Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei ministri il 24 settembre 2010, depositato presso la cancelleria della Corte costituzionale il 28 settembre successivo (r.r. n. 96 del 2010), la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha chiesto che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale di numerose norme del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n.122.
2.— In particolare, la ricorrente ha impugnato l’art. 49, comma 4-ter, della citata normativa, deducendone il contrasto con l’articolo 117 della Costituzione, in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nonché con gli artt. 2, primo comma, lettere g), p) e q), e 3, primo comma, lettera a), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta) e con le relative norme di attuazione, nonché, in subordine, col principio costituzionale di leale collaborazione.
La norma impugnata dispone che il comma 4-bis del medesimo art. 49, il quale sostituisce il testo dell’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), «attiene alla tutela della concorrenza ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lettera m) del medesimo comma».
Tale previsione, nel definire l’ambito materiale cui deve ascriversi la disciplina sulla «Segnalazione certificata di inizio attività» (d’ora in avanti, SCIA), dettata dal citato art. 49, comma 4-bis, la riconduce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato e, dunque, individua nella legge statale la sola fonte competente ad intervenire in tema di SCIA. Inoltre, il comma 4-ter, nel prevedere che «le espressioni «segnalazione certificata di inizio attività» e «SCIA» sostituiscono, rispettivamente, quelle di «dichiarazione di inizio attività» e «DIA», ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione più ampia», stabilisce che «la disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale». Stando a tale ultima previsione, dunque, la nuova disciplina sulla SCIA si sostituisce a quella già esistente in tema di DIA, modificando, non solo la previgente normativa statale, ma anche quella regionale.
La disposizione statale censurata, se ritenuta applicabile anche alla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, violerebbe l’assetto costituzionale delle competenze regionali delineato nello statuto speciale, nonché nell’art. 117 Cost., per la parte in cui devono applicarsi anche alla Regione le più ampie forme di autonomia ivi previste ai sensi dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
3.— Posto che l’autoqualificazione di una norma come inerente ad una determinata materia non ha carattere precettivo e vincolante (e quindi è priva di contenuto lesivo), dovrebbe considerarsi – secondo la Regione ricorrente – che l’art. 49, comma 4-ter, del d.1. n. 78 del 2010 effettui un’erronea individuazione dell’ambito materiale cui ascrivere la disciplina della SCIA. Quest’ultima, infatti, non potrebbe considerarsi attinente alla «tutela della concorrenza», annoverata tra le voci di legislazione esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e nemmeno costituirebbe livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali di cui alla lettera m) dell’art. 117, secondo comma, Cost.
La ratio della disciplina non sarebbe quella di eliminare pratiche anticoncorrenziali o di rimuovere elementi distorsivi del mercato, e neanche quella di promuovere un ampliamento delle possibilità di accesso degli attori che vi operano, pur non potendosi escludere che, indirettamente, la disciplina in tema di SCIA possa avere l’effetto di ridurre una delle barriere in grado di ostacolare, in fatto, l’ingresso del privato nell’esercizio di una nuova attività imprenditoriale o commerciale, facilitandone l’inserimento sul mercato. Tale disciplina avrebbe l’obiettivo di alleggerire gli oneri amministrativi ricadenti sul privato per l’avvio di talune attività di rilievo imprenditoriale, commerciale o artigianale, riducendo costi e tempi, e di semplificare le funzioni amministrative di controllo ad esse relative, riducendo i costi organizzativi e finanziari connessi al rilascio degli atti amministrativi.
In conclusione, sarebbe da escludere che la disciplina sulla SCIA possa per ciò stesso ascriversi, anche solo in via prevalente, al titolo competenziale individuato dal legislatore statale nell’art. 117, secondo comma, lettera e), e cioè alla tutela della concorrenza. Esulerebbero da tale «materia trasversale» gli interventi legislativi che incidono – come l’art. 49-bis del d.l. n. 78 del 2010 – sulla disciplina delle modalità attraverso le quali le pubbliche amministrazioni sono chiamate a controllare l’attività dei privati in campo economico per la salvaguardia degli interessi pubblici di volta in volta implicati.
Nemmeno potrebbe condividersi l’autoqualificazione della disciplina sulla SCIA come «livello essenziale delle prestazioni», riconducibile alla competenza annoverata nell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., tra le voci di legislazione esclusiva dello Stato. Come osservato dalla giurisprudenza costituzionale, la determinazione dei livelli essenziali costituirebbe una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso dovrebbe poter introdurre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di diritti civili e sociali, ma non potrebbe essere invocata in relazione a norme statali dirette ad altri fini. Sarebbe di immediata evidenza come la disciplina dettata dall’art. 49-bis del d.l. n. 78 del 2010 non abbia nulla a che vedere con la determinazione dei livelli essenziali di prestazioni, non configurando né prestazioni che costituiscano contenuto essenziale di diritti né livelli essenziali riferiti a tali prestazioni.
La ricorrente aggiunge che la disciplina introdotta dall’art. 49, comma 4-bis, non potrebbe ricondursi ad un’unica materia o voce contenuta negli elenchi dell’art. 117 Cost., ma coinvolgerebbe una pluralità di materie, in relazione al settore sul quale incidono i relativi procedimenti amministrativi ed in considerazione dei diversi interessi che possono risultarne coinvolti. Dovrebbe comunque ritenersi che la disciplina della SCIA sia ascrivibile, in modo prevalente, all’ambito dell’industria, del commercio e dell’artigianato, cioè a materie spettanti alla competenza residuale delle Regioni, ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost., e, dunque, anche alla competenza legislativa della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, in virtù della clausola di cui all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Inoltre, la disciplina sulla segnalazione certificata di inizio attività coinvolgerebbe ambiti materiali ricadenti nella competenza legislativa primaria attribuita alla ricorrente dall’art. 2, primo comma, lettere p) e q) dello statuto speciale, e consistenti, rispettivamente, nelle materie «artigianato» ed «industria alberghiera, turismo e tutela del paesaggio», nonché nella competenza della Regione ad emanare norme legislative di integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica nella materia «industria e commercio», ai sensi dell’art. 3, primo comma, lettera a), del medesimo statuto.
Qualora si ritenesse, poi, che la disciplina recata dalla norma impugnata si estenda, altresì, ad aspetti riconducibili alla pianificazione territoriale, essa finirebbe per incidere anche in materia «urbanistica, piani regolatori per zone di particolare importanza turistica», di competenza legislativa primaria della ricorrente ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera g), dello statuto speciale.
La disciplina dei profili procedimentali connessi alle richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale non potrebbe in definitiva ascriversi, nella sua totalità, ad una competenza esclusiva dello Stato, dal momento che essa insiste in modo prevalente su ambiti di legislazione regionale, di natura esclusiva o concorrente.
4.— Ciò premesso, la previsione contenuta nella seconda parte dell’art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, in base alla quale la disciplina sulla SCIA, di cui al comma 4-bis, sostituirebbe direttamente quella della DIA, prevista da qualsiasi normativa statale e regionale, dovrebbe ritenersi lesiva delle competenze legislative attribuite dalle citate norme costituzionali alla Regione autonoma Valle d’Aosta /Vallée d’Aoste
L’abrogazione immediata, diretta ed indiscriminata, di ogni normativa di settore adottata dalla Regione nella quale sia stata prevista la DIA, indipendentemente dall’ambito materiale coinvolto, e la contestuale sostituzione di tale normativa con quella dettata dal legislatore statale in tema di SCIA, si porrebbe in contrasto insanabile con le garanzie costituzionali concernenti il riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni ed in particolare con l’autonomia legislativa della Regione ricorrente.
La previsione del legislatore statale disconoscerebbe le più elementari regole che presiedono al riparto delle competenze legislative, accolte nel nostro ordinamento costituzionale, e segnatamente quella che impedisce di risolvere i rapporti tra le fonti statali e quelle regionali in termini di mera gerarchia, riconoscendo al legislatore statale la possibilità di abrogare la disciplina regionale senza alcuna considerazione delle sfere di competenza coinvolte. Anche laddove il legislatore statale intendesse disciplinare e regolare l’esercizio delle funzioni amministrative attinenti alla conformazione dell’attività dei privati in ambito imprenditoriale, commerciale o artigianale, al fine di assicurare esigenze di uniformità, non potrebbe comunque disporre legittimamente l’abrogazione delle vigenti discipline settoriali della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, procedendo alla sostituzione di esse con la nuova disciplina statale, ma semmai prevedere un obbligo di adeguamento da parte della Regione, che sarebbe chiamata ad intervenire comunque con fonti regionali, attraverso un rinnovato esercizio della potestà legislativa ad essa attribuita negli ambiti materiali coinvolti. In tale ultima ipotesi, peraltro, stante la significativa incidenza della disciplina statale su ambiti materiali spettanti alla competenza esclusiva o concorrente regionale, dovrebbe essere assicurato il coinvolgimento della Regione stessa nella decisione del legislatore statale, attraverso meccanismi di raccordo o concertazione reputati idonei al sostanziale rispetto del principio di leale collaborazione.
5.— Anche ove si ritenesse che la disciplina statale censurata sia riconducibile alla competenza trasversale dello Stato in materia di «concorrenza» e di «livelli essenziali delle prestazioni», la stessa risulterebbe – a dire della ricorrente – del pari costituzionalmente illegittima, per violazione del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. Tale disciplina, infatti, inciderebbe in maniera significativa sulle competenze regionali, con la conseguenza che lo Stato avrebbe dovuto prevedere meccanismi di reciproco coinvolgimento e di coordinamento del livello di governo statale e regionale.
6.— Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri.
La difesa erariale eccepisce, in via preliminare, «la tardività del ricorso proposto avverso le norme del decreto legge non modificate in sede di conversione e quindi, in ipotesi, immediatamente lesive».
Nel merito, sostiene l’infondatezza del ricorso, relativamente all’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, ponendo in evidenza che le norme in esame sarebbero dirette a favorire la ripresa e lo sviluppo del sistema produttivo su tutto il territorio nazionale con caratteri di omogeneità, in un’ottica di maggiore competitività delle imprese. E, data la necessità di un tempestivo intervento volto a fronteggiare l’attuale situazione di crisi economico-finanziaria internazionale, tali disposizioni non potrebbero che avere effetto immediato.
Peraltro, l’istituto della SCIA non sarebbe nuovo, ma costituirebbe la modifica e semplificazione di altro analogo, la DIA, già previsto dall’ordinamento e già positivamente scrutinato dalla Corte costituzionale, nel senso che esso integrerebbe un nuovo principio fondamentale del governo del territorio (alternativo alla licenza o concessione edilizia): anche la norma attuale da una parte continuerebbe ad integrare un principio fondamentale e dall’altra – nelle sue modifiche e semplificazioni – sarebbe ispirata alla tutela della concorrenza (incrementando e agevolando le attività edilizie) per quanto riguarda gli operatori del settore, e ai livelli essenziali delle prestazioni per i cittadini interessati ad una sollecita risposta e allo svolgimento di tali attività, materie, queste, di esclusiva competenza statale.
