SENTENZA N. 199
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Paolo MADDALENA; Giudici : Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 18, comma 1, lettera b), del decreto- legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria) e dell’art. 2, comma 104, lettera b), della legge 24 novembre 2006, n. 286 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), promosso dal Tribunale di Bari, nel procedimento vertente tra la Fondazione Lirico-Sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari e Messeni Nemagna Maria ed altre, con ordinanza del 19 marzo 2010 iscritta al n. 267 del registro ordinanze 2010, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visti gli atti di costituzione della Fondazione Lirico-Sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari, di Messeni Nemagna Maria ed altre, del Comune di Bari nonché gli atti di intervento di Messeni Nemagna Vittoria, di Costantino Michele, di Paccione Luigi ed altro, fuori termine, e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 10 maggio 2011 il Giudice relatore Paolo Grossi;
uditi gli avvocati Roberto Savino per la Fondazione Lirico-Sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari, Pierluigi Balducci e Renato Verna per il Comune di Bari, Ascanio Amenduni per Messeni Nemagna Maria ed altre, Franco Gagliardi La Gala per Messeni Nemagna Vittoria, Michele Costantino per sé medesimo e l’avvocato dello Stato Giuseppe Albenzio per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Con ordinanza del 19 marzo 2010 (r.o. n. 267 del 2010), il Tribunale di Bari ha sollevato – in riferimento all’art. 77, secondo comma, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, lettera b), del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria) nonché dell’art. 2, comma 104, lettera b), della legge 24 novembre 2006, n. 286 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria).
Le norme denunciate dispongono, con un identico testo, l’abrogazione dell’art. 1, comma 6, della legge 11 novembre 2003, n. 310 (Costituzione della «Fondazione lirico-sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari», con sede in Bari, nonché disposizioni in materia di pubblici spettacoli, fondazioni lirico-sinfoniche e attività culturali).
Dopo aver esposto in premessa – «letti gli atti del procedimento civile n. 9390/08» – alcune osservazioni sulla non fondatezza di «eccezioni pregiudiziali e preliminari svolte dagli opponenti», il Giudice rimettente individua nei seguenti termini quelli che definisce «i punti salienti della controversia»: a) «in base al Protocollo d’intesa, stipulato il 21 novembre 2002, dai proprietari del teatro [Petruzzelli di Bari] e dagli enti territoriali», una costituenda Fondazione avrebbe dovuto corrispondere ai proprietari, nell’ipotesi di ritardo nella ricostruzione, «a partire dal quinto anno», una determinata indennità, «che forma oggetto della domanda di pagamento azionata in sede monitoria»; b) la Fondazione, «prevista dal Protocollo come risultato di una scelta di autonomia privata, è stata costituita con legge 11 novembre 2003, n. 310, come Fondazione lirico-sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari»; c) la legge istitutiva – che «ha recepito la scelta di autonomia privata degli enti territoriali e dei proprietari attraverso una disciplina di diritto pubblico» – ha stabilito espressamente (all’art. 1, comma 6) che la Fondazione medesima acquisisse «il diritto di uso esclusivo del Teatro Petruzzelli, in conformità» al predetto Protocollo d’intesa; d) attraverso questo «meccanismo legale», il Protocollo, «già di per sé valido ed efficace, ha continuato a spiegare i suoi effetti anche in virtù del richiamo operato» dalla legge istitutiva; e) la Fondazione «è destinata, come previsto dal Protocollo, ad assumere la gestione del teatro per 40 anni», con assunzione dei corrispettivi obblighi previsti, anche in quanto «divenuta destinataria dei fondi stanziati» per la ricostruzione del teatro; f) la Fondazione medesima, «istituita per legge anche al fine di dare attuazione al Protocollo», «una volta divenuta operativa», è incontestabilmente «divenuta titolare anche dell’obbligo di pagamento del canone di concessione»; g) l’art. 18, commi 2 e 3, del decreto-legge n. 262 del 2006, come sostituito, ha determinato «l’effetto di rimuovere il presupposto stesso del Protocollo d’intesa, vale a dire la proprietà privata del teatro», con l’ulteriore effetto di «caducare l’intero Protocollo» e di rendere «impossibile l’attuazione del rapporto contrattuale», nei suoi diversi contenuti; h) l’art. 18, comma 1, del richiamato decreto-legge n. 262 del 2006 ha, correlativamente, abrogato la norma («stabilente il collegamento tra Fondazione e Protocollo») relativa all’uso esclusivo del teatro, «proprio per l’impossibilità, a causa dell’espropriazione del bene, di continuare a ritenere operante il negozio di concessione in uso del teatro»; i) la declaratoria di illegittimità costituzionale, di cui alla sent. n. 128 del 2008, delle disposizioni sull’esproprio ha, invece, fatto sì che «lo stesso Protocollo» abbia «ripreso efficacia quale atto regolatore degli interessi delle parti in ordine alla ricostruzione e all’uso del teatro»; l) su istanza dei proprietari, il Tribunale ha emesso «a carico della Fondazione il decreto ingiuntivo, qui opposto, per il pagamento della indennità concordata nel Protocollo»; m) nella pronuncia caducatoria delle disposizioni sull’esproprio, la Corte «non ha preso in esame la disposizione collegata del comma 1 dell’art. 18 d.l. cit.», abrogativa della norma che aveva attribuito alla Fondazione i diritti di uso esclusivo del teatro; cosicché, «una volta ristabilita la situazione antecedente alla espropriazione del teatro», «è incontestabile» che detta disposizione abrogativa «non abbia più ragione di operare».
