Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un procedimento civile iniziato a seguito
dell'emanazione di un provvedimento pretorile d'urgenza, adottato
sulla base dell'art. 700 del codice di procedura civile, il tribunale
di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale
degli artt. 2, 3, 15, 16 e 19 della legge 6 agosto 1990, n. 223
(Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato), in
riferimento agli artt. 3, 15, 21 e 41 della Costituzione.
Il tribunale di Firenze ricorda che il giudizio a quo è stato
instaurato in conseguenza di un provvedimento cautelare d'urgenza,
con il quale il pretore aveva intimato all'amministrazione delle
poste e telegrafi di non dare attuazione all'ordine di disattivazione
dell'impianto radioelettrico esercitato dalla società a
responsabilità limitata Telemaremma sulla frequenza 67 VHF, essendo
quest'ultima assegnata con decreto ministeriale 31 gennaio 1983 al
Ministero della difesa per il servizio fisso e al Ministero delle
poste e telecomunicazioni per il servizio di radiodiffusione. Durante
il predetto giudizio, mentre la società attrice sosteneva di esser
titolare di un diritto soggettivo pieno, grazie al quale poteva
invocare la tutela del giudice ordinario di fronte alla carenza di
potere della pubblica amministrazione, l'Avvocatura dello Stato,
invece, eccepiva il difetto di giurisdizione dell'autorità
giudiziaria ordinaria. Intervenuta la legge n. 223 del 1990, le parti
precisavano le loro richieste, nel senso che, mentre la resistente
domandava una pronunzia di cessazione della materia del contendere,
la società Telemaremma prospettava l'illegittimità costituzionale
delle norme sopravvenute istitutive del principio della concessione
nei confronti dei privati.
Nell'accogliere quest'ultima richiesta, il giudice a quo ha
sollevato la questione di costituzionalità sopra indicata,
precisando che quest'ultima appare rilevante anche per giungere,
eventualmente, alla declaratoria della sopravvenuta cessazione della
materia del contendere. L'applicabilità delle norme impugnate,
infatti, deve essere valutata, secondo il giudice a quo, in relazione
alla presentazione, ad opera della parte attrice, della domanda di
concessione ai sensi dell'art. 32 della legge n. 223 del 1990, al
fine di essere inclusa fra coloro che sono autorizzati ex lege a
continuare provvisoriamente l'attività di radiotelediffusione in
svolgimento al momento di entrata in vigore della legge medesima.
Sicché, essendo documentato che la società Telemaremma aveva
installato il proprio impianto trasmittente anteriormente all'entrata
in vigore della predetta legge ed essendo indiscutibile che oggetto
del giudizio a quo è tanto la valutazione della legittimità del
comportamento della pubblica amministrazione di fronte alla posizione
soggettiva vantata dalla parte attrice, quanto la decisione sulla
validità del titolo di quest'ultima in ordine alla continuazione
della propria attività, non dovrebbe dubitarsi della sussistenza
della rilevanza in ordine alla sollevata questione.
Sul merito della questione, il tribunale di Firenze osserva che,
alla luce della giurisprudenza costituzionale, l'esercizio di
impianti di radio e tele-diffusione va configurato come un diritto
soggettivo perfetto discendente dall'art. 21 della Costituzione ed
è, pertanto, tutelato come posizione soggettiva assoluta, collegata
alla prima e massima espressione della libertà individuale, la cui
limitazione, come si deduce anche dall'art. 15 della Costituzione in
relazione a tutte le "forme di comunicazione", può avvenire soltanto
attraverso un atto motivato dell'autorità giudiziaria.
L'attività del privato che esercita un'impresa di trasmissione di
programmi radiotelevisivi è tutelata anche dall'art. 41 della
Costituzione, che, nel garantire la libertà d'iniziativa economica
privata, ammette limiti e controlli sulla stessa soltanto per motivi
d'utilità sociale e per fini sociali. Sotto tale profilo, l'art. 32
della legge n. 223 del 1990, che permette, a favore di coloro che al
momento dell'entrata in vigore della legge operino in situazione di
oligopolio di fatto e che presentino entro un certo termine la
richiesta della concessione, la prosecuzione dell'esercizio della
emittenza in regime autorizzatorio (fino al momento del rilascio o
del diniego della concessione), non parrebbe garantire a tutti i
privati la possibilità di accesso a tali attività economiche, né
conterrebbe limiti conformi a Costituzione, per il fatto che non si
vede quali fini di utilità sociale si perseguono con la protezione
delle situazioni in atto. Alla violazione dell'art. 41 della
Costituzione si aggiunge quella dell'art. 3 della stessa Carta
costituzionale, poiché la possibilità di accesso alle suddette
attività economiche non sembra affatto garantita a tutti su un piano
di parità sostanziale.
Secondo il giudice a quo, il punto cruciale delle censure mosse sta
in quelle disposizioni della legge n. 223 del 1990 che stabiliscono
la necessità di un regime fondato sulla concessione. Sulla base
delle sentenze nn. 202 del 1976, 237 del 1984 e, soprattutto, 1030
del 1988, l'installazione e l'esercizio di stazioni radioelettriche
potevano essere soggetti, nell'ambito di un regime basato sulla
riserva statale, soltanto a "licenza", cioè a una species del genus
"autorizzazione". Il sistema della legge n. 223 del 1990, pur non
avendo più come suo quadro di riferimento un regime di monopolio
statale, bensì uno di "regime misto", è invece contraddittoriamente
incentrato sul principio della concessione amministrativa, il quale,
nel presupporre l'attribuzione di poteri e facoltà, propri del
concedente, amplianti una situazione giuridica, postula l'esistenza
di un mero interesse legittimo del privato, ontologicamente diverso
dal diritto soggettivo perfetto indicato dalla giurisprudenza
costituzionale. Questa configurazione, apparentemente contraria alla
Costituzione, comporta, secondo il giudice a quo, che la tutela della
posizione giuridica in questione sia illegittimamente sottratta alla
giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria.
