnara «Su Pranu» Portoscuso, iscritto al R.G. n. 4060 del 2012. In quest’ultimo ricorso la Regione autonoma Sardegna, sostanzialmente rinunciando all’istanza di sospensione, ha rappresentato che «la campagna di pesca del tonno è ormai conclusa» per cui «non avrebbe senso chiedere un provvedimento di sospensione del decreto ministeriale impugnato».
15.2 — In particolare, a giudizio del resistente, con il ricorso oggi pendente la Regione autonoma Sardegna contesterebbe l’assegnazione della parte della quota di pesca del tonno rosso al sistema con circuizione, ritenuta eccessiva in considerazione del totale assegnato all’Italia e pertanto dannosa per gli interessi delle tre tonnare fisse. Ne consegue che, proprio perché la stagione della pesca a circuizione per l’anno in corso si è conclusa il 15 giugno 2012, sarebbe venuto meno l’interesse alla decisione.
16. — Nel merito il Presidente del Consiglio afferma che i problemi connessi alla tutela del tonno rosso, stante la rilevanza internazionale della disciplina, non possono ritenersi dei semplici problemi di regolamentazione della pesca di una determinata specie, rientranti nella competenza legislativa esclusiva della ricorrente, ai sensi dell’art. 3 dello statuto speciale della Sardegna. L’approfondimento della questione evidenzierebbe, invece, che essa afferisce alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, rientrante nella competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Il resistente rileva che fin dalla sentenza n. 203 del 1974, relativa proprio allo statuto della Regione autonoma Sardegna, la Corte costituzionale ha precisato che nell’ambito della materia «pesca» sussistono «alti interessi, il cui perseguimento è certamente giovevole alla pesca, ma che ha una ben più ampia e generale portata» – quali la conservazione e il miglioramento del patrimonio ittico, delle risorse biologiche del mare e dell’ambiente in generale – considerati meritevoli di tutela nell’ordinamento interno sul piano internazionale e la cui disciplina non potrebbe essere ricompresa nelle competenze statutarie della Regione. Questo orientamento sarebbe stato confermato in pronunce successive (sentenze n. 315 del 2010, n. 213 del 2006, n. 226 del 2003, n. 536 del 2002), sottolineandosi come «l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione esprime un’esigenza unitaria per ciò che concerne la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ponendo un limite agli interventi a livello regionale che possano pregiudicare gli equilibri ambientali. Come già affermato da questa Corte, la tutela dell’ambiente non può ritenersi propriamente una “materia”, essendo invece l’ambiente da considerarsi come un “valore” costituzionalmente protetto che non esclude la titolarità in capo alle Regioni di competenze legislative su materie (governo del territorio, salute, ecc.) per le quali quel valore costituzionale assume rilievo (sentenza n. 407 del 2002). E, in funzione di quel valore, lo Stato può dettare standards di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale anche incidenti sulle competenze legislative regionali ex art. 117 della Costituzione» (sentenza n. 536 del 2002).
Il resistente ne deduce che se appartiene allo Stato la competenza esclusiva in ordine al «valore» ambiente, allo stesso spetterebbe anche l’esercizio delle relative funzioni amministrative di tutela. Non si potrebbe allora convenire con quanto sostenuto dalla Regione autonoma Sardegna nel ricorso, vale a dire che, una volta determinato dall’Unione europea il totale delle catture ammesse, le ulteriori determinazioni sarebbero da ricomprendere nella materia della pesca di competenza esclusiva della Regione, poiché vi sarebbe contrasto con l’obiettivo, riconosciuto dalla stessa ricorrente, del rispetto del sistema di contingentamento delle quote di pesca e della rimanente normativa posta a specifico presidio dei beni ambientali, quali le modalità e i periodi di pesca.
17. — In ordine alla pretesa violazione dell’art. 3 dello statuto e dell’art. 117 Cost., il resistente ne nega la sussistenza, poiché l’amministrazione non avrebbe leso in alcun modo le competenze normative statutariamente e costituzionalmente definite.
Difatti, rileva la difesa statale, il decreto impugnato è stato adottato in esecuzione degli obblighi imposti a livello internazionale e comunitario. Il regolamento (CE) n. 302/2009 pone l’obbligo allo Stato di provvedere affinché la propria capacità di pesca sia commisurata al suo contingente e stabilisce la responsabilità dello stesso nell’adottare le misure necessarie per assicurare che lo sforzo di pesca delle sue flotte tonniere sia commisurato alle possibilità di pesca del tonno rosso disponibili. Inoltre è entrato in vigore il regolamento (CE) 20 novembre 2009, n. 1224/2009 (Regolamento del Consiglio che istituisce un regime di controllo comunitario per garantire il rispetto delle norme della politica comune della pesca, che modifica i regolamenti (CE) n. 847/96, (CE) n. 2371/2002, (CE) n. 811/2004, (CE) n. 768/2005, (CE) n. 2115/2005, (CE) n. 2166/2005, (CE) n. 388/2006, (CE) n. 509/2007, (CE) n. 676/2007, (CE) n. 1098/2007, (CE) n. 1300/2008, (CE) n. 1342/2008 e che abroga i regolamenti (CEE) n. 2847/93, (CE) n. 1627/94 e (CE) n. 1966/2006). In particolare detta fonte normativa attribuisce alla Commissione il potere di adottare misure quali la chiusura delle attività di pesca (artt. 36, 54 e 104), la sospensione e la soppressione dell’aiuto finanziario della Comunità previsto dal regolamento (CE) 27 luglio 2006, n. 1198/2006 (Regolamento del Consiglio del relativo al Fondo europeo per la pesca) e dal regolamento (CE) 22 maggio 2006, n. 861/2001 (recte n. 861/2006) (Regolamento del Consiglio che istituisce un’azione finanziaria della Comunità per l’attuazione della politica comune della pesca e in materia di diritto del mare), la detrazione del contingente futuro dello Stato membro che superi i contingenti assegnati ovvero abbia violato le norme in materia di stock assegnati ai piani pluriennali (artt. 105 e 107), le misure di emergenza (art. 108) se vi sono prove del fatto che le attività di pesca praticate e/o le misure di conservazione adottate nel quadro dei piani pluriennali costituiscono una minaccia per l’ecosistema marino e che la situazione esige un intervento immediato.