7.— Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei ministri il 28 settembre 2010, depositato presso la cancelleria della Corte costituzionale il 30 settembre successivo (r.r. n. 97 del 2010), la Regione Toscana ha impugnato alcune norme del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, e tra queste, l’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, per violazione dell’art. 117, terzo comma e 121, secondo comma, Cost.
8.— La ricorrente contesta le disposizioni impugnate, ove ritenute applicabili anche al settore dell’edilizia, secondo le indicazioni in tale senso pervenute dalle autorità ministeriali. A dispetto della tradizionale diversificazione delle discipline della DIA edilizia e di quella commerciale – la prima regolata dall’art. 22 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia –Testo A), e la seconda dall’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) – ora la disciplina sembrerebbe unificata, ed il privato potrebbe iniziare subito l’attività edilizia senza attendere alcun termine, restando alla pubblica amministrazione soltanto il potere di intervenire successivamente, quando i lavori siano già iniziati (o anche finiti), con un danno urbanistico ormai prodotto (si pensi agli interventi di ristrutturazione edilizia o agli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica).
Queste attività potevano essere iniziate dopo trenta giorni dalla presentazione della DIA e tale termine avrebbe rappresentato un equilibrato compromesso tra le esigenze di controllo preventivo della pubblica amministrazione e le esigenze del proprietario costruttore ad iniziare rapidamente i lavori, confidando di poter evitare rischi di ordinanze successive di demolizione.
La normativa in esame violerebbe le competenze regionali in materia di «governo del territorio» che, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., è attribuita alla potestà legislativa concorrente e in cui lo Stato deve porre i principi fondamentali, lasciando poi alle Regioni lo sviluppo e la specificazione della disciplina.
Non sarebbe sufficiente la mera autoqualificazione formale operata dal legislatore statale per ricondurre una disciplina nell’ambito della competenza esclusiva dello Stato (tutela della concorrenza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e, e determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), essendo necessario esaminarne il contenuto sostanziale e verificare se lo scopo cui la norma tende permetta di ricondurre la stessa in tale ambito. Risulterebbe evidente che la SCIA edilizia non sarebbe uno strumento per tutelare la concorrenza.
Con la SCIA la pubblica amministrazione abiliterebbe il privato a realizzare un determinato intervento edilizio, ricorrendone i presupposti in base alla pianificazione territoriale: verrebbe in questione il rapporto tra l’Amministrazione ed il privato e non invece la concorrenza tra gli imprenditori aventi diritto alla parità di trattamento e ad agire in un mercato libero senza barriere, poiché questo sarebbe l’oggetto della lettera e) del secondo comma dell’art. 117 Cost.
Non pertinente sarebbe il riferimento alla lettera m) del secondo comma dell’art. 117 Cost., perché la disciplina della SCIA edilizia non fisserebbe un livello essenziale delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale. Nel caso in esame la normativa statale non definirebbe il livello essenziale di erogazione, in relazione a specifiche prestazioni: il momento in cui l’attività edilizia potrebbe essere iniziata (subito o dopo trenta giorni) non costituirebbe una prestazione concernente un diritto.
In definitiva, escludendosi i due titoli di competenza statale richiamati dal comma 4-ter, la disciplina in esame finirebbe per ricadere nella materia del «governo del territorio», soggetto alla potestà legislativa concorrente, da ritenere comprensiva di tutto ciò che attiene all’uso del territorio e alla localizzazione di impianti o attività.
Posto che alla legislazione di principio spetterebbe di prescrivere criteri e obiettivi, mentre a quella di dettaglio sarebbe riservata l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere tali obiettivi, la normativa in esame si risolverebbe in una disciplina dettagliata e specifica, che non lascerebbe alcuno spazio al legislatore regionale, il quale, viceversa, dovrebbe poter decidere, in base alla realtà del proprio territorio, se consentire al privato di iniziare l’attività immediatamente, o attendere un termine da esso stabilito. Essa, pertanto, oltrepasserebbe i confini delle competenze che, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., spettano al legislatore statale in materia di «governo del territorio».
9.— La nuova SCIA, secondo il disposto del comma 4-ter, travolgerebbe tutte le norme regionali (oltre che statali) in materia. La Regione Toscana avrebbe emanato una normativa organica in materia di governo del territorio, la legge regionale 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme per il governo del territorio), e, in applicazione dell’art. 22, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001, avrebbe ampliato autonomamente le categorie di opere per cui era prevista la DIA. Il legislatore statale abrogherebbe con effetto immediato questa legislazione regionale di settore, sostituendola unilateralmente con una disciplina che non permetterebbe più un controllo preventivo dell’Amministrazione.
In ciò sarebbe ravvisabile la violazione dell’autonomia legislativa del Consiglio regionale, in contrasto con l’art. 121, secondo comma, Cost., perché il legislatore statale non potrebbe intervenire direttamente ad abrogare e sostituire norme approvate dal Consiglio regionale, spettando invece a quest’ultimo adeguarsi ai nuovi principi posti dal legislatore statale.
10.— Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri. La difesa erariale deduce l’infondatezza del ricorso, relativamente all’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, svolgendo difese analoghe a quelle esposte nel giudizio precedente.
11.— Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei ministri il 28 settembre 2010, depositato presso la cancelleria della Corte costituzionale il 10 ottobre successivo (r.r. n. 102 del 2010), la Regione Liguria ha impugnato, tra l’altro, l’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, per violazione degli artt. 3, 97, 114, secondo comma, 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.
La ricorrente premette che l’art. 49, comma 4-bis, prevede l’integrale sostituzione dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, relativo alla DIA, con il nuovo istituto della SCIA. Rispetto alla versione precedente, il nuovo art. 19 si caratterizzerebbe per il fatto di prevedere in ogni caso la facoltà di avvio immediato dell’attività, contestualmente alla presentazione della segnalazione, generalizzando così la previsione contenuta nel decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), che aveva reintrodotto, per le attività di cui alla medesima direttiva, la DIA cosiddetta «ad effetto immediato». Si riproporrebbe in tal modo, in chiave generale, la configurazione originariamente prevista per la DIA dal legislatore del 1990, quale dichiarazione contestuale all’avvio dell’attività.
Inoltre, la scomparsa della precisazione contenuta nel precedente vecchio comma 4 dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990 (il quale stabiliva che «restano ferme le disposizioni di legge vigenti che prevedono termini diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 per l’inizio dell’attività e per l’adozione da parte dell’amministrazione competente di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti»), unitamente alla previsione contenuta nell’art. 49, comma 4-ter (in forza della quale, «la disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale»), deporrebbe nel senso di ritenere che alla nuova SCIA debba essere integralmente ricondotta anche la preesistente disciplina in materia di «DIA edilizia». Quest’ultima, fino ad ora, avrebbe mantenuto profili di autonomia rispetto al modello di DIA generale.
Nel senso dell’integrale sostituzione della DIA edilizia con la nuova SCIA si sarebbe espressa anche la nota 16 settembre 2010 del Ministero per la semplificazione normativa: la quale – oltre che sulla base dei profili dinanzi indicati – perverrebbe a tale conclusione anche alla luce delle indicazioni emerse nel corso dei lavori parlamentari, nonché in considerazione dell’innovativo riferimento – contenuto nel comma 1 del nuovo art. 19 della legge n. 241 del 1990 – alle «asseverazioni di tecnici abilitati», espressione che richiamerebbe il contenuto dell’art. 23 del d.P.R. n. 380 del 2001 in materia urbanistico-edilizia.
12.— Secondo la Regione Liguria, la nuova disciplina della SCIA risulterebbe costituzionalmente illegittima, in primo luogo, e con riferimento agli ambiti non edilizi, perché la dettagliata previsione dei moduli procedimentali (che, ai sensi del comma 4-ter, sarebbero destinati a sostituire automaticamente tutte le discipline regionali in materia di DIA), finirebbe per invadere la competenza regionale in molti ambiti di legislazione residuale regionale, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., in particolare con riferimento a commercio, artigianato, turismo e attività produttive in genere. La lesione così determinata delle prerogative regionali non sarebbe certo esclusa in conseguenza della autoqualificazione recata dal comma 4-ter.
Al contempo, la puntuale disciplina delle modalità di intervento attraverso l’esercizio del potere di inibizione e di conformazione dell’attività – quale prevista al comma 3 del nuovo art. 19 della legge n. 241 del 1990 – interferirebbe con i poteri di controllo il cui esercizio sarebbe attribuito alle amministrazioni locali, con conseguente violazione dell’art. 114, secondo comma, Cost., che riconosce l’autonomia dei poteri degli enti locali, e dell’art. 118, primo comma, Cost. che riconosce le funzioni amministrative dei Comuni.
13.— La previsione per cui la SCIA consentirebbe, in materia edilizia, l’immediato avvio dell’attività, costituirebbe regola di dettaglio, in quanto tale preclusa allo Stato in una materia – quella del «governo del territorio» (cui, come noto, sarebbe riconducibile l’edilizia) – demandata alla potestà legislativa concorrente, con conseguente limitazione della potestà statale alla sola fissazione dei principi.
Ponendo la regola che stabilisce dopo quanti giorni dalla presentazione della segnalazione (nessuno, in questo caso) sarebbe possibile iniziare l’attività, il legislatore statale non si limiterebbe a fissare regole di principio, ma interverrebbe a disciplinare i dettagli della materia. Nell’imporre non solo la DIA – ora SCIA – in luogo del permesso edilizio, ma nel disciplinare le modalità stesse di funzionamento della SCIA, nell’individuare il momento nel quale il «segnalante» può realizzare il progetto (più che iniziare una attività, come la denominazione dovrebbe far pensare), nel disciplinare i tempi ed i limiti del potere o dovere di controllo dell’amministrazione, lo Stato avrebbe chiaramente superato i limiti della propria potestà legislativa concorrente di principio in materia di governo del territorio.
Ulteriori criticità, in considerazione della peculiare materia cui si riferisce, creerebbe l’estensione alla DIA edilizia della facoltà di immediato inizio dell’attività (prevista al comma 2 del novellato art. 19 della legge n. 241 del 1990).
La questione riguarderebbe, in particolare, l’ipotesi in cui un soggetto inizi l’attività pur in assenza dei presupposti di legge, sulla base di una SCIA contenente false dichiarazioni o, comunque, altrimenti errata. Ferma restando la rivendicazione della competenza regionale a disporre in materia, nei settori commerciali l’immediato inizio di attività – pur in assenza dei presupposti richiesti – non si presenterebbe di particolare gravità, giacché in genere l’attivazione del potere inibitorio e di rimozione degli eventuali effetti dannosi medio tempore prodotti (art. 19, comma 3) potrebbe risultare idoneo (perlomeno astrattamente) a tutelare gli interessi protetti dalle normative che prevedono il previo titolo abilitativo (sostituito dalla SCIA), trattandosi di settori nei quali le attività svolte, in linea di principio, non appaiono tali da determinare effetti irreversibili.
