Ritenuto in fatto
1.1. - Con ordinanza del 7 luglio 1999 (r.o. 601/1999), il tribunale
di Firenze ha sollevato, in riferimento agli artt. 2 e 38 della
Costituzione, questione di costituzionalità degli artt. 1, comma 3,
e 2, commi 1 e 2, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a
favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile
a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione
di emoderivati), nella parte in cui tali norme, "quantificando
l'indennizzo dovuto a coloro che presentino danni irreversibili da
epatiti post-trasfusionali, non prevedono la liquidazione, sia pure
in misura ridotta, del danno biologico subìto a seguito di
emotrasfusioni".
In fatto, riferisce il tribunale che l'attore del giudizio di
merito ha esposto di essersi sottoposto, nel 1991, a un intervento
comportante trasfusioni di sangue, a seguito delle quali aveva
contratto un'epatite HCV; il nesso causale fra la trasfusione e il
danno da epatite cronica HCV era stato riconosciuto dalla apposita
commissione medico-ospedaliera, nell'ambito della procedura per
l'indennizzo di cui alla legge n. 210 del 1992, ascrivendosi
l'infermità a una determinata categoria contestata dall'interessato,
che, proponendo la domanda giudiziale, ha lamentato l'inadeguatezza
della quantificazione dell'indennizzo sotto il profilo della omessa
considerazione del danno alla persona e che ha chiesto pertanto nei
confronti del Ministero della sanità la condanna al pagamento di una
somma corrispondente alla percentuale di invalidità permanente
patita, prospettando la possibile incostituzionalità della
disciplina circa la liquidazione dell'indennizzo appunto in quanto
quest'ultimo non è comprensivo della voce di danno biologico e
perciò non è qualificabile in termini di "serio ristoro", come
prescritto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 307 del 1990.
Costituitasi l'amministrazione convenuta, che rilevava
l'estraneità reciproca tra l'indennizzo ex legge n. 210 del 1992 e
il richiesto risarcimento del danno biologico, questo presupponendo
l'imputabilità del danno stesso a titolo di colpa e quello viceversa
prescindendone, veniva disposta nel giudizio una consulenza
medico-legale che riconosceva all'interessato una percentuale del 50%
di invalidità permanente.
Il tribunale solleva quindi la questione di costituzionalità,
dando seguito a quanto eccepito dalla parte attrice.
Quanto alla rilevanza della questione, il tribunale osserva che
essa è postulata dal contenuto stesso della domanda giudiziale, di
liquidazione di un indennizzo che tenga conto anche del danno
biologico.
Quanto alla non manifesta infondatezza, l'ordinanza di rimessione
muove dalla disamina del sistema di indennizzo delineato dalla legge
n. 210 del 1992.
In questa - si rileva - il legislatore ha disciplinato ipotesi
eterogenee tra loro, classificabili in due gruppi: a) da un lato, i
casi di danno da atto lecito, cioè derivanti da una attività della
pubblica amministrazione che, immune da colpa, comporta svantaggi per
i limiti oggettivi del sapere scientifico di un dato periodo, e nei
quali le conseguenze sfavorevoli all'individuo sono accettate come
"prezzo" per la maggiore tutela della salute collettiva: in essi è
ricompreso il danno da vaccinazioni obbligatorie; b) dall'altro, i
casi nei quali, indipendentemente da una valutazione circa la
liceità del comportamento della pubblica amministrazione, si
riconosce una tutela sul piano patrimoniale a situazioni che
presentano una oggettiva difficoltà probatoria che renderebbe
altrimenti difficile, di fatto, una garanzia risarcitoria: in essi è
ricompreso il danno da emotrasfusioni. Per gli uni e per gli altri
casi, prosegue il tribunale, la legge ha ancorato l'indennizzo a
tabelle dettate per le pensioni del personale militare.
Il sistema non esclude - rileva ancora il rimettente - la
risarcibilità del danno per l'intero e in tutte le sue componenti,
quando il comportamento della pubblica amministrazione integri gli
estremi del fatto illecito extracontrattuale (ex art. 2043 cod. civ.,
ovvero ex art. 2050 cod. civ.): ciò è riconosciuto dalla stessa
giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 118 del 1996) e altresì
dalla giurisprudenza comune, che ha escluso il rapporto di
specialità tra l'indennizzo di cui alla legge n. 210 del 1992 e la
disciplina generale in tema di fatto illecito, sussistendo il quale
pertanto la pubblica amministrazione sarà tenuta all'integrale
risarcimento del danno. Benché il risarcimento dell'intero danno sia
garantito nel caso di accertamento della responsabilità aquiliana
della pubblica amministrazione, ritiene tuttavia il tribunale che
sussista un dubbio di costituzionalità della disciplina sotto il
profilo della "serietà del ristoro" che deve caratterizzare
l'indennizzo.