La normativa richiamata evidenzia, a giudizio del Presidente del Consiglio, la significativa e grave responsabilità dello Stato, che al fine di non incorrere nelle misure indicate sarebbe tenuto ad assicurare un’attuazione e un controllo centralizzati delle funzioni inerenti al piano pesca. Inoltre lo stesso art. 3 dello statuto attribuisce la materia della «caccia e pesca» alla competenza legislativa della Regione «in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica con rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali». Del resto, il resistente ribadisce che la materia oggetto del decreto non è meramente la pesca, bensì la conservazione dello sfruttamento sostenibile delle risorse, in linea con le disposizioni internazionali e comunitarie, come tale rientrante nella tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, con elementi di tutela della concorrenza, che rientrano nella competenza statale.
18. — Sulla presunta violazione degli artt. 3 e 6 dello statuto, nonché del d.P.R. n. 1672 del 1965 e del d.lgs n. 70 del 2004, il resistente afferma che l’Amministrazione statale non si sarebbe ingerita nell’attività amministrativa riservata alla Regione, né si sarebbe sostituita ad essa nel procedimento relativo alla concessione di uno specchio acqueo per il posizionamento di tonnara fissa. Il riferimento presente nel decreto alle tonnare non ammesse alla campagna del tonno rosso per il 2012 invitate a richiedere l’autorizzazione ad operare per finalità turistiche sarebbe connesso alle medesime esigenze di tutela, che imporrebbero un monitoraggio centralizzato dell’attività di pesca del tonno, anche quando l’attività esercitata non sia connessa all’esercizio professionale della pesca, ma a finalità turistiche. In ordine alla lamentata violazione del d.lgs. n. 70 del 2004 il Presidente del Consiglio evidenzia che il tonno rosso è sicuramente risorsa ittica marina di interesse nazionale, che in virtù degli stringenti obblighi comunitari andrebbe gestita in modo coordinato a prescindere dal limite delle 12 miglia, dal momento che il piano pesca è comprensivo della pesca del tonno effettuata in tutto l’ambito nazionale.
19. — Sull’asserita violazione degli artt. 3 e 6 dello statuto, nonché degli artt. 117 e 119 (recte 118) Cost. e del principio di leale collaborazione la difesa statale ritiene di aver dimostrato che lo Stato non ha esercitato in via sussidiaria un potere di competenza regionale, che presuppone l’intesa con la Regione, ma ha agito nell’esercizio di competenze di cui è sicuramente titolare. L’iter procedurale seguito nell’emanazione dei decreti renderebbe evidente l’attuazione del principio di leale collaborazione. In particolare si osserva che un rappresentante della Regione autonoma Sardegna è membro della Commissione consultiva centrale della pesca marittima e dell’acquacoltura, che costituisce la sede istituzionale per l’esame dei decreti ministeriali aventi ad oggetto la tutela delle risorse ittiche, ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 154 del 2004; il medesimo rappresentante ha partecipato alla riunione del 22 marzo 2012, in cui è stato presentato il decreto impugnato ed a seguito delle osservazioni da questi presentate è stato avviato un dialogo volto a definire la parte dispositiva del decreto, che in effetti avrebbe recepito, nei limiti del quadro complessivo della campagna di pesca per il 2012, le indicazioni fornite dalla Regione stessa con nota del 18 maggio 2012, n. 402. Infine la conclusione di tale campagna sarebbe stata caratterizzata da un incremento della quota assegnata alle tonnare con revisione della quota assegnata al sistema a circuizione e di quella spettante alla pesca sportivo/ricreativa, in linea con quanto richiesto dalla Regione autonoma Sardegna e compatibilmente con la situazione complessiva della risorsa.
20. — Sulla presunta violazione del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 3 e 6 dello statuto, nonché degli artt. 5, 117 e 119 (recte 118) Cost. e del principio di leale collaborazione anche con riferimento al regolamento (CE) n. 44/2012, il Presidente del Consiglio rileva che le questioni concernenti i principi di sostenibilità economica e di parità di trattamento quanto all’entità delle quote assegnate non potrebbero rientrare nel giudizio per conflitto di attribuzione relativo alla delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali, dal cui ambito esula il merito degli atti. Peraltro gli asseriti effetti pregiudizievoli del provvedimento potrebbero riguardare al più la categoria professionale costituita dagli operatori del settore ittico, che esercitano la pesca del tonno rosso e trovano la loro tutela dinnanzi al TAR. Nondimeno, le premesse del decreto impugnato darebbero piena contezza dell’iter istruttorio e motivazionale seguito dall’amministrazione: le determinazioni assunte in sede internazionale, i presupposti normativi e nazionali, i criteri e le considerazioni per l’individuazione delle unità interessate alla campagna di pesca per il 2012, il parere dell’organo consultivo centrale competente per le materie attinenti alla tutela delle risorse ittiche ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 154 del 2004, nonché gli elementi forniti dalla stessa Regione autonoma Sardegna in ordine alla questione. Ne risulterebbe che uno dei criteri seguiti dall’amministrazione sarebbe «l’opportunità di valorizzare la continuità dell’esercizio dell’attività di pesca del tonno rosso, in quanto connesso al principio di tradizionalità alla base del sistema di contingentamento». Per tale ragione non sarebbero stati effettuati i radicali cambiamenti nei parametri di distribuzione fra i diversi sistemi. Rileva la resistente che la stessa Regione Sardegna ha richiamato la nota della Commissione europea n. 139727 del 2011, relativa alla fase in cui era in approvazione il piano della pesca per il 2011, da cui si evincerebbe che per tre tonnare la quota di 120 tonnellate appariva congrua, atteso che l’incremento della quota medesima era ipotizzato in riferimento a sei tonnare.
Quanto alla differenza tra la quota attribuita alle tonnare fisse lo scorso anno, ammontante a 140 tonnellate, si evidenzia che nel 2011 tutte le imbarcazioni autorizzate alla pesca con circuizione hanno raggiunto la quota minima di 71 tonnellate, indicata dall’ICCAT. Pertanto l’ammontare delle relative quote è stato ridistribuito proporzionalmente tra tutti i sistemi di pesca, palangari e tonnare fisse in particolare.
21. — Quanto all’istanza di sospensione l’assenza del fumus boni juris del ricorso sarebbe evidente e mancherebbe altresì il periculum in mora, poiché la campagna di pesca per il 2012 del tonno rosso a mezzo di circuizione si è chiusa il 15 giugno 2012.
22. — In data 13 novembre 2012 la Regione Sardegna ha depositato presso la cancelleria della Corte costituzionale una memoria, con la quale ha inteso replicare alle deduzioni proposte dalla difesa statale nell’atto di costituzione.
