Ritenuto in fatto
1. — La Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 53, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), come modificato dall’articolo 3-bis, comma 7, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, nella parte in cui stabilisce che «Ove il ricorso non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, l’appellante deve, a pena di inammissibilità, depositare copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata».
La rimettente riferisce che, con sentenza n. 138/6/07 del 12 giugno 2007, la Commissione tributaria provinciale di Bologna ha respinto i ricorsi proposti dalla N. F. s.n.c. di F. F. & C., esercente attività di vendita di abbigliamento ed accessori, contro due avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle entrate di Bologna aveva imputato un maggior reddito, per il periodo d’imposta 2000–2001, a seguito di presunti maggiori ricavi prodotti da detta società.
Il giudice a quo chiarisce che il giudizio svoltosi innanzi alla Commissione tributaria provinciale si è concluso con una decisione che ha confermato la legittimità degli accertamenti espletati e delle modalità di computo dei maggiori ricavi da parte dell’Agenzia delle entrate di Bologna.
La Commissione regionale aggiunge che il contribuente ha proposto appello avverso la sentenza, depositata il 25 giugno 2007, e il 22 ottobre 2008 si è costituito in giudizio presso detta Commissione, censurando la decisione impugnata per difetto di motivazione, nonché per illegittimo impiego di una modalità di accertamento induttivo, ai sensi dell’articolo 39, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte).
Il giudice a quo pone in evidenza, altresì, che in data 20 novembre 2008 l’Agenzia delle entrate di Bologna si è costituita in giudizio chiedendo, in via pregiudiziale, che fosse dichiarata l’inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 3-bis, comma 7, del d.l. n. 203 del 2005, perché non sarebbe stata depositata la copia dell’atto di impugnazione presso la Commissione tributaria provinciale; nel merito, ha contestato sia la presunta carenza di motivazione della sentenza impugnata, sia l’affermazione per cui l’accertamento sarebbe stato di tipo induttivo e ha chiesto che fosse confermato l’accertamento con condanna alle spese.
La Commissione precisa, poi, che all’udienza del 14 ottobre 2009 l’appellante ha chiesto l’accoglimento del ricorso e, in via subordinata, qualora fosse stato ritenuto applicabile il disposto dell’art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, con conseguente inammissibilità del ricorso, ha eccepito l’illegittimità costituzionale di detta norma, nei termini sopra indicati.
Infine, la rimettente dà atto che il difensore del contribuente ha, comunque, prodotto la ricevuta di deposito dell’appello presso la Commissione tributaria provinciale recante data anteriore di qualche giorno rispetto all’udienza «posto che la norma non fissava il termine per la consegna della copia dell’appello»; l’appellato, invece, ha insistito nella richiesta pregiudiziale volta ad ottenere la declaratoria d’inammissibilità del gravame.
Ciò premesso, la Commissione regionale ritiene la questione di legittimità costituzionale non manifestamente infondata.
In primo luogo, essa pone in evidenza come la norma in questione, nell’inciso introdotto dall’art. 3-bis, comma 7, del d.l. n. 203 del 2005, determini una violazione del diritto di difesa, pur avendo lo scopo di informare l’ufficio a quo della pendenza dell’appello al fine di evitare l’apposizione della formula esecutiva sulla decisione di primo grado.
Tale disposizione renderebbe «a volte impossibile l’esercizio del diritto di difesa allorché il contribuente, che pur ha facoltà di instaurare il rapporto processuale non soltanto mediante notifica dell’atto alle controparti ma anche con spedizione dello stesso con lettera raccomandata utilizzando così l’abbreviazione del termine posto che “il ricorso si intende proposto al momento della spedizione”, omette di depositare la copia dell’appello presso il giudice a quo, pur instaurando regolarmente il contraddittorio attraverso non solo la vocatio in ius ma depositando lo stesso presso il giudice di appello».
Ad avviso del giudice a quo, in tale caso l’esercizio dell’azione è perfetto e la conoscenza da parte del giudice di primo grado è assicurata, poiché la segreteria dell’ufficio di secondo grado è tenuta, ai sensi dell’art. 53, ultimo comma, del d.lgs. n. 546 del 1992 , a richiedere la trasmissione del fascicolo del processo.