Da questo contesto deriverebbe la rilevanza della questione, in relazione a una disposizione, come quella denunciata, per l’appunto «risultata priva di ogni giustificazione a seguito della dichiarazione di incostituzionalità delle norme sull’esproprio». La rilevanza risulterebbe, del resto, «confermata» dalla circostanza secondo cui «la stessa Fondazione opponente ha negato la propria legittimazione, assumendo di non essere la Fondazione prevista dal Protocollo e di non essere (più) vincolata al rispetto del Protocollo».
A giudizio del rimettente, infatti, l’abrogazione della norma sull’uso esclusivo del teatro «non consente più di identificare nella Fondazione realmente istituita (per legge) il soggetto dei diritti e degli obblighi nascenti dal Protocollo», anche considerato che a quest’ultimo le parti non hanno dato seguito proprio «in quanto è intervenuta la legge n. 310/2003», alla quale esse, «in via sussidiaria ma obbligata, hanno fatto riferimento, esercitando in concreto le facoltà previste dal Protocollo».
«Venuta meno la norma» che destinava la Fondazione alla gestione del teatro «in conformità al Protocollo», sarebbe «caduto il presupposto per la ulteriore operatività del complessivo regolamento negoziale avente origine dal Protocollo stesso», anche perché «le parti, nel darvi attuazione, si sono conformate alla disciplina legislativa», esercitando «le facoltà previste dal Protocollo in conformità degli schemi di detta disciplina»: la quale, secondo il rimettente, «non avrebbe dovuto essere rimossa per le stesse ragioni per le quali non avrebbe dovuto essere disposto l’esproprio del teatro».
Né sembrerebbe consentito ritenere che, «malgrado la abrogazione della norma di collegamento al Protocollo, la richiamata disciplina sia divenuta e sia rimasta, comunque, una realtà negoziale»: con la legge n. 310 del 2003, infatti, istitutiva della Fondazione, si sarebbe «operato, in concreto, per la parte attinente alla gestione del teatro, con un meccanismo che richiama in qualche modo la figura del contratto imposto», introducendo, in sostanza, «una disciplina di diritto pubblico, sostitutiva o integrativa della disciplina negoziale» (sostitutiva quanto alla volontà, già manifestata nel Protocollo, di istituire la Fondazione; integrativa quanto all’esecuzione degli accordi relativi alla ricostruzione del teatro).
Ne sarebbe conseguito che: a) «non esiste una Fondazione istituita dai soggetti che hanno stipulato il Protocollo»; b) esiste, invece, la Fondazione, che, ai sensi della legge istitutiva, era divenuta titolare dei diritti e degli obblighi nascenti dal Protocollo, oltre che destinataria dei contributi pubblici per la ricostruzione del teatro; c) in ragione, tuttavia, della norma denunciata, questa Fondazione «non può considerarsi più titolare delle situazioni giuridiche collegate al Protocollo».
Poiché, d’altra parte, «l’esercizio dei diritti nascenti, per tutti i partecipanti, dal Protocollo d’intesa resta legato alla esistenza in vita» di questa (unica) Fondazione; e poiché la disciplina della legge istitutiva è, però, divenuta «monca», «per effetto della abrogazione della norma di collegamento al Protocollo», l’esercizio di detti diritti presupporrebbe «o il ripristino di tale collegamento con la reviviscenza della norma abrogata» (conseguente alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma abrogatrice); oppure «l’intervento di un nuovo atto di autonomia privata», al momento inesistente.
