Ritenuto in fatto
1. – La Regione Emilia-Romagna, con ricorso notificato il 20 ottobre 2008, depositato il successivo 22 ottobre, ha sollevato, tra le altre, questione di legittimità costituzionale dell’art. 30, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), in riferimento agli artt. 114, 117, quarto e sesto comma, e 118, primo e quarto comma, della Costituzione nonché al principio di legalità sostanziale.
2. – L’art. 30, comma 1, del d.l. n. 112 del 2008, dispone che «per le imprese soggette a certificazione ambientale o di qualità rilasciata da un soggetto certificatore accreditato in conformità a norme tecniche europee ed internazionali, i controlli periodici svolti dagli enti certificatori sostituiscono i controlli amministrativi o le ulteriori attività amministrative di verifica, anche ai fini dell’eventuale rinnovo o aggiornamento delle autorizzazioni per l’esercizio dell’attività»; prevede, altresì, che «le verifiche dei competenti organi amministrativi hanno ad oggetto, in questo caso, esclusivamente l’attualità e la completezza della certificazione», restando «salvo il rispetto della disciplina comunitaria». Il comma 2 stabilisce che detta disposizione «è espressione di un principio generale di sussidiarietà orizzontale ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione», precisando che «resta ferma la potestà delle Regioni e degli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela». Il comma 3 del citato art. 30 prevede, infine, che «con regolamento, da emanarsi ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono individuati le tipologie dei controlli e gli ambiti nei quali trova applicazione la disposizione di cui al comma 1, con l’obiettivo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni di controlli, nonché le modalità necessarie per la compiuta attuazione della disposizione medesima».
2.1. – Secondo la Regione Emilia-Romagna, la norma impugnata riguarderebbe le imprese certificate in generale, quindi, «le materie del commercio, dell’industria, dell’agricoltura e le altre di interesse economico, tutte di competenza regionale», come sarebbe desumibile dalla considerazione che il comma 2, a conforto della competenza dello Stato, richiama i «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali», i quali, appunto, «incidono normalmente nelle materie regionali». Siffatto richiamo sarebbe, tuttavia, erroneo, poiché mancherebbe il riferimento ad una «prestazione» della quale sarebbe stato fissato il livello essenziale di erogazione.
La ricorrente espone che non intende contestare che i controlli amministrativi debbano essere svolti dagli enti certificatori, bensì censurare la limitazione, stabilita dal comma 1 della norma impugnata, in virtù della quale «le verifiche dei competenti organi amministrativi hanno ad oggetto, in questo caso, esclusivamente l’attualità e la completezza della certificazione». A suo avviso, spetterebbe, infatti, alle Regioni identificare i casi ed i motivi per i quali l’autorità pubblica deve intervenire, allo scopo di valutare legittimità ed appropriatezza dello svolgimento da parte degli enti certificatori delle funzioni ad essi attribuite.
L’art. 118, primo e quarto comma, Cost., ed il principio di sussidiarietà orizzontale permetterebbero, inoltre, di attribuire a soggetti privati lo svolgimento di funzioni di interesse generale, non di sottrarre «agli enti responsabili, costitutivi della Repubblica (art. 114 Cost.) […] la responsabilità ultima della funzione amministrativa e della cura degli interessi pubblici».
Pertanto, secondo la ricorrente, la censura potrebbe essere giudicata infondata soltanto qualora il comma 2 del citato art. 30, nella parte in cui stabilisce che «resta ferma la potestà delle Regioni e degli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela», sia interpretato nel senso che attribuisce alle Regioni la facoltà di «graduare con propria legge la responsabilità delle amministrazioni in relazione all’attività degli enti certificatori, prevedendo i rispettivi compiti e i relativi controlli».
La norma impugnata riguarderebbe, inoltre, l’attività delle imprese, quindi una materia di competenza regionale, con conseguente violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., dovendo ritenersi illegittima la previsione della fissazione della disciplina mediante un regolamento statale, non essendo evocabile la competenza dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
La previsione di una disciplina regolamentare sarebbe, infine, illegittima anche in quanto risulterebbe violato il principio di legalità sostanziale. L’art. 30, comma 3, del d.l. n. 112 del 2008, realizzerebbe, infatti, «una totale delegificazione, senza stabilire regola alcuna della materia, e senza individuare neppure l’ambito nel quale il regolamento dovrebbe intervenire, né quali norme legislative in quali settori dovrebbero essere abrogate a seguito dell’emanazione del regolamento», addirittura riservando a quest’ultimo l’identificazione degli «ambiti in cui il vago principio di cui al comma 1 si applica».