Alla luce di tali osservazioni, continua lo stesso giudice, appare
contrastante con la Costituzione, oltreché contraddittorio e
irrazionale, anche il sistema del "doppio binario", stabilito
dall'art. 2 e richiamato dall'art. 38 della legge n. 223 del 1990, in
virtù del quale, mentre per l'esercizio di impianti radiotelevisivi
è prescritta la concessione, per le imprese che ripetano o
diffondano nel territorio italiano programmi esteri è, invece,
prevista la perpetuazione del sistema autorizzatorio di cui alla
legge 14 aprile 1975, n. 103, e successive modificazioni. Questa
disparità, per la quale l'attività di radiotrasmissione televisiva
è soggetta a concessione e quella di mera ripetizione di programmi
esteri è espressione di un diritto soggettivo, non appare
giustificata, considerato che entrambe utilizzano le medesime forme
di comunicazione e si riferiscono alle medesime libertà
costituzionali garantite dagli artt. 21 e 41 della Costituzione.
Per altro verso, prosegue il giudice a quo, sussiste una ulteriore
disparità di trattamento tra le stesse attività a causa
dell'inesistenza di una "proporzionalità" fra di loro sul piano
della tutela accordabile. Infatti, poiché il legislatore non ha
individuato un modo di convivenza fra le imprese di radiodiffusione
televisiva e quelle di ripetizione di programmi esteri (lasciando,
peraltro, irrisolto anche il problema delle imprese "miste"),
potrebbe darsi che le seconde vengano ad occupare lo spettro
radioelettrico disponibile a danno delle prime, con conseguente
sacrificio totale della posizione soggettiva di queste ultime.
Sussiste, infine, ancora un altro profilo di disparità di
trattamento nella citata disciplina transitoria disposta dall'art. 32
della legge n. 223 del 1990. Questa, infatti, con esclusivo
riferimento agli impianti esistenti, non distingue affatto tra
radiodiffusione televisiva e ripetizione, sancendo per entrambe la
sufficienza dell'autorizzazione ai soli fini della prosecuzione
dell'esercizio.
2. - Nel giudizio innanzi a questa Corte si è costituita la
Telemaremma S.r.l., per chiedere l'accoglimento della questione
sollevata.
Dopo aver ricostruito le vicende che hanno portato all'attuale
giudizio e dopo aver sottolineato che nella controversia, iniziata
sotto l'impero della legge 4 febbraio 1985 n. 10, la società attrice
ha sempre difeso la sua posizione di diritto soggettivo pieno (con la
conseguente inesistenza dei poteri di intervento della pubblica
amministrazione), essendo un imprenditore radiodiffusivo privato non
operante in ambito riservato alla concessionaria di Stato, la difesa
della parte privata ha osservato che, intervenuta la legge n. 223 del
1990, la sua pretesa a veder accertata la propria posizione di
diritto soggettivo non poteva dirsi soddisfatta dall'art. 32 di
quella legge, che le consente la prosecuzione dell'attività in regime autorizzatorio sulla base della più tenue posizione soggettiva
di potenziale aspirante a una concessione.
La società Telemaremma sostiene che il sistema introdotto dagli
artt. 2, 3, 15, 16, 19 e 32 (che in parte qua deve considerarsi
impugnato, in quanto richiamato nella motivazione dell'ordinanza di
rimessione) configura un assetto normativo inadeguato ai valori
costituzionali relativi all'attività di radiodiffusione privata. La
concessione, infatti, nel postulare che i poteri e le facoltà del
privato non siano originariamente appartenenti alla sua sfera
giuridica, suppone che sia lo Stato, e non il privato cittadino, il
vero titolare della situazione giuridica soggettiva garantita
dall'art. 21 della Costituzione. Non v'è dubbio, continua la stessa
parte privata, che, all'interno di un sistema che riservava allo
Stato l'attività di emittenza radiotelevisiva, qualificandola come
servizio pubblico essenziale ai sensi dell'art. 43 della
Costituzione, la concessione appariva del tutto adeguata a
rappresentare la posizione della impresa esercente l'attività
radiotelevisiva in relazione a quella dello Stato, poiché si tratta
di un istituto cui è connaturata l'idea di attività esercitata per
un fine pubblico trascendente la posizione del concessionario e
basata su un atto di "trasferimento" di poteri di cui è titolare lo
Stato. Ma, dopo che si è passati a un regime, come l'attuale, nel
quale la posizione del privato ha un autonomo fondamento
costituzionale negli artt. 21 e 41 della Costituzione, lo schema
concessorio finisce per esprimere, ad avviso della società
Telemaremma, una concezione autoritaria dei rapporti fra Stato e
privati, che confligge con quei valori costituzionali, in quanto
assimila un'attività in principio libera a un servizio statale o a
un'attività comunque ordinata al perseguimento di preminenti
interessi pubblici.