Su questa base, le ragioni che hanno condotto alla dichiarazione di illegittimità delle disposizioni relative all’esproprio del teatro Petruzzelli dovrebbero valere anche per la disposizione denunciata, in ragione dello «stretto collegamento» di questa con quelle, «in funzione delle quali soltanto la abrogazione stessa aveva ragione d’essere»: «allo stesso modo in cui era assolutamente evidente il difetto dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza per disporre con decreto-legge l’esproprio del teatro», «così resta evidente la mancanza dei requisiti stessi con riguardo alla disposizione collegata».
2. – Si sono costituite in giudizio le signore Maria, Teresa, Chiara, Mariarosalba e Stefania Messeni Nemagna nonché la signora Nunziata Metteo, vedova Messeni Nemagna, per chiedere una pronuncia di accoglimento.
Assumendo che nel giudizio a quo la controversia si concentri sulla norma denunciata sotto il profilo dell’identità del soggetto obbligato e che detta identificazione sia avvenuta in via legislativa attraverso la norma abrogata, le predette reputano che il giudizio medesimo non possa essere definito «indipendentemente dalla nuova verifica di costituzionalità invocata»: trovandosi «all’interno dello stesso “contenitore” normativo» dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 128 del 2008, la norma denunciata risulterebbe, infatti, anch’essa in contrasto con il parametro di cui all’art. 77, secondo comma, Cost.
In assenza di un’«autoidentificazione» volontaria da parte della Fondazione in adesione al Protocollo, o di un’identificazione da parte degli enti territoriali coinvolti, «v’è l’interesse al ripristino dell’identificazione legislativa», che assicurerebbe, in ragione della sua “tassatività”, «quell’insostituibile grado di certezza e di imperatività», vincolando la Fondazione «al compito per cui è nata senza più possibilità di equivoci, rimangiamenti o ripensamenti».
Un nuovo intervento caducatorio della Corte dovrebbe, peraltro, limitarsi ad estendere il dictum pronunciato «a quella parte (abrogativa) del decreto-legge d’urgenza già dichiarato abusivo ex art. 77 II comma Cost.», per eliminare una disposizione «completamente superata ed inattuale, oltre che illegittima».
3. – Si è costituito in giudizio il Comune di Bari chiedendo: a) di ritenere non rilevante la questione proposta per l’intervento di fatti nuovi e per contraddittorietà ed inadeguatezza della motivazione; b) in subordine, di ritenere infondata la questione stessa; c) in ulteriore subordine, di dichiarare la illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, della legge n. 310 del 2003, «ove cancellata la sua abrogazione»; d) in via ulteriormente gradata, di restituire gli atti al Tribunale di Bari perché riesamini la rilevanza della questione alla luce dei fatti nuovi sopravvenuti.
La questione proposta risulterebbe irrilevante anzitutto per la ragione che una eventuale pronuncia di accoglimento non consentirebbe comunque, allo stato dei fatti, alcun pagamento a favore dei privati attivatisi con la domanda monitoria. Inoltre, la Fondazione istituita in base alla legge n. 310 del 2003 sarebbe indiscutibilmente soggetto diverso da quello indicato da ultimo nel Protocollo del 21 novembre 2002, ratificato con atto che ora risulterebbe annullato in autotutela. Il mutamento del complessivo quadro giuridico sarebbe tale da richiedere una nuova valutazione della rilevanza della questione da parte del giudice rimettente.
Si deduce, poi, omessa motivazione dell’ordinanza tanto sulle ragioni per le quali il collegamento ora stabilito tra le norme qui denunciate e quelle denunciate nel precedente incidente di costituzionalità sia invece mancato in quel giudizio; quanto sulla ragione per la quale la Fondazione – che non era parte del Protocollo del 21 novembre 2002 – possa essere condannata a un pagamento in virtù di quel contratto, nonostante l’eccezione dedotta nel giudizio a quo; nonché, infine, sul meccanismo di sostituzione ex lege della volontà delle parti nella istituzione della Fondazione, posto che la legge stessa trasferisce alla Fondazione medesima i diritti d’uso del Teatro “previo accordo con gli enti pubblici territoriali interessati”.
In via del tutto subordinata, si deduce ancora – ove venga accolta la questione di costituzionalità – la illegittimità costituzionale della reviviscenza della disposizione abrogata, in quanto contrastante con l’art. 117, terzo comma, Cost., nella parte in cui affida alle Regioni la potestà legislativa in tema di valorizzazione dei beni culturali, salva la determinazione statale dei principi fondamentali, tra i quali non potrebbe certo annoverarsi l’attribuzione della gestione del Teatro Petruzzelli alla Fondazione.