23. — Quanto alla pretesa inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, la ricorrente rileva come lo stesso TAR Lazio, nel giudizio pendente dinnanzi allo stesso, abbia negato alla Regione autonoma Sardegna la tutela cautelare, affermando contestualmente, nelle ordinanze del 31 maggio 2012, n. 1924 e n. 1926, che le questioni sollevate necessitano dell’approfondimento tipico della sede di merito.
Ne conseguirebbe la sussistenza dell’interesse alla definizione della controversia.
A sostegno la ricorrente richiama altresì la sentenza n. 3 del 1962, nella quale la Corte costituzionale, nell’ambito di un conflitto tra enti, ha affermato l’esaurimento degli effetti dell’atto impugnato non fa venir meno l’interesse della parte ad ottenere la decisione in ordine alla spettanza del potere. Inoltre, la Regione aggiunge la considerazione che l’annullamento dell’atto determina effetti retroattivi, utili per eventuali controversie risarcitorie, che non si riconnettono al semplice esaurirsi degli effetti.
24 — Nel merito non sarebbe fondata l’affermazione della difesa del Presidente del Consiglio, secondo la quale il provvedimento impugnato sarebbe esplicazione di un potere che lo Stato italiano ha esercitato in applicazione di normative ed impegni comunitari ed internazionali, con la conseguenza che la Regione non potrebbe dolersene. Secondo la ricorrente la legittimità di un atto statale che impingua nelle competenze regionali non potrebbe essere dimostrata con il semplice richiamo agli impegni internazionali e comunitari, dal momento l’aver esercitato attribuzioni funzionali al rispetto degli stessi non costituirebbe automatica garanzia che l’esercizio con quelle modalità e con quei contenuti sia necessitato e che non sia possibile adottare scelte rispettose al contempo degli impegni assunti e del riparto di competenze tra Stato e Regioni. Peraltro, a giudizio della ricorrente, nell’atto di costituzione del Presidente del Consiglio non sarebbero state svolte repliche alle specifiche censure avanzate sul punto dalla Regione.
25. — Parimenti infondata sarebbe l’affermazione secondo la quale, venendo in rilievo competenze in materia di ambiente e di concorrenza, la Regione non avrebbe spazio per esercitare e tutelare le proprie attribuzioni.
25.1 — In particolare, quanto alla concorrenza, il resistente non offrirebbe la benché minima dimostrazione del fatto che questa materia sia coinvolta dall’atto impugnato. Sul punto viene richiamata la giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale ha chiarito che la tutela della concorrenza si risolve soprattutto «nell’assicurare la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici del settore in ossequio ai principi comunitari della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazioni dei servizi» (sentenza n. 401 del 2007). Secondo la ricorrente la vicenda oggetto del presente giudizio riguarderebbe non la massima apertura del mercato, ma piuttosto la sua più rigorosa disciplina in funzione della protezione di interessi, che non attengono minimamente alla concorrenza. A tale proposito la giurisprudenza costituzionale ha affermato che «la nozione di tutela della concorrenza abbraccia nel loro complesso i rapporti concorrenziali sul mercato». Tuttavia «una dilazione massima di tale competenza, che non presenta i caratteri di una materia di estensione certa, ma quelli di una funzione esercitabile sui più diversi oggetti, rischierebbe di vanificare lo schema di riparto dell’art. 117 Cost., che vede attribuite alla potestà legislativa residuale e concorrente delle Regioni materie la cui disciplina incide innegabilmente sullo sviluppo economico». Di conseguenza «l’intervento statale si giustifica (…) per la sua rilevanza macroeconomica: solo in tale quadro è mantenuta allo Stato la facoltà di adottare sia specifiche misure di rilevante entità, sia regimi di aiuti ammessi dall’ordinamento comunitario (fra i quali gli aiuti de minimis), purché siano in ogni caso idonei, quanto ad accessibilità a tutti gli operatori ed impatto complessivo, ad incidere sull’equilibrio economico generale». Le condizioni delineate dalla Corte costituzionale, a giudizio della ricorrente, non sussisterebbero nel caso in esame.
25.2. — Quanto all’ambiente, sebbene la normativa internazionale in materia tuteli alcuni importanti interessi ambientali, questo non giustificherebbe in modo aprioristico le scelte censurabili compiute nell’atto impugnato. Infatti, da un lato, la Regione autonoma Sardegna è «competente a disciplinare gli aspetti paesistico-ambientali, nell’esercizio della propria competenza legislativa in materia di edilizia e urbanistica» (sentenza n. 224 del 2012), con la conseguenza che non corrisponde a verità che le sfugga ogni competenza in materia ambientale; dall’altro, a giudizio della ricorrente, il Presidente del Consiglio non considererebbe che, sebbene l’ambiente sia una materia «trasversale», l’esercizio della relativa competenza legislativa statale non potrebbe travolgere quelle regionali. Gli interventi statali devono tutelare l’ambiente quale «bene giuridico unitariamente inteso», senza ipotizzare profili di tutela ambientale là dove questo bene non venga coinvolto.
Nel caso in esame le censure avanzate nel ricorso riguarderebbero aspetti del provvedimento impugnato, per i quali non verrebbe in evidenza la tutela dell’ambiente.
Difatti la protezione delle specie ittiche coinvolge il bene-ambiente, ma il relativo interesse verrebbe soddisfatto, a giudizio della Regione autonoma Sardegna, dall’identificazione di un tetto massimo pescabile, mentre esulerebbe dallo stesso la ripartizione dei contingenti tra le diverse modalità di pesca. La resistente ribadisce che il generico richiamo alla natura trasversale della materia «ambiente» non giustificherebbe qualunque aggressione dell’autonomia regionale e a conforto richiama quanto affermato dalla Corte costituzionale in ordine alla stessa competenza statale sul territorio dello Stato, nel senso che la stessa non è in grado di travolgere quella regionale in materia di pesca (sentenza n. 102 del 2008), deducendone che a maggior ragione tale risultato non può prodursi a seguito dell’esercizio della competenza in materia ambientale. Peraltro le argomentazioni statali sarebbero destituite di fondamento nella misura in cui non considerano che la preferenza per il sistema della pesca della tonnara fissa deriva dalla maggiore selettività di questo metodo di cattura sia sulla taglia degli animali pescati, sia sulle stesse specie oggetto della campagna di pesca. Di conseguenza, essa si coniuga con le finalità di tutela ambientale e di ricostituzione della fauna ittica, che sono alla base della regolamentazione internazionale e comunitaria della pesca al tonno rosso.