Se infatti è vero che quest'ultimo non può e non deve essere
pari al risarcimento integrale del danno, essendo diverse le
rispettive finalità - di assistenza e solidarietà sociale, in un
caso; di reintegrazione per equivalente, nell'altro - e se assumono
inoltre rilievo, ai fini dell'indennizzo, le compatibilità e le
disponibilità finanziarie dello Stato, tuttavia, ad avviso del
tribunale - a parte la "stranezza" della previsione legislativa, che
ricollega l'importo dell'indennizzo al trattamento pensionistico dei
militari - può rilevarsi l'inadeguatezza della quantificazione del
beneficio, alla luce dell'enunciato della sentenza n. 307 del 1990
della Corte costituzionale, secondo la quale l'indennizzo, per i
danni da trattamenti sanitari obbligatori, deve essere corrisposto
"... nei limiti di una liquidazione equitativa che pur tenga conto di
tutte le componenti del danno stesso".
Ora, sottolinea il rimettente, una delle componenti essenziali
del danno non patrimoniale, secondo l'ormai consolidato orientamento
della giurisprudenza, è il danno biologico (o danno alla salute),
danno che però l'assegno di cui alla tabella B allegata alla legge
29 aprile 1976, n. 177 (cui fa rinvio l'art. 2 della legge n. 210)
non considera affatto, giacché la tabella in questione richiama un
assegno agganciato agli stipendi del personale militare, variabile in
rapporto al grado e alla categoria di appartenenza, secondo una
tecnica di valutazione analoga a quella che concerne il danno
patrimoniale da responsabilità civile per la circolazione di
veicoli, commisurato al reddito della persona e all'incidenza
dell'invalidità subi'ta sul reddito medesimo.
Nel meccanismo delineato dalla legge n. 210 del 1992, dunque, non
viene presa in considerazione, ai fini dell'indennizzo, la voce di
danno "biologico", liquidabile in via equitativa, né viene svolta
nel procedimento correlativo alcuna indagine medico-legale circa
l'incidenza della lesione sulla salute dell'individuo, nei termini di
una valutazione percentuale di invalidità permanente.
L'esigenza che l'attività lecita della pubblica amministrazione
che sia causa di un danno per il privato comporti un ristoro serio ed
effettivo emerge, prosegue il tribunale, dalla giurisprudenza
costituzionale resa sul non affine terreno del diritto di proprietà,
relativamente al quale la Corte ha varie volte censurato, alla
stregua dell'art. 42 della Costituzione, l'inadeguatezza
dell'indennizzo per espropriazione previsto dal legislatore, in
quanto non "serio". Allo stesso modo sarebbe necessario il rispetto
delle medesime caratteristiche quanto al beneficio in parola, che
attiene al diritto fondamentale alla salute.
1.2. - Nel giudizio così instaurato è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, che ha concluso per l'inammissibilità o
l'infondatezza della questione, illustrando le conclusioni in
successiva memoria.
L'Avvocatura sottolinea che dal tenore dell'ordinanza di
rimessione non si comprende se il tribunale voglia riferirsi a una
ipotesi di responsabilità da atto lecito ovvero a una da fatto
illecito, ipotesi che sono assai diverse tra loro, e che richiedono
un diverso approccio sistematico e argomentativo.
Mentre infatti sul terreno generale della responsabilità da
fatto illecito valgono i comuni principi e trovano applicazione gli
artt. 2043 e 2059 cod. civ., nel campo della responsabilità da atto
lecito - cioè non ascrivibile a dolo o colpa dell'agente - la
censura del tribunale, di "non serietà" del ristoro stabilito dalla
legge, appare infondata, poiché non può confondersi il bene della
vita di cui si chiede il ristoro con il criterio di determinazione
dell'ammontare dello stesso ristoro. Se, cioè, oggetto della
questione è il quantum dell'indennizzo, che si assume inadeguato in
relazione al bene della vita perduto o leso - tenendo peraltro
presenti, sottolinea l'Avvocatura, i caratteri dell'indennizzo quali
definiti dalla sentenza n. 118 del 1996 -, potrà essere criticata la
scelta legislativa che ha optato per un determinato metodo, ma non
potrà chiedersi, per via di declaratoria di incostituzionalità, di
modificarne la natura, con l'inserimento di istituti estranei: non
sarebbe quindi ammissibile la considerazione di elementi, come il
danno biologico, non congruenti rispetto al criterio adottato dal
legislatore; del resto, la stessa voce di danno biologico è stata ed
è determinata dagli interpreti attraverso criteri talvolta di
carattere esclusivamente patrimoniale (ad esempio, con il ricorso al
criterio del triplo della pensione sociale).
