Titolo
Reati e pene - Tutela penale dei culti - Vilipendio della religione cattolica, (già) religione dello Stato - Punibilità con la reclusione fino a un anno - Violazione dei principi fondamentali di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge senza distinzione di religione e di eguale libertà di tutte le confessioni religiose nonché' del principio supremo di laicità dello stato - Illegittimità costituzionale.
TestoE' costituzionalmente illegittimo l'art. 402 del codice penale che punisce con la reclusione fino a un anno "chiunque pubblicamente vilipende la religione di Stato", accordando una tutela privilegiata alla sola religione cattolica, ritenuta fattore di unità morale della Nazione e assunta a elemento costitutivo della compagine statale. Non è infatti conforme ai principi fondamentali di uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di religione (art. 3 della Costituzione) e di uguale libertà davanti alla legge di tutte le confessioni religiose (art. 8 della Costituzione), nonché al "principio supremo" di laicità, che caratterizza in senso pluralistico la forma del nostro Stato, l'atteggiamento di quest'ultimo non equidistante e imparziale nei confronti di tutte le confessioni religiose e la mancanza di parità nella protezione della coscienza di ciascuna persona che si riconosce in una fede, quale che sia la confessione di appartenenza. - Sul "principio supremo" di laicità dello Stato, v. le sentenze nn. 203/1989, 259/1990, 195/1993 e 329/1997. - Sulla parità delle confessioni religiose, v. le sentenze nn. 925/1988. A.G.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Costituzione
art. 8
Riferimenti normativi
codice penale
n. 0
art. 402
co. 0
Titolo
Reati e pene - Riserva di legge in materia - Esclusione di sentenze di incostituzionalità aventi valenza additiva.
TestoIn conformità del principio della riserva di legge stabilita dalla Costituzione in materia di reati e pene (art. 25, secondo comma), secondo l'orientamento già' espresso dalla Corte costituzionale, sono escluse nella materia le sentenze di incostituzionalità aventi valenze additive e, sebbene il principio di laicità dello Stato legittimi interventi legislativi a protezione della libertà di religione (secondo quanto già affermato dalla Corte), la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 402 del codice penale s'impone nella forma ablativa. - Sulla riserva di legge in materia penale, da ultimo, v. la sentenza n. /1995. A.G.
N. 508
SENTENZA 13-20 NOVEMBRE 2000
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Cesare MIRABELLI;
Giudici: Francesco GUIZZI, Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI,
Cesare RUPERTO, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA,
Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 402 del codice
penale, promosso con ordinanza emessa il 5 novembre 1998 dalla Corte
di cassazione nel procedimento penale a carico di A. G., iscritta al
n. 105 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 10, 1ª serie speciale, dell'anno 1999.
Udito nella camera di consiglio del 27 settembre 2000 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky.
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza del 5 novembre 1998, la Corte di cassazione ha
sollevato questione di costituzionalità dell'art. 402 cod.
pen. (Vilipendio della religione dello Stato), in riferimento agli
artt. 3, primo comma, e 8, primo comma, della Costituzione.
2. - Premesse le vicende del giudizio di merito, quanto al fatto
storico e quanto alle diverse conclusioni dei giudici di primo grado
e di appello, la Corte rimettente sottolinea in primo luogo la
rilevanza della questione: si tratta infatti di verificare la
legittimità costituzionale della norma incriminatrice oggetto della
contestazione all'imputato.
3. - Quanto alla non manifesta infondatezza, la Corte di
cassazione svolge la motivazione dell'ordinanza attraverso una
rassegna del percorso della giurisprudenza costituzionale e delle
modifiche normative in tema di reati "di religione".
La Cassazione muove dalla prima decisione resa dalla Corte
costituzionale sull'art. 402 cod. pen. - sentenza n. 39 del 1965 -
con la quale era stata rigettata una questione di costituzionalità,
riferita agli artt. 3, 8, 19 e 20 della Costituzione, principalmente
sul rilievo che la tutela penale rafforzata della religione
cattolica, rispetto alle altre confessioni, trovava giustificazione
nella sua connotazione di religione professata dalla maggioranza dei
cittadini, e dunque nella maggiore ampiezza e intensità delle
reazioni sociali alle offese che alla stessa religione potessero
essere rivolte.