L’attività edilizia invece, per sua natura, sarebbe idonea a determinare immediatamente alterazioni materiali del territorio, potenzialmente assai rilevanti, ed il ripristino non sempre sarebbe possibile: sia sotto il profilo materiale (l’art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 espressamente si occupa dei profili sanzionatori di opere abusive, in relazione alle quali non sia possibile il ripristino dello stato dei luoghi), sia per gli eccessivi costi che il ripristino potrebbe comportare. Anche perché – a parte le enormi difficoltà ed i costi che le Amministrazioni incontrano nell’ottenere la demolizione degli interventi abusivi – non sempre i privati trasgressori, che hanno dato inizio alla attività di trasformazione in assenza dei presupposti, disporrebbero delle risorse per provvedere al ripristino.
Non rileverebbe che gli interventi abusivamente eseguiti in assenza o in difformità dalla DIA siano sottoposti, in linea generale (e salvo eccezioni), alla sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001: il tempestivo impiego del potere inibitorio da parte delle amministrazioni comunali sarebbe stato comunque in grado di prevenire in radice la commissione dell’abuso (cosa preferibile rispetto alla misura sanzionatoria successiva), anche con riferimento a tipologie di interventi che, per quanto non consentite nel caso concreto, fossero comunque astrattamente riconducibili all’ambito di applicabilità della DIA. Ma, soprattutto, l’uso preventivo del potere inibitorio sarebbe stato in grado di impedire il verificarsi dell’eventualità, ben più grave, in cui il privato presentasse una DIA per realizzare interventi che avrebbero invece richiesto il rilascio del permesso di costruire (e che tuttavia non lo avrebbero concretamente potuto conseguire per il contrasto con la disciplina normativa o di piano). In tali casi, le amministrazioni comunali sarebbero state in grado di intervenire bloccando l’esecuzione dei lavori prima dell’inizio, mentre ciò non sarebbe ora più possibile.
Su queste premesse, sarebbe chiaro che la totale eliminazione della possibilità delle amministrazioni (virtuose) di operare un seppur rapido esame preventivo dei progetti, allo scopo di impedire in radice la realizzazione degli abusi, si rivelerebbe non solo una violazione della competenza regionale, ma anche una violazione del principio di ragionevolezza e di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97, primo comma, Cost.: una violazione che la Regione sarebbe legittimata ad impugnare in quanto essa si tradurrebbe in una limitazione della propria potestà legislativa.
Del tutto irragionevolmente, la disposizione censurata avrebbe eliminato la clausola contenuta nel vecchio art. 19, comma 4, a proposito della DIA edilizia, che stabiliva la salvezza delle disposizioni di legge prevedenti termini diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 per l’inizio dell’attività e per l’adozione, da parte dell’amministrazione competente, di provvedimenti diretti a vietarne la prosecuzione ed a rimuoverne gli effetti. In tal modo, si sarebbe determinato un inammissibile sbilanciamento a favore dell’interesse ad una rapida (rectius: immediata) definizione delle procedure abilitative edilizie, sacrificando in misura del tutto irragionevole e ingiustificata le esigenze della tutela del territorio, nonché quelle organizzative delle stesse amministrazioni cui è affidato il potere di verifica. Per non dire, poi, dell’interesse dei terzi che si vedano lesi dall’attività costruttiva: la cui posizione – già tradizionalmente sofferta, come ben noto, in materia di DIA edilizia – sarebbe ulteriormente pregiudicata.
Non sarebbe neppure certo che la novella contestata vada realmente nel senso di tutelare l’effettivo interesse del costruttore. Chi realizza un intervento edilizio, infatti, avrebbe interesse a conoscere in anticipo se quanto sta realizzando è o non è conforme a diritto. Sotto tale profilo, l’immediato inizio dei lavori accentuerebbe il rischio che quanto è in corso di realizzazione venga in seguito ad incorrere nell’esercizio (ora solo successivo) del potere inibitorio.
In conclusione, il nuovo art. 19 della legge n. 241 del 1990, come modificato dall’art. 49, comma 4-bis, del d.l. n. 78 del 2010 si rivelerebbe costituzionalmente illegittimo nel suo comma 2, nella parte in cui prevede la possibilità di iniziare l’attività costruttiva alla data della presentazione della segnalazione (senza prevedere una clausola di salvezza per le diverse disposizioni previste per la DIA edilizia), per contrasto con l’art. 3 Cost., per violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, nonché con l’art. 97 Cost., per violazione del principio di buon andamento dell’attività amministrativa. Nella misura in cui interferisce con i poteri di controllo di Comuni e Regioni sull’attività edilizia, la disposizione sarebbe altresì illegittima per violazione degli artt. 114 e 118 Cost.
14.— Per opportuna completezza – aggiunge la ricorrente – la SCIA estremizzerebbe gli effetti di un sistema, quello della DIA, che nel corso di un ventennio avrebbe dato cattiva prova di sé, palesando rilevanti limiti e determinando oggettivi problemi di tenuta complessiva, che la dottrina e la giurisprudenza (è richiamata la sentenza del Tar Lombardia, Milano, 7 luglio 2004, n. 3086), non avrebbero mancato di evidenziare. Il legislatore, anziché intervenire con opportuni correttivi, avrebbe deciso di rendere ancora più squilibrata la DIA (ora SCIA) edilizia, rimuovendo anche la tenue garanzia rappresentata dall’inizio differenziato dei lavori.
Le considerazioni esposte sarebbero destinate ad assumere ancora maggiore valenza ove si condivida quell’orientamento che ritiene la SCIA applicabile in materia edilizia al posto non solo della DIA «normale», ma anche della cosiddetta «super-DIA», di cui all’art. 22, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001. Il che aumenterebbe l’impatto già problematico dell’istituto.
15.— Il comma 4-ter stabilisce che la disciplina della SCIA, nella sua integralità, attiene alla tutela della concorrenza e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettere e) ed m), Cost., e che «sostituisce direttamente [...] quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale».
L’indicazione dei pretesi «titoli» della disciplina, e degli effetti sulla normativa precedente, anche di fonte regionale, renderebbe palese l’intendimento del legislatore statale di dettare una normativa completa, autosufficiente, non derogabile dai legislatori locali. Per questo il comma 4-ter sarebbe costituzionalmente illegittimo.
Premesso che la autoqualificazione operata dal legislatore non è vincolante, sarebbe da contestare anzitutto che la disciplina sulla SCIA attenga effettivamente ai «livelli essenziali delle prestazioni» di cui alla lettera m) dell’art. 117, secondo comma, Cost., che consente allo Stato solo di fissare «standard strutturali e qualitativi delle prestazioni da garantire agli aventi diritto». Con le disposizioni sulla SCIA non si stabilirebbe invece alcuno standard quantitativo o qualitativo di prestazioni determinate, attinenti a questo o a quel «diritto» civile o sociale garantito dalla stessa Costituzione, venendo al contrario regolato lo svolgimento della attività amministrativa, in settori vastissimi ed indeterminati, alcuni di indiscutibile competenza regionale, quali il governo del territorio, la tutela della salute, l’ordinamento degli uffici regionali, l’artigianato, il turismo, il commercio, materie spettanti alla Regione in forza dell’art. 117, terzo e quarto comma, Cost.
Inoltre, non potrebbe essere confusa la determinazione dei livelli delle prestazioni con la disciplina delle posizioni soggettive degli amministrati; altrimenti, posto che ogni diritto o interesse implica un qualche comportamento altrui (anche solo omissivo), la competenza sulla materia della lettera m) dell’art. 117 Cost. consentirebbe allo Stato qualunque intervento conformativo di qualsiasi posizione soggettiva in qualunque materia regionale.
Tale confusione sarebbe particolarmente evidente nella disciplina relativa alla SCIA, che, nella sua rigidità, potrebbe determinare, in alcuni casi, una diminuzione dei livelli essenziali delle prestazioni cui hanno diritto persone destinatarie dell’attività assentita mediante la segnalazione certificata: quando, ad esempio, in conseguenza delle limitazioni temporali e sostanziali alla attività di accertamento e controllo della pubblica amministrazione, senza alcuna considerazione per le singole realtà territoriali e organizzative, sia praticamente impedita la verifica del rispetto di standard qualitativi di determinate prestazioni attinenti ai diritti sociali.
Alcuni istituti di semplificazione amministrativa potrebbero esprimere limiti vincolanti per le potestà legislative regionali; ma ciò implicherebbe sempre una valutazione complessiva di tutti gli interessi che vengono in rilievo nella singola materia interessata, e il controllo, a sua volta, per essere effettivo, non potrebbe che riguardare norme riferite a ben individuati settori. Il punto di equilibrio tra l’interesse del singolo ad iniziare quanto prima una certa attività, e l’esercizio del potere-dovere dell’amministrazione di tutelare secondo legge gli altri interessi toccati da quella attività, potrebbe essere diverso, a seconda che questi ultimi attengano al governo del territorio oppure alla tutela della salute o alla tutela del lavoro (il riferimento al governo del territorio e alla tutela della salute e del lavoro non è casuale, evocando interessi che il comma 4-bis non prende in considerazione ai fini della esclusione dall’ambito di operatività della SCIA).
Aggiunge la ricorrente che esigenze di semplificazione potrebbero certo derivare dalla normativa comunitaria, vincolante per la Regione, ed in particolare dalla direttiva n. 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno), la quale tuttavia fa salva la peculiarità dei singoli settori, ammettendo ad esempio che, in taluni casi, la autorizzazione allo svolgimento di certe attività sia subordinata ad un «adeguato esame» sulla presenza delle «condizioni stabilite» per ottenerla (ad es. art. 10, par. 5); e inoltre fa salvo il riparto delle competenze tra Stato, Regioni e minori enti locali (ad es., art. 10, par. 7). Del resto, il decreto legislativo del 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), di attuazione della citata direttiva (non abrogato dal d.l. n. 78) dispone che «relativamente alle materie oggetto di competenza concorrente, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la potestà normativa nel rispetto dei principi fondamentali contenuti nelle norme del presente decreto» (art. 1, comma 4). Lo stesso decreto, poi, all’art. 84, e in dichiarata attuazione dell’art. 117, quinto comma, Cost., aggiunge che «nella misura in cui incidono su materie di competenza esclusiva regionale e su materie di competenza concorrente, le disposizioni del presente decreto si applicano fino alla data di entrata in vigore della normativa di attuazione della direttiva 2006/123/CE, adottata da ciascuna regione e provincia autonoma nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dei principi fondamentali desumibili dal presente decreto».
16.— Il comma 4-ter dichiara come proprio fondamento costituzionale anche la «tutela della concorrenza», oltre ai livelli essenziali delle prestazioni. Ma esso, in realtà, non potrebbe essere ricondotto nemmeno alla lettera e) dell’art. 117 Cost., nelle parti in cui non riguarda attività imprenditoriali e professionali, e nelle parti in cui concerne (limitandoli) i poteri di controllo e repressivi delle amministrazioni preposte alla tutela dei molteplici interessi pubblici e privati, che sono stati presi in considerazione dalle singole leggi di settore quando hanno previsto le autorizzazioni, licenze, pareri, nulla osta e simili. Con riferimento a queste ultime norme limitatrici, anzi, la disposizione potrebbe avere l’effetto di far rimanere «sul mercato» imprese o professionisti con requisiti (in senso lato) non del tutto conformi agli schemi legali, con conseguente alterazione della concorrenza «leale» tra i diversi operatori.