La richiesta del rimettente non può dunque essere accolta, a
fronte di un indennizzo discrezionalmente configurato dal legislatore
nei termini di un intervento di solidarietà che, come tale, ha
riguardo a parametri del tutto diversi da quelli del risarcimento e
prescinde dalla concreta valutazione caso per caso della vicenda e
dalla situazione personale dell'interessato.
2.1. - Il tribunale di Firenze - sezione del lavoro ha sollevato,
con ordinanza del 29 settembre 1999 (r.o. 683/1999), questione di
costituzionalità degli artt. 1 e 2 della legge n. 210 del 1992, come
integrati dall'art. 1, comma 2, della legge 25 luglio 1997, n. 238
(Modifiche ed integrazioni alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, in
materia di indennizzi ai soggetti danneggiati da vaccinazioni
obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati), in riferimento agli
artt. 2, 3, 32 e 38 della Costituzione.
In fatto, il tribunale riferisce che il ricorrente, premesso: a)
di essere affetto da emofilia e di sottoporsi pertanto a periodiche
trasfusioni di emoderivati; b) di aver contratto, fin dall'aprile
1982, una epatopatia irreversibile, dapprima di tipo B e poi di tipo
C; c) di avere pertanto chiesto la corresponsione dell'indennizzo di
cui alla legge n. 210 del 1992; d) di avere ottenuto detto
indennizzo, con decorrenza dal 1° dicembre 1994 (primo giorno del
mese successivo a quello di presentazione della domanda), ha
formulato, sulla base di tali premesse, richiesta di condanna del
Ministero della sanità convenuto, in via principale al pagamento
dell'indennizzo pieno a decorrere dal manifestarsi dell'evento
dannoso (aprile 1982), e in via subordinata al pagamento, a decorrere
dalla medesima data, dell'assegno una tantum pari al 30%
dell'indennizzo pieno. Con riferimento a entrambe le domande, si
aggiunge nell'ordinanza, il ricorrente ha prospettato la possibile
incostituzionalità della disciplina legislativa sopra indicata.
Alla prospettazione di incostituzionalità dà seguito il
tribunale, peraltro limitatamente alla rilevanza che essa assume
rispetto alla domanda subordinata e non anche in riferimento a quella
principale: la normativa è infatti denunciata in quanto attribuisce
il diritto all'assegno una tantum per il periodo compreso tra il
manifestarsi dell'evento dannoso e l'ottenimento del beneficio,
soltanto a chi abbia riportato lesioni o infermità da vaccinazioni
obbligatorie e non anche a chi presenti danni irreversibili da
epatiti post-trasfusionali.
La censura di incostituzionalità, la cui rilevanza rispetto al
contenuto della domanda giudiziale, prosegue il tribunale, risulta
chiara, si incentra sul raffronto tra l'omissione lamentata e il caso
delle persone danneggiate da vaccinazioni (antipoliomielitiche) non
obbligatorie ma solo promosse e incentivate dall'autorità sanitaria,
caso nel quale, a seguito della sentenza n. 27 del 1998 della Corte
costituzionale, il diritto all'assegno una tantum per il periodo
anteriore alla vigenza della legge n. 210 è riconosciuto: la
situazione di chi, emofilico, si sottoponga a trasfusioni per
assicurarsi la stessa sopravvivenza è connotata sottolinea il
rimettente da uno stato di coartazione e di necessità certo non
minore di quello di chi si sottoponga a vaccinazioni "promosse".
Anche nell'ambito della tripartizione dei casi che possono darsi
come conseguenze di trattamenti sanitari, quale fissata dalla
sentenza n. 118 del 1996 della Corte costituzionale (risarcimento del
danno ex art. 2043 cod. civ; equo indennizzo a fronte
dell'adempimento di un obbligo legale; sostegno assistenziale negli
altri casi), non risulterebbe comunque giustificabile, ad avviso del
Tribunale, il trattamento deteriore riservato a persone che si sono
trovate nella necessità di sottoporsi a terapie trasfusionali, in un
periodo nel quale il servizio sanitario pubblico non aveva raggiunto
adeguati standards di sicurezza.
La lacuna legislativa, d'altra parte, sarebbe lesiva anche
dell'art. 32 della Costituzione, che tutela la salute anche nella sua
dimensione individuale e non solo in quella collettiva; e,
conclusivamente, il Tribunale osserva che è lo stesso art. 3 della
Costituzione che richiede di assegnare rilievo alle situazioni di
fatto che costringono il singolo in una condizione di necessità e di
bisogno; una condizione, si precisa, che la richiamata sentenza
n. 118 del 1996 non aveva potuto prendere in considerazione, essendo
il problema derivato dalla legislazione del 1997 e altresì dal nuovo
assetto determinato dalla sentenza costituzionale n. 27 del 1998.
2.2. - Nel giudizio così promosso è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, che ha chiesto una declaratoria di
inammissibilità o di infondatezza della questione, anche in tal caso
illustrando le conclusioni in successiva memoria.