Se la disciplina impugnata, prosegue la parte privata, fa sorgere
forti dubbi di legittimità costituzionale in riferimento agli artt.
3 e 41 della Costituzione, a causa dell'evidente incapacità
dell'istituto concessorio di esser coerente con un sistema normativo
che ha il suo centro nel cittadino imprenditore anziché nello Stato,
tali dubbi diventano certezza se si considera l'assolutezza della
libertà di manifestazione del proprio pensiero garantita dall'art.
21 della Costituzione: la concessione, sotto quest'ultimo profilo,
appare il frutto di un'ideologia monopolistica che tende a perpetuare
i propri istituti e ad esportarli al di là dei confini del servizio
pubblico nell'area appartenente alla libertà dei cittadini. Ad
avviso della società Telemaremma, il diritto dei privati garantito
dall'art. 21 della Costituzione finisce per perdere, in forza della
previsione della concessione, la certezza del suo contenuto e dei
suoi confini (essendo esso compatibile soltanto con un'attività
della pubblica amministrazione di mero accertamento o, comunque,
strettamente vincolata dalla legge) e per essere sottratto alla
riserva di giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, che
costituisce un'indefettibile garanzia dei diritti di libertà
costituzionali (artt. 13, 14, 15), compreso quello concernente la
libertà di diffusione del pensiero.
3. - Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri per chiedere che la questione sia dichiarata inammissibile
o, comunque, infondata.
L'Avvocatura dello Stato osserva, innanzitutto, che la questione
sollevata è inammissibile, poiché appare priva di qualsiasi legame
di pregiudizialità con il giudizio principale. In quest'ultimo,
infatti, deve farsi applicazione, non già di qualcuna delle norme
denunziate (artt. 2, 3, 15, 16 e 19), ma solo degli artt. 32 e
seguenti, che peraltro non hanno formato oggetto di censura.
Un secondo motivo di inammissibilità è individuato nel palese
difetto di giurisdizione del giudice a quo, considerato che la Corte
di cassazione ha reiteratamente affermato la giurisdizione del
giudice amministrativo in ragione del potere della pubblica
amministrazione di governare l'etere a tutela del pubblico interesse.
Infine, un ulteriore profilo di inammissibilità è prospettato
dall'Avvocatura dello Stato in relazione alla natura ancipite
dell'ordinanza di rimessione, poiché questa, mentre, da un lato,
lamenta l'illogicità del distinto regime cui è soggetta l'attività
di radiotrasmissione (sottoposta a concessione) rispetto a quella di
ripetizione di programmi esteri (sottoposta ad autorizzazione),
dall'altro, prospetta l'irrazionalità della disciplina transitoria,
che non distingue, rispetto agli impianti già esistenti, fra
radiotelediffusione e ripetizione (sottoponendo l'una e l'altra al
regime dell'autorizzazione).
Nel merito, continua la difesa erariale, la questione appare
infondata alla luce della stessa giurisprudenza costituzionale, la
quale ha sempre negato un diritto soggettivo del privato
all'assegnazione delle bande di frequenza, essendo l'etere un bene
comune naturalmente limitato e non fruibile da tutti in modo
indiscriminato (v. specialmente sent. n. 1030 del 1988). Secondo
l'Avvocatura dello Stato, lo strumento della concessione risponde
adeguatamente al preminente interesse generale che governa la materia
e che è ribadito dall'art. 1 della legge n. 223 del 1990 al fine di
assicurare un'informazione ispirata al pluralismo delle fonti:
attraverso gli obblighi di comportamento, i divieti e i limiti
imposti ai concessionari, infatti, sarebbero assicurate la migliore
utilizzazione delle risorse disponibili e la realizzazione dei valori
costituzionali ricordati nell'art. 1, comma secondo, della legge
appena citata.
Ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, l'equiparazione, comportata
dall'art. 32 della legge n. 223 del 1990, fra i concessionari in
ambito privato e i titolari di autorizzazione alla ripetizione di
programmi esteri, ai sensi dell'art. 38 della legge 14 aprile 1975 n.
103, va giustificata, poiché è disposta al fine di evitare la
concentrazione in un'unica mano delle risorse disponibili (non
illimitate) e di salvaguardare i valori costituzionali prima
ricordati.
Infine, l'Avvocatura dello Stato osserva che è ultroneo
prospettare questioni in ordine alla disciplina transitoria (ormai
prossima all'esaurimento), poiché nell'ambito di quest'ultima non
v'è rilascio di concessioni o di autorizzazioni, ma sussiste
soltanto una temporanea legittimazione ex lege di coloro che già
utilizzavano preesistenti impianti in attesa dell'approvazione del
piano nazionale di ripartizione e di assegnazione delle frequenze.
4. - In prossimità dell'udienza la difesa di Telemaremma S.r.l.
ha depositato una memoria con la quale insiste nella propria
richiesta di accoglimento.
Dopo aver ribadito, in linea di fatto, che l'estensione della
propria telediffusione alla frequenza 67 VHF è stata dettata
dall'esigenza di rendere economicamente utile la gestione
dell'azienda e che l'uso della stessa, iniziato nel 1984, è stato a
lungo pacifico e ininterrotto, la difesa della parte privata si
sofferma, innanzitutto, a replicare alle eccezioni di
inammissibilità formulate dall'Avvocatura dello Stato.
In ordine alla asserita mancanza di pregiudizialità e di
rilevanza, la parte privata osserva che il caso presente è
sostanzialmente diverso da quello giudicato inammissibile con una
precedente sentenza di questa Corte.