26. — Quanto alla violazione delle funzioni amministrative regionali, la stessa non potrebbe essere negata, dal momento che la relativa competenza verrebbe in rilievo nella questione oggetto del presente giudizio in forza del principio del parallelismo tra funzioni legislative e funzioni amministrative, stante la competenza legislativa esclusiva della Regione Sardegna in materia di pesca e la normativa posta dal d.P.R. n. 1627 del 1965 e dal d.lgs. n. 70 del 2004. Per altro verso, ove il Presidente del Consiglio avesse inteso richiamare l’ipotesi della chiamata in sussidiarietà, la resistente afferma che non ricorrerebbero le condizioni a tal fine richieste dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 80 del 2012 e n. 165 del 2011).
27. — Relativamente alla violazione del principio di leale collaborazione la Regione autonoma Sardegna afferma che i meccanismi collaborativi da attivare non potrebbero ritenersi realizzati dalla mera partecipazione di un funzionario regionale alle riunioni tecniche.
28. — Da ultimo, non sussisterebbe alcun difetto di interesse da parte della Regione a contestare la ripartizione delle quote fra i diversi operatori, in ragione del rilievo che tale ente è «esponenziale e rappresentativo degli interessi generali della propria comunità» (sentenza n. 829 del 1988). Sotto questo profilo è interesse della collettività regionale che sia garantita la conservazione di posti di lavoro e che le tradizioni locali, qual è quella della pesca del tonno in tonnara, siano tutelate.
Considerato in diritto
1. — Con ricorso notificato l’11 giugno 2012 e depositato il 18 giugno 2012 la Regione autonoma Sardegna ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri. In particolare, la ricorrente chiede che la Corte costituzionale dichiari che non spettava allo Stato, e per esso al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, emanare il decreto del 3 aprile 2012 (Ripartizione della quota complessiva di cattura del tonno rosso per la campagna di pesca 2012).
Secondo la Regione autonoma Sardegna, l’atto impugnato violerebbe gli articoli 3, primo comma, lettera i), e 6 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna); gli artt. 1 e 2 del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1965, n. 1627 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna in materia di pesca e saline sul demanio marittimo e nel mare territoriale); gli artt. 1, comma 1, e 2, comma 2, del decreto legislativo 6 febbraio 2004, n. 70 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Sardegna concernenti il conferimento di funzioni amministrative alla Regione in materia di agricoltura); gli artt. 3, 5, 9, 117, terzo, quarto, quinto e sesto comma, e 119 (recte 118) della Costituzione, il principio di leale collaborazione fra lo Stato e le Regioni, l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 4, comma 2, del regolamento 6 aprile 2009 (CE) n. 302/2009 (Regolamento del Consiglio del concernente un piano pluriennale di ricostituzione del tonno rosso nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo che modifica il regolamento n. 43/2009 e che abroga il regolamento (CE) n. 1559/2007), al regolamento (CE) 17 gennaio 2012, n. 44/2012 (Regolamento del Consiglio che stabilisce, per il 2012, le possibilità di pesca concesse nelle acque UE e, per le navi UE, in determinate acque non appartenenti all’UE, per alcuni stock ittici e gruppi di stock ittici che sono oggetto di negoziati o accordi internazionali), alla Convenzione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico, adottata a Rio de Janeiro nella Conferenza tenutasi tra il 2 e il 14 maggio 1966 e ratificata in Italia con la legge 4 giugno 1997, n. 169 (Adesione della Repubblica italiana alla Convenzione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico, con Atto finale ed annessi, adottata dalla Conferenza dei Plenipotenziari di Rio de Janeiro tenutasi dal 2 al 14 maggio 1966 e al Protocollo con Atto finale fatto a Parigi il 9-10 luglio 1984 nonché all’Atto finale ed al Protocollo con Regolamenti interno e finanziario fatti a Madrid il 4-5 giugno 1992, e loro esecuzione), alla raccomandazione 10-04 della Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico (ICCAT).
Per gli esposti motivi la ricorrente chiede l’annullamento del menzionato decreto e la sospensione, in via cautelare, dello stesso.
1.1. — I termini essenziali del conflitto possono essere sintetizzati nei punti seguenti.
1.1.1. — Innanzitutto, il decreto sarebbe illegittimo, in riferimento all’art. 3, primo comma, lettera i), della legge costituzionale n. 3 del 1948 ed all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., perché, nel determinare la quota individuale di pescato assentito a ciascuna delle tonnare fisse della Sardegna e alle imbarcazioni sarde che utilizzano il c.d. sistema di pesca a “Palangaro (LL)”, lo Stato avrebbe violato la competenza esclusiva della Regione autonoma Sardegna in materia di pesca.
1.1.2. — Inoltre, esso sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 6 della legge cost. n. 3 del 1948, con l’art. 1 del d.P.R. n. 1627 del 1965 e con gli artt. 1, comma 1, e 2, comma 2, del d.lgs. n. 70 del 2004, perché usurperebbe le funzioni amministrative spettanti alla Regione autonoma Sardegna in materia di pesca.
1.2. — In via subordinata sono stati poi richiamati i seguenti ulteriori profili di censura.
1.2.1. — Il decreto impugnato sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 6 della legge cost. n. 3 del 1948, con gli artt. 117 e 119 (recte 118) Cost. e con il principio di leale collaborazione poiché, a fronte dell’attrazione in sussidiarietà dell’esercizio di funzioni amministrative di titolarità della Regione autonoma Sardegna, esso sarebbe stato adottato senza aver previamente raggiunto l’intesa con la Regione medesima.
1.2.2. — Gli artt. 3 e 6 della legge cost. n. 3 del 1948, gli artt. 3, 117 e 119 (recte 118) Cost. ed il principio di leale collaborazione, nonché il d.P.R. n. 1627 del 1965 ed il d.lgs. n. 70 del 2004 sarebbero stati violati sotto il profilo dell’attrazione in sussidiarietà delle funzioni amministrative statutariamente spettanti alla Regione autonoma Sardegna in assenza di motivazione con riguardo alle ragioni che impedirebbero alla stessa di provvedere in materia.