La norma penale in argomento - prosegue la Corte rimettente - si
riferisce alla "religione dello Stato", una nozione, questa, ripresa
dall'art. 1 dello Statuto albertino e ribadita nell'art. 1 del
Trattato Lateranense del 1929, che, oltre a essere incompatibile con
il principio supremo di laicità dello Stato (quale emerge dalle
sentenze nn. 203 del 1989 e 149 del 1995 della Corte costituzionale),
è stata comunque superata dalle modifiche concordatarie del 1984; il
punto 1 del Protocollo addizionale all'accordo di modifica del
Concordato, ratificato con la legge 25 marzo 1985, n. 121, infatti,
afferma che "si considera non più in vigore il principio,
originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione
cattolica come sola religione dello Stato italiano".
E ancora a tale riguardo, la Cassazione rileva che la Corte
costituzionale ha ritenuto che l'espressione "religione dello Stato"
utilizzata nel codice penale, una volta venuta meno la possibilità
di attribuirle l'originario significato, non ha altro senso se non
quello di un semplice "tramite linguistico" con il quale viene
indicata la religione cattolica (sentenze nn. 925 del 1988 e 440 del
1995).
Ciò posto, il giudice rimettente, per argomentare la questione,
assume come propri taluni passaggi di più recenti decisioni della
Corte costituzionale.
Nella sentenza n. 329 del 1997, osserva la Cassazione, è stato
messo in rilievo che "secondo la visione nella quale si mosse il
legislatore del 1930, alla Chiesa e alla religione cattoliche era
riconosciuto un valore politico, quale fattore di unità morale della
nazione. Tale visione, oltre a trovare riscontro nell'espressione
"religione dello Stato", stava alla base delle numerose norme che,
anche al di là dei contenuti e degli obblighi concordatari,
dettavano discipline di favore a tutela della religione cattolica,
rispetto alla disciplina prevista per le altre confessioni religiose,
ammesse nello Stato. Questa ratio differenziatrice certamente non
vale più oggi, quando la Costituzione esclude che la religione possa
considerarsi strumentalmente rispetto alle finalità dello Stato e
viceversa (sentenze nn. 334 del 1996 e 85 del 1963, nonché 203 del
1989)".
D'altra parte, prosegue la Cassazione, la giurisprudenza
costituzionale ha da tempo abbandonato il criterio "quantitativo"
inizialmente utilizzato (ad esempio, nelle sentenze nn. 125 del 1957,
79 del 1958 e 14 del 1973) per giustificare la tutela rafforzata a
favore della religione "di maggioranza": già nella decisione n. 925
del 1988 si è affermato che è "ormai inaccettabile ogni tipo di
discriminazione (che si basi) soltanto sul maggiore o minore numero
degli appartenenti alle varie confessioni religiose"; mentre la
successiva sentenza n. 440 del 1995 ha precisato che "l'abbandono del
criterio quantitativo significa che in materia di religione, non
valendo il numero, si impone ormai la pari protezione della coscienza
di ciascuna persona che si riconosce in una fede, quale che sia la
confessione religiosa di appartenenza".
Da ultimo - conclude la Cassazione - la Corte costituzionale,
nella già citata sentenza n. 329 del 1997, ha definitivamente
escluso la possibilità di giustificare differenziazioni legislative
nella tutela penale del "sentimento religioso", osservando che "la
protezione del sentimento religioso è venuta ad assumere il
significato di un corollario del diritto costituzionale di libertà
di religione, corollario che, naturalmente, deve abbracciare allo
stesso modo l'esperienza religiosa di tutti coloro che la vivono,
nella sua dimensione individuale e comunitaria, indipendentemente dai
diversi contenuti di fede delle diverse confessioni. Il superamento
di questa soglia attraverso valutazioni e apprezzamenti legislativi
differenziati e differenziatori, con conseguenze circa la diversa
intensità di tutela, infatti, inciderebbe sulla pari dignità della
persona e si porrebbe in contrasto col principio costituzionale della
laicità o non confessionalità dello Stato ...: principio che, come
si ricava dalle disposizioni che la Costituzione dedica alla materia,
non significa indifferenza di fronte all'esperienza religiosa ma
comporta equidistanza e imparzialità della legislazione rispetto a
tutte le confessioni religiose".