Allora, infatti, si era nell'ambito di un giudizio cautelare, un
giudizio, cioè, il cui unico fine è assicurare al ricorrente un
provvedimento pretorile d'urgenza diretto a inibire la disattivazione
dell'impianto e a permettere provvisoriamente la continuazione
dell'attività in attesa del futuro giudizio di merito. Sicché,
intervenuta la legge n. 223 del 1990, la quale, all'art. 32, consente
agli esercenti di fatto, che propongano entro un certo termine
domanda di concessione, la prosecuzione dell'esercizio degli
impianti, si era conseguentemente prodotto l'integrale esaurimento
della pretesa dedotta dal ricorrente nel procedimento cautelare, dal
momento che la nuova disciplina esclude che l'impianto del ricorrente
possa subire il pericolo di una disattivazione d'autorità da parte
della pubblica amministrazione.
Diverso è, per la parte privata, il giudizio dal quale sorge
l'attuale incidente di costituzionalità. In tal caso, infatti, non
si versa in un procedimento cautelare, diretto a mantenere
l'attivazione in via provvisoria dell'impianto, ma si è in sede di
giudizio di merito, nel quale ha esclusiva rilevanza ciò che prima
non l'aveva: vale a dire, l'accertamento stabile della posizione di
diritto soggettivo pieno del ricorrente, da adottare con un
provvedimento suscettibile di acquistare autorità di cosa giudicata
anche nei confronti della pubblica amministrazione. E, conclude sul
punto la parte privata, poiché a tale accertamento si oppone la
legge n. 223 del 1990, intervenuta nelle more del giudizio con una
disciplina che configura l'esercizio privato dell'attività di
radiodiffusione con propri impianti come interesse legittimo,
anziché come diritto soggettivo, appare evidente la pregiudizialità
e la rilevanza della questione di costituzionalità sollevata in
ordine al richiesto accertamento della sussistenza di un diritto
soggettivo pieno (accertamento rispetto al quale non sarebbe certo
satisfattiva una dichiarazione di cessazione della materia del
contendere, di fronte a una legge che nega l'esistenza di un diritto
del privato, degradandolo a una posizione precaria e condizionata
all'eventuale futuro rilascio di un provvedimento concessorio).
Con riferimento al merito della questione, la stessa difesa
sviluppa tesi già esposte nell'atto di costituzione, sottolineando,
in particolare, sia che la concessione postula che i poteri e le
facoltà del privato non siano originariamente appartenenti alla sua
sfera giuridica (come, invece, richiede l'art. 21 della
Costituzione), sia che, una volta che la legge n. 223 del 1990 ha
escluso l'attività privata di emittenza radiotelevisiva dalla
configurazione come servizio pubblico (essendo quest'ultimo riservato
a una società d'interesse nazionale), i limiti alla predetta
attività vanno rinvenuti, non già nell'art. 43 della Costituzione,
ma negli artt. 21 e 41 della stessa Carta costituzionale. Sotto
quest'ultimo profilo, conclude la parte privata, poiché l'attività
di impresa radiotelevisiva è attività organizzata per la diffusione
del pensiero, la previsione della concessione appare incongruente con
i valori di libertà di manifestazione del pensiero e d'iniziativa
economica privata, nonché con le relative garanzie costituzionali
(riserva di legge e riserva di giurisdizione).
5. - Anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato
una memoria in prossimità dell'udienza, con la quale insiste nelle
proprie richieste di inammissibilità e, comunque, d'infondatezza.
Precisato che l'oggetto della questione di costituzionalità è
dato dalle disposizioni contenute negli artt. 2, 3, 15, 16, 19 e 32
della legge n. 223 del 1990, l'Avvocatura dello Stato ritiene non
superabile l'eccezione d'inammissibilità per irrilevanza sotto altro
profilo. A suo avviso, infatti, la disciplina concessoria non
concorrerebbe in alcun modo a qualificare la situazione soggettiva
della società Telemaremma, così come non influirebbe su
quest'ultima la legittimazione all'esercizio degli impianti accordata
in via provvisoria dall'art. 32 (tanto più che la stessa società
sarebbe utilmente collocata nella graduatoria delle emittenti aventi
titolo alla concessione in ambito locale).
Riguardo al merito della questione, premesso che, per costante
giurisprudenza costituzionale, il diritto garantito dall'art. 21
della Costituzione non comprende quello di disporre di tutti i
possibili mezzi di diffusione e non è configurabile come diritto
soggettivo all'assegnazione di frequenze, l'Avvocatura dello Stato
precisa che, in proposito, occorre distinguere fra la libertà della
comunicazione effettuabile con l'impianto (modo di uso del segnale) e
la posizione di interesse all'esercizio dell'impianto stesso,
implicante la disponibilità esclusiva di determinate utilità
(frequenze) di un bene comune (etere). Sulla base di tale
distinzione, continua la stessa difesa, poiché devono ritenersi
inattendibili le tesi configuranti l'etere come res nullius, le cui
utilitates (frequenze) sarebbero suscettibili di appropriazione
mediante occupazione, e poiché l'etere va configurato, piuttosto,
come res communis omnium, le cui utilità possono essere fruite da
taluno in via esclusiva soltanto in forza di un titolo concessorio
rilasciato dall'autorità che ne ha il governo, un regime basato
sulla concessione appare giustificato, non certo in ragione di una
riserva statale del settore ovvero in virtù dell'anteposizione dei
valori consacrati nell'art. 41 rispetto a quelli espressi dall'art.