Ma, anche con riferimento alle attività imprenditoriali e professionali, il comma 4-ter non sarebbe espressione della «tutela della concorrenza» nel senso della Costituzione, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte. Esso non riguarderebbe i requisiti per l’accesso al mercato, o le condizioni di offerta dei beni e dei servizi, o la parità di trattamento tra gli operatori, o misure di liberalizzazione dei mercati, ma inciderebbe direttamente e principalmente sullo svolgimento dell’attività amministrativa e sui relativi procedimenti. Se lo svolgimento di una determinata attività, per la quale si siano ridotti i tempi di avvio (ma non i costi, considerandosi la necessità di «attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati») dipende (anche) dall’insieme della normativa (statale, regionale, europea, internazionale) che la riguarda, l’effetto che la semplificazione della disciplina ha sulla concorrenza sarebbe solo accessorio ed indiretto; e nei casi di interferenza, ai fini della riconduzione di una legge all’una o all’altra materia, occorrerebbe operare un giudizio di prevalenza.
17.— Costituendosi in giudizio, il Presidente del Consiglio dei ministri adduce l’infondatezza del ricorso, svolgendo considerazioni analoghe a quelle esposte nei giudizi precedenti.
18.— Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei ministri il 28 settembre 2010, depositato presso la cancelleria della Corte costituzionale il 6 ottobre 2010 (r.r. n. 106 del 2010), la Regione Emilia-Romagna ha impugnato, tra l’altro, l’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, per violazione degli artt. 97, 114, secondo comma, 117, commi terzo e quarto, e 118, Cost. Il ricorso svolge argomentazioni analoghe, nella parte concernente l’impugnazione dell’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, a quelle di cui al ricorso n. 102 del 2010, proposto dalla Regione Liguria.
19.— Anche le difese del Presidente del Consiglio dei ministri, che si è costituito nel giudizio costituzionale proposto dalla Regione Emilia-Romagna, assumendone l’infondatezza, sono analoghe a quelle svolte nei confronti del ricorso n. 102 del 2010, proposto dalla Regione Liguria.
20.— Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei ministri il 28 settembre 2010, depositato presso la Cancelleria della Corte costituzionale il 7 ottobre 2010 (r.r. n. 107 del 2010), la Regione Puglia ha impugnato, tra l’altro, l’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del d.l. n.. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, che, nell’individuare nella legge statale l’unica fonte competente a regolamentare la materia della SCIA, inciderebbero sull’autonomia legislativa e regolamentare della Regione, con violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere e) ed m), terzo e quarto comma, Cost.
21.— La Regione ricorrente premette che l’art. 49, comma 4-bis, ha riformulato l’art. 19 della legge n. 241 del 1990, introducendo, al posto della Denuncia Inizio Attività (DIA), la Segnalazione Certificata di Inizio attività (SCIA), in virtù della quale sono ridotti gli oneri amministrativi per il privato, consentendogli di intraprendere un’attività economica immediatamente, fin dalla data di presentazione di una semplice segnalazione all’amministrazione pubblica competente. Il comma 4-ter del medesimo art. 49 prevede l’applicazione del comma 4-bis anche ai procedimenti amministrativi ricadenti nelle materie di competenza legislativa regionale.
Dopo aver trascritto il dettato delle due disposizioni, la ricorrente afferma che tale normativa contrasterebbe, anzitutto, con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Nonostante l’autoqualificazione contenuta nel comma 4-ter, secondo cui la disciplina del comma 4-bis sarebbe attinente alla tutela della concorrenza ai sensi del citato art. 117, secondo comma, lettera e), e costituirebbe livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lettera m) del medesimo comma, sostituendosi, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, a quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale, non sarebbe possibile ritenere, secondo la ricorrente, che la norma sia riconducibile alla materia della «tutela della concorrenza».
Invero, il nuovo istituto della SCIA sarebbe di generalizzata applicazione, sia alle attività che hanno un rilievo economico-imprenditoriale sia a quelle che non lo hanno. Risulterebbe evidente che, in relazione a questa seconda categoria, non si porrebbe un problema di «concorrenza», e lo Stato non sarebbe legittimato in alcun modo ad adottare la normativa impugnata. Ne conseguirebbe l’illegittimità costituzionale della normativa contenuta nell’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui include nel suo ambito di applicazione anche quei procedimenti inerenti ad attività non aventi rilievo economico-imprenditoriale.
Sotto un secondo profilo, la normativa in questione non potrebbe comunque ricondursi alla materia della «tutela della concorrenza», poiché «disciplina le relazioni tra gli operatori economici e la pubblica amministrazione, senza che ciò possa in alcun modo incidere sulle relazioni tra gli operatori economici». La normativa impugnata si limiterebbe a regolare le modalità tramite le quali devono essere esplicate alcune funzioni amministrative. Anche ammettendo che norme destinate a regolare relazioni tra operatori e pubblici poteri possano essere ricomprese nell’ambito dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., ciò accadrebbe in quanto tali previsioni siano dirette ad incrementare la concorrenza esistente. Ciò non si verificherebbe nel caso in questione, in quanto la norma avrebbe unicamente una funzione di semplificazione amministrativa.
Da ultimo, la ricorrente fa notare l’impossibilità di riferire l’art. 49, comma 4-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, contemporaneamente, sia alla materia «tutela della concorrenza» che a quella della «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni».
22.— La normativa censurata violerebbe anche l’art. 117, comma secondo, lettera m), Cost.
Infatti, non sarebbe possibile ritenere che le norme di cui all’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, nonostante l’autoqualificazione ivi disposta, siano riconducibili alla materia della «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali», in primo luogo perché non sarebbe pensabile che la disposizione costituzionale possa essere intesa nel senso di qualificare «prestazione» qualunque attività amministrativa con la quale entri in contatto il cittadino, poiché altrimenti si giungerebbe a configurare un generalissimo titolo di intervento della legislazione statale su tutta l’attività amministrativa regionale e locale. L’attività amministrativa potrebbe assurgere alla qualifica di «prestazione», della quale lo Stato è competente a fissare un «livello essenziale», solo a fronte di uno specifico «diritto» di individui, imprese, operatori economici e, in generale, soggetti privati. Ciò sarebbe stato riconoscibile ove lo Stato avesse attribuito ai soggetti che entrano in contatto con una pubblica amministrazione, nell’ambito dei procedimenti individuati dalle norme in esame, il diritto ad ottenere una risposta certa entro un termine prefissato, con eventuale utilizzo di poteri sostitutivi straordinari per far fronte all’inadempimento di quei livelli di governo non assicuranti il livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, stabilito dallo Stato nell’esercizio della propria competenza esclusiva.
Pur se la DIA – sostituita in parte dalla SCIA con le disposizioni in esame – è stata qualificata «livello essenziale di prestazione» dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 10 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), che ha aggiunto il comma 2-ter all’art. 29 della legge n. 241 del 1990, è noto che la qualificazione che il legislatore fornisca delle norme che esso stesso introduce non ha rilievo ai fini della loro qualificazione di diritto costituzionale, né è possibile ritenere che la mancata impugnazione della disposizione richiamata possa valere in alcun modo quale acquiescenza prestata dalla Regione ricorrente. Le norme concernenti la DIA, come quelle inerenti la SCIA, non potrebbero essere considerate «livelli essenziali delle prestazioni». Ove ne sussistano i presupposti, potrebbero, al più, essere qualificate «principi fondamentali» in relazione a singole materie di potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni, come il «governo del territorio».
I commi 4-bis e 4-ter dell’art. 49 sono impugnati anche in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.
A differenza della disciplina della DIA, che nel settore edilizio è stata ascritta ai «principi fondamentali» della materia «governo del territorio», la disciplina della SCIA avrebbe un ambito di applicazione generalizzato. Non individuando alcuna materia al fine di limitare il proprio ambito di applicazione, non potrebbe certo costituire «principio fondamentale della materia»: il legislatore statale, infatti, avrebbe dovuto individuare i procedimenti - almeno per classi omogenee - ricadenti nelle materie di competenza concorrente, ai quali intendeva applicare la disciplina in esame.
Ma anche qualora, per assurdo, nonostante il suo ambito generalizzato di applicazione, si volesse ritenere la disposizione statale in questione legittimata dall’art. 117, terzo comma, Cost., essa sarebbe comunque costituzionalmente illegittima, poiché non lascerebbe alcun margine al legislatore regionale, il quale non potrebbe che limitarsi a prendere atto del diverso assetto conferito dal nuovo istituto della SCIA al rapporto tra cittadini ed amministrazione, senza poter in alcun modo modulare, anche in minima parte, tale assetto in modo da renderlo maggiormente adeguato alla realtà regionale, e senza avere la possibilità di ampliarne o ridurne l’ambito applicativo.
La giurisprudenza costituzionale avrebbe ritenuto «principio fondamentale» della materia «governo del territorio» la «necessaria compresenza nella legislazione di titoli abilitativi preventivi ed espressi (la concessione o l’autorizzazione, ed oggi, nel nuovo d.P.R. n. 380 del 2001, il permesso di costruire) e taciti, quale sarebbe la DIA, considerata procedura di semplificazione che non può mancare, libero il legislatore regionale di ampliarne o ridurne l’ambito applicativo» (sentenza n. 303 del 2003, punto 11.2. del Considerato in diritto). Sarebbe evidente che tale «libertà» del legislatore regionale non sussiste nel caso in questione.
La normativa censurata, infine, violerebbe l’art. 117, quarto comma, Cost., nella parte in cui si applica a procedimenti amministrativi ricadenti nell’ambito delle materie di competenza residuale regionale.
Se anche l’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010 fosse da considerare legittimamente posto dallo Stato nell’ambito della propria competenza a dettare i principi fondamentali delle materie oggetto di potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni, esso dovrebbe comunque ritenersi costituzionalmente illegittimo, in quanto volto a disciplinare anche i procedimenti ricadenti nell’ambito della competenza residuale delle Regioni. Lo Stato, infatti, non avrebbe alcun titolo per imporre la sua applicazione anche ai procedimenti amministrativi che devono essere esplicati in tali materie, in cui la competenza regionale non sarebbe vincolata da questo tipo di norme statali.
23.— Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, assumendo l’infondatezza del ricorso e svolgendo argomenti analoghi a quelli esposti nei giudizi sopra richiamati.
24.— Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei ministri il 9 settembre 2011, depositato presso la cancelleria della Corte costituzionale il 15 settembre 2011 (r.r. n.91 del 2011), la Regione Emilia-Romagna ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, lettera b), e del medesimo art. 5, comma 2, lettere b) e c), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 luglio 2011, n. 106, «nella parte in cui tale articolo conferma o dispone l’applicabilità della SCIA alla materia edilizia e nella parte in cui – attraverso il nuovo comma 6-bis dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990 – introduce un termine breve di trenta giorni per l’adozione dei provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti della SCIA in materia edilizia, per violazione degli artt. 3, 9, 97, 114, 117 e 118 della Costituzione, nei modi e per i profili di seguito illustrati».