Rileva l'Avvocatura che, secondo l'ormai consolidato indirizzo
della giurisprudenza costituzionale, non può essere oggetto di
censura, alla stregua dell'art. 3 della Costituzione, la potestà,
attinente al vero e proprio merito legislativo, di adottare
discrezionalmente soluzioni differenziate per ipotesi diverse, pur se
assimilabili. Nella specie, la condizione di coloro che hanno
riportato lesioni o infermità da vaccinazioni obbligatorie è
oggettivamente diversa e distinta da quella dei soggetti che
presentino danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali, sebbene
le due categorie siano ricomprese nel più ampio ambito dei soggetti
danneggiati da un intervento sanitario: proprio la loro
considerazione in due distinte norme, anzi, sembra evidenziare
l'intento del legislatore di regolare in autonomia e non
unitariamente i due casi, anche nel quadro delle determinazioni
economico-finanziarie assunte con la legge n. 238 del 1997.
3.1. - Il tribunale di Sanremo, con ordinanza del 6 dicembre 1999
(r.o. 65/2000), ha sollevato questione di costituzionalità
dell'art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992, "nella parte in
cui non prevede il diritto all'indennizzo per i soggetti sottopostisi
a vaccinazione antiepatite B non obbligatoria in quanto appartenenti
a categoria a rischio (nella specie: persone conviventi con soggetti
HBsAG positivi) in relazione alla quale l'autorità sanitaria abbia
promosso e diffuso capillarmente la vaccinazione", in riferimento
agli artt. 2, 3, primo comma, e 32 della Costituzione.
Nel procedimento civile principale, il ricorrente ha chiesto, nei
confronti del Ministero della sanità, l'erogazione dell'indennizzo
previsto dall'art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992, perché,
essendosi sottoposto a vaccinazione antiepatite B su raccomandazione
dell'autorità sanitaria italiana in quanto persona convivente con
soggetto HBsAG positivo (cioè affetto da epatite B acuta e cronica),
ha contratto, in conseguenza della vaccinazione, una epatopatia
cronica; la richiesta precisa il rimettente si basa sulla citata
norma, quale risultante a seguito della sentenza n. 27 del 1998 della
Corte costituzionale, che ne ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale "nella parte in cui non prevede il diritto
all'indennizzo ... di coloro che si siano sottoposti a vaccinazione
antipoliomielitica nel periodo di vigenza della legge 30 luglio 1959,
n. 695".
La domanda giudiziale, osserva il tribunale, non è però
accoglibile, allo stato della disciplina in vigore, perché a) non si
tratta, nella specie, di vaccinazione obbligatoria, alla quale si
riferisce il testo dell'art. 1, e b) non è richiamabile la citata
pronuncia della Corte, che concerne un diverso tipo di vaccinazione e
che non è formulata in termini generali, ma solo con riguardo alla
vaccinazione antipoliomielitica.
È però accertato, prosegue il rimettente, che il ricorrente ha
contratto una epatopatia cronica per effetto della vaccinazione
antiepatite B: del resto, l'indennizzo in argomento in un primo tempo
era stato erogato all'interessato, fino al 1997, ma era stato poi
revocato appunto per la mancanza del requisito legale
dell'obbligatorietà della vaccinazione.
Ciò posto, è rilevante - osserva il tribunale - la questione di
costituzionalità relativa all'omessa attribuzione dell'indennizzo ai
soggetti sottopostisi a vaccinazione antiepatite B non obbligatoria
ma "promossa" nei loro riguardi, perché è tale lacuna legislativa a
impedire l'accoglimento del ricorso; e la questione stessa è, per il
tribunale, non manifestamente infondata, per le considerazioni che
seguono.
Varrebbero, anche in questa situazione, le argomentazioni di
fondo della sentenza n. 27 del 1998 citata, nella quale, affermato il
principio che non è lecito, ex artt. 2 e 32 della Costituzione,
richiedere che il singolo metta a rischio la propria salute per un
trattamento nell'interesse della collettività senza che questa sia
disposta a condividere il peso delle conseguenze negative che ne
possono derivare, la Corte ha rilevato che, dal punto di vista di
questo stesso principio, non è possibile distinguere il caso in cui
il trattamento sia imposto per legge dal caso in cui esso sia
promosso e incentivato dalla pubblica autorità; ed è alla stregua
di questa omologazione che la Corte, chiamata al controllo di
costituzionalità a partire da vicende di fatto analoghe alla
presente (si trattava infatti di casi di vaccinazione antipolio non
obbligatoria), si è pronunciata nel senso anzidetto.
Anche nel caso in questione, osserva il tribunale, all'epoca in
cui l'interessato si era sottoposto alla vaccinazione antiepatite B
cioè nel dicembre del 1985 l'amministrazione sanitaria pubblica
stava svolgendo una intensa attività di promozione e incentivazione
di tale tipo di vaccinazione, in particolare verso chi, come il
ricorrente, fosse "a rischio" perché convivente con soggetti
positivi al virus.