21 della Costituzione, bensì grazie all'esigenza di assicurare l'uso
esclusivo di (determinate porzioni di) un bene comune ai fini della
radiodiffusione televisiva, nell'impossibilità di un'utilizzazione
plurima o indiscriminata dello stesso.
Da ultimo, l'Avvocatura dello Stato, ribadita la non
comparabilità dell'emittenza nazionale con la ripetizione di segnali
esteri, ricorda ancora che la concessione è altresì finalizzata a
imporre l'uso e lo sfruttamento delle risorse comuni in rispondenza a
specifici interessi di carattere generale e nel rispetto delle
condizioni tecniche e giuridiche e dei principi idonei ad attuare i
valori costituzionali e gli obblighi internazionali.
Considerato in diritto
1. - Nel corso di un procedimento civile, instaurato dopo che il
pretore aveva sospeso, ai sensi dell'art. 700 del codice di procedura
civile, l'ordine dell'amministrazione postale di disattivare
l'impianto radioelettrico esercitato da Telemaremma S.r.l., il
tribunale di Firenze ha sollevato varie questioni di legittimità
costituzionale nei confronti degli artt. 2, 3, 15, 16, 19 e 32 della
legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo
pubblico e privato), ritenendoli di dubbia conformità rispetto agli
artt. 3, 15, 21 e 41 della Costituzione.
2. - In via pregiudiziale, l'Avvocatura generale dello Stato ha
formulato tre distinte eccezioni di inammissibilità, che, tuttavia,
non possono essere accolte.
Non può condividersi, innanzitutto, l'eccezione secondo la quale
il giudizio di costituzionalità dovrebbe esser dichiarato
inammissibile a causa di un macroscopico difetto di giurisdizione del
giudice a quo, anche in considerazione delle reiterate affermazioni
della giurisprudenza di merito circa la natura di interesse legittimo
ascrivibile alla posizione giuridica del privato che esercita
impianti di radiodiffusione televisiva.
Questa Corte ha già ammesso al riguardo (v. sent. n. 314 del
1992) che, se un giudice ordinario dubita, sotto il profilo della
legittimità costituzionale, della qualificazione giuridica di quella
posizione soggettiva come interesse legittimo e ritiene, sempre sotto
il profilo della legittimità costituzionale, che la stessa posizione
debba esser definita come diritto soggettivo, allora il sollevare la
relativa questione di costituzionalità risulta certamente
pregiudiziale rispetto alla pronunzia sulla propria giurisidizione.
Quest'ultima, infatti, è certamente condizionata dalla risoluzione
di quel dubbio di costituzionalità, dal momento che, ove la
questione fosse accolta, il giudice a quo dovrebbe riconoscere la
propria giurisdizione, mentre, ove si pervenisse a una pronuncia di
rigetto, lo stesso giudice dovrebbe dichiararsi privo di
giurisdizione. Né, contrariamente a quanto suppone l'Avvocatura
dello Stato, potrebbe condurre a un diverso avviso l'esistenza di
numerose sentenze che in proposito ammettono la giurisdizione del
giudice amministrativo, sia perché tale giurisprudenza si è formata
sotto la vigenza di una diversa legislazione, ispirata al principio
della riserva statale sull'intero settore radiotelevisivo, sia
perché il giudice a quo afferma motivatamente di dubitare di
quell'orientamento sulla scorta di una certa interpretazione delle
norme costituzionali di riferimento.
3. - Non fondata è pure l'altra eccezione di inammissibilità
formulata dall'Avvocatura dello Stato, secondo la quale, poiché dal
"dispositivo" dell'ordinanza l'art. 32 della legge n. 223 del 1990
non risulterebbe essere oggetto di contestazione e poiché la
situazione dedotta nel giudizio a quo sarebbe esclusivamente regolata
dall'articolo appena ricordato, il complesso delle questioni
sollevate mancherebbe del necessario requisito della rilevanza.
In proposito occorre precisare che la premessa maggiore sulla
quale poggia l'eccezione ora esaminata non risponde al contenuto reale dell'ordinanza di rimessione, ove questa sia considerata, come
deve esser considerata, nell'integralità delle sue parti. L'art. 32,
infatti, è sicuramente ricompreso fra le disposizioni sottoposte al
presente giudizio, poiché esso è espressamente menzionato
nell'ordinanza come articolo sospettato d'incostituzionalità in ben
tre occasioni: una prima volta, insieme alle varie disposizioni che
sanciscono il "principio della concessione", sotto il profilo del
loro complessivo possibile contrasto con gli artt. 21 e 41 della
Costituzione; una seconda volta, come articolo a sé stante che il
giudice a quo ritiene di dubbia compatibilità con il combinato
disposto formato dagli artt. 3 e 41 della Costituzione; infine, una
terza volta, quando l'art. 32, riferito sia alle emittenti televisive
sia ai ripetitori di programmi esteri, è sospettato
d'incostituzionalità sotto il profilo della disparità di
trattamento (art. 3 della Costituzione).
4. - L'eccezione di inammissibilità per irrilevanza non può
essere accolta neppure sotto il profilo diverso, peraltro alternativo
a quello esaminato nel punto immediatamente precedente, illustrato
dalla Avvocatura dello Stato nella memoria depositata in prossimità
dell'udienza. Non può, infatti, condividersi il punto di vista di
quest'ultima, secondo il quale la situazione giuridica soggettiva sul
cui accertamento verte il giudizio a quo non risulterebbe in alcun
modo qualificata né dall'autorizzazione provvisoria prevista dal
ricordato art. 32, né dalla disciplina concessoria contenuta nella
stessa legge.