1.2.3. — Il decreto sarebbe inoltre in contrasto con gli artt. 3 e 6 della legge cost. n. 3 del 1948, con l’art. 117, sesto comma, Cost. e col principio di leale collaborazione, in ragione del fatto che non conterrebbe solo misure di natura provvedimentale, bensì anche disposizioni generali di carattere regolamentare in materie che esulano dalla potestà legislativa esclusiva statale. Ciò senza aver promosso e raggiunto alcuna intesa con la Regione autonoma Sardegna.
1.2.4. — Vi sarebbe poi violazione degli artt. 3 e 6 della legge cost. n. 3 del 1948, del d.P.R. n. 1627 del 1965, del d.lgs. n. 70 del 2004, degli artt. 3 e 117, primo e quinto comma, Cost., in relazione all’art. 4, comma 2, del regolamento (CE) n. 302/2009, poiché il decreto impugnato sarebbe privo di ogni motivazione circa l’indicazione dei criteri utilizzati per la definizione della quota assentita nella determinazione dei contingenti tra i vari sistemi di pesca, diversamente da quanto richiesto dalla normativa comunitaria.
1.2.5. — Il decreto non sarebbe neppure conforme agli artt. 3 e 6 della legge cost. n. 3 del 1948, in relazione al d.P.R. n. 1627 del 1965, al d.lgs. n. 70 del 2004 ed al principio di leale collaborazione ricavabile dal combinato degli artt. 3, 5, 117 e 119 (recte 118), anche in relazione al regolamento (CE) n. 44/2012. Riservando al sistema di pesca a tonnara fissa solamente 120 tonnellate, il decreto violerebbe il principio di sostenibilità socioeconomica della pesca al tonno rosso ed il principio di parità di trattamento dei settori della pesca.
1.2.6. — Infine, vi sarebbe contrasto con gli artt. 3 e 6 della legge cost. n. 3 del 1948, in relazione al d.P.R. n. 1627 del 1965, al d.lgs. n. 70 del 2004 e con il principio di leale collaborazione ricavabile dal combinato degli artt. 3, 5, 9, 117 e 119 (recte 118) Cost., in relazione al regolamento (CE) n. 302/2009, alla Convenzione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico, ratificata con legge n. 169 del 1997 ed alla raccomandazione n. 10-04 della Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi. Il decreto impugnato, nell’assegnare una quota estremamente esigua del totale ammissibile di cattura nazionale, non avrebbe tenuto in debito conto il principio di favor della regolamentazione internazionale e comunitaria per l’utilizzo di tale sistema di pesca, che sarebbe meno invasivo per l’ambiente.
1.3. — Nel corso della udienza la difesa della Regione ha richiamato la “posizione” del Parlamento europeo P7_TC1-COD(2011)0144 definita in prima lettura il 23 maggio 2012 in vista dell’adozione del nuovo regolamento dell’Unione europea, che dovrebbe modificare il regolamento (CE) n. 302/2009, attraverso un nuovo piano pluriennale di ricostituzione del tonno rosso nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo. L’art. 1 di detto documento dispone la modifica dell’art. 7 del regolamento oggi vigente nel modo seguente: «il paragrafo 2 è sostituito dal seguente “la pesca del tonno rosso con reti a circuizione è vietata nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo nel periodo dal 15 giugno al 15 maggio”». La disposizione in itinere confermerebbe il principio di disfavore nei confronti del sistema di pesca privilegiato dall’impugnato decreto.
2. — Costituitosi in giudizio lo Stato ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. Poiché la Regione autonoma Sardegna lamenta l’insufficienza della quota concessa ai sistemi di pesca delle tonnare sarde in relazione al sovradimensionamento di quella “a circuizione” e chiede un riequilibrio attraverso la riduzione della quota afferente al sistema ritenuto ingiustamente privilegiato, l’intervenuta conclusione, fin dal 15 giugno dell’anno in corso (secondo quanto previsto dall’impugnato decreto), della pesca a circuizione farebbe mancare l’interesse alla decisione in ragione dell’impossibilità a realizzare il petitum del ricorso.
Nel merito, la difesa erariale sostiene l’infondatezza di tutte le censure, premettendo in via generale che nel caso di specie la materia interessata sarebbe la tutela dell’ecosistema, la quale appartiene alla competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Quanto alla pretesa violazione dell’art. 3 dello statuto e dell’art. 117 Cost., il resistente sottolinea come la normativa comunitaria di settore ponga in capo allo Stato membro la responsabilità per l’attuazione delle norme della politica della pesca. Spetterebbe dunque allo Stato, al fine di non incorrere nelle sanzioni comunitarie, assicurare l’attuazione ed il controllo centralizzato delle funzioni relative al piano pesca.
Quanto alla pretesa violazione degli artt. 3 e 6 dello statuto nonchè delle norme di attuazione, il Presidente del Consiglio afferma che l’amministrazione statale non si sarebbe ingerita nell’attività amministrativa riservata alla controparte e neppure avrebbe sostituito la Regione nel procedimento relativo alla concessione di uno specchio acqueo per il posizionamento di tonnara fissa.
Per quel che riguarda l’asserita violazione degli artt. 3 e 6 dello statuto, degli artt. 117 e 119 (recte 118) Cost. e del principio di leale collaborazione, il resistente ritiene di non aver esercitato in via sussidiaria un potere di competenza regionale o comunque condizionato all’intesa Stato-Regione, ma di aver agito nell’esercizio delle proprie competenze. Inoltre, sebbene non sia stata seguita una procedura d’intesa, in quanto non prevista dalla vigente normativa, nondimeno vi sarebbe stato un atteggiamento di dialogo tra lo Stato e la Regione, culminato in un incremento della quota assegnata alle tonnare, conformemente a quanto richiesto dalla Regione autonoma Sardegna ed in modo compatibile con la disponibilità complessiva della risorsa.
Quanto alla presunta violazione del principio di leale collaborazione anche con riferimento al regolamento (CE) n. 44/2012, degli artt. 3 e 6 dello statuto e degli artt. 5, 117 e 119 (recte 118) Cost., secondo lo Stato la contestazione nel merito delle quote assegnate non potrebbe comunque essere oggetto di un conflitto di attribuzione, per violazione del principio di sostenibilità economica e di parità di trattamento. Peraltro, le premesse del decreto impugnato darebbero contezza dell’iter istruttorio e motivazionale, dei presupposti normativi comunitari e nazionali, dei criteri per l’individuazione delle unità interessate alla campagna di pesca 2012, del parere dell’organo consultivo centrale competente per le materie attinenti alla tutela delle risorse ittiche, nonché degli elementi forniti dalla stessa Regione autonoma Sardegna.
