Ritenuto in fatto
Nel corso di una controversia promossa da un privato contro un'azienda sanitaria locale, la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 5, della legge 23 ottobre 1985, n. 595 (Norme per la programmazione sanitaria e per il piano sanitario triennale 1986-1988), «come integrato dagli artt. 2 e 7 del d.m. 3 novembre 1989 e dall'art. 2 del d.m. 13 maggio 1993, nella parte in cui non è applicabile alle ipotesi di prestazioni sanitarie ottenute presso strutture estere diverse dai centri di altissima specializzazione, nei casi in cui tali prestazioni siano l'unica possibilità per evitare un danno grave e irreversibile alla salute».
Premette la Corte che una cittadina italiana, nel corso di un soggiorno in Messico, aveva dovuto subire un ricovero d'urgenza, con intervento di tracheotomia, a causa di un edema polmonare. In conseguenza di ciò, la medesima aveva citato in giudizio la ASL competente per territorio al fine di ottenere il rimborso delle spese sanitarie sostenute. Respinta la domanda in primo grado, la stessa era stata invece accolta dalla Corte d'appello.
Proposto ricorso per cassazione da parte della ASL, il giudice a quo osserva che la sentenza impugnata è meritevole di censura, poiché l'art. 3, comma 5, della legge n. 595 del 1985 consente il recupero, da parte dei cittadini italiani, delle spese sostenute per prestazioni di assistenza sanitaria ottenute all'estero a condizione che le stesse siano state erogate da centri di «altissima specializzazione» e che riguardino «prestazioni che non siano ottenibili nel nostro Paese tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico». La norma in questione rimanda ad un decreto ministeriale, successivamente emanato (d.m. 3 novembre 1989), il quale fissa (art. 2) le tipologie di prestazioni erogabili, fornendo altresì (art. 5) la definizione di «centro di altissima specializzazione»; tale decreto dispone anche, all'art. 7 (modificato dall'art. 2 del d.m. 13 maggio 1993), che si può prescindere dalla preventiva autorizzazione – ai fini del rimborso – in presenza di prestazioni di comprovata eccezionale gravità ed urgenza, ivi comprese quelle usufruite dai cittadini che già si trovino all'estero. Tale previsione, tuttavia, non consente – ad avviso della Corte di cassazione – di ritenere ampliato il novero delle ipotesi previste dalla censurata disposizione, poiché essa deve essere interpretata, in conformità ad altre pronunce della medesima Corte, nel senso che il rimborso è consentito solo in quanto relativo alle prestazioni di cui all'art. 2 del citato decreto; né può giungersi a diversa conclusione in base alle disposizioni del d.P.R. 31 luglio 1980, n. 618 – che riguarda l'assistenza dei cittadini italiani all'estero – poiché nel caso di specie si tratta di un cittadino che si trovava all'estero per motivi diversi da quelli di studio e di lavoro.
La predetta interpretazione dà conto della rilevanza della questione, perché il ricorso della ASL, allo stato attuale del sistema, dovrebbe essere accolto; ma è proprio tale interpretazione, secondo il giudice a quo, a porsi in contrasto con gli invocati parametri costituzionali. È vero, infatti, che la giurisprudenza costituzionale ha affermato che la tutela del diritto alla salute viene a subire le limitazioni ed i condizionamenti che derivano dalla limitatezza delle risorse finanziarie; è altrettanto vero, però, che il bilanciamento che il legislatore certamente può compiere non deve assumere «un peso talmente preponderante da comprimere il nucleo irriducibile di tale diritto, protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della personalità umana». L'ordinanza di rimessione richiama, in proposito, la sentenza n. 309 del 1999 di questa Corte, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della disposizione che limitava l'assistenza sanitaria gratuita in favore dei cittadini italiani all'estero che versano in disagiate condizioni economiche; d'altra parte, anche il fatto di soggiornare all'estero per motivi diversi da quelli di studio o di lavoro non può implicare, di per sé, una limitazione del predetto diritto.