Nel merito, la normativa censurata non sarebbe in contrasto con il parametro evocato, posto che le disposizioni del decreto-legge, per la parte che qui interessa, sono state integralmente riprodotte nel corpo dei commi 104-107 dell’art. 2 della legge di conversione, la quale ultima, costituisce, dunque, la fonte vigente.
4. – Si è costituita in giudizio la Fondazione Lirico-Sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile e comunque infondata.
La Fondazione deduce la irrilevanza della questione: gli eredi Petruzzelli chiesero al Tribunale di Bari, attraverso la domanda monitoria, la corresponsione della penale risarcitoria prevista dall’art. 5 del Protocollo per il caso di ritardo nella ultimazione dei lavori del Teatro; viceversa, l’art. 1, comma 6, della legge n. 310 del 2003, che si vorrebbe far rivivere attraverso la declaratoria di incostituzionalità, ha ad oggetto “i diritti d’uso esclusivo sul Teatro Petruzzelli” e non riguarda in alcun modo né la ricostruzione del Teatro né la correlativa penale per il ritardo. In secondo luogo, il giudice rimettente avrebbe omesso di descrivere compiutamente la fattispecie sottoposta al suo esame.
E ancora la questione sarebbe inammissibile perché sollevata al solo fine di ottenere un avallo interpretativo della norma impugnata, specialmente in relazione alla figura del “contratto imposto”.
In estremo subordine, e da ultimo, la questione di legittimità sarebbe infondata, in quanto la diversità tra le previsioni dichiarate incostituzionali con la sentenza n. 128 del 2008 e quelle ora in esame sarebbe attestata dalla mancata declaratoria di illegittimità consequenziale, a norma dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, al contrario di quanto dedotto dall’odierno rimettente, che invece sottolinea le “stesse ragioni” e lo “stretto collegamento” esistenti tra i due gruppi di norme.
5. – E’ intervenuta in giudizio la signora Vittoria Messeni Nemagna, interveniente nel giudizio a quo, per chiedere una declaratoria di illegittimità costituzionale della norma denunciata «e, conseguentemente», di reviviscenza della norma abrogata.
Riassunto «il percorso processuale che ha condotto alla proposizione dell’odierna questione di costituzionalità» e ripercorse, in un dettagliato «excursus storico-giuridico», le vicende variamente relative alla vita del Teatro Petruzzelli, la difesa dell’interveniente – titolare del marchio "Petruzzelli" – ha rilevato che la norma denunciata, incidendo sul diritto di proprietà privata, si porrebbe in contrasto, oltre che con il parametro di cui all’art. 77, secondo comma, Cost., anche con quelli di cui agli articoli 42 e 43 Cost.: risulterebbero, infatti, lese «posizioni giuridiche riconducibili alla libertà di iniziativa economica e alla tutela della proprietà, sia sotto il profilo della perdita di un essenziale segno identificativo dell’impresa sia della portata sostanzialmente espropriativa di un bene che fa parte del patrimonio aziendale»; e risulterebbe leso «altresì il valore della concorrenza».
Conformemente all’ordinanza di rimessione, l’atto di intervento reputa «incontestabile» il dato dei diritti e degli obblighi della Fondazione per come previsti nel Protocollo; così come altrettanto «incontestabile» parrebbe che, venuto meno l’esproprio, lo stesso Protocollo abbia «ripreso efficacia quale atto regolatore degli interessi delle parti» e «che, pertanto, non abbia più ragione di operare la disposizione» denunciata.
La norma denunciata, d’altra parte, «cancella il rinvio al Protocollo, ma non cancella il Protocollo stesso», tuttavia sottraendo «alla Fondazione (…) qualsivoglia collegamento con il teatro Petruzzelli, azienda di rilevanza pubblicistica che, come il suo marchio, è e rimane di proprietà privata». E la violazione del parametro evocato deriverebbe dall’«evidente assoluta mancanza dei presupposti della decretazione d’urgenza», stante l’assenza di collegamento tra «la straordinaria necessità ed urgenza di interventi di carattere finanziario» o «per il riequilibrio dei conti pubblici» o «per il riordino di settori della pubblica amministrazione», da un lato, e la norma denunciata, dall’altro.
6. – E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per una declaratoria di inammissibilità e, comunque, di infondatezza della questione.
L’inammissibilità discenderebbe, anzitutto, «dalla carenza d’interesse» alla pronuncia richiesta, attesa la soppressione dell’intero art. 18 del d.l. n. 262 del 2008 da parte della legge di conversione e atteso che i profili di incostituzionalità si attaglierebbero non alla disposizione contenuta nella legge, ma solo a quella di cui al decreto-legge e che il venir meno di quest’ultima renderebbe la questione riferita alla legge priva della «ragione di esistere» e comunque di adeguata motivazione.