3. — Preliminarmente, va disattesa l’eccezione formulata dallo Stato in ordine alla pretesa cessazione della materia del contendere per sopravvenuta carenza di interesse ed alla conseguente inammissibilità del conflitto. Secondo il resistente, la conclusione della campagna di pesca a circuizione, avvenuta il 15 giugno 2012, farebbe venir meno qualsiasi interesse alla decisione, che non potrebbe in ogni caso mutare lo stato delle cose consolidatosi a tale data. L’oggetto della doglianza consisterebbe infatti nella contestazione della quota di pesca del tonno rosso assegnata al sistema a circuizione, ritenuta eccessiva rispetto a quella attribuita al sistema utilizzato dalle tonnare.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare l’irrilevanza delle sopravvenienze di fatto, come l’esaurimento degli effetti dell’atto impugnato, ai fini del persistere dell’interesse alla decisione dei conflitti di attribuzione (sentenze n. 222 del 2006, n. 287 del 2005, n. 263 del 2005 e n. 289 del 1993). In particolare, nei conflitti di attribuzione sussiste comunque – anche dopo l’esaurimento degli effetti dell'atto impugnato – un interesse all’accertamento, il quale trae origine dall’esigenza di porre fine – secondo quanto disposto dall’art. 38 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) – ad una situazione di incertezza in ordine al riparto costituzionale delle attribuzioni.
Infatti, ancorché la data di scadenza prevista dal decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali del 3 aprile 2012 sia trascorsa relativamente al sistema di pesca di cui la ricorrente richiede il contenimento per favorire l’espansione dei sistemi utilizzati dalle tonnare sarde, nell’ambito del presente conflitto l’interesse della Regione alla pronuncia di questa Corte permane al fine del riconoscimento della titolarità del potere concretamente esercitato dallo Stato nel caso di specie, di cui la Regione stessa contesta la spettanza in nome del vigente riparto delle competenze previsto in Costituzione (ex multis sentenza n. 289 del 1993).
4. — Ancora in via preliminare va osservato che, sia nel ricorso introduttivo della ricorrente che nella memoria di costituzione del Presidente del Consiglio, la violazione delle competenze amministrative spettanti alla Regione autonoma Sardegna viene invocata con riferimento all’art. 119 Cost. piuttosto che all’art. 118 Cost., malgrado le argomentazioni evidenzino in modo non equivoco che la censura attiene alla lesione delle attribuzioni amministrative.
Sul punto questa Corte ha già avuto modo di osservare che l’inesatta indicazione del parametro costituzionale non preclude l’esame della questione quando i termini della stessa – come nel caso di specie – risultino sufficientemente chiari nel percorso logico argomentativo che conduce al precetto costituzionale (ordinanze n. 211 del 2004, n. 5 del 1998 e n. 476 del 1996). Il ricorso è pertanto ammissibile anche in riferimento al parametro costituzionale inesattamente richiamato.
5. — Nel merito, il ricorso non è fondato.
Ai fini della presente decisione è opportuno dividere le questioni in due gruppi in relazione agli argomenti che ne costituiscono i presupposti: il primo si basa sul convincimento che nella materia oggetto di conflitto la Regione autonoma Sardegna sia titolare di potestà legislativa primaria e di correlate funzioni amministrative; il secondo è caratterizzato da censure che imputano allo Stato la violazione di regole internazionali e comunitarie afferenti alla pesca del tonno rosso.
6. — Il primo gruppo di questioni si fonda sull’assunto che il decreto impugnato abbia invaso la competenza legislativa primaria e quella amministrativa della Regione autonoma Sardegna e, in subordine, che abbia attratto in sussidiarietà le funzioni amministrative in suddetta materia senza il necessario rispetto del principio di leale collaborazione secondo le condizioni indicate dalla costante giurisprudenza di questa Corte.
Entrambi gli argomenti sono privi di fondamento perché, nel caso di specie, lo Stato ha esercitato funzioni amministrative di natura non regolamentare nella materia della tutela dell’ecosistema, di cui è titolare in via esclusiva. Ancorché la Regione autonoma Sardegna sia titolare della competenza primaria nella materia della pesca e, conseguentemente, della relativa funzione amministrativa (che le appartengono in ragione delle norme statutarie di rango costituzionale evocate nel ricorso), l’oggetto del decreto impugnato riguarda la materia ambiente ed ecosistema, di competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Detta competenza – come è stato più volte precisato da questa Corte – si riferisce all’ambiente ed all’ecosistema in termini generali ed onnicomprensivi. Data l’ampiezza e la complessità delle tematiche coinvolte, i principi e le regole elaborati dallo Stato in subiecta materia coinvolgono interessi giuridicamente tutelati nell’ambito di altre competenze legislative ripartite secondo i canoni dell’art. 117 Cost. Quando il carattere trasversale della normativa in tema di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema comporta fenomeni di sovrapposizione ad altri ambiti competenziali, questa Corte ha già avuto modo di affermare (sentenza n. 378 del 2007) che la prevalenza debba essere assegnata alla legislazione statale rispetto a quella spettante alle Regioni o alle Province autonome, nelle materie di propria competenza trasversalmente intercettate. Ciò in relazione al fatto che la disciplina unitaria e complessiva dell’ambiente e dell’ecosistema inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario ed assoluto e deve garantire un elevato livello di tutela, come tale inderogabile da altre discipline di settore. Sotto questo profilo, dunque, la competenza derivante da altre materie attribuite alla Regione diventa necessariamente recessiva, non potendo in alcun modo derogare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato (sentenze n. 278 del 2012 e n. 378 del 2007). Nel caso in esame, infine, i profili che incidono sulla disciplina della pesca appaiono strumentali all’obiettivo perseguito, consistente proprio nella salvaguardia dell’ecosistema, come emerge da quanto si richiama più specificamente nel successivo paragrafo a proposito della normativa internazionale e comunitaria, in relazione alla quale il decreto si pone in rapporto di attuazione.
Quanto alla titolarità della funzione amministrativa in concreto esercitata attraverso il decreto, occorre preliminarmente rilevare come in ogni caso debba escludersi che esso rivesta natura regolamentare, limitandosi ad individuare, con precetti di estremo dettaglio, il riparto tra gli operatori autorizzati delle quote spettanti all’Italia, secondo le tipologie di pesca consentite. Tanto premesso, occorre rilevare che nel caso in esame lo Stato si è limitato ad adottare un atto esecutivo di prescrizioni, provenienti da una convenzione internazionale e da atti normativi comunitari meglio specificati nel successivo considerato n. 7. Dette prescrizioni sono finalizzate alla tutela dell’ecosistema in un ambito internazionale, al quale lo Stato italiano partecipa per la parte relativa al suo territorio.