La disciplina vigente – osserva la Corte di cassazione – ha in sé una «valenza espansiva», com'è dimostrato anche dal fatto che la stessa disposizione censurata rinvia a vari decreti ministeriali che, nel corso del tempo, le hanno dato attuazione, indicando i tipi di patologia suscettibili di rimborso in relazione alle spese sanitarie sostenute all'estero. Tuttavia la lesione del diritto alla salute è identica quando la patologia può essere curata soltanto all'estero, presso un centro di altissima specializzazione, e quando – come nella specie – la patologia sia insorta all'estero e non tolleri alcun differimento delle necessarie cure, anche presso centri non rientranti tra quelli di altissima specializzazione. Ne consegue che è in contrasto con l'art. 3 Cost. negare l'assistenza indiretta in relazione a situazioni di malattia le quali, benché sorte in base a diversi presupposti, rappresentano un'identica minaccia al diritto alla salute costituzionalmente protetto, soprattutto quando le prestazioni sanitarie sono rese indispensabili da «comprovate ragioni di gravità e urgenza».
Considerato in diritto
1.— La Corte di cassazione ha rimesso a questa Corte, in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 5, della legge 23 ottobre 1985, n. 595 (Norme per la programmazione sanitaria e per il piano sanitario triennale 1986-1988), come integrato dagli artt. 2 e 7 del d.m. 3 novembre 1989 e dall'articolo 2 del d.m. 13 maggio 1993, «nella parte in cui non è applicabile alle ipotesi di prestazioni sanitarie ottenute presso strutture estere diverse dai centri di altissima specializzazione nei casi in cui tali prestazioni siano l'unica possibilità per evitare un danno grave e irreversibile alla salute».
La remittente riferisce che pende davanti ad essa un giudizio promosso dall'Azienda sanitaria locale n. 3 della Provincia di Milano per ottenere la cassazione della sentenza della locale Corte d'appello, che, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto la domanda di una cittadina italiana diretta ad ottenere il rimborso delle spese sanitarie sostenute in Messico, dove, a causa di un edema polmonare acuto, le era stata praticata la tracheotomia.
Nell'ordinanza di rimessione si premette che la normativa impugnata prevede l'assistenza indiretta soltanto per i cittadini italiani residenti in Italia che debbono fruire di prestazioni assistenziali «presso centri di altissima specializzazione all'estero, che non siano ottenibili nel nostro paese tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico». Poiché, nella fattispecie oggetto del giudizio principale, la prestazione sanitaria, del cui costo si chiede il rimborso, non è stata ottenuta nelle condizioni e circostanze suddette, il ricorso dovrebbe essere accolto.
Tuttavia la disciplina in scrutinio può essere sospettata di illegittimità per contrasto con gli artt. 3 e 32 della Costituzione.
Secondo la remittente, il principio generale – il quale prevede che i presupposti, il tipo e le modalità di erogazione delle prestazioni assistenziali, dirette a tutelare il diritto alla salute, siano stabiliti dal legislatore nell'esercizio della discrezionalità di apprezzamento che gli compete nel contemperamento tra le esigenze degli assistiti e quelle di bilancio – subisce deroga qualora si tratti del nucleo essenziale del diritto alla salute e la prestazione in questione sia indispensabile e indifferibile per la sua tutela. A tal proposito la remittente richiama la sentenza di questa Corte n. 309 del 1999, con la quale, scrutinando una questione sollevata in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost., fu dichiarata «l'illegittimità costituzionale degli articoli 37 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del Servizio sanitario nazionale), e 1 e 2 del d.P.R. 31 luglio 1980, n. 618 (Assistenza sanitaria ai cittadini italiani all'estero), nella parte in cui, a favore dei cittadini italiani che si trovano temporaneamente all'estero, non appartengano alle categorie indicate nell'art. 2 del medesimo decreto e versano in disagiate condizioni economiche, non prevedono forme di assistenza sanitaria gratuita da stabilirsi dal legislatore».
2.— In via preliminare si rileva che, pur facendo parte della normativa censurata anche disposizioni di atti regolamentari, la questione è ammissibile perché questi, espressamente previsti dalla disposizione di legge impugnata, di quest'ultima costituiscono specificazione (sentenze n. 1104 del 1988, n. 456 del 1994, nonché, in applicazione dello stesso principio, ma in senso negativo nei casi risolti, sentenza n. 162 del 2008 e ordinanza n. 389 del 2004).