Questa attività, si precisa nell'ordinanza, si era espressa,
già dagli inizi del 1983, fino all'epoca dei fatti di causa e poi
oltre, con una serie di atti dell'amministrazione, principalmente
circolari e direttive, che il rimettente indica puntualmente: la
circolare del Ministero della sanità n. 2 dell'11 gennaio 1983
(Profilassi immunitaria dell'epatite B che individuava i conviventi
di persone affette da epatite B come categoria "a rischio" da
sottoporre a censimento e screening per la conseguente vaccinazione;
la circolare del Ministero della sanità n. 39 del 22 aprile 1983
(Approvvigionamento vaccini antiepatite B registrati in Italia),
circa il programma di approvvigionamento da parte delle autorità
sanitarie competenti a livello locale in materia di profilassi delle
malattie infettive e diffusive; le circolari del Ministero della
sanità n. 51 del 1° giugno 1983 (Programmi di vaccinazione contro
l'epatite B e n. 9 del 19 marzo 1985 (Programmi di vaccinazione
contro l'epatite B relative ai programmi di vaccinazione e alle
direttive per le autorità locali; la nota del Ministero della
sanità 400.2/41VH/19717 del 23 maggio 1985 (Profilassi dell'epatite
B. Primi risultati delle campagne di vaccinazione), circa l'andamento
delle campagne vaccinali promosse fino ad allora; atti, tutti,
orientati nel senso della realizzazione di programmi di censimento e
screening da parte delle U.S.L., per individuare i soggetti
definibili a rischio e per raccomandare nei loro riguardi la
sottoposizione alla vaccinazione, ai quali hanno fatto seguito, nella
medesima prospettiva: la circolare del Ministero della sanità n. 31
del 26 luglio 1985 (Vaccinazione antiepatite B; la circolare del
Ministero della sanità n. 30 del 15 aprile 1986 (Programmi di
vaccinazione contro l'epatite B; la nota del Ministero della sanità
400.2/41V/1190 del 19 luglio 1986 (Profilassi vaccinale dell'epatite
B; la nota del Ministero della sanità 400.2/41V/1104 del 4 agosto
1987 (Campagne vaccinali contro l'epatite B; la nota del Ministero
della sanità 400.2/41V85/323 del 14 marzo 1988 (Campagna di
vaccinazione contro l'epatite B. Approvvigionamento di vaccini).
E tali indirizzi di promozione e diffusione della vaccinazione
antiepatite B, aggiunge il rimettente, hanno altresì trovato
riscontro sul piano locale, per quanto qui maggiormente rileva, nelle
circolari della Regione Liguria n. 43989 del 1° giugno 1983
(Programma di vaccinazione contro l'epatite virale B in Liguria) e
n. 69225/2235 IP del 4 giugno 1985 (Campagna di vaccinazione contro
l'epatite B nel 1985).
All'atto di sottoporsi al trattamento dunque - osserva il
tribunale - era in opera una precisa e mirata sollecitazione
dell'autorità sanitaria pubblica, nell'ambito di una vera e propria
"campagna" di vaccinazioni antiepatite B.
Come nel caso oggetto della sentenza n. 27 del 1998, dunque, il
trattamento sanitario non obbligatorio è stato compiuto a seguito di
una complessiva attività di informazione, sollecitazione e
responsabilizzazione svolta dall'autorità sanitaria, anche con la
prospettazione di rischi derivanti, in caso di mancata vaccinazione,
per i bambini.
Il tribunale aggiunge che sul piano legislativo la vaccinazione
antiepatite B è stata resa obbligatoria, con la legge 27 maggio
1991, n. 165, solo nei riguardi dei nuovi nati: per le persone nate
in precedenza, dunque, la vaccinazione in discorso, pur se gratuita,
non è tuttora obbligatoria; ma tale circostanza, conclude il
tribunale rimettente, non è decisiva ai fini della questione
sollevata, perché la censura non attiene alla irretroattività della
disciplina ma alla mancata inclusione di una determinata categoria di
soggetti tra i titolari del diritto all'indennizzo.
Considerato in diritto
1. - Il tribunale di Firenze - sezione del lavoro e il tribunale
di Sanremo dubitano, sotto diversi aspetti, della legittimità
costituzionale della disciplina dettata dalla legge 25 febbraio 1992,
n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze
di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie,
trasfusioni e somministrazione di emoderivati), in tema di indennizzo
dovuto a coloro che abbiano subito danni irreversibili da epatiti
post-trasfusionali.