In tale contesto, nessuna specifica disposizione attribuisce la titolarità di funzioni amministrative alla Regione autonoma Sardegna. Ciò appare del tutto coerente col rilievo nazionale dell’impugnato decreto e con la diretta responsabilità che lo Stato italiano assume nella corretta esecuzione delle prescrizioni di cui è destinatario in relazione ad uno spazio marino e ad operatori ittici considerati nel loro complesso e, in quanto tali, non suscettibili di una disciplina articolata e differenziata su base regionale.
Dunque, non esistendo alcuna norma attributiva di funzione amministrativa alla Regione autonoma Sardegna nel settore in esame e considerata la ristretta tempistica consentita dal piano determinato in ambito internazionale e comunitario, assolutamente incompatibile con la formalizzazione di una procedura d’intesa, peraltro non prevista da alcuna specifica disposizione, l’adozione dell’impugnato decreto da parte dello Stato appare conforme all’assetto delle proprie attribuzioni.
6.1. — Le conclusioni raggiunte nel precedente paragrafo consentono di rilevare l’infondatezza delle questioni proposte dalla Regione in riferimento all’art. 3, comma 1, lettera i), della legge costituzionale n. 3 del 1948 ed all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., con riguardo alla pretesa violazione della competenza esclusiva della Regione autonoma Sardegna in materia di pesca, che sarebbe avvenuta attraverso il riparto delle quote riguardanti le tonnare sarde ed i sistemi di pesca concorrenti; in riferimento agli artt. 3 e 6 della legge cost. n. 3 del 1948, all’art. 1 del d.P.R. n. 1627 del 1965 ed all’art. 1, comma 1, e 2, comma 2, del d.lgs. n. 70 del 2004, per la pretesa usurpazione delle funzioni amministrative spettanti alla Regione autonoma Sardegna in materia di pesca; in riferimento agli artt. 3 e 6 della legge cost. n. 3 del 1948, agli artt. 117 e 119 (recte 118) Cost. ed al principio di leale collaborazione, per la pretesa attrazione in sussidiarietà senza previa intesa delle funzioni amministrative della Regione in materia di pesca; in riferimento agli artt. 3 e 6 della legge cost. n. 3 del 1948, agli artt. 3, 117 e 119 (recte 118) Cost., al principio di leale collaborazione, al d.P.R. n. 1627 del 1965 ed al d.lgs. n. 70 del 2004, per la dedotta assenza di motivazione in ordine alle ragioni dell’attrazione in sussidiarietà della funzione amministrativa in materia di pesca; in riferimento agli artt. 3 e 6 della legge cost. n. 3 del 1948, all’art. 117, sesto comma, Cost. ed al principio di leale collaborazione, per l’eccepita natura regolamentare di alcune prescrizioni del decreto.
7. — Ai fini dell’esame del gruppo di censure fondate sulla pretesa violazione di regole internazionali e comunitarie afferenti alla pesca del tonno rosso, è opportuno ricostruire sinteticamente il quadro normativo che disciplina la materia.
La Convenzione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico è stata adottata a Rio de Janeiro nella Conferenza tenutasi tra il 2 e il 14 maggio 1966. L’Italia vi ha preso parte, procedendo alla sua ratifica con la legge n. 169 del 1997. La Convenzione comprende tutte le acque dell’Oceano Atlantico e dei mari adiacenti (art. 1), ivi compresa la zona interessata al presente conflitto. La realizzazione degli obiettivi in essa previsti è affidata ad una Commissione appositamente costituita, denominata Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi (ICCAT). Questa istituzione formula, tra l’altro, raccomandazioni intese a mantenere le popolazioni di tonnidi e di specie affini che possono essere pescate nella zona della Convenzione a livelli che consentano le catture massime sostenibili per scopi alimentari ed altri fini. La raccomandazione adottata dalla Commissione entra in vigore decorsi sei mesi dalla sua notifica alle parti contraenti ed è vincolante per le parti medesime, che si impegnano ad adottare tutte le misure necessarie a garantire l’applicazione della Convenzione ed a trasmettere alla Commissione ogni due anni – ovvero, ogniqualvolta la stessa ne faccia richiesta – un resoconto di queste misure (art. IX della Convenzione).
In ambito comunitario l’Unione, ai sensi dell’art. 3, lettera d), TFUE, ha competenza esclusiva in materia di conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca, mentre l’art. 4, paragrafo 2, lettera d), TFUE attribuisce alla stessa la competenza concorrente con quella degli Stati membri nel settore della pesca, ad esclusione della conservazione delle risorse biologiche del mare. Il combinato di tali disposizioni evidenzia che la conservazione delle risorse ittiche involge interessi ulteriori e sovraordinati a quelli inerenti all’attività di pesca genericamente considerata. Detti interessi vengono curati attraverso una normativa uniforme, assicurata dal riconoscimento di una competenza esclusiva e dalla conseguente adozione di regolamenti.
In questo contesto normativo è stata assunta la decisione del Consiglio n. 238/86 del 9 giugno 1986, relativa all’adesione della Comunità alla Convenzione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico, emendata dal protocollo allegato all’atto finale della conferenza dei plenipotenziari degli Stati aderenti alla convenzione firmato a Parigi il 10 luglio 1984. La Corte di giustizia con la sentenza del 25 ottobre 2001, in causa C-120/99, Italia c. Consiglio, si è occupata del regolamento (CE) n. 49/99 del 18 dicembre 1998, il quale stabiliva la quota di cattura del tonno rosso per i Paesi comunitari, Italia compresa, per il 1999, attraverso un rinvio esplicito a raccomandazioni vincolanti dell’ICCAT. In tale sede è stato affermato che l’Unione, con l’adesione alla Convenzione istitutiva dell’ICCAT, «si è surrogata ai diritti ed obblighi degli Stati membri che erano già parte di questa [convenzione]». Ne discende che l’Unione è «pienamente autorizzata a discutere nell’ambito dei negoziati condotti in seno all’ICCAT relativi al contingente comunitario (…) di tutti i parametri pertinenti, comprese le conseguenze degli eccessi di pesca effettuati da taluni, prima della data della sua adesione a detta organizzazione».