Il processo principale è stato promosso, sotto la vigenza del regime legislativo anteriore a quello stabilito dalla legge n. 223 del
1990, su iniziativa della società Telemaremma, la quale, dopo che il
pretore di Firenze aveva cautelarmente sospeso, ai sensi dell'art.
700 c.p.c., l'efficacia dell'ordine dell'amministrazione postale di
disattivare l'impianto esercitato dalla parte attrice sulla frequenza
67 VHF, ha chiesto al tribunale di Firenze che fosse riconosciuto il
suo diritto soggettivo di radiodiffusione televisiva circolare e che
fosse consequenzialmente dichiarata la carenza di potere
dell'amministrazione pubblica nei confronti dell'attività di
trasmissione da essa svolta sulla frequenza contestata. Intervenuta
nelle more del giudizio la legge n. 223 del 1990, le parti hanno
preso atto della nuova disciplina posta dall'art. 32, a norma del
quale "i privati che alla data di entrata in vigore della presente
legge eserciscono impianti per la radiodiffusione sonora o televisiva
in ambito nazionale o locale e i connessi collegamenti di
telecomunicazione, sono autorizzati a proseguire nell'esercizio degli
impianti stessi, a condizione che abbiano inoltrato domanda per il
rilascio della concessione di cui all'art. 16 entro sessanta giorni
dalla data di entrata in vigore della presente legge e fino al
rilascio della concessione stessa ovvero fino alla reiezione della
domanda ( ..)". Sulla base di tale disposizione, infatti, mentre
l'Avvocatura dello Stato chiedeva la cessazione della materia del
contendere, la parte attrice eccepiva l'illegittimità costituzionale
della nuova disciplina, ritenendola incompatibile con la posizione di
diritto soggettivo che, a suo dire, le assicurava l'art. 21 della
Costituzione. Il giudice a quo accoglieva quest'ultima eccezione e
sollevava la questione di costituzionalità oggetto del presente
giudizio, dopo aver valutato con esito affermativo la rilevanza della
stessa in quanto la società Telemaremma era esercente di fatto
dell'impianto trasmittente sulla frequenza 67 VHF al momento
dell'entrata in vigore della nuova legge e la stessa società aveva
richiesto, nel termine prescritto, il rilascio della concessione ai
sensi dell'art. 16 della nuova legge.
Considerato che oggetto del giudizio principale è l'accertamento
della posizione giuridica soggettiva in ordine all'esercizio
dell'impianto di radiodiffusione televisiva sulla frequenza 67 VHF,
questa Corte non può non condividere la valutazione sulla rilevanza
operata dal giudice a quo, poiché non è implausibile che l'art. 32
della legge n. 223 del 1990 sia ritenuto applicabile nella
controversia pendente di fronte al tribunale di Firenze, essendo
diretto tale articolo a modificare il titolo di legittimazione per la
prosecuzione, da parte dei privati, dell'attività di radiodiffusione
televisiva. Diverso sarebbe stato il caso ove la questione fosse
stata sollevata nel corso del giudizio cautelare ex art. 700 c.p.c.
(v. sent. n. 314 del 1992), poiché, essendo quest'ultimo
preordinato, non già all'accertamento del diritto contestato, ma
alla mera assicurazione in via provvisoria degli effetti della futura
decisione sul merito di fronte al pericolo di danni irreparabili,
sarebbe mancato del tutto il necessario legame di pregiudizialità
fra la disciplina normativa posta dall'art. 32 in ordine alla
posizione giuridica soggettiva degli esercenti gli impianti
radiotelevisivi e la tutela dell'attività di radiodiffusione
televisiva accordabile attraverso il giudizio previsto all'art. 700
c.p.c.
Per quanto riguarda, poi, la rilevanza delle disposizioni dirette
a stabilire il "principio della concessione" nei confronti dei
privati (artt. 2, 3, 15, 16 e 19), occorre osservare che
l'applicabilità nel giudizio principale dell'art. 32 comporta
altresì l'influenza rispetto allo stesso delle norme ora considerate, dal momento che l'autorizzazione ex lege alla prosecuzione in
via provvisoria dell'attività di radiodiffusione televisiva è
condizionata, quanto al titolo, dal presupposto dell'avvenuta
presentazione della domanda per il rilascio della concessione. Da
ciò consegue che l'ipotizzato accoglimento dei dubbi di
costituzionalità relativi al "principio della concessione" farebbe
venir meno anche la condizione legittimante per esser autorizzati ex
lege alla prosecuzione dell'esercizio degli impianti di
radiodiffusione televisiva, con evidente incidenza sulla posizione
soggettiva al cui accertamento è finalizzato il processo principale.