Un ulteriore motivo di inammissibilità deriverebbe dalla «carente esposizione delle ragioni della violazione dell’invocato parametro costituzionale», risultando insufficiente il «mero richiamo» della sentenza n. 128 del 2008.
Nel merito, la disposizione censurata presenterebbe «profili di autonomia ben marcati» rispetto alle norme sull’esproprio dichiarate incostituzionali: essa avrebbe, in definitiva, consentito la riapertura del teatro, «disancorando la vita e l’attività della Fondazione da un atto privato (il protocollo d’intesa del 21/11/2002), la cui validità era ed è sub iudice». La predetta autonomia emergerebbe, del resto, anche dalla circostanza che la Corte non abbia ritenuto di estendere in via consequenziale gli effetti caducatori della pronuncia relativa alle disposizioni sull’esproprio.
D’altra parte, la norma denunciata costituirebbe «un atto dovuto», giustificato dal fatto che la Fondazione richiamata nel Protocollo del 2002 «era un soggetto del tutto distinto da quello istituito con la legge 310/03».
Ciò renderebbe indubbio, da un lato, il rilievo «per la finanza pubblica» del funzionamento, tra le altre, anche di questa Fondazione; dall’altro lato «la necessità e l’urgenza dell’intervento del Legislatore, atteso che, in forza della norma abrogata, la nuova Fondazione (…) sarebbe stata costretta a sborsare a favore di soggetti privati (…) una ingente somma per un tempo molto lungo», pur avendo «diritto ad ottenere dall’amministrazione comunale la piena e gratuita disponibilità del Teatro».
7. – Ha depositato atto di intervento “in proprio” anche il prof. avv. Michele Costantino, in qualità di creditore di una delle parti del giudizio a quo, sollecitando una declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione censurata.
L’interesse di cui egli sarebbe titolare, in quanto immediatamente inerente ai rapporti sostanziali tra le parti del presente giudizio di costituzionalità, «pur se formalmente esterno rispetto al giudizio nell’ambito del quale è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale», potrebbe risultare, a suo giudizio, inciso da una eventuale pronuncia di accoglimento.
8. – In prossimità dell’udienza, tutte le parti costituite e i soggetti intervenienti hanno depositato memorie per insistere nelle ragioni e nelle richieste già formulate nei rispettivi atti, con precisazioni o sviluppo di argomentazioni anche in replica (e con ricorrente attenzione, tra gli altri, sotto il profilo dell’ammissibilità della questione, per il problema dei rapporti fra le due disposizioni denunciate, in riferimento alle specifiche vicende della legge di conversione).
Considerato in diritto
1. – Con ordinanza del 19 marzo 2010, il Tribunale di Bari ha sollevato – in riferimento all’art. 77, secondo comma, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, lettera b), del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria) nonché dell’art. 2, comma 104, lettera b), della legge 24 novembre 2006, n. 286 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria).
Entrambe le norme denunciate dispongono, con un identico testo, l’abrogazione dell’art. 1, comma 6, della legge 11 novembre 2003, n. 310 (Costituzione della «Fondazione lirico-sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari», con sede in Bari, nonché disposizioni in materia di pubblici spettacoli, fondazioni lirico-sinfoniche e attività culturali), secondo cui «La Fondazione di cui al comma 1 acquisisce, previo accordo con gli enti pubblici territoriali interessati, i diritti d’uso esclusivo sul Teatro Petruzzelli di Bari, in conformità al Protocollo d’intesa, sottoscritto a Roma il 21 novembre 2002, tra la regione Puglia, la provincia ed il comune di Bari e le parti private».
La questione sarebbe rilevante, a giudizio del rimettente, in relazione a una disposizione, come quella denunciata, «risultata priva di ogni giustificazione a seguito della dichiarazione di incostituzionalità delle norme sull’esproprio» del Teatro Petruzzelli, pronunciata da questa Corte con la sentenza n. 128 del 2008. La rilevanza risulterebbe, peraltro, «confermata» dalla circostanza che «la stessa Fondazione opponente ha negato la propria legittimazione, assumendo di non essere la Fondazione prevista dal Protocollo e di non essere (più) vincolata al rispetto del Protocollo».