La ricorrente deduce di avere già proposto ricorso (r.r. n. 106 del 2010) in merito al d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, che aveva sostituito la disciplina della denuncia di inizio attività (DIA), di cui all’art. 19 della legge n. 241 del 1990, con quella della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), rivendicando alla competenza esclusiva statale tale istituto, ed ha manifestato la volontà di censurare anche il successivo intervento sulla materia, che ha sancito l’applicabilità della SCIA all’edilizia ed è intervenuto sulla sua concreta disciplina, in riferimento alla definizione del termine per l’esercizio del potere inibitorio da parte della pubblica amministrazione. Infatti, tali disposizioni cristallizzerebbero l’interpretazione delle normative menzionate in senso lesivo dell’autonomia regionale, costituzionalmente garantita.
25.— In particolare, la Regione Emilia-Romagna lamenta l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, lettera b), e comma 2, lettere b) e c), del d.l. n. 70 del 2011, nella parte in cui confermano o dispongono l’applicabilità della SCIA alla materia edilizia disciplinata dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A), seppure «con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire».
Tale interpretazione autentica si collegherebbe, inoltre, all’obiettivo enunciato al comma 1, lettera b), del medesimo art. 5, consistente nella «estensione della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) agli interventi edilizi precedentemente compiuti con denuncia di inizio attività (DIA)», con l’esclusione dei casi di cosiddetta super-DIA.
Nel sollevare la questione di legittimità costituzionale in riferimento alla violazione del parametro di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., la Regione avanza le medesime ragioni a sostegno già espresse con il precedente ricorso in relazione alla (allora solo) presunta applicabilità della SCIA in materia edilizia: in particolare, la possibilità di avvio immediato dell’attività dopo la segnalazione, disposizione che rappresenterebbe una regola di dettaglio, in quanto tale preclusa allo Stato in una materia, quella del governo del territorio, demandata alla potestà legislativa concorrente, per cui la potestà statale resta limitata alla sola fissazione dei principi.
Se è pur vero che, nella sentenza della Corte costituzionale n. 303 del 2003, è stato affermato che rappresenta principio necessario la «compresenza nella legislazione di titoli abilitativi preventivi ed espressi [permesso di costruire] e taciti, quale è la Dia», nel caso qui censurato lo Stato avrebbe preteso di disciplinare nei minimi dettagli gli aspetti procedimentali di tali titoli, stabilendo che con la presentazione della segnalazione è possibile iniziare l’attività, privando le Regioni della possibilità persino di adattare la norme alle esigenze della specifica situazione e delle concrete possibilità delle amministrazioni.
Lo Stato avrebbe – ad avviso della Regione Emilia-Romagna – superato i limiti della propria potestà legislativa di principio nella materia concorrente di governo del territorio, violando l’art. 117, terzo comma, Cost., nell’imporre non soltanto la DIA – ora SCIA – in luogo del permesso edilizio, ma nel disciplinare le modalità stesse di funzionamento della SCIA, nell’individuare il momento nel quale il «segnalante» può realizzare il progetto, nel disciplinare i tempi ed i limiti del potere o dovere di controllo dell’amministrazione. Nella recente sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2010 sarebbe stato, infatti, stabilito che spetta alle Regioni, e non allo Stato, disciplinare i casi nei quali strutture residenziali mobili nei campeggi possono essere realizzate senza alcun adempimento; ragione per la quale, dunque, spetta alle Regioni dire in quali casi al segnalante sia consentito di realizzare subito il progetto ed in quali sia invece preferibile che l’amministrazione effettui prima il controllo.
La ricorrente ha posto in evidenza anche la criticità di tale scelta, nel caso in cui un soggetto inizi l’attività pur in assenza dei presupposti di legge, sulla base di una SCIA che contiene false dichiarazioni o che comunque è altrimenti errata.
Infatti, mentre nel settore commerciale, la cui regolamentazione spetta per competenza residuale alla Regione, l’immediato inizio di attività in assenza dei presupposti richiesti non sarebbe particolarmente grave, in quanto l’attivazione del potere inibitorio e di rimozione degli eventuali effetti dannosi medio tempore cagionati potrebbe essere idoneo a tutelare gli interessi protetti dalle normative, l’attività edilizia determina immediatamente una materiale alterazione del territorio, anche se gli interventi potrebbero essere poi rimossi. Tuttavia, il ripristino della situazione pregressa non sempre sarebbe possibile, sia sotto il profilo materiale (come ricavabile dall’art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, che si occupa dei profili sanzionatori di opere abusive in relazione alle quali non sia possibile il ripristino dello stato dei luoghi), sia per gli eccessivi costi che, pur se ricadenti sui privati trasgressori, risulterebbero nel concreto spesso non sostenibili dal privato che avrebbe l’obbligo di rimuovere gli effetti dannosi. Anche il meccanismo dell’esecuzione in danno rappresenterebbe una soluzione di disagevole attuazione pratica, come dimostra l’esperienza comune delle difficoltà che le amministrazioni incontrano nell’ottenere la demolizione degli interventi abusivi.
Secondo la Regione, sarebbe irrilevante la circostanza che gli interventi abusivamente eseguiti in assenza o in difformità dalla DIA siano sottoposti – in linea generale (e salvo eccezioni) – alla sola sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001. L’uso preventivo del potere inibitorio da parte delle amministrazioni comunali era infatti in grado di prevenire sia la commissione dell’abuso (cosa naturalmente preferibile, rispetto alla misura sanzionatoria successiva), con riferimento a tipologie di interventi che – per quanto non consentite nel caso concreto – fossero comunque astrattamente riconducibili all’ambito di applicabilità della DIA, sia il verificarsi dell’eventualità – ben più grave – in cui il privato presentasse una DIA per realizzare interventi che avrebbero invece richiesto il rilascio del permesso di costruire, attraverso il blocco dell’esecuzione dei lavori prima che questi avessero inizio.
La totale eliminazione della possibilità delle amministrazioni di operare un rapido esame preventivo dei progetti, allo scopo di impedire in radice la realizzazione degli abusi, sarebbe non solo una violazione della competenza regionale, ma anche una violazione del principio di ragionevolezza e di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97, primo comma, Cost., violazione che la Regione sarebbe legittimata ad impugnare in quanto si tradurrebbe in una limitazione della potestà legislativa regionale.
La Regione censura le disposizioni anche sotto il profilo della violazione dell’art. 9, secondo comma, Cost., in riferimento alla tutela del paesaggio, sia nei casi in cui la sanzione prevista sia solo economica, sia nei casi in cui si possa in astratto procedere all’intervento demolitorio, con la concreta possibilità che comunque il territorio risulti permanentemente danneggiato.
Infatti, solo una verifica preventiva sarebbe in grado di prevenire le violazioni e di corrispondere al precetto costituzionale, in quanto, anche per effetto degli accordi internazionali ai quali l’Italia ha aderito (quale la Convenzione europea del paesaggio), la tutela di esso è ormai strutturalmente connessa alla tutela del territorio.
D’altronde, il legislatore del 2005, che aveva sostituito alla «denuncia» la «dichiarazione di inizio attività» con la previsione di diverse regole di carattere generale, ritenute applicabili anche alla DIA edilizia (si pensi, ad esempio, alla previsione del potere di autotutela), avrebbe opportunamente mantenuto alcune peculiarità di quest’ultima, prevedendo la clausola di salvezza di cui alla vecchia formulazione dell’art. 19, comma 4 («restano ferme le disposizioni di legge vigenti che prevedono termini diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 per l’inizio dell’attività e per l’adozione da parte dell’amministrazione competente di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti»).
L’eliminazione di tale clausola dalla disposizione censurata determinerebbe un inammissibile sbilanciamento a favore dell’immediata definizione delle procedure abilitative edilizie, con un sacrificio irragionevole ed ingiustificato delle esigenze di tutela del territorio e di quelle organizzative delle stesse amministrazioni comunali, cui è affidato il potere di verifica. Le amministrazioni, attese le crescenti difficoltà di bilancio per i tagli alle risorse, si vedrebbero costrette ad «inseguire i cantieri», che potrebbero spuntare da un giorno all’altro sull’intero territorio comunale. A ciò andrebbe aggiunto il pregiudizio ulteriore alle posizioni dei terzi, che si vedano lesi dall’attività costruttiva. Peraltro, non sarebbe certo che l’automatica estensione delle regole generali della SCIA anche alla materia edilizia tuteli l’effettivo interesse del costruttore, che ha interesse a conoscere in tempi rapidi e definiti se può dare corso all’intervento, ma ha anche interesse ad operare in un quadro di regole sicure, conoscendo in anticipo se quanto sta realizzando è conforme a diritto. Di contro, l’immediato inizio dei lavori accentuerebbe il rischio che quanto è in corso di realizzazione venga in seguito ad incorrere nell’esercizio del potere inibitorio, con possibilità di danneggiare sia l’amministrazione sia il terzo.
In definitiva, la SCIA amplierebbe le criticità già presenti nel previgente sistema della DIA edilizia, la quale avrebbe già dato cattiva prova di sé (si veda Tar Lombardia, 7 luglio 2004, n. 3086).
Pertanto, ad avviso della Regione, l’applicazione della disposizione di cui all’art. 19 della legge n. 241 del 1990 (come modificato dall’art. 49, comma 4-bis, della 1egge n. 122 del 2010) alle ipotesi di DIA edilizia sarebbe costituzionalmente illegittima nella parte in cui consente di iniziare l’attività costruttiva alla data della presentazione della segnalazione (senza prevedere una clausola di salvezza per le diverse disposizioni previste per la DIA edilizia), per contrasto con l’art. 3 Cost., per violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, e con l’art. 97 Cost., per violazione del principio buon andamento dell’attività amministrativa.
Tale disposizione sarebbe anche illegittima per violazione degli artt. 114 e 118 Cost., nella misura in cui interferisce con i poteri di controllo di Comuni e Regioni sull’attività edilizia.
Inoltre, la Regione Emilia-Romagna ricorda che la riconduzione di tale disciplina alle materie della tutela della concorrenza e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettere e) ed m), Cost. (quale prevista dal citato art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010), è già stata censurata dalla stessa Regione ricorrente nel ricorso proposto avanti alla Corte costituzionale n. 106 del 2010.
26.— Per quanto attiene alla illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, lettera b), nella parte in cui – attraverso il nuovo comma 6-bis dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990 – introduce un termine breve di trenta giorni per la SCIA in materia edilizia, con riduzione del termine di verifica generale di sessanta giorni, la Regione Emilia-Romagna censura il fatto che il legislatore statale sarebbe intervenuto definendo aspetti di dettaglio della materia edilizia, con precetti destinati a trovare immediata applicazione, in deroga alle diverse previsioni normative regionali, in quanto l’art. 49, comma 4-ter, della legge n. 122 del 2010 stabilisce che la nuova disciplina della SCIA «sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale», con ciò violando le regole che limitano la potestà statale, concorrente con quella regionale, demandando alla prima la fissazione dei soli principi, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.