In particolare, il tribunale di Firenze (r.o. 601/1999) dubita -
in riferimento agli artt. 2 e 38 della Costituzione - della
legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 3, e 2, commi 1 e 2,
della legge n. 210 del 1992, nella parte in cui, nel quantificare
l'indennizzo dovuto a coloro che presentino danni irreversibili da
epatiti post-trasfusionali, non prevedono la liquidazione, sia pure
in misura ridotta, del danno biologico subito a seguito di
emotrasfusione.
Il tribunale di Firenze - sezione del lavoro, a sua volta (r.o.
683/1999), dubita - in relazione agli artt. 2, 3, 32 e 38 della
Costituzione - della legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2
(come integrati dall'art. 1, comma 2, della legge 25 luglio 1997,
n. 238) della legge n. 210 del 1992, nella parte in cui escludono i
soggetti che presentino danni irreversibili da epatiti
post-trasfusionali dal diritto all'assegno una tantum per il periodo
compreso tra il manifestarsi dell'evento dannoso e l'ottenimento
dell'indennizzo previsto dalla legge.
Il Tribunale di Sanremo, infine (r.o. 65/2000), dubita - in
riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, e 32 della Costituzione -
della legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 1, della legge
n. 210 del 1992 nella parte in cui non prevede il diritto
all'indennizzo per soggetti sottoposti a vaccinazioni antiepatite B
non obbligatoria, in quanto appartenenti a categorie a rischio, in
relazione alle quali l'autorità sanitaria abbia promosso la
diffusione della vaccinazione.
2. - Le tre questioni anzidette, riguardando la medesima materia
dei diritti indennitari conseguenti alla sottoposizione a trattamenti
sanitari, possono essere riunite e trattate congiuntamente in
un'unica sentenza.
3. - La questione di legittimità costituzionale sollevata dal
tribunale di Firenze, che contesta la scelta del legislatore circa i
criteri adottati per quantificare il beneficio previsto, non è
fondata.
La disciplina apprestata dalla legge n. 210 del 1992 opera su un
piano diverso da quello in cui si colloca quella civilistica in tema
di risarcimento del danno, compreso il cosiddetto danno biologico.
Per quanto qui interessa, al fine di evidenziare la distanza che
separa il risarcimento del danno dall'indennità prevista dalla legge
denunciata, basta rilevare che la responsabilità civile presuppone
un rapporto tra fatto illecito e danno risarcibile e configura
quest'ultimo, quanto alla sua entità, in relazione alle singole
fattispecie concrete, valutabili caso per caso dal giudice, mentre il
diritto all'indennità sorge per il sol fatto del danno irreversibile
derivante da epatite post-trasfusionale, in una misura prefissata
dalla legge. Ferma la possibilità per l'interessato di azionare
l'ordinaria pretesa risarcitoria, il legislatore, nell'esercizio
della sua discrezionalità, ha dunque previsto una misura economica
di sostegno aggiuntiva, in un caso di danno alla salute, il cui
ottenimento dipende esclusivamente da ragioni obiettive facilmente
determinabili, secondo parametri fissi, in modo da consentire agli
interessati in tempi brevi una protezione certa nell'an e nel
quantum, non subordinata all'esito di un'azione di risarcimento del
danno, esito condizionato all'accertamento dell'entità e,
soprattutto, alla non facile individuazione di un fatto illecito e
del responsabile di questo.
La questione di costituzionalità in esame tende quindi a
trasferire elementi di un sistema di garanzia in un altro -
operazione che si potrebbe semmai giustificare se la misura prevista
dalla legge impugnata dovesse valere in luogo del risarcimento del
danno, o in conseguenza di una prescrizione legale o per
l'impossibilità di fatto di far valere le pretese risarcitorie
derivanti dal danno subi'to. Poiché però così non può dirsi che
sia - nemmeno sotto il profilo fattuale, rispetto al quale occorre
sottolineare che spetta necessariamente alla giurisprudenza rendere
efficace la tutela risarcitoria nei casi di trasfusione di sangue
infetto, individuando gli eventuali fatti illeciti e i responsabili
di questi - la pretesa inclusione nel beneficio previsto dalla legge
n. 210 di elementi propri della tutela risarcitoria non appare
giustificata.
Il tribunale rimettente ritiene che la stessa mancata
considerazione, quale componente del beneficio previsto dalla legge,
del danno biologico, comporti l'inadeguatezza del beneficio medesimo,
con violazione degli artt. 2 e 38 della Costituzione, evocati
peraltro genericamente. Ma, così argomentando, si finisce per
l'appunto per confondere gli istituti in una sorta di petitio
principii: non dimostrando ma dando per dimostrato il presupposto,
cioè il necessario carattere comune dei due istituti - il beneficio
e il risarcimento - rispetto ai criteri di quantificazione.