La fattispecie oggetto del giudizio principale è esaurientemente, anche se succintamente, descritta con l'indicazione della patologia di per sé grave (edema polmonare) e della natura e urgenza dell'intervento (tracheotomia). L'assenza di qualsiasi cenno alle condizioni economiche della resistente nel giudizio di cassazione, alle ragioni della sua permanenza in Messico e all'importo delle spese sostenute per l'intervento subito non si configura come un difetto di descrizione della fattispecie, ma invece rende certi che si tratta di persona non indigente (neppure in senso relativo, cioè in riferimento al costo del suddetto intervento terapeutico) che si trovava all'estero non per ragioni di lavoro o per fruire di borsa di studio. Ciò esclude la rilevanza diretta delle disposizioni del d.P.R. n. 618 del 1980, sulle quali ha inciso la suddetta sentenza di questa Corte n. 309 del 1999, la quale, fra l'altro, ha sottolineato che la mancanza di mezzi economici dell'assistito deve essere valutata non in assoluto, ma in relazione all'onerosità della cura.
Infatti, la piena consapevolezza dimostrata dalla remittente in merito al contenuto della suddetta sentenza, unitamente all'esplicito riferimento effettuato nell'ordinanza alla «vocazione espansiva» della tutela del diritto alla salute «indipendentemente dalle condizioni economiche dei cittadini interessati», sono il chiaro sintomo dell'individuazione di una situazione diversa da quella esaminata nella suddetta decisione, nella quale alle condizioni economiche dell'assistito è stato attribuito decisivo rilievo, ai sensi dell'art. 32 della Costituzione.
Pertanto, anche sotto i profili indicati, non si ravvisano ragioni di inammissibilità della questione.
3.— È opportuno premettere che essa venne già proposta a questa Corte dal Tribunale di Sondrio e risolta con ordinanza di manifesta inammissibilità n. 78 del 1996. Tale provvedimento fu motivato con il rilievo che l'estensione della disciplina impugnata ad una ipotesi del tutto diversa da quella cui si riferisce la norma stessa avrebbe imposto «di definire condizioni, limiti e modalità di un'ipotesi nuova di assistenza indiretta da dispensare all'estero, aspetti rispetto ai quali non è possibile individuare un'unica soluzione, ma che dovrebbero formare oggetto di scelte affidate alla discrezionalità del legislatore ed eventualmente dell'autorità amministrativa».
Successivamente, con la citata sentenza n. 309 del 1999, richiamata nell'ordinanza di rimessione a conforto del giudizio di non manifesta infondatezza, questa Corte, scrutinando una questione diversa, ma connotata da elementi di analogia con la presente, la risolse nel merito, emettendo il dispositivo sopra riferito e quindi una pronuncia additiva di principio. La remittente ipotizza una pronuncia di questo tipo.
Conseguentemente, anche da questo punto di vista, la questione, come proposta, non può essere ritenuta inammissibile in linea di principio.
4.— Per l'esame del merito della questione va precisato che essa non riguarda i trattamenti sanitari fruibili dai cittadini italiani negli Stati membri dell'Unione europea (disciplinati dal regolamento CEE del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408 e dal regolamento CE del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, n. 833), dello Spazio economico europeo e della Svizzera (cui si riferisce la legge di ratifica 28 luglio 1993, n. 300) e neppure concerne quelli garantiti da altri Stati in base ad accordi bilaterali o multilaterali (fatti salvi dall'art. 2 del d.P.R. 31 luglio 1980, n. 618).
Così definitone l'ambito, la questione non è fondata.
È necessario richiamare gli orientamenti più volte enunciati da questa Corte, anche con la sentenza n. 309 del 1999, secondo i quali, da un lato, la tutela del diritto alla salute nel suo aspetto di pretesa all'erogazione di prestazioni «non può non subire i condizionamenti che lo stesso legislatore incontra nel distribuire le risorse finanziarie delle quali dispone»; dall'altro, le «esigenze della finanza pubblica non possono assumere, nel bilanciamento del legislatore, un peso talmente preponderante da comprimere il nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana» (in questo senso, oltre alla citata sentenza, ex plurimis: sentenze n. 455 del 1990; n. 267 del 1998; n. 509 del 2000; n. 252 del 2001; n. 432 del 2005).