La rimettente osserva, inoltre, come la medesima situazione si verifichi quando per un qualsiasi disguido l’ufficiale giudiziario, al quale è stato richiesto di notificare l’appello, ometta, in violazione dell’art. 123 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, di dare immediatamente avviso scritto alla segreteria del giudice di primo grado.
In tale ipotesi, secondo il giudice a quo, ferme restando eventuali conseguenze disciplinari e professionali in capo all’ufficiale giudiziario, il contraddittorio può dirsi correttamente instaurato, non incidendo la detta omissione sull’esercizio dell’azione.
La disposizione censurata, inoltre, introdurrebbe una disparità di trattamento tra colui che utilizza lo strumento della notifica dell’appello a mezzo dell’ufficiale giudiziario e colui che, anche per ragioni di convenienza, quali la celerità della procedura, si avvale dello strumento previsto dall’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, richiamato dall’art. 53, comma 2, prima parte, del detto decreto legislativo, concernente la spedizione a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento.
La detta disparità di trattamento sarebbe individuabile nel dato che l’eventuale omissione dell’avviso scritto alla segreteria della Commissione tributaria provinciale da parte dell’ufficiale giudiziario, ai sensi dell’art. 123 disp. att. cod. proc. civ., non comporta la inammissibilità dell’appello come, invece, stabilito dalla norma censurata.
Il giudice a quo, infine, ritiene la questione rilevante, in quanto la valutazione di ammissibilità dell’appello precede quella sul merito della sentenza appellata.
2. — Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha spiegato intervento con atto depositato in data 20 luglio 2010.
La difesa dello Stato sostiene che la questione di legittimità costituzionale dovrebbe essere ritenuta non fondata e, al riguardo, richiama la sentenza n. 321 del 2009 della Corte costituzionale, ponendo in evidenza come le argomentazioni in essa contenute debbano trovare applicazione anche nel caso di specie.
In ordine all’asserita violazione dell’art. 2 Cost., l’Avvocatura generale ritiene che la questione dovrebbe essere dichiarata inammissibile, stante l’assenza di motivazione con riferimento a tale parametro.
Considerato in diritto
1. — Nel corso di un giudizio di appello, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 53, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 delle legge 30 dicembre 1991, n. 413), come modificato dall’articolo 3-bis, comma 7, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248.
La rimettente riferisce che in data 20 novembre 2008 l’Agenzia delle entrate di Bologna si è costituita in giudizio chiedendo, in via pregiudiziale, che fosse dichiarata l’inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 3-bis, comma 7, del d.l. n. 203 del 2005, in quanto non sarebbe stata depositata la copia dell’atto di impugnazione presso la Commissione tributaria provinciale.
Il giudice a quo, inoltre, precisa che, all’udienza del 14 ottobre 2009, l’appellante ha chiesto l’accoglimento del ricorso e, in via subordinata, ha sollecitato la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, previa sospensione del giudizio, sollevando questione di legittimità costituzionale della disposizione, qualora fosse stato ritenuto applicabile il disposto dell’art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, con conseguente inammissibilità del ricorso.
Il giudice a quo, infine, pone in evidenza che il difensore del contribuente ha, comunque, prodotto la ricevuta di deposito dell’appello presso la Commissione provinciale recante data anteriore di qualche giorno rispetto all’udienza, «posto che la norma non fissava il termine per la consegna della copia dell’appello».
2. — In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente osserva come la norma in questione, nell’inciso introdotto dall’art. 3-bis, comma 7, del d.l. n. 203 del 2005, comporti una violazione del diritto di difesa, in quanto l’omesso deposito della copia dell’appello presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale preclude il diritto di azione, pur in presenza di un contraddittorio regolarmente instaurato, benché la conoscenza dell’interposto appello, da parte di detta segreteria, sia assicurata dal dettato dell’art. 53, ultimo comma, del d.lgs. n. 546 del 1992, secondo cui la segreteria della Commissione regionale è tenuta a richiedere la trasmissione del fascicolo del processo.
Il giudice a quo, inoltre, ritiene che la disposizione censurata introduca una disparità di trattamento tra colui che notifica l’appello, avvalendosi dell’ufficiale giudiziario, e colui che, anche per ragioni di convenienza, quali la celerità della procedura, si avvale della spedizione a mezzo posta con raccomandata a. r., ai sensi dell’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, richiamato dall’art. 53, comma 2, prima parte, del detto decreto legislativo.