Conformemente al nuovo assetto dei rapporti tra normative internazionali, comunitarie e degli Stati membri, nell’anno 2006 l’ICCAT ha adottato un piano pluriennale di ricostituzione del tonno rosso nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo, poi modificato nel 2008. Tale piano è stato ulteriormente modificato e approvato nella riunione annuale dell’ICCAT del 2010 mediante la raccomandazione n. 10-04. Al termine dei lavori della 22^ sessione ordinaria dell’ICCAT, le parti contraenti hanno deciso di confermare, anche per la campagna di pesca 2012, la piena vigenza della raccomandazione n. 10-04, con particolare riferimento alla definizione del totale ammissibile di catture (TAC). Con il regolamento (UE) n. 44/2012 è stato ripartito, tra le flotte degli Stati membri, il TAC del tonno rosso assegnato all’Unione europea per l’anno 2012. In tale contesto alla flotta italiana è stato attribuito un massimale di 1.787,91 tonnellate (Allegato ID), nonché, ai sensi dell’art. 16, paragrafo 4, del regolamento (UE) n. 44/2012, un numero massimo di 12 imbarcazioni autorizzate per la pesca con il sistema a circuizione (Allegato IV, punto 4) e, ai sensi del successivo paragrafo 5 dell’articolo citato, il numero delle tonnare impegnate nella pesca del tonno rosso nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo è stato limitato ad un massimo di 6 (Allegato IV, punto 5).
Il piano pluriennale di ricostituzione del tonno rosso adottato dall’ICCAT è stato recepito dall’Unione europea mediante il regolamento (CE) n. 302/2009, con il quale sono stati stabiliti i principi generali per la sua applicazione da parte della Comunità (ora Unione) europea. In particolare, ai sensi dell’art. 4, ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie per assicurare che lo sforzo di pesca delle sue navi da cattura e delle sue tonnare sia commisurato alle quote di pesca di tonno rosso assegnate. A tal fine lo Stato interessato redige un piano di pesca annuale per le navi da cattura e le tonnare praticanti la pesca del tonno rosso, che viene trasmesso entro il 31 gennaio di ogni anno alla Commissione europea. Quest’ultima, a sua volta, comunica detto piano al segretariato dell’ICCAT entro il 1° marzo di ogni anno. Il piano di pesca annuale specifica: a) le navi da cattura di lunghezza superiore ai 24 metri comprese nell’elenco delle navi autorizzate ai sensi dell’art. 14 del regolamento (CE) n. 302/2009 ed i contingenti individuali loro assegnati, nonché il metodo utilizzato per l’assegnazione dei contingenti e la misura intesa ad assicurare il rispetto dei contingenti individuali; b) per le navi da cattura di dimensioni inferiori a 24 metri e per le tonnare, almeno i contingenti assegnati alle organizzazioni di produttori o ai gruppi che praticano la pesca con un sistema analogo.
La ripartizione del TAC attribuito all’Italia con il regolamento (UE) n. 44/2012 tra i diversi sistemi di pesca autorizzati, tenendo conto del numero di unità autorizzate per ciascuno di essi al fine dichiarato di conseguire e mantenere adeguati livelli di sostenibilità economica e di redditività, è stata operata con il decreto ministeriale del 3 aprile 2012, impugnato con l’odierno ricorso.
Come risulta evidente dalla ricostruzione del quadro normativo internazionale ed europeo riguardante la conservazione dei tonnidi, le modalità attuative a livello nazionale sono di natura meramente amministrativa e la discrezionalità dei relativi provvedimenti incontra limiti soltanto nelle specifiche prescrizioni contenute nella disciplina sovranazionale. Nessuna delle censure della Regione ricorrente è posta con riferimento alle richiamate prescrizioni ed alla ridondanza sulle attribuzioni della Regione stessa.
7.1. — Per questo motivo risultano prive di fondamento le doglianze formulate in riferimento agli artt. 3 e 6 della legge costituzionale n. 3 del 1948, al d.P.R. n. 1627 del 1965, al d.lgs. n. 70 del 2004, agli artt. 3 e 117, primo e quinto comma, Cost., in relazione all’art. 4, comma 2 del regolamento (CE) n. 302/2009, per la mancata ostensione – nella determinazione dei contingenti dei vari sistemi di pesca – dei relativi criteri; quelle espresse in riferimento agli artt. 3 e 6 della legge cost. n. 3 del 1948, al d.P.R. n. 1627 del 1965, al d.lgs. n. 70 del 2004, al principio di leale collaborazione di cui agli artt. 3, 5, 117 e 119 (recte 118), anche in relazione al regolamento (CE) n. 44/2012 per pretesa violazione del principio di sostenibilità socioeconomica della pesca al tonno rosso ed al principio di parità di trattamento dei settori della pesca; quelle, infine, enunciate in riferimento agli artt. 3 e 6 della legge cost. n. 3 del 1948, al d.P.R. n. 1627 del 1965, al d.lgs. n. 70 del 2004 ed al principio di leale collaborazione, in relazione al regolamento (CE) n. 302/2009, alla Convenzione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico ed alla raccomandazione n. 10-04 della Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi per omessa considerazione del preteso principio di favor della regolamentazione internazionale e comunitaria nei riguardi dei sistemi di pesca utilizzati dagli operatori autorizzati nell’ambito della Regione autonoma Sardegna.
Sotto l’ultimo profilo, occorre precisare che l’art. 1 della “posizione” del Parlamento europeo P7_TC1-COD(2011)0144, definita in prima lettura il 23 maggio 2012 in vista dell’adozione del nuovo regolamento dell’Unione europea che dovrebbe modificare il regolamento (CE) n. 302/2009, non ha ancora assunto valore precettivo attraverso la fisiologica conclusione dell’iter legislativo europeo e quindi non poteva essere preso a riferimento ai fini della spettanza del potere esercitato dallo Stato. L’eventuale consolidamento della norma, nei termini espressi dal documento del 23 maggio 2012, sarà vincolante per lo Stato italiano nella determinazione dei futuri contingenti di pesca, ancorché essa esprima non tanto un principio di favor verso il sistema delle tonnare o a palangari quanto un regime di disfavore verso quello a circuizione.
8. — In conclusione, la materia esula dall’ambito di competenza legislativa ed amministrativa della Regione autonoma Sardegna. La riconduzione della stessa alla potestà legislativa esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. ed a quella amministrativa spettante allo stesso ai sensi dell’art. 118 Cost. comporta la non fondatezza del conflitto in oggetto.