A tal proposito, la Regione Emilia-Romagna aveva già disciplinato la materia autonomamente, prevedendo un sistema articolato di controlli nel quale, oltre al termine di trenta giorni entro cui si provvede esclusivamente: a) a verificare la completezza della documentazione; b) ad accertare che la tipologia dell’intervento descritto e asseverato rientri nei casi previsti; c) a verificare la correttezza del calcolo del contributo di costruzione ed il relativo versamento, sono previsti termini più ampi (fino a dodici mesi dalla fine lavori) per il «controllo di merito dei contenuti dell’asseverazione allegata alla denuncia di inizio attività» (art. 11, commi 1 e 3, della 1egge della Regione Emilia-Romagna 25 novembre 2002, n. 31, recante «Disciplina generale dell’edilizia»). Quindi, la determinazione da parte della legge statale di un termine rigido entro il quale ogni controllo debba essere svolto impedirebbe alla Regione l’attività di adattamento delle norme alla concreta situazione locale, che costituisce una delle ragioni della potestà legislativa regionale.
27.— Sotto diverso profilo, la previsione del termine di trenta giorni risulterebbe anche irragionevole e contraria al principio di buon andamento dell’attività amministrativa.
Infatti, anche se il termine di verifica di trenta giorni era previsto in materia edilizia dall’art. 23 del d.P.R n. 380 del 2001, la disposizione aveva valenza regolamentare e, dopo la riforma del Titolo V, parte seconda, della Costituzione, i termini erano poi stati diversamente disciplinati dalla normativa regionale. Come già fatto cenno, la Regione Emilia-Romagna ha distinto i diversi tipi di controllo, con un termine più lungo per quelli comportanti accertamenti specifici e complessi. Quindi, l’imposizione di un termine unico di trenta giorni – oltretutto in una situazione in cui alle amministrazioni locali è precluso per limiti sia economici che giuridici di espandere il proprio organico – comprometterebbe in pratica l’effettiva possibilità di vigilare sull’attività edilizia, in violazione anche degli artt. 114 e 118 Cost.
La nuova regola sarebbe ulteriormente irragionevole e sproporzionata se si considera che l’art. 19 della legge n. 241 del 1990 prevede un termine di verifica più lungo per attività economiche di minor impatto, mentre per l’attività edilizia, il cui svolgimento è più delicato e potenzialmente foriero di danni irreversibili al territorio, si prevede un termine di verifica inferiore. Ne deriva, ad avviso della ricorrente Regione, l’ulteriore incostituzionalità della disciplina contestata per violazione degli artt. 3 e 97 Cost.
La norma apparirebbe illegittima e irrazionale anche sotto un ulteriore profilo, qualora dovesse risultare legittima per la SCIA edilizia la regola che consente l’immediato avvio dell’attività, prima di qualunque controllo. Infatti, la determinazione di un termine breve – comunque contestabile in quanto non permette una flessibile applicazione regionale – avrebbe potuto avere una sua logica quando esso aveva al contempo carattere dilatorio rispetto all’attività costruttiva, cioè quando soltanto allo scadere di tale termine il privato poteva concretamente dare avvio alle opere. Ma se si ammette che anche in materia edilizia è possibile dare sempre e comunque immediato avvio all’attività, contestualmente alla presentazione della segnalazione, allora la riduzione del termine da sessanta a trenta giorni non avrebbe più alcuna reale utilità per il privato, in quanto non servirebbe a ridurre alcun termine dilatorio; di contro, tale riduzione avrebbe solo l’effetto di limitare ingiustificatamente i poteri di verifica della pubblica amministrazione nel controllo del territorio.
In sintesi, ad avviso della Regione Emilia-Romagna, sarebbero illegittime, per violazione del riparto costituzionale delle competenze legislative nella materia e per irragionevolezza, che porta alla compromissione di valori fondamentali, sia la regola che consente l’immediato avvio dell’attività edilizia, sia la regola che costringe i controlli nel termine irrazionalmente breve di trenta giorni: ma la seconda risulterebbe ancor più irrazionale, qualora si consideri la vigenza della prima.
28.— Si è costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto la introdotta normativa si sottrarrebbe alle proposte censure di legittimità costituzionale. Contrariamente a quanto affermato dalla Regione Emilia-Romagna, l’intervento normativo sarebbe attinente alla materia dei livelli essenziali delle prestazioni e pertanto rientrerebbe nella competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., anche alla luce del dettato dell’art. 29 della legge n. 241 del 1990, il cui richiamo alla DIA deve intendersi effettuato, per effetto del comma 4-ter dell’art. 49 del d.l. n. 78 del 2010, alla “segnalazione certificata di inizio attività”. D’altra parte, la disciplina della SCIA risponderebbe all’esigenza di dettare un procedimento uniforme su tutto il territorio nazionale per regolare lo svolgimento delle attività economiche ed è tutt’altro che disciplina di dettaglio.
Inoltre, anche qualora si volesse ritenere che la norma afferisca al settore dell’edilizia, come tale rientrante nella materia “governo del territorio”, la questione di legittimità sarebbe ugualmente infondata. Infatti, in tale ambito le Regioni esercitano la propria potestà legislativa nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale e senza dubbio la definizione dei titoli abilitativi e del regime autorizzatorio delle attività edilizie rappresenterebbe una disciplina di principio, che dovrebbe valere in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. Ciò, in particolare, con riferimento alle norme che disciplinano modalità e tempi del procedimento di verifica della conformità alla normativa urbanistica ed edilizia, al fine di assicurare l’efficienza dell’istituto.
Pertanto, a parere della difesa dello Stato, sarebbero non fondate anche le lamentate violazioni degli artt. 9 e 97 Cost. Le disposizioni censurate avrebbero per obiettivo la liberalizzazione dell’attività di impresa e sarebbero dirette a salvaguardare valori costituzionali di primaria importanza, quali la libertà di impresa, la tutela della concorrenza e l’imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione: la semplificazione procedimentale sarebbe finalizzata a favorire la ripresa e lo sviluppo del sistema produttivo nazionale nella competitività delle imprese, ed in vista di tale superiore interesse nazionale sarebbe necessaria la subordinazione delle potestà legislative degli enti territoriali. In tale ottica si collocherebbe la norma di interpretazione contenuta nell’art. 5, comma 1, lettera b), del decreto-legge impugnato.
La SCIA realizzerebbe il passaggio dal principio autoritativo a quello dell’auto-responsabilizzazione del privato e le criticità evidenziate dalla Regione ricorrente, in merito al possibile inizio dell’attività nella carenza dei presupposti di legge in presenza di una SCIA contenente erronee o false dichiarazioni, sarebbero attinenti a valutazioni di merito rimesse alla discrezionalità del legislatore, il quale avrebbe operato un bilanciamento tra una pluralità di interessi contrapposti.
Anche la riduzione dei termini entro i quali l’amministrazione dovrà effettuare i controlli sarebbe ragionevole e conforme ai principi costituzionali: la modifica normativa non sacrificherebbe le esigenze di controllo, ma mirerebbe ad assicurare un intervento più tempestivo ed efficace della pubblica amministrazione a salvaguardia sia degli interessi produttivi (che potrebbero essere pregiudicati dai tempi lunghi del procedimento), sia del buon governo del territorio (che, anch’esso, riceverebbe pregiudizio da controlli tardivi rispetto ai tempi di svolgimento dell’attività).
29.— Le parti ricorrenti e la difesa dello Stato hanno depositato memorie, finalizzate ad illustrare e a ribadire gli argomenti esposti nei ricorsi e negli atti di costituzione.
Considerato in diritto
1.— La Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, la Regione Toscana, la Regione Liguria, la Regione Emilia Romagna e la Regione Puglia, con i distinti ricorsi indicati in epigrafe e richiamati in narrativa, hanno sollevato, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 49, commi 4-bis e 4-ter, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge di conversione 30 luglio 2010, n. 122.
La Regione Emilia-Romagna, poi, con un secondo ricorso, ha chiesto che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 5, comma 1, lettera b), e del medesimo articolo 5, comma 2, lettere b) e c), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, «nella parte in cui tale articolo conferma o dispone l’applicabilità della SCIA alla materia edilizia e nella parte in cui – attraverso il nuovo comma 6-bis dell’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) – introduce un termine breve di trenta giorni per l’adozione dei provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti della SCIA in materia edilizia», per violazione degli articoli 3, 9, 97, 114, 117 e 118 della Costituzione.
Riservata a separate pronunce la decisione sulle impugnazioni delle altre norme contenute nel suddetto d.l. n. 78 del 2010, proposte dalle ricorrenti, vengono qui in esame le questioni di legittimità costituzionale relative al citato art. 49, commi 4-bis e 4-ter, nonché le questioni concernenti l’art. 5, comma 1, lettera b), e comma 2, lettere b) e c), del d.l. n. 70 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011, nei termini dianzi indicati.
2.— I ricorsi di cui sopra censurano, con argomentazioni in parte nella sostanza coincidenti e in parte connesse, le stesse norme. I relativi giudizi, dunque, devono essere riuniti per essere definiti con unica sentenza.
3.— La Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, in particolare, censura, tra gli altri, l’art. 49, comma 4-ter, del d. l. n. 78 del 2010, poi convertito, nella parte in cui, qualificando la disciplina della «Segnalazione certificata di inizio attività» (d’ora in avanti, SCIA), contenuta nel comma 4-bis, che modifica l’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), come attinente alla tutela della concorrenza, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e costituente livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della successiva lettera m), e prevedendo che «le espressioni “segnalazione certificata di inizio attività” e “SCIA” sostituiscono, rispettivamente, quelle di “dichiarazione di inizio attività” e “DIA”», stabilisce che la nuova disciplina sulla SCIA si sostituisce a quella già esistente in materia di DIA, modificando non soltanto la normativa statale previgente ma anche quella regionale.
In tal guisa sarebbero violate: a) le competenze regionali nelle materie dell’industria, del commercio e dell’artigianato, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., e dunque anche la competenza legislativa della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, in virtù della clausola di cui all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione); b) le competenze regionali statutarie nelle materie «artigianato» e «industria alberghiera, turismo e tutela del paesaggio», e nell’emanazione di norme legislative di integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica nella materia «industria e commercio»», previste dagli artt. 2, primo comma, lettere p) e q), e 3, primo comma, lettera a), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta); c) la competenza regionale in materia «urbanistica, piani regolatori per zone di particolare importanza turistica», prevista dall’art. 2, primo comma, lettera g), dello statuto speciale, se la normativa censurata fosse ritenuta applicabile ad aspetti riconducibili alla pianificazione territoriale.
In subordine, resterebbe altresì violato il principio di leale collaborazione.
3.1.— La Regione Toscana impugna, tra gli altri, l’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del citato d.l. n. 78 del 2010, poi convertito in legge, nella parte in cui, qualificando la disciplina della SCIA come attinente alla tutela della concorrenza e costituente livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, e prevedendo che «le espressioni “segnalazione certificata di inizio attività” e “SCIA” sostituiscono, rispettivamente, quelle di “dichiarazione di inizio attività” e “DIA”», stabilisce che la nuova disciplina sulla SCIA si sostituisce a quella esistente in tema di DIA, modificando non solo la previgente normativa statale ma anche quella regionale.