4. - In tale quadro di riferimento, si delineano, ad avviso della
Corte di Cassazione, le seguenti coordinate della questione: a) il
venir meno del carattere di religione "di Stato" per la confessione
cattolica ha riportato quest'ultima nell'ambito della pari dignità
rispetto a ogni altra confessione, conformemente al disegno
costituzionale; b) la Corte costituzionale ha numerose volte
sollecitato il legislatore a rimuovere ogni ingiustificata differenza
di tutela penale tra la religione cattolica e le altre confessioni;
c) il reato di cui all'art. 402 cod. pen. mantiene viceversa una
effettiva discriminazione tra confessioni religiose, tutelando
esclusivamente la religione cattolica.
Ne deriva la necessità di rimettere al controllo di
costituzionalità la compatibilità tra la norma penale in discorso e
i principi espressi negli artt. 3, primo comma, e 8, primo comma,
della Costituzione.
Considerato in diritto
1. - La Corte di Cassazione solleva questione di legittimità
costituzionale dell'art. 402 del codice penale (Vilipendio della
religione dello Stato) che punisce con la reclusione fino a un anno
"chiunque pubblicamente vilipende la religione dello Stato". Il
giudice rimettente dubita che la disposizione in esame, accordando
una tutela privilegiata alla sola religione cattolica - già
religione dello Stato (sentenze nn. 925 del 1988, 440 del 1995 e 329
del 1997) - violi gli artt. 3 e 8 della Costituzione, cioè
l'eguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di religione e
l'eguale libertà di tutte le confessioni religiose davanti alla
legge.
2. - La questione è fondata.
3. - Posta dal legislatore penale del 1930, la norma impugnata,
insieme a tutte le altre che prevedono una protezione particolare a
favore della religione dello Stato-religione cattolica, si spiega per
il rilievo che, nelle concezioni politiche dell'epoca, era
riconosciuto al cattolicesimo quale fattore di unità morale della
nazione. In questo senso, la religione cattolica era "religione dello
Stato" - anzi necessariamente "la sola" religione dello Stato
(formula risalente all'art. 1 dello Statuto albertino e riportata a
novella vita dall'art. 1 del Trattato fra la Santa Sede e l'Italia
del 1929): oltre che essere considerata oggetto di professione di
fede, essa era assunta a elemento costitutivo della compagine statale
e, come tale, formava oggetto di particolare protezione anche
nell'interesse dello Stato.
Le ragioni che giustificavano questa norma nel suo contesto
originario sono anche quelle che ne determinano l'incostituzionalità
nell'attuale.
In forza dei principi fondamentali di uguaglianza di tutti i
cittadini senza distinzione di religione (art. 3 della Costituzione)
e di uguale libertà davanti alla legge di tutte le confessioni
religiose (art. 8 della Costituzione), l'atteggiamento dello Stato
non può che essere di equidistanza e imparzialità nei confronti di
queste ultime, senza che assumano rilevanza alcuna il dato
quantitativo dell'adesione più o meno diffusa a questa o a quella
confessione religiosa (sentenze nn. 925 del 1988, 440 del 1995 e 329
del 1997) e la maggiore o minore ampiezza delle reazioni sociali che
possono seguire alla violazione dei diritti di una o di un'altra di
esse (ancora la sentenza n. 329 del 1997), imponendosi la pari
protezione della coscienza di ciascuna persona che si riconosce in
una fede quale che sia la confessione di appartenenza (così ancora
la sentenza n. 440 del 1995), ferma naturalmente la possibilità di
regolare bilateralmente e quindi in modo differenziato, nella loro
specificità, i rapporti dello Stato con la Chiesa cattolica tramite
lo strumento concordatario (art. 7 della Costituzione) e con le
confessioni religiose diverse da quella cattolica tramite intese
(art. 8).