In linea gradata, la Regione Emilia-Romagna deduce che, qualora fosse ritenuta incensurabile l’attribuzione allo Stato del potere regolamentare in esame, la norma impugnata sarebbe comunque illegittima, in quanto prevede l’acquisizione del mero parere della Conferenza Stato-Regioni, anziché dell’intesa.
La ricorrente, nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, ha sostanzialmente reiterato siffatte argomentazioni.
3. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
Secondo la difesa erariale, la norma concernerebbe la tutela dell’ambiente e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, materie attribuite alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ed intersecherebbe ambiti materiali spettanti alla competenza legislativa concorrente delle Regioni, non a quella cosiddetta residuale.
A suo avviso, la ricorrente riterrebbe erroneamente che i controlli oggetto della norma impugnata, in quanto attengono alle imprese commerciali, per ciò solo, inciderebbero sulla disciplina del commercio, ovvero delle attività artigianali, agricole e turistiche.
La norma impugnata avrebbe, invece, realizzato una soluzione ragionevole e proporzionata, sia perché ha attribuito alle Regioni la facoltà di attuare interventi strumentali alla cura degli interessi ad esse affidati e collegati a quello tutelato dalla disposizione, sia perché, nell’osservanza del principio di leale collaborazione, ha previsto che il regolamento di attuazione debba essere adottato previo parere della Conferenza Stato-Regioni.
4. – La ricorrente ed il resistente, all’udienza pubblica, hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni svolte nelle difese scritte.
Considerato in diritto
1. – La Regione Emilia-Romagna, con ricorso notificato il 20 ottobre 2008, depositato il successivo 22 ottobre, ha sollevato, tra le altre, questione di legittimità costituzionale dell’art. 30, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), in riferimento agli artt. 114, 117, quarto e sesto comma, e 118, primo e quarto comma, della Costituzione nonché al principio di legalità sostanziale.
Riservata a separate pronunce la decisione sulle impugnazioni delle altre disposizioni contenute nel suddetto decreto-legge n. 112 del 2008, viene qui in esame la questione di legittimità costituzionale relativa al citato art. 30, commi da 1 a 3.
2. – Secondo la Regione Emilia-Romagna, la norma impugnata riguarderebbe le imprese certificate in generale, quindi, «le materie del commercio, dell’industria, dell’agricoltura e le altre di interesse economico, tutte di competenza regionale», come sarebbe desumibile dalla considerazione che il comma 2, a conforto della competenza dello Stato, richiama i «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali», i quali, appunto, «incidono normalmente nelle materie regionali». Siffatto richiamo sarebbe, tuttavia, erroneo, poiché mancherebbe il riferimento ad una «prestazione» della quale sarebbe stato fissato il livello essenziale di erogazione.
La ricorrente non contesta che i controlli amministrativi debbano essere svolti dagli enti certificatori, bensì censura la limitazione, stabilita dal comma 1, in virtù della quale «le verifiche dei competenti organi amministrativi hanno ad oggetto, in questo caso, esclusivamente l’attualità e la completezza della certificazione», sostenendo che spetterebbe alle Regioni identificare i casi ed i motivi per i quali l’autorità pubblica deve intervenire, allo scopo di valutare legittimità ed appropriatezza dello svolgimento da parte degli enti certificatori delle funzioni ad essi attribuite.
A suo avviso, l’art. 118, primo e quarto comma, Cost., ed il principio di sussidiarietà orizzontale permetterebbero di attribuire a soggetti privati lo svolgimento di funzioni di interesse generale, non di sottrarre «agli enti responsabili, costitutivi della Repubblica […] la responsabilità ultima della funzione amministrativa e della cura degli interessi pubblici». Pertanto, la fondatezza delle censure riferite al comma 2 del citato art. 30, nella parte in cui stabilisce che «resta ferma la potestà delle Regioni e degli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela», potrebbe essere esclusa soltanto qualora la disposizione sia interpretata nel senso che attribuisce alle Regioni la facoltà di «graduare con propria legge la responsabilità delle amministrazioni in relazione all’attività degli enti certificatori, prevedendo i rispettivi compiti e i relativi controlli».
Infine, secondo la ricorrente, la norma impugnata avrebbe ad oggetto l’attività delle imprese, e cioè una materia di competenza regionale; quindi, la fissazione della disciplina mediante un regolamento statale si porrebbe in contrasto con l’art. 117, sesto comma, Cost., e, comunque, sarebbe illegittima poiché, in violazione del principio di legalità sostanziale, sarebbe stata attribuita a detto regolamento anche l’identificazione degli «ambiti in cui il vago principio di cui al comma 1 si applica».