In particolare, tale disciplina consentirebbe al privato di iniziare l’attività edilizia senza attendere alcun termine, restando alla pubblica amministrazione solo il potere di intervenire successivamente, quando i lavori sono già avviati (o anche finiti), con un danno urbanistico ormai prodotto. Sarebbero così violate le competenze regionali nella materia del «governo del territorio», ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., introducendo una disciplina di dettaglio sui tempi di svolgimento dell’attività edilizia, senza permettere più un controllo preventivo della pubblica amministrazione.
Inoltre, sarebbe violato l’art. 121, secondo comma, Cost., perché il legislatore statale non potrebbe intervenire direttamente ad abrogare e sostituire norme approvate dal Consiglio regionale, spettando a quest’ultimo adeguarsi ai nuovi principi posti dal legislatore statale.
Le disposizioni impugnate, per giustificare l’intervento legislativo dello Stato, richiamano la tutela della concorrenza e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lettere e ed m). Tuttavia, fermo il punto che – ai fini del giudizio di legittimità costituzionale – la qualificazione legislativa non vale ad attribuire alla norma una natura diversa da quella ad esse propria, quale risulta dalla loro oggettiva sostanza, risulterebbe evidente che la SCIA “edilizia” non è uno strumento per tutelare la concorrenza, mentre non pertinente sarebbe il riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., poiché la disciplina della SCIA “edilizia” non fisserebbe un livello essenziale delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale.
Infine, la normativa de qua violerebbe anche il principio di leale collaborazione.
3.2.— La Regione Liguria, a sua volta, impugna l’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del d.l. n.78 del 2010, poi convertito in legge.
Il comma 4-bis è censurato nella parte in cui, con riferimento ad ambiti non edilizi, prevedendo dettagliatamente i moduli procedimentali destinati a sostituire in modo automatico tutte le discipline regionali in materia di DIA e le modalità d’intervento attraverso l’esercizio del potere d’inibizione e di conformazione dell’attività, violerebbe spazi di legislazione regionale residuale, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., in particolare con riferimento a commercio, artigianato, turismo e attività produttive in genere, nonché i poteri di controllo delle amministrazioni locali rimessi dall’art. 114, secondo comma, Cost., all’autonomia dei poteri degli enti locali, e le funzioni amministrative dei Comuni disposte dall’art. 118, primo comma, Cost. Inoltre, con riferimento all’ambito edilizio, prevedendo la possibilità di iniziare l’attività costruttiva alla data di presentazione della segnalazione, senza stabilire una clausola di salvezza per le diverse disposizioni previste per la DIA edilizia, la disposizione censurata violerebbe l’art. 3 Cost., con riguardo ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, nonché l’art. 97, primo comma, Cost., con riguardo al principio di buon andamento dell’attività amministrativa, per determinare un inammissibile sbilanciamento a favore dell’interesse ad una rapida definizione delle procedure abilitative edilizie, con sacrificio delle esigenze della tutela del territorio e dell’organizzazione delle stesse amministrazioni cui è affidato il potere di verifica.
Con riferimento al comma 4-ter, detta norma, qualificando la disciplina della SCIA come attinente alla tutela della concorrenza e costituente livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, nonché stabilendo che la nuova disciplina sulla SCIA si sostituisce a quella già esistente in tema di DIA, con conseguente modifica non soltanto della previgente normativa statale ma anche regionale, violerebbe le competenze regionali quali il governo del territorio, la tutela della salute, l’ordinamento degli uffici regionali, l’artigianato, il turismo, il commercio, in forza dell’art. 117, commi terzo e quarto, Cost.
3.3.— La Regione Emilia-Romagna impugna l’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del menzionato decreto-legge, poi convertito, nella parte in cui, con riferimento agli ambiti non edilizi, prevedendo dettagliatamente i moduli procedimentali destinati a sostituire in modo automatico tutte le discipline regionali in materia di DIA e le modalità di intervento mediante esercizio del potere di inibizione e di conformazione dell’attività, violerebbe sfere di legislazione residuale regionale ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., segnatamente con riferimento a commercio, turismo e attività produttive in genere, nonché i poteri di controllo delle amministrazioni locali rimessi dall’art. 114, secondo comma, Cost., all’autonomia degli enti locali, ed anche le funzioni amministrative dei Comuni di cui all’art. 118, primo comma, Cost.
Inoltre, con riferimento all’ambito edilizio, la normativa censurata, prevedendo la possibilità d’iniziare l’attività costruttiva alla data di presentazione della segnalazione (senza introdurre una clausola di salvezza per le diverse disposizioni stabilite per la DIA edilizia), violerebbe l’art. 3 Cost. con riferimento ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, nonché l’art. 97, primo comma, Cost., con riguardo al principio di buon andamento dell’attività amministrativa, determinando un inammissibile sbilanciamento a favore dell’interesse ad una rapida definizione delle procedure abitative edilizie, con sacrificio delle esigenze di tutela del territorio e dell’organizzazione delle stesse amministrazioni, cui è affidato il potere di verifica. Sarebbero poi violati gli artt. 114 e 118 Cost., nella misura in cui la normativa de qua interferisce con i poteri di controllo di Comuni e Regioni sull’attività edilizia.
Quanto al citato art. 49, comma 4-ter, esso – nella parte in cui, qualificando la disciplina della SCIA, contenuta nel comma 4-bis, come attinente alla tutela della concorrenza e costituente livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lettere e ed m, Cost.), stabilisce che la nuova disciplina sulla SCIA si sostituisce a quella già esistente in materia di DIA, modificando non soltanto la previgente normativa statale, ma anche quella regionale – si porrebbe in violazione delle competenze regionali, quali il governo del territorio, la tutela della salute, l’ordinamento degli uffici regionali, l’artigianato, il turismo e il commercio, ai sensi dell’art. 117, commi terzo e quarto, Cost.
3.4.— La Regione Puglia censura l’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, sopra citati, perché, qualificando la disciplina della SCIA come attinente alla tutela della concorrenza e costituente livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., riferendosi ad attività non aventi rilievo economico-imprenditoriale, ma destinate a regolare rapporti tra operatori economici e pubblica amministrazione a fini di semplificazione, nonché l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., non trattandosi di specifici diritti dei soggetti a determinate prestazioni. Inoltre, la menzionata normativa statale, nella parte in cui prevede che la nuova disciplina sulla SCIA si sostituisca a quella già esistente in tema di DIA, modificando non soltanto la previgente disciplina statale, ma anche quella regionale, si porrebbe in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto non si limiterebbe a porre principi fondamentali nella materia «governo del territorio», ma detterebbe una disciplina della quale il legislatore regionale potrebbe soltanto prendere atto, senza margini di adeguamento alla realtà regionale.
3.5.— Infine, la Regione Emilia-Romagna, con un secondo ricorso, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, lettera b), e comma 2, lettere b) e c), del d.l. n. 70 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011, «nella parte in cui tale articolo conferma o dispone l’applicabilità della SCIA alla materia edilizia e nella parte in cui – attraverso il nuovo comma 6-bis dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990 – introduce un termine breve di trenta giorni per l’adozione dei provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti della SCIA in materia edilizia».
Ad avviso della ricorrente, detta normativa violerebbe: a) l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto introduce la disposizione che consente l’avvio immediato dell’attività con la segnalazione dell’inizio di questa e che disciplina le modalità di funzionamento della SCIA, mediante regole di dettaglio precluse allo Stato nella materia del governo del territorio, demandata alla competenza legislativa concorrente; b) l’art. 3 Cost., per contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità, e l’art. 97, primo comma Cost., per violazione del principio di buon andamento dell’attività amministrativa, in quanto si tradurrebbe nella limitazione della potestà legislativa regionale, perché sarebbe eliminata la possibilità delle amministrazioni di operare un rapido esame preventivo dei progetti. Pertanto, verrebbe meno, in modo irragionevole, la possibilità d’impedire la realizzazione di eventuali abusi, in contrasto col principio di buon andamento dell’amministrazione, in quanto non sarebbe stata conservata la clausola di salvezza prevista dalla vecchia formulazione dell’art. 19, comma 4, della legge n. 241 del 1990 («Restano ferme le disposizioni di legge vigenti che prevedono termini diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 per l’inizio dell’attività e per l’adozione da parte dell’amministrazione competente di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti»), così escludendo questa pur lieve forma di tutela; c) l’art. 9, secondo comma, Cost., per contrasto con l’esigenza costituzionale di tutela del paesaggio, connessa alla tutela del territorio per effetto di accordi internazionali ai quali l’Italia ha prestato adesione.
Inoltre, l’art. 5, comma 2, lettera b), del d. l. n. 70 del 2011, poi convertito in legge, nella parte in cui ha introdotto un termine breve di trenta giorni per l’adozione dei provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti della SCIA in materia edilizia, si porrebbe in contrasto: con l’art. 117, terzo comma, Cost., per aver travalicato la potestà legislativa statale che, essendo concorrente con quella regionale, sarebbe limitata alla determinazione dei principi fondamentali della materia; con gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto la previsione del termine di trenta giorni sarebbe irragionevole e contraria al principio di buon andamento dell’attività amministrativa, dal momento che l’art. 19 della legge n. 241 del 1990 contemplerebbe ora un termine di verifica più lungo per attività economiche di minor impatto ed uno inferiore per l’attività edilizia, il cui svolgimento sarebbe più delicato e potenzialmente foriero di danni irreversibili per il territorio; con gli artt. 114 e 118 Cost., in quanto la riduzione del termine avrebbe il solo effetto di limitare, senza giustificazione, i poteri di verifica della pubblica amministrazione nel controllo del territorio, interferendo con i poteri di controllo di Comuni e Regioni sull’attività edilizia.
4.— In via preliminare la difesa dello Stato ha eccepito il carattere tardivo dei ricorsi, proposti «avverso le norme del decreto-legge non modificate in sede di conversione e quindi, in ipotesi, immediatamente lesive».
L’eccezione non è fondata.
L’efficacia immediata, propria del decreto-legge, e il conseguente carattere lesivo che esso può assumere, lo rendono impugnabile in via immediata da parte delle Regioni. È pur vero, però, che soltanto con la legge di conversione il detto provvedimento legislativo acquisisce stabilità (art. 77, terzo comma, Cost.). In tale contesto, come questa Corte ha più volte affermato, la Regione può, a sua scelta, impugnare tanto il solo decreto legge, quanto la sola legge di conversione, quanto entrambi (ex plurimis: sentenze n. 298 del 2009, n. 443 del 2007, n. 417 del 2005, n. 25 del 1996).
5.— Nel merito, le questioni non sono fondate.
L’art. 49, comma 4-bis, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, sostituisce il testo dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, ora recante la rubrica «Segnalazione certificata di inizio di attività – SCIA».
Il comma 1 del testo novellato (testo risultante anche da alcune modifiche introdotte con provvedimenti successivi, tra i quali il decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge, 12 luglio 2011, n. 106) stabilisce che «Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria».
La disposizione prosegue specificando gli atti che devono essere prodotti a corredo della segnalazione e dispone che quest’ultima, con i relativi allegati, può essere presentata mediante posta raccomandata con avviso di ricevimento, ad eccezione dei procedimenti per cui è previsto l’utilizzo esclusivo della modalità telematica; in tal caso la segnalazione si considera presentata al momento della ricezione da parte dell’amministrazione.