«Venuta meno la norma» che destinava la Fondazione alla gestione del teatro «in conformità al Protocollo», sarebbe, dunque, «caduto il presupposto per la ulteriore operatività del complessivo regolamento negoziale avente origine dal Protocollo stesso», anche perché «le parti, nel darvi attuazione, si sono conformate alla disciplina legislativa» ed hanno esercitato «le facoltà previste dal Protocollo in conformità degli schemi di detta disciplina».
Ne sarebbe, nel complesso, conseguito che: a) «non esiste una Fondazione istituita dai soggetti che hanno stipulato il Protocollo»; b) esiste, invece, la Fondazione, che, ai sensi della legge istitutiva, era divenuta titolare dei diritti e degli obblighi nascenti dal Protocollo, oltre che destinataria dei contributi pubblici per la ricostruzione del teatro; c) in ragione, tuttavia, della norma denunciata, questa Fondazione «non può considerarsi più titolare delle situazioni giuridiche collegate al Protocollo».
Poiché, d’altra parte, «l’esercizio dei diritti nascenti, per tutti i partecipanti, dal Protocollo d’intesa resta legato alla esistenza in vita» di questa (unica) Fondazione; e poiché la disciplina della legge istitutiva è, però, divenuta «monca», «per effetto della abrogazione della norma di collegamento al Protocollo», l’esercizio di detti diritti presupporrebbe «o il ripristino di tale collegamento con la reviviscenza della norma abrogata» (conseguente alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma abrogatrice); oppure «l’intervento di un nuovo atto di autonomia privata», al momento inesistente.
Su queste basi, le ragioni che hanno condotto alla dichiarazione di illegittimità delle disposizioni relative all’esproprio del teatro Petruzzelli dovrebbero valere anche per la disposizione denunciata, in ragione dello «stretto collegamento» di questa con quelle, «in funzione delle quali soltanto la abrogazione stessa aveva ragione d’essere»: «allo stesso modo in cui era assolutamente evidente il difetto dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza per disporre con decreto-legge l’esproprio del teatro», «così resta evidente la mancanza dei requisiti stessi con riguardo alla disposizione collegata».
2. – Si sono costituite in giudizio le signore Maria, Teresa, Chiara, Mariarosalba e Stefania Messeni Nemagna nonché la signora Nunziata Metteo, vedova Messeni Nemagna, per chiedere una pronuncia di accoglimento.
Si è anche costituita la Fondazione Lirico-Sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile e comunque infondata.
Si è costituito, inoltre, il Comune di Bari chiedendo: a) di ritenere non rilevante la questione proposta per l’intervento di fatti nuovi e per contraddittorietà ed inadeguatezza della motivazione; b) in subordine, di ritenere infondata la questione stessa; c) in ulteriore subordine, di dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, della legge n. 310 del 2003, «ove cancellata la sua abrogazione»; d) in via ulteriormente gradata, di restituire gli atti al Tribunale di Bari perché riesamini la rilevanza della questione alla luce dei fatti nuovi sopravvenuti.
E’ intervenuta in giudizio la signora Vittoria Messeni Nemagna, per chiedere una declaratoria di illegittimità costituzionale della norma denunciata «e, conseguentemente», di reviviscenza della norma abrogata.
E’ anche intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per una declaratoria di inammissibilità e, comunque, di infondatezza della questione.
Ha depositato atto di intervento “in proprio” il prof. avv. Michele Costantino, in qualità di creditore di una delle parti del giudizio a quo, sollecitando una declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione censurata.
In prossimità dell’udienza, tutte le parti costituite e i soggetti intervenienti hanno depositato memorie per insistere nelle ragioni e nelle richieste già formulate nei rispettivi atti, con precisazioni o sviluppo di argomentazioni anche in replica.
3. – Con riguardo all’atto di intervento “in proprio”, depositato dal prof. avv. Michele Costantino in qualità di creditore di una delle parti del giudizio a quo, va ribadito quanto deciso con l’ordinanza emessa nel corso dell’udienza pubblica di discussione, con la quale l’intervento in questione è stato dichiarato inammissibile. Alla stregua, infatti, della costante giurisprudenza di questa Corte, l’intervento di soggetti diversi dalle parti del giudizio principale è ammissibile soltanto per i terzi titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, restando dunque estranei a tale rigoroso perimetro gli interessi di mero fatto quali quelli prospettati a fondamento dell’atto di intervento in questione.
4. – La questione sollevata è inammissibile.