5. - Va, infine, escluso che l'ordinanza di rimessione possa esser
ritenuta contraddittoria e, quindi, inammissibile, per aver
lamentato, per un verso, l'illogicità del distinto regime cui sono
soggette le attività di radiodiffusione televisiva (sottoposte a
concessione) e quelle di ripetizione di programmi esteri (sottoposte
ad autorizzazione) e, per altro verso, l'irrazionalità della
disciplina transitoria, che per gli impianti già esistenti prevede
l'autorizzazione tanto per le attività di radiodiffusione televisiva
quanto per quelle di ripetizione di programmi esteri. L'ipotizzata
contraddittorietà dell'ordinanza di rimessione, infatti, non può
essere condivisa, ove si tenga conto che il giudice a quo solleva due
distinti, ma non contrastanti, dubbi di costituzionalità, in ordine
a due diverse discipline: da un lato, in ordine alla disciplina a regime, egli sospetta che mancherebbe una "proporzionalità" fra il
trattamento delle attività di radiodiffusione televisiva,
configurate come interesse legittimo, e le attività di ripetizione
di programmi esteri, che assume essere svolgimento di un diritto
soggettivo; dall'altro lato, in ordine alla disciplina transitoria,
egli rileva che le attività di radiodiffusione televisiva sono
ritenute irragionevolmente equiparate con quelle di ripetizione dei
programmi esteri.
6. - Nel merito, la questione di costituzionalità sollevata nei
confronti degli artt. 2, 3, 15, 16 e 32 della legge n. 223 del 1990
per violazione degli artt. 21 e 41 della Costituzione non è fondata.
In via di premessa occorre osservare che non può condividersi la
posizione del giudice a quo, secondo la quale, muovendo dall'assunto
che l'art. 21 della Costituzione garantisce un diritto soggettivo
perfetto, sarebbe compatibile con quest'ultimo soltanto un regime
autorizzatorio, e non certo uno di tipo concessorio. Questa posizione
parte evidentemente dal presupposto che la nozione di autorizzazione
amministrativa sia in ogni caso coincidente con il suo significato
più tradizionale, consistente in un provvedimento diretto a
rimuovere un limite all'esercizio di un diritto. Solo se si accetta
tale significato, infatti, si può sostenere che soltanto un regime
autorizzatorio presuppone la preesistenza di un diritto proprio del
privato e non produce alcun effetto "costitutivo" nella sfera
giuridica di quest'ultimo.
In realtà, questa Corte, anche sulla scorta dell'analisi di una
dottrina sempre più imponente, ha già affermato che sussistono
numerose ipotesi di diritto positivo, anche nell'ambito della materia
radiotelevisiva, nelle quali la configurazione dell'autorizzazione
amministrativa è tale da non comportare semplicemente la rimozione
di un limite all'esercizio di un preesistente diritto (v. sent. n.
153 del 1987). Da ciò consegue che l'opposizione fra autorizzazione
e concessione perde in molti casi consistenza in relazione al
carattere "costitutivo", o meno, del provvedimento, cosicché cade
anche la possibilità di contrapporre, almeno in via generale, il regime autorizzatorio a quello concessorio, al fine di affermare la
presunta compatibilità del primo con la garanzia di un diritto
soggettivo e, viceversa, l'incompatibilità con quest'ultima di un
regime concessorio.
Ciò posto, compito di questa Corte è verificare la conformità
con i principi contenuti negli artt. 21 e 41 della Costituzione del
regime di controllo pubblico dell'attività di radiodiffusione
televisiva privata previsto dagli articoli della legge n. 223 del
1990 oggetto di contestazione, regime che ha il suo perno nel
provvedimento che le disposizioni ora richiamate denominano
"concessione".
7.- Questa Corte ha costantemente affermato che la Costituzione,
all'art. 21, riconosce e garantisce a tutti la libertà di
manifestare il proprio pensiero con qualsiasi mezzo di diffusione e
che tale libertà ricomprende tanto il diritto di informare, quanto
il diritto di essere informati (v., ad esempio, sentt. nn. 202 del
1976, 148 del 1981, 826 del 1988). L'art. 21, come la Corte ha avuto
modo di precisare, colloca la predetta libertà tra i valori primari,
assistiti dalla clausola dell'inviolabilità (art. 2 della
Costituzione), i quali, in ragione del loro contenuto, in linea
generale si traducono direttamente e immediatamente in diritti
soggettivi dell'individuo, di carattere assoluto.
Tuttavia, l'attuazione di tali valori fondamentali nei rapporti
della vita comporta una serie di relativizzazioni, alcune delle quali
derivano da precisi vincoli di ordine costituzionale, altre da
particolari fisionomie della realtà nella quale quei valori sono
chiamati ad attuarsi.
Sotto il primo profilo, questa Corte ha da tempo affermato che il
"diritto all'informazione" va determinato e qualificato in
riferimento ai principi fondanti della forma di Stato delineata dalla
Costituzione, i quali esigono che la nostra democrazia sia basata su
una libera opinione pubblica e sia in grado di svilupparsi attraverso
la pari concorrenza di tutti alla formazione della volontà generale.
Di qui deriva l'imperativo costituzionale che il "diritto
all'informazione" garantito dall'art. 21 sia qualificato e
caratterizzato: a) dal pluralismo delle fonti cui attingere
conoscenze e notizie - che comporta, fra l'altro, il vincolo al
legislatore di impedire la formazione di posizioni dominanti e di
favorire l'accesso nel sistema radiotelevisivo del massimo numero
possibile di voci diverse - in modo tale che il cittadino possa
essere messo in condizione di compiere le sue valutazioni avendo
presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali
contrastanti; b) dall'obiettività e dall'imparzialità dei dati
forniti; c) dalla completezza, dalla correttezza e dalla continuità
dell'attività di informazione erogata; d) dal rispetto della
dignità umana, dell' ordine pubblico, del buon costume e del libero
sviluppo psichico e morale dei minori.