Il comma 2 stabilisce che «L’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione all’amministrazione competente».
Il comma 3 aggiunge che «L’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. È fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci, l’amministrazione, ferma restando l’applicazione delle sanzioni penali di cui al comma 6, nonché di quelle di cui al capo VI del Testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa – Testo A), può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo periodo».
Seguono, poi, altri commi, fino al 6-ter, tra i quali vanno richiamati i commi 4 e 6-bis, quest’ultimo aggiunto dall’art. 5, comma 2, lettera b), numero 2), del d.l. n. 70 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, poi ancora modificato dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 6 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148.
Il citato comma 4 stabilisce che «Decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3 ovvero di cui al comma 6-bis, all’amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente». Il comma 6-bis dispone che «Nei casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico- edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali».
Il comma 4-ter del citato art. 49 del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, a sua volta statuisce che «Il comma 4-bis attiene alla tutela della concorrenza ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lettera m) del medesimo comma. Le espressioni “segnalazione certificata di inizio attività” e “Scia” sostituiscono, rispettivamente, quelle di “dichiarazione di inizio di attività” e “Dia”, ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione più ampia, e la disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale».
6.— La «segnalazione certificata d’inizio attività» (d’ora in avanti, SCIA) si pone in rapporto di continuità con l’istituto della DIA, che dalla prima è stato sostituito. La DIA («denuncia di inizio attività») fu introdotta nell’ordinamento italiano con l’art. 19 della legge n. 241 del 1990, inserito nel capo IV di detta legge, dedicato alla «Semplificazione dell’azione amministrativa». Successivamente, con l’entrata in vigore del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato, nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, essa assunse la denominazione di «dichiarazione di inizio attività».
Scopo dell’istituto era quello di rendere più semplici le procedure amministrative indicate nella norma, alleggerendo il carico degli adempimenti gravanti sul cittadino. In questo quadro s’iscrive anche la SCIA, del pari finalizzata alla semplificazione dei procedimenti di abilitazione all’esercizio di attività per le quali sia necessario un controllo della pubblica amministrazione.
Il principio di semplificazione, ormai da gran tempo radicato nell’ordinamento italiano, è altresì di diretta derivazione comunitaria (Direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno, attuata nell’ordinamento italiano con decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59). Esso, dunque, va senza dubbio catalogato nel novero dei principi fondamentali dell’azione amministrativa (sentenze n. 282 del 2009 e n. 336 del 2005).
7.— I ricorsi in esame censurano la normativa impugnata nella parte in cui, qualificando la disciplina della SCIA, contenuta nell’art. 49, comma 4-bis, come attinente alla tutela della concorrenza ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e costituente livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali a norma dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., ha stabilito che la nuova disciplina si sostituisca a quella già esistente in tema di DIA (art. 49, comma 4-ter), modificando non soltanto la previgente disciplina statale ma anche quella regionale. In tal modo la detta normativa avrebbe interessato ambiti di legislazione regionale, ai sensi dell’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., quali la tutela della salute, l’ordinamento degli uffici regionali, l’artigianato, il commercio, oltre alle materie riservate dallo statuto di autonomia alla potestà legislativa primaria della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste.
8.— Nella giurisprudenza di questa Corte si è più volte affermato che, ai fini del giudizio di legittimità costituzionale, la qualificazione legislativa non vale ad attribuire alle norme una natura diversa da quelle ad esse propria, quale risulta dalla loro oggettiva sostanza. Per individuare la materia alla quale devono essere ascritte le disposizioni oggetto di censura, non assume rilievo la qualificazione che di esse dà il legislatore, ma occorre fare riferimento all’oggetto e alla disciplina delle medesime, tenendo conto della loro ratio e tralasciando gli effetti marginali e riflessi, in guisa da identificare correttamente anche l’interesse tutelato (ex plurimis: sentenze n. 207 del 2010; n. 1 del 2008; n. 169 del 2007; n. 447 del 2006; n. 406 e n. 29 del 1995).
In questo quadro, il richiamo alla tutela della concorrenza, effettuato dal citato art. 49, comma 4-ter, oltre ad essere privo di efficacia vincolante, è anche inappropriato. Infatti, la disciplina della SCIA, con il principio di semplificazione ad essa sotteso, si riferisce ad «ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli stessi».
Detta disciplina, dunque, ha un ambito applicativo diretto alla generalità dei cittadini e perciò va oltre la materia della concorrenza, anche se è ben possibile che vi siano casi nei quali quella materia venga in rilievo. Ma si tratta, per l’appunto, di fattispecie da verificare in concreto (per esempio, in relazione all’esigenza di eliminare barriere all’entrata nel mercato).
Invece, a diverse conclusioni deve pervenirsi con riferimento all’altro parametro evocato dall’art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, poi convertito in legge.
Detta norma stabilisce che la disciplina della SCIA, di cui al precedente comma 4-bis, costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Analogo principio, con riferimento alla DIA, era stato affermato dall’art. 29, comma 2-ter, della legge n. 241 del 1990, come modificato dall’art. 10, comma 1, lettera b), della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), poi ancora modificato dall’art. 49, comma 4, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito in legge.
Tale autoqualificazione, benché priva di efficacia vincolante per quanto prima rilevato, si rivela corretta.
Al riguardo, va rimarcato che l’affidamento in via esclusiva alla competenza legislativa statale della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni è prevista in relazione ai «diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Esso, dunque, si collega al fondamentale principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. La suddetta determinazione è strumento indispensabile per realizzare quella garanzia.
In questo quadro, si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «l’attribuzione allo Stato della competenza esclusiva e trasversale di cui alla citata disposizione costituzionale si riferisce alla determinazione degli standard strutturali e qualitativi di prestazioni che, concernendo il soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti, con carattere di generalità, a tutti gli aventi diritto» (sentenze n. 322 del 2009; n. 168 e n. 50 del 2008; n. 387 del 2007).
Questo titolo di legittimazione dell’intervento statale è invocabile «in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione» (sentenza n. 322 del 2009, citata; e sentenze n. 328 del 2006; n. 285 e n.120 del 2005), e con esso è stato attribuito «al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto» (sentenze n.10 del 2010 e n. 134 del 2006).
Si tratta, quindi, come questa Corte ha precisato, non tanto di una “materia” in senso stretto, quanto di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, in relazione alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle (sentenze n. 322 del 2009 e n. 282 del 2002).
Alla stregua di tali principi, la disciplina della SCIA ben si presta ad essere ricondotta al parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Tale parametro permette una restrizione dell’autonomia legislativa delle Regioni, giustificata dallo scopo di assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti civili e sociali tutelati dalla stessa Costituzione. In particolare, «la ratio di tale titolo di competenza e l’esigenza di tutela dei diritti primari che è destinato a soddisfare consentono di ritenere che esso può rappresentare la base giuridica anche della previsione e della diretta erogazione di una determinata provvidenza, oltre che della fissazione del livello strutturale e qualitativo di una data prestazione, al fine di assicurare più compiutamente il soddisfacimento dell’interesse ritenuto meritevole di tutela (sentenze n. 248 del 2006, n. 383 e n. 285 del 2005), quando ciò sia reso imprescindibile, come nella specie, da peculiari circostanze e situazioni, quale una fase di congiuntura economica eccezionalmente negativa» (sentenza n. 10 del 2010, punto 6.3. del Considerato in diritto).
Orbene – premesso che l’attività amministrativa può assurgere alla qualifica di “prestazione”, della quale lo Stato è competente a fissare un livello essenziale a fronte di uno specifico diritto di individui, imprese, operatori economici e, in genere, soggetti privati – la normativa qui censurata prevede che gli interessati, in condizioni di parità su tutto il territorio nazionale, possano iniziare una determinata attività (rientrante nell’ambito del citato comma 4-bis), previa segnalazione all’amministrazione competente. Con la presentazione di tale segnalazione, il soggetto può dare inizio all’attività, mentre l’amministrazione, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti legittimanti, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione (trenta giorni nel caso di SCIA in materia edilizia), adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salva la possibilità che l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione.
Al soggetto interessato, dunque, si riconosce la possibilità di dare immediato inizio all’attività (è questo il principale novum della disciplina in questione), fermo restando l’esercizio dei poteri inibitori da parte della pubblica amministrazione, ricorrendone gli estremi. Inoltre, è fatto salvo il potere della stessa pubblica amministrazione di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990.
Si tratta di una prestazione specifica, circoscritta all’inizio della fase procedimentale strutturata secondo un modello ad efficacia legittimante immediata, che attiene al principio di semplificazione dell’azione amministrativa ed è finalizzata ad agevolare l’iniziativa economica (art. 41, primo comma, Cost.), tutelando il diritto dell’interessato ad un sollecito esame, da parte della pubblica amministrazione competente, dei presupposti di diritto e di fatto che autorizzano l’iniziativa medesima.
9.— Le considerazioni fin qui svolte vanno applicate anche alla SCIA in materia edilizia, come ormai in modo espresso dispone l’art. 5, comma 1, lettera b), e comma 2, lettere b) e c), del d.l. n. 70 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011, entro i limiti e con le esclusioni previsti.
Infatti, ribadito che la normativa censurata riguarda soltanto il momento iniziale di un intervento di semplificazione procedimentale, e precisato che la SCIA non si sostituisce al permesso di costruire (i cui ambiti applicativi restano disciplinati in via generale dal d.P.R. n. 380 del 2001), non può porsi in dubbio che le esigenze di semplificazione e di uniforme trattamento sull’intero territorio nazionale valgano anche per l’edilizia. È ben vero che questa, come l’urbanistica, rientra nel «governo del territorio», materia appartenente alla competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni (art. 117, terzo comma, Cost.).
Tuttavia, a prescindere dal rilievo che in tale materia spetta comunque allo Stato dettare i principi fondamentali (nel cui novero va ricondotta la semplificazione amministrativa), è vero del pari che nel caso di specie, sulla base degli argomenti in precedenza esposti, il titolo di legittimazione dell’intervento statale nella specifica disciplina della SCIA si ravvisa nell’esigenza di determinare livelli essenziali di prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, compreso quello delle Regioni a statuto speciale. In altri termini, si è in presenza di un concorso di competenze che, nella fattispecie, vede prevalere la competenza esclusiva dello Stato, essendo essa l’unica in grado di consentire la realizzazione dell’esigenza suddetta.
10.— Infine, è stata dedotta dalle ricorrenti la violazione del principio di leale collaborazione. La deduzione, tuttavia, non è fondata, perché, pur volendo prescindere dal carattere assorbente delle considerazioni che precedono, costituisce «giurisprudenza pacifica di questa Corte che l’esercizio dell’attività legislativa sfugge alle procedure di leale collaborazione» (così, da ultimo, sentenze n. 371 e 222 del 2008, e n. 401 del 2007).
11.— Conclusivamente, la riconduzione della disciplina in esame all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. comporta la non fondatezza delle questioni, sotto tutti i profili, in quanto la normativa censurata rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.