5. – Occorre preliminarmente ricordare l’esigenza che l’ordinanza di rimessione della questione di legittimità costituzionale dia conto, nella sua motivazione, delle ragioni per le quali la questione proposta riveste i caratteri, oltre che della non manifesta infondatezza, della rilevanza nel giudizio a quo, offrendo perciò una adeguata descrizione della concreta fattispecie nonché dei motivi per i quali la soluzione del dubbio di legittimità costituzionale risulti pregiudiziale rispetto alla definizione del giudizio.
Tale requisito non appare qui congruamente soddisfatto. Limitandosi, infatti, nella sostanza, a prospettare una rievocazione, per così dire “recettizia”, della questione da lui stesso sollevata in un precedente giudizio – e che aveva dato luogo alla sentenza di questa Corte n. 128 del 2008 –, il giudice rimettente non ha riferito delle circostanze specificamente relative al giudizio a quo, omettendo di evidenziare nel dettaglio i termini di continuità, processuale e sostanziale, tra le vicende allora ed ora relative allo scrutinio e perfino le identità dei soggetti attualmente coinvolti, che è dato ricavare solo attraverso i successivi atti di intervento; nonché, soprattutto, ha omesso di indicare le ragioni in forza delle quali un profilo evidentemente reputato trascurabile nel momento in cui venne sollevata la precedente questione – e connesso all’identificazione del destinatario dell’ingiunzione – sia, invece, ora divenuto decisivo. L’unico dato, infatti, che l’ordinanza offre come “base ricostruttiva” della fattispecie è che il decreto ingiuntivo – accordato ad «alcuni soltanto dei comproprietari del Teatro» a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale delle disposizioni relative all’espropriazione – sia stato opposto dalla Fondazione, senza specificare null’altro sullo stato del relativo giudizio.
Il giudice rimettente assume che la pronuncia di illegittimità costituzionale delle disposizioni sull’esproprio abbia reso la disposizione denunciata «priva di ogni giustificazione» e ne chiede la caducazione sul presupposto della diretta e immediata applicabilità a questa delle medesime ragioni che valsero per quelle.
Non spiega, però, perché la questione, di stretto merito, dell’eccepito difetto di legittimazione passiva della Fondazione opponente debba necessariamente trasformarsi, solo nel giudizio di opposizione, nella questione di legittimità costituzionale di una disposizione meramente abrogativa di quella che attribuiva alla Fondazione medesima – e solo, espressamente, «previo accordo con gli enti pubblici territoriali interessati» – «i diritti d’uso esclusivo sul Teatro Petruzzelli di Bari, in conformità al Protocollo d’intesa sottoscritto a Roma il 21 novembre 2002» tra gli enti locali e le parti private.
Il profilo appena indicato assume, d’altra parte, specifico risalto in relazione a una irrisolta contraddizione che è possibile cogliere nello sviluppo argomentativo posto a base della ordinanza di rimessione.
Attraverso l’adozione del decreto ingiuntivo, il giudice rimettente ha, ex ore suo, considerato operativo il Protocollo di intesa stipulato nel 2002, assumendo essere proprio quello il titolo in forza del quale poteva essere emesso il provvedimento richiesto: una volta venuta meno la espropriazione del Teatro, per effetto della declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione ablativa, lo stesso Protocollo avrebbe, infatti, «ripreso efficacia quale atto regolatore degli interessi delle parti in ordine alla ricostruzione e all’uso del teatro».
Ora, se tale premessa ha potuto legittimare la domanda a parte actoris, non è chiaro perché essa non sia valsa, negli stessi termini, anche ai fini della precisa individuazione del soggetto debitore, una volta che la disciplina di cui alla legge 11 novembre 2003, n. 310 – istitutiva della Fondazione lirico-sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari – consentiva di stabilire, nella prospettazione del rimettente, un «inscindibile collegamento tra il nuovo organismo e le attività di ricostruzione e di gestione del teatro in conformità del Protocollo», come attraverso una sorta di surrogazione di quella fondazione ivi prevista e poi mai istituita.
In aperta e immotivata contraddizione con tale premessa, è lo stesso giudice rimettente ad affermare, invece, che, «una volta venuta meno la norma che, nell’istituire la Fondazione, destinava quest’ultima a gestire il teatro “in conformità del Protocollo di intesa”», sarebbe «caduto il presupposto per la ulteriore operatività del complessivo regolamento negoziale avente origine dal Protocollo stesso». Quasi a ritenere che la intervenuta abrogazione di quella disposizione, ad opera di questa ora censurata, assuma un diverso risalto solo perché la parte ingiunta ha proposto opposizione, per contestare il fondamento del titolo azionato nei suoi confronti.