Quanto fin qui detto non esclude comunque che il legislatore
possa riconsiderare l'opportunità della scelta operata circa il
criterio da adottare nella quantificazione del beneficio riconosciuto
dalla legge ai soggetti danneggiati da epatiti post-trasfusionali
(oltre che agli ammalati di HIV e ai danneggiati da vaccini):
criterio collegato oggi al trattamento pensionistico dei militari. Ma
ciò riguarda il buon uso della discrezionalità legislativa e non -
quantomeno sotto i profili indicati dal tribunale rimettente - la
legittimità costituzionale della legge denunciata.
4. - Non fondata è altresì la questione sollevata dal tribunale
di Firenze - sezione del lavoro, relativa alla mancata previsione da
parte della legge n. 210 del 1992, a favore dei soggetti danneggiati
irreversibilmente da epatiti post-trasfusionali, del diritto
all'assegno una tantum previsto - dall'art. 2, comma 2, della legge
n. 210 per il periodo intercorrente tra il manifestarsi della
malattia e l'ottenimento dell'indennizzo - a favore di quanti abbiano
subi'to una menomazione permanente alla salute da vaccinazione
obbligatoria.
Si fa dunque essenzialmente una questione di rispetto del
principio di uguaglianza, mentre gli altri principi costituzionali
evocati non costituiscono altro che una sua connotazione. Si denuncia
l'irrazionale disparità di trattamento tra i sottoposti a
vaccinazione obbligatoria e coloro che hanno subito trattamenti
trasfusionali ematici, disparità che si risolve a danno dei secondi.
Osserva il tribunale rimettente che il grado di costrizione al
trattamento di questi ultimi, spesso indotti dalla necessità di
salvare la vita, non è minore di quello riguardante coloro che si
sono sottoposti alla vaccinazione in conseguenza di un obbligo
legale, tanto più in quanto alla situazione dell'obbligo legale sia
stata equiparata - con la sentenza n. 27 del 1998 di questa Corte -
quella dell'incentivazione nell'ambito di una politica sanitaria
pubblica.
La questione, così impostata, non può essere accolta per le
ragioni già addotte da questa Corte, nella sentenza n. 226 del 2000,
nel dichiarare non fondata analoga questione sollevata dal pretore di
Milano. Anche in quell'occasione si faceva valere l'assimilabilità
della situazione di coloro che si sono sottoposti a un trattamento
sanitario, ricevendone un danno irrimediabile alla salute, in
conseguenza di un obbligo legale (caso su cui sono intervenute le
sentenze n. 307 del 1990 e n. 118 del 1996, relative alla
vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica) alla situazione di
coloro i quali, come gli emofilici, sono necessitati, in mancanza di
alternative terapeutiche, senza possibilità di scelta, a sottoporsi
a somministrazioni di sangue ed emoderivati, pena il decorso infausto
della loro malattia. Già in tale occasione, il giudice rimettente
osservava che la necessità del ricorso alla terapia ematica, stante
un rischio per la vita, si potrebbe dire perfino più cogente che non
nel caso di trattamento sanitario imposto per legge, la cui
violazione dà luogo meramente a una sanzione giuridica. E si
concludeva ricordando che la Corte costituzionale stessa non ha
assegnato valore dirimente all'esistenza di un obbligo legale avendo
affermato, con la sentenza n. 27 del 1998, il diritto all'indennizzo
non necessariamente in presenza di un obbligo legale ma anche
nell'ipotesi in cui il trattamento terapeutico, non (ancora) reso
obbligatorio, era oggetto di una specifica politica di promozione.
Queste argomentazioni, tuttavia, si collocano fuori della ratio
costituzionale del diritto all'equo indennizzo riconosciuto in base
agli artt. 32 e 2 della Costituzione. Ciò che rileva è l'esistenza
di un interesse pubblico alla promozione della salute collettiva
tramite il trattamento sanitario, il quale, per conseguenza, viene
dalla legge assunto a oggetto di un obbligo legale o di una politica
pubblica di diffusione tra la popolazione. La giurisprudenza
costituzionale alla quale il giudice rimettente si riferisce è ferma
nell'individuare in questo interesse - e non nell'essere il singolo
necessitato al trattamento: necessità che è solo una conseguenza -
la ragione dell'obbligo generale di solidarietà nei confronti di
quanti, sottomettendosi al trattamento imposto, vengono a soffrire di
un pregiudizio alla loro salute.
In base a queste considerazioni, si comprende che il raffronto
tra la cogenza dell'obbligo legale o l'incentivazione al trattamento,
da un lato, e la necessità terapeutica del trattamento stesso,
dall'altro, non è produttivo nel senso della equiparazione delle
situazioni, dal punto di vista del principio di uguaglianza. Le
situazioni sono diverse e non si prestano a entrare in una visione
unificatrice perché solo le prime corrispondono a un interesse
generale, che è quello in base al quale è costituzionalmente
necessario che la collettività assuma su di sé una partecipazione
alle difficoltà nelle quali può venirsi a trovare il singolo che ha
cooperato al perseguimento di tale interesse.