La dedotta disparità di trattamento sarebbe individuabile nel dato che l’eventuale omissione dell’avviso scritto alla segreteria della Commissione tributaria provinciale da parte dell’ufficiale giudiziario, ai sensi dell’art. 123 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, non prevede la conseguenza della inammissibilità dell’appello, come, invece, disposto dalla disposizione censurata.
3. — La difesa dello Stato ha rilevato l’inammissibilità della questione posta con riferimento all’art. 2 Cost., per difetto di motivazione in ordine alla violazione del parametro indicato.
Il rilievo è fondato.
Infatti, il giudice a quo ha omesso di indicare i motivi per i quali la disposizione censurata violerebbe l’art. 2 Cost., essendosi limitato ad indicare il detto parametro, senza svolgere alcuna argomentazione al riguardo.
4. — Con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. la questione non è fondata.
Si deve premettere che, nel processo tributario, il ricorso in appello (art. 53 d.lgs. n. 546 del 1992 e successive modificazioni) è proposto mediante notifica effettuata secondo le norme degli artt. 137 e seguenti cod. proc. civ., a mezzo ufficiale giudiziario, oppure direttamente dalla parte mediante il servizio postale a mezzo spedizione dell’atto in plico raccomandato con avviso di ricevimento, o ancora presso l’ufficio del Ministero delle finanze o dell’ente locale mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che rilascia ricevuta sulla copia (art. 16, commi 2 e 3, d.lgs. citato).
La norma censurata dispone che «Ove il ricorso non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, l’appellante deve, a pena d’inammissibilità, depositare copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata».
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 321 del 2009 e con l’ordinanza n. 43 del 2010, ha già precisato che scopo della norma predetta è quello di informare tempestivamente la segreteria del giudice di primo grado in ordine all’intervenuto appello e ciò per impedire una erronea attestazione circa il passaggio in giudicato della sentenza emessa da detto giudice.
Tale finalità, diversamente da quanto ritenuto dalla Commissione rimettente, non è realizzata dall’obbligo, posto a carico della segreteria del giudice di appello dall’art. 53, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, di richiedere alla segreteria presso il giudice di primo grado la trasmissione del fascicolo processuale con la copia autentica della sentenza impugnata «subito dopo il deposito del ricorso in appello».
Al riguardo, nelle citate pronunzie, questa Corte ha chiarito che la richiesta è avanzata dalla segreteria del giudice di appello soltanto dopo la costituzione in giudizio dell’appellante e, pertanto, non consente alla segreteria della Commissione tributaria provinciale di avere tempestiva notizia della proposizione del gravame.
La sollecita conoscenza dell’impugnazione da parte della segreteria del giudice di primo grado è assicurata, nel caso di appello notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, dall’«immediato avviso scritto» della notificazione dell’impugnazione, che lo stesso ufficiale giudiziario deve dare alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 123 disp. att. cod. proc. civ.
Nel caso di appello non notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, la detta conoscenza è, invece, conseguita con il deposito della copia notificata dell’appello presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale, deposito da eseguire entro il termine previsto per la costituzione in giudizio dell’appellante (sentenza n. 321 del 2009 cit., punto 6.4 del Considerato in diritto), ai sensi degli artt. 53, comma 2, e 22, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 546 del 1992.
Con riferimento alle conseguenze dell’omesso deposito della copia notificata, nella sentenza n. 321 del 2009 la Corte costituzionale ha, poi, statuito che là dove l’appellante abbia scelto di notificare il ricorso in appello non avvalendosi dell’ufficiale giudiziario, «l’unico deterrente per indurre l’appellante a fornire tempestivamente alla segreteria del giudice di primo grado la documentata notizia della proposizione dell’appello stesso è rappresentato dalla sanzione della inammissibilità prevista dalla norma denunciata».
Ciò premesso, si deve osservare che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di disciplina del processo e di conformazione degli istituti processuali, il legislatore dispone di un’ampia discrezionalità con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute (ex plurimis: sentenze n. 229 e n. 50 del 2010, n. 221 del 2008 e n. 237 del 2007; ordinanze n. 134 del 2009 e n. 67 del 2007).