In linea gradata, conclude la Regione Emilia-Romagna, qualora fosse ritenuta incensurabile l’attribuzione allo Stato del potere regolamentare in esame, la norma impugnata sarebbe comunque illegittima, in quanto prevede l’acquisizione del mero parere della Conferenza Stato-Regioni, anziché dell’intesa.
3. – La questione non è fondata.
3.1. – La decisione implica la previa individuazione della materia alla quale va ricondotta la disciplina in esame, avendo riguardo all’oggetto ed alla regolamentazione stabilita dalla norma, tenendo conto della sua ratio, tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, così da identificare correttamente e compiutamente anche l’interesse tutelato (sentenze n. 168 del 2009, n. 148 del 2009 e n. 326 del 2008).
L’art. 30, comma 1, del d.l. n. 112 del 2008, nel testo risultante dalla legge di conversione, dispone che «per le imprese soggette a certificazione ambientale o di qualità rilasciata da un soggetto certificatore accreditato in conformità a norme tecniche europee ed internazionali, i controlli periodici svolti dagli enti certificatori sostituiscono i controlli amministrativi o le ulteriori attività amministrative di verifica, anche ai fini dell’eventuale rinnovo o aggiornamento delle autorizzazioni per l’esercizio dell’attività»; prevede, poi, che le verifiche dei competenti organi amministrativi hanno ad oggetto, in questo caso, esclusivamente l’attualità e la completezza della certificazione», restando «salvo il rispetto della disciplina comunitaria». Il comma 2 stabilisce, tra l’altro, che detta disposizione attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.), precisando che «resta ferma la potestà delle Regioni e degli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela». Il comma 3 del citato art. 30 affida, infine, ad un «regolamento, da emanarsi ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano», il compito di individuare «le tipologie dei controlli e gli ambiti nei quali trova applicazione la disposizione di cui al comma 1, con l’obiettivo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni di controlli, nonché le modalità necessarie per la compiuta attuazione della disposizione medesima».
Tale essendo la disciplina stabilita dalla norma impugnata, va osservato che l’espressione “certificazione ambientale” in essa contenuta rinvia tra l’altro agli schemi di certificazione ambientale disciplinati dal Regolamento (CE) 19 marzo 2001 n. 761/2001 ed al Regolamento (CE) 17 luglio 2000 n. 1980/2000, i quali hanno configurato strumenti di prevenzione, di miglioramento ambientale e di comunicazione, che, rispettivamente, assicurano alle imprese un vantaggio in termini di credibilità, agevolazioni e semplificazioni, e mirano ad incentivare la presenza sul mercato di prodotti con minore impatto ambientale.
L’espressione “certificazione di qualità”, pure recata dalla disposizione censurata, è riferibile, a sua volta, alle molteplici forme di attestazione della conformità di un prodotto, servizio o sistema di gestione aziendale a requisiti di qualità di carattere cogente ovvero volontario, che implicano una verifica dell’osservanza di norme o regole tecniche. Si tratta, in tutti i casi, di assicurare che tali verifiche siano congrue rispetto ai molteplici scopi per i quali sono previste, relativi ad ambiti plurimi e diversi, e che siano realizzate in modo tecnicamente ineccepibile, professionalmente rigoroso, efficace ed efficiente, così da garantire il valore e la credibilità dei risultati, generando la massima fiducia nel mercato, ma anche contenendo i costi ed i tempi per il loro ottenimento entro limiti accettabili.
La lettera della norma rende, dunque, chiaro che essa mira a realizzare, ad un tempo, la semplificazione degli adempimenti, gravanti sulle imprese, strumentali al conseguimento delle certificazioni nella stessa previste, e la garanzia della verifica della effettiva conformità del prodotto, servizio o sistema di gestione aziendale fornito dalle imprese ai requisiti minimi di qualità fissati da specifiche norme o regole tecniche europee ed internazionali. Siffatto obiettivo è stato realizzato, come è esplicitato anche nella Relazione al disegno di legge di conversione del d.l. n. 112 del 2008, stabilendo il principio che «per le certificazioni ambientali o di qualità, rilasciate dai soggetti certificatori accreditati, i controlli degli enti certificatori sostituiscono quelli degli organi amministrativi», affidando inoltre le suindicate verifiche ad appositi organismi dotati di specifici requisiti.