La questione di costituzionalità - pur ponendo un problema di
tutela di soggetti deboli, posti in condizioni di gravissima
difficoltà e quindi meritevoli di protezione - in quanto impiantata
nei termini anzidetti, non può dunque trovare accoglimento.
5. - Fondata è invece la questione sollevata dal tribunale di
Sanremo, il quale dubita della legittimità costituzionale della
mancata previsione del diritto all'indennizzo, previsto dall'art. 1,
comma 1, della legge n. 210 a favore di quanti abbiano riportato
danni irreversibili alla salute, essendo stati sottoposti a
vaccinazione antiepatite B non obbligatoria, appartenendo a una
categoria di persone considerate "a rischio" e perciò incentivate a
sottoporsi alla vaccinazione stessa nell'ambito di una campagna
promossa dall'autorità sanitaria. Il giudice rimettente ritiene
ingiustificata tale mancata previsione, a fronte della attribuzione
dell'indennizzo a favore di chi, in analoghe circostanze, abbia
contratto un'infermità a seguito di vaccinazione antipoliomielitica
(art. 1 della legge n. 210 del 1992, quale risultante a seguito della
sentenza n. 27 del 1998 di questa Corte).
Il citato art. 1 della legge n. 210 prevede il diritto
all'indennizzo (determinato dall'art. 2) per chiunque abbia riportato
lesioni o infermità dalle quali sia derivata una menomazione
permanente all'integrità psico-fisica, a causa di vaccinazioni
obbligatorie per legge. Con la sentenza testé citata, questa Corte -
richiamato "il principio che non è lecito [...] richiedere che il
singolo esponga a rischio la propria salute per un interesse
collettivo, senza che la collettività stessa sia disposta a
condividere, come è possibile, il peso di eventuali conseguenze
negative" (sentenze nn. 307 del 1990 e 118 del 1996) - ha ritenuto
non esservi ragione di differenziare, rispetto a tale principio, "il
caso [...] in cui il trattamento sanitario sia imposto per legge da
quello [...] in cui esso sia, in base a una legge, promosso dalla
pubblica autorità in vista della sua diffusione capillare nella
società; il caso in cui si annulla la libera determinazione
individuale attraverso la comminazione di una sanzione, da quello in
cui si fa appello alla collaborazione dei singoli a un programma di
politica sanitaria". Infatti, si aggiungeva, "una differenziazione
che negasse il diritto all'indennizzo in questo secondo caso si
risolverebbe in una latente irrazionalità della legge. Essa
riserverebbe [...] a coloro che sono stati indotti a tenere un
comportamento di utilità generale per ragioni di solidarietà
sociale un trattamento deteriore rispetto a quello che vale a favore
di quanti hanno agito in forza della minaccia di una sanzione".
In applicazione dei princi'pi così posti, la risoluzione della
presente questione di costituzionalità consiste nel rispondere alla
domanda se, analogamente a quanto accertato in relazione alla
vaccinazione antipoliomielitica, anche per la vaccinazione
antiepatite possa dirsi essere stata in atto una campagna legalmente
promossa dall'autorità sanitaria per la diffusione di tale secondo
tipo di vaccinazione. La risposta positiva è documentata dagli atti
- ricordati analiticamente nell'esposizione in fatto - adottati a
partire dal 1983, in attuazione dei compiti di promozione della
salute pubblica che, alla stregua della legge 13 marzo 1958, n. 296,
spettano all'autorità sanitaria nazionale. Con la legge 27 maggio
1991, n. 165, la vaccinazione contro l'epatite virale B è stata resa
obbligatoria per tutti i nuovi nati nel primo anno di vita, ma anche
prima di tale data gli atti sopra menzionati testimoniano essere
stata condotta - a partire dalla circolare n. 2 dell'11 gennaio 1983
del Ministero della sanità - una capillare campagna per la
realizzazione di un programma di diffusione della vaccinazione stessa
che ha coinvolto le strutture sanitarie pubbliche del nostro paese in
un'opera di responsabilizzazione e sensibilizzazione ai rischi che
l'epatite di tipo B comporta per sé e per gli altri, e innanzitutto
per i bambini.
Deve così ritenersi che sussistono, anche per i soggetti
sottoposti a vaccinazione antiepatite di tipo B in attuazione della
suddetta politica sanitaria promossa al riguardo, le condizioni che
hanno indotto questa Corte, nella sentenza n. 27 del 1998, a ritenere
costituzionalmente dovuto per i soggetti sottoposti a vaccinazione
antipoliomielitica l'indennizzo previsto dall'art. 1 della legge
n. 210. Pertanto, in accoglimento della questione proposta dal
tribunale di Sanremo, tale disposizione deve essere dichiarata
incostituzionale per dare ingresso al diritto all'indennizzo anche a
tale categoria di soggetti.