Ora, come risulta dall'art. 37 della legge n. 833 del 1978, l'assistenza sanitaria agli italiani all'estero costituisce oggetto di una disciplina specifica rispetto a quella che regola l'assistenza a favore di coloro che si trovano nel territorio dello Stato. Specificità che deriva dal fatto che il servizio sanitario, come in genere i servizi pubblici, incontra di norma i limiti territoriali propri dello Stato, sicché le prestazioni vengono erogate direttamente mediante strutture pubbliche organizzate nel territorio oppure da soggetti con i quali le pubbliche amministrazioni stipulano convenzioni (si vedano, in particolare, gli artt. 19 e 25 della legge n. 833 del 1978).
Ciò non può non riflettersi sulla disciplina delle condizioni alla cui sussistenza è subordinato il diritto alle prestazioni e sul tipo, entità e modalità della loro erogazione e, quindi, anche sui criteri cui ci si attiene nell'operare il bilanciamento di cui si è detto tra tutela del diritto alla salute ed esigenze dello Stato di natura finanziaria e, più in generale, organizzativa.
Tali considerazioni spiegano perché il legislatore, nel disciplinare l'assistenza agli italiani all'estero esercitando la delega di cui all'art. 37 della legge n. 833 del 1978, abbia richiesto che la presenza all'estero fosse motivata da ragioni di lavoro o da particolari motivi di studio (fruizione di borse di studio) ritenendo che, in tali casi, l'espatrio realizzasse non soltanto l'interesse individuale dei singoli, ma anche un interesse generale e, come tale, meritevole di trattamenti idonei a non ostacolarlo.
5.–– Ragioni diverse, ma pur sempre ispirate a valutazioni di interesse generale, sono alla base della normativa impugnata e della quale si postula l'integrazione per ricondurla a legittimità costituzionale.
Il legislatore, preso atto della impossibilità o della eccessiva onerosità di predisporre nel territorio nazionale strutture di altissima specializzazione in grado di fornire particolari prestazioni o della impossibilità di assicurare un'organizzazione tale da fornire, per ogni evenienza, in tempo utile le necessarie terapie, ha previsto la facoltà dei residenti in Italia di recarsi all'estero in luoghi dove sia possibile fruire delle prestazioni richieste dal caso sotto i profili qualitativo e temporale, sia pure entro determinati limiti e a precise condizioni.
La remittente invoca la sentenza di questa Corte n. 309 del 1999 per sostenere che da essa si deduce l'affermazione del principio generale secondo il quale, ogni qual volta sia in pericolo il nucleo essenziale del diritto alla salute, il cittadino italiano, anche se si trovi all'estero, quali che siano le ragioni che l'abbiano indotto all'espatrio, abbia comunque diritto ad ottenere che il costo delle necessarie prestazioni sanitarie sia sostenuto dal servizio sanitario nazionale o, quanto meno, con il contributo di questo. In realtà, la suddetta pronuncia è stata emessa sul fondamento che l'art. 32, comma primo, Cost. «garantisce cure gratuite agli indigenti» e in considerazione del fatto che, per costoro, l'insufficienza delle condizioni economiche, unitamente alla mancata previsione del diritto di ottenere il rimborso delle spese necessarie, potrebbe determinare l'impossibilità di procurarsi le indispensabili prestazioni sanitarie e risolversi, quindi, in un pregiudizio diretto e immediato del diritto alla salute. Infatti, in essa la Corte ha precisato come il richiedere, anche per gli indigenti (nel senso suddetto), che la presenza all'estero fosse motivata da ragioni di lavoro o da particolari ragioni di studio avrebbe costituito «aggravamento di una condizione materiale negativa; aggravamento che al legislatore è vietato introdurre».
Per altro verso, dalla sentenza richiamata non si ricava l' equiparazione dei motivi del soggiorno al di fuori del territorio nazionale diversi da quelli di lavoro o di studio a questi ultimi, ma soltanto che ai primi non è consentito «collegare una aprioristica valutazione negativa», tale da escludere qualsiasi intervento pubblico anche nel caso di persona indigente.
In conclusione, alla stregua dell'art. 32 Cost., non può essere affermato in modo assoluto il principio secondo il quale, in caso di gravità della malattia e di urgenza dell'intervento terapeutico, il costo di quest'ultimo deve essere rimborsato pure a coloro che non si trovino in una condizione di indigenza anche in senso relativo.