Tale posizione di equidistanza e imparzialità è il riflesso del
principio di laicità che la Corte costituzionale ha tratto dal
sistema delle norme costituzionali, un principio che assurge al rango
di "principio supremo" (sentenze nn. 203 del 1989, 259 del 1990, 195
del 1993 e 329 del 1997), caratterizzando in senso pluralistico la
forma del nostro Stato, entro il quale hanno da convivere, in
uguaglianza di libertà, fedi, culture e tradizioni diverse (sentenza
n. 440 del 1995).
Queste conclusioni sono progressivamente maturate, pur partendo
da proposizioni iniziali per diversi aspetti divergenti (sentenze
nn. 79 del 1958; 39 del 1965; 14 del 1973), in concomitanza con
significativi e convergenti svolgimenti dell'ordinamento. Il punto 1
del protocollo addizionale all'accordo che apporta modificazioni al
Concordato lateranense, recepito con la legge 25 marzo 1985, n. 121,
ha esplicitamente affermato il venire meno del principio della
religione cattolica come sola religione dello Stato e, con le diverse
intese poi raggiunte con confessioni religiose diverse da quella
cattolica, si è messo in azione il sistema dei rapporti bilaterali
previsto dalla Costituzione per le altre confessioni. In tale
contesto, si è manifestata la generale richiesta allo Stato di una
sua disciplina penale equiparatrice, o nel senso dell'assicurazione
della parità di tutela penale (come è nel caso dell'art. 1, quarto
comma, dell'intesa con l'Unione delle comunità ebraiche italiane del
27 febbraio 1987), o nel senso che la fede non necessita di tutela
penale diretta, dovendosi solamente apprestare invece una protezione
dell'esercizio dei diritti di libertà riconosciuti e garantiti dalla
Costituzione (art. 4 dell'intesa con la Tavola valdese del
21 febbraio 1984; preambolo all'intesa con le Assemblee di Dio in
Italia del 29 dicembre 1986; preambolo all'intesa con l'Unione
cristiana evangelica battista d'Italia del 29 marzo 1993). A fronte
di questi svolgimenti dell'ordinamento nel senso dell'uguaglianza di
fronte alla legge penale, l'art. 402 del codice penale rappresenta un
anacronismo al quale non ha in tanti anni posto rimedio il
legislatore. Deve ora provvedere questa Corte nell'esercizio dei suoi
poteri di garanzia costituzionale.
4. - Sebbene, in generale, il ripristino dell'uguaglianza violata
possa avvenire non solo eliminando del tutto la norma che determina
quella violazione ma anche estendendone la portata per ricomprendervi
i casi discriminati, e sebbene il sopra evocato principio di laicità
non implichi indifferenza e astensione dello Stato dinanzi alle
religioni ma legittimi interventi legislativi a protezione della
libertà di religione (sentenza n. 203 del 1989), in sede di
controllo di costituzionalità di norme penali si dà solo la prima
possibilità. Alla seconda, osta infatti comunque la particolare
riserva di legge stabilita dalla Costituzione in materia di reati e
pene (art. 25, secondo comma) a cui consegue l'esclusione delle
sentenze d'incostituzionalità aventi valenze additive, secondo
l'orientamento di questa Corte (v., in analoga materia, la sentenza
n. 440 del 1995).
La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 402
del codice penale si impone dunque nella forma semplice,
esclusivamente ablativa.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 402 del codice
penale (Vilipendio della religione dello Stato).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 novembre 2000.
Il Presidente: Mirabelli
Il redattore: Zagrebelsky
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 20 novembre 2000.
Il direttore della cancelleria: Di Paola