Nel caso in esame, come affermato da questa Corte nella citata sentenza n. 321 del 2009, non è irragionevole che il legislatore, proprio all’indicato fine, abbia posto a carico dell’appellante l’onere di depositare copia dell’atto di impugnazione a pena di inammissibilità. In tal modo egli ha perseguito «il duplice obiettivo, da un lato, di non gravare la segreteria del giudice di appello di compiti informativi necessariamente intempestivi (perché successivi alla costituzione in giudizio dell’appellante) ed organizzativamente onerosi e, dall’altro, di assicurare la tempestività e la completezza della comunicazione dell’interposta impugnazione, imponendo allo stesso appellante, che abbia proposto appello senza avvalersi dell’ufficiale giudiziario, di effettuare tale comunicazione».
Del resto, la decisione di non avvalersi della notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario è rimessa alla scelta, non subordinata ad alcuna condizione, dell’appellante.
Qualora quest’ultimo decida di non avvalersi dell’ufficiale giudiziario per notificare il ricorso in appello, ma di procedervi a mezzo del servizio di spedizione postale, deve essere consapevole di assumere l’onere di depositare la copia notificata dell’atto di impugnazione presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale, al fine di adempiere a quei compiti informativi che, nell’altro caso, sono assolti dall’ufficiale giudiziario, ai sensi dell’art. 123 disp. att. cod. proc. civ.
In questo quadro, la tesi sostenuta nell’ordinanza di rimessione, secondo cui il suddetto onere “a volte” renderebbe impossibile il diritto di difesa, con conseguente violazione dell’art. 24 Cost., non può essere condivisa.
Infatti, si tratta di un adempimento, la cui ragionevolezza è stata dianzi verificata, che la parte può eseguire senza andare incontro a particolari difficoltà e, dunque, certamente non tale da rendere estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa (ordinanza n. 43 del 2010).
Del pari, non è ravvisabile la disparità di trattamento che l’ordinanza di rimessione ritiene sussistente tra chi utilizza lo strumento della notifica dell’appello per mezzo dell’ufficiale giudiziario e chi, anche per ragioni di convenienza (celerità della procedura), si avvale della spedizione dell’atto a mezzo posta con raccomandata a. r.
Invero, la rimettente omette di considerare che il legislatore, nel ragionevole esercizio della discrezionalità che gli appartiene, ha conformato in modo diverso le due forme di notificazione.
La prima è eseguita con il tramite dell’ufficiale giudiziario, cioè di un soggetto pubblico obbligato a dare immediato avviso scritto dell’avvenuta notifica al cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata: ciò ai sensi dell’art. 123 disp. att. cod. proc. civ., applicabile al processo tributario in virtù del generale richiamo alle norme del codice di procedura civile, effettuato dal comma 2 dell’art. 1 del d.lgs. n. 546 del 1992.
La natura pubblica dell’ufficio cui è affidato il compimento dell’atto e lo specifico dovere che gli è imposto dalla legge giustificano la mancata previsione di un effetto di decadenza (inammissibilità) correlato all’inosservanza del detto dovere.
Il meccanismo contemplato per la notifica diretta dell’atto d’impugnazione, di cui agli artt. 20, comma 2, e 16, comma 3, nonché 53, comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992 e successive modificazioni, è invece differente: sia la spedizione dell’atto di appello, sia il deposito di copia di esso presso l’ufficio di segreteria della Commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata, vanno compiuti dal medesimo notificante al quale, dunque, il compimento o l’omissione restano riferibili.
Pertanto, una volta verificata nei termini di cui sopra la ragionevolezza della norma che prevede l’inammissibilità per il mancato tempestivo deposito della copia dell’appello, nessuna ingiustificata disparità di trattamento può ravvisarsi.
Da quanto esposto consegue la non fondatezza della questione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 53, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 delle legge 30 dicembre 1991, n. 413), aggiunto dall’articolo 3-bis, comma 7, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), sollevata, in riferimento all’articolo 2 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del citato art. 53, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo n. 546 del 1992, aggiunto dall’art. 3-bis, comma 7, del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 248 del 2005, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dalla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 12 gennaio 2011.
F.to:
Paolo MADDALENA, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2011.
Il Cancelliere
F.to: FRUSCELLA