3.2. – Il contenuto della disciplina in esame rende chiara l’infondatezza della tesi della ricorrente, secondo la quale la norma impugnata riguarderebbe materie «di interesse economico, tutte di competenza regionale». La locuzione «interesse economico» (e quella «sviluppo economico»), come questa Corte ha affermato, non vale, infatti, a configurare una materia spettante alla competenza legislativa regionale di tipo residuale, ma costituisce una espressione di sintesi, meramente descrittiva, che comprende e rinvia ad una pluralità di materie, attribuite sia alla competenza statale che a quella regionale (sentenze n. 63 del 2008, n. 430 del 2007 e n. 165 del 2007). Inoltre, neppure è configurabile una materia «impresa», disgiunta dal settore nel quale la stessa opera e che possa, in quanto tale, ritenersi attribuita alla competenza delle Regioni (sentenza n. 63 del 2008).
La disciplina è, invece, riconducibile alla materia «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», attribuita dall’articolo 117, secondo comma, lettera m), Cost. alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, apparendo corretta la autoqualificazione in tal senso contenuta nella medesima, sebbene priva di efficacia vincolante (sentenze n. 1 del 2008 e n. 430 del 2007).
Al riguardo, va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «l’attribuzione allo Stato della competenza esclusiva e trasversale di cui alla citata disposizione costituzionale si riferisce alla determinazione degli standard strutturali e qualitativi di prestazioni che, concernendo il soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti, con carattere di generalità, a tutti gli aventi diritto» (sentenze n. 168 e n. 50 del 2008 e n. 387 del 2007). Siffatto titolo di legittimazione dell’intervento statale è invocabile «in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione» (sentenze n. 328 del 2006, n. 285 e n. 120 del 2005 e n. 423 del 2004) e con esso è stato attribuito «al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto» (sentenza n. 134 del 2006). Si tratta, quindi, come anche questa Corte ha precisato, non tanto di una “materia” in senso stretto, quanto di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle (sentenza n. 282 del 2002).
In applicazione di siffatti principi, la disciplina in questione va ricondotta all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
La disposizione impugnata mira, infatti, ad assicurare che tutte le imprese fruiscano, in condizioni di omogeneità sull’intero territorio nazionale, ad uno stesso livello, della possibilità di avvalersi di una prestazione, corrispondente all’ottenimento di una delle certificazioni di qualità dalla stessa previste, concernenti molteplici ambiti e scopi, da parte di appositi enti certificatori, accreditati in ragione del possesso di specifici requisiti. Siffatta certificazione deve essere idonea ad assicurare, contestualmente, alle imprese, indipendentemente dalla loro ubicazione territoriale, la possibilità di ottenerla, senza dover soggiacere ad inutili e pesanti duplicazioni di controlli, con conseguente vantaggio in termini di efficienza, efficacia, credibilità ed economicità; a tutti i fruitori dei prodotti o servizi erogati dalle medesime imprese, la garanzia di una corretta verifica di conformità dei predetti ai requisiti minimi di qualità fissati dalle norme tecniche interne, europee ed internazionali di settore, effettuata da organismi, terzi ed indipendenti, a ciò appositamente preposti.
Inoltre, poiché il citato art. 30, comma 2, stabilisce che «resta ferma la potestà delle Regioni e degli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela», neppure sono inibiti eventuali successivi controlli a fini sanzionatori e resta anche lo spazio per il legislatore regionale di identificare, nei propri settori di competenza, modalità diverse di realizzazione di eventuali più elevati e congrui livelli di tutela della qualità della certificazione, coerenti con gli obiettivi perseguiti dalla norma.
La riconduzione della disciplina in esame all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., comporta l’infondatezza della questione, sotto tutti i profili, e, vertendosi nell’ambito di una materia di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi del sesto comma di detta norma, ad esso spetta anche la potestà normativa secondaria, con la naturale conseguenza della attribuzione del potere regolamentare.
Infine, l’indeterminatezza che caratterizza la norma impugnata, in punto di identificazione delle certificazioni sopra indicate, neppure comporta, di per sé sola, una lesione delle competenze della Regione (sentenza n. 249 del 2009), mentre la devoluzione ad un regolamento governativo (da adottarsi previo parere della Conferenza Stato-Regioni) del compito di individuare «le tipologie dei controlli e gli ambiti nei quali trova applicazione la disposizione di cui al comma 1» (art. 30, comma 3, del d.l. n. 112 del 2008) non esclude che, qualora tale atto fosse redatto in maniera da vulnerare le competenze regionali, le Regioni potrebbero denunciarne la lesività mediante lo strumento del ricorso per conflitto di attribuzione fra enti.