Per altro verso, e proprio con riferimento alla pretesa creditoria, la base giustificativa del decreto ingiuntivo sarebbe offerta, secondo quanto puntualizza lo stesso giudice a quo, dal più volte richiamato Protocollo di intesa del 21 novembre 2002, ove era convenuto fra le parti che, nel caso di superamento del termine di quattro anni stabilito per la ricostruzione del Teatro, la costituenda Fondazione avrebbe dovuto corrispondere in favore dei proprietari, a partire dal quinto anno, una indennità pari al 25 per cento del canone di concessione. Orbene, l’art. 1, comma 6, della già citata legge n. 310 del 2003, abrogato dalla disposizione di cui ora si discute, conteneva il richiamo al Protocollo con esplicito ma limitato riferimento ai «diritti d’uso esclusivo» del Teatro Petruzzelli e non anche a tutti gli altri profili su cui si era radicato l’accordo.
In tale contesto, il giudice rimettente ha, dunque, completamente omesso di motivare le ragioni per le quali, con specifico riferimento al titolo creditorio posto a base del decreto ingiuntivo opposto, la ”reviviscenza” del comma 6 dell’art. 1 della legge n. 310 del 2003 – che rappresenta il petitum concretamente perseguito – rivestirebbe rilevanza agli effetti del decidere. In altri termini, egli non ha spiegato le ragioni per le quali la Fondazione, nei confronti della quale è stato adottato il provvedimento monitorio, avrebbe dovuto considerarsi obbligata, da un lato, alla ricostruzione del Teatro e, dall’altro, a corrispondere alle parti private una sorta di indennità di ritardo, posto che di tali obblighi la normativa istitutiva della Fondazione non ha fatto espressa menzione, né direttamente né indirettamente.
Va, da ultimo, considerato che il giudice rimettente ha omesso di svolgere qualsiasi specifico rilievo anche a proposito della vigenza del quadro normativo coinvolto nella questione proposta, nonché del raccordo con il parametro evocato, direttamente interferenti con la rilevanza del quesito di legittimità costituzionale; sicché, non potendo al riguardo considerarsi sufficiente il semplice richiamo a quanto in proposito osservato nella richiamata sentenza n. 128 del 2008, l’ordinanza di rimessione si rivela, anche per questa parte, in difetto della necessaria motivazione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, lettera b), del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria) nonché dell’art. 2, comma 104, lettera b), della legge 24 novembre 2006, n. 286 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), sollevata, in riferimento all’art. 77, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Bari, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 giugno 2011.
F.to:
Paolo MADDALENA, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2011.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: MELATTI
Allegato:
Ordinanza letta all'Udienza del 10 maggio 2011
ORDINANZA
Rilevato che il Prof. Avv. Michele Costantino
ha depositato atto di intervento in data 19 ottobre 2010;
considerato che il sunnominato non risulta
essere parte nel giudizio a quo;
che, per costante giurisprudenza di questa Corte, sono
ammessi ad intervenire nel giudizio incidentale di legittimit costituzionale
oltre al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale,
al Presidente della Giunta regionale le sole parti del giudizio principale,
mentre lintervento di soggetti estranei a questo ammissibile soltanto per i
terzi titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e
immediato al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato,
al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura (ex
plurimis, ordinanza dibattimentale n. 132 del 2010 emessa all'udienza del
23 marzo 2010, ed altre ivi citate);
che nello stesso atto di intervento innanzi indicato
si sottolinea come la legittimazione a partecipare al giudizio di
costituzionalit deriverebbe, nella specie, esclusivamente dal fatto che l'interveniente
creditore per vari titoli di una delle parti del giudizio nell'ambito del
quale stata sollevata la questione di costituzionalit oggetto del presente
giudizio, con la precisazione che l'interesse di cui l'interveniente sarebbe
titolare pur se formalmente esterno rispetto al giudizio nell'ambito del quale
stata sollevata la questione di legittimit costituzionale, inerisce
immediatamente ai rapporti sostanziali tra le parti del giudizio;
che, alla stregua di tali inequivoche prospettazioni,
resta dunque asseverata sia la mancanza della qualit di parte processuale del
Prof. Avv. Michele Costantino nel giudizio a quo, sia anche l'esistenza
di un suo interesse di mero fatto alla risoluzione del quesito di legittimit
costituzionale, dovendosi escludere la titolarit di una posizione soggettiva
qualificata direttamente coinvolta tanto nel rapporto giuridico controverso nel
procedimento a quo, quanto nello specifico oggetto del presente giudizio
di legittimit costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile l'intervento del Prof.
Avv. Michele Costantino.
F.to Paolo MADDALENA, Presidente