Sotto il secondo profilo, costante è l'affermazione nella
giurisprudenza costituzionale che il diritto di diffusione del
proprio pensiero attraverso il mezzo televisivo è fortemente
condizionato dai connotati empiricamente riferibili all'uso di tale
mezzo: connotati che, ove non fossero adeguatamente regolati e
disciplinati, rischierebbero di trasformare l'esercizio di una
libertà costituzionale in una forma di prevaricazione o, comunque,
in un privilegio arbitrario. Fra questi condizionamenti di fatto la
Corte, sin dalle sue prime pronunzie in materia, ha indicato la
limitata possibilità di utilizzare l'etere al fine della
radiotelecomunicazione circolare attraverso l'irradiazione di onde in
determinate gamme di frequenza dello spettro radioelettrico (v. già
sentt. nn. 59 del 1960, 225 del 1974) o, più precisamente, ha
segnalato la sussistenza di una disponibilità dell'etere non
sufficiente a garantire un libero accesso nello stesso (v., così,
sent. n. 202 del 1976). In sentenze più recenti, la stessa Corte ha
aggiunto tra i condizionamenti di fatto anche l'elevato costo
dell'organizzazione delle attività radiotelevisive e le ristrette
possibilità di accesso alle risorse tecnologiche (v. spec. sentt.
nn. 148 del 1981, 826 del 1988). Si tratta, in ogni caso, di
elementi, la cui sussistenza dipende da fattori sociali, economici,
giuridici e tecnici storicamente variabili e, comunque,
obiettivamente accertabili e la cui verifica è demandata,
innanzitutto, al legislatore e, in sede di controllo sulle leggi, al
giudice di costituzionalità.
8. - Per lungo tempo il legislatore, attraverso un uso del suo
potere discrezionale giudicato non irragionevole da questa Corte, ha
ritenuto che l'importanza dei condizionamenti di fatto ora indicati
fosse tale da giustificare una riserva statale sull'intero settore
radiotelevisivo. In conseguenza di ciò la relativa attività era
complessivamente qualificata come servizio pubblico essenziale e
attribuita, per l'erogazione, a una società concessionaria a
prevalente partecipazione statale, sottoposta a controlli e a
direttive da parte del Parlamento al fine di assicurare la
realizzazione dei valori costituzionali posti a tutela del "diritto
all'informazione" (pluralismo, imparzialità, etc.). In tal modo, la
garanzia offerta dall'art. 21 della Costituzione alla libertà di
diffusione del proprio pensiero veniva saldamente ancorata, per quel
che riguarda il settore radiotelevisivo, all'art. 43 della
Costituzione, tanto da rinvenire nel contenuto normativo di
quest'ultimo i profili organizzativi fondamentali del settore
medesimo, quali la riserva allo Stato, la connotazione dell'attività
di radiotelediffusione, in quanto tale, come servizio pubblico
essenziale, l'assegnazione della gestione del servizio stesso
attraverso la concessione a una società diretta dallo Stato e, infine, la previsione di ampi controlli e di poteri d'indirizzo al fine
di assicurare il preminente interesse generale.
Nel suo discrezionale apprezzamento delle condizioni in cui di
fatto versava il settore radiotelevisivo e delle più opportune
modalità dirette ad attuare i valori costituzionali prima ricordati,
il legislatore, adottando la legge n. 223 del 1990 (anche in
attuazione della direttiva CEE n. 89/552), ha considerato, invece,
che quei valori potessero trovare adeguata realizzazione attraverso
l'istituzione di un sistema radiotelevisivo di tipo "misto", cioè
basato sul "concorso di soggetti pubblici e privati" (art. 2). Questa
valutazione del legislatore muove evidentemente dalla convinzione
che, allo stato attuale dello sviluppo tecnologico ed economico-sociale, la limitatezza nella utilizzabilità delle frequenze per la
radiotelediffusione circolare e la relativa ristrettezza delle
possibilità di accesso alle risorse necessarie per l'organizzazione
delle attività in questione sono tali da indurre a considerare gli
imprenditori privati, sempreché sottoposti a rigorose condizioni
d'ingresso e a predeterminati controlli, come soggetti in grado di
concorrere insieme al servizio pubblico nella realizzazione dei
valori costituzionali posti a presidio dell'informazione
radiotelevisiva (v. artt. 1 e 2 della legge n. 223 del 1990).
9. - Il "principio della concessione", che si enuclea dalle
disposizioni oggetto della contestazione in esame, rappresenta uno
snodo fondamentale nel sistema "misto" delineato dalla legge n. 223
del 1990, nel quale sono destinati a operare una "concessionaria
pubblica" e una delimitata pluralità di "concessionari privati". In
quel principio, infatti, si riflettono le connotazioni essenziali del
rapporto tra i poteri pubblici di regolazione o di controllo e le
posizioni soggettive o le attività dei singoli operatori del
sistema. E, poiché queste ultime godono in Costituzione di una
garanzia differenziata a seconda che i loro titolari siano soggetti
pubblici oppure soggetti privati, il "principio della concessione",
se non intende porsi in contrasto con le norme costituzionali, deve
assumere un significato diverso quando sia riferito alla
"concessionaria pubblica" ovvero quando sia riferito ai
"concessionari privati".
Sotto il profilo indicato, la concessione con la quale viene
affidata la gestione del servizio pubblico, così come è regolata
nella legge n. 223 del 1990, rimanda a moduli organizzatori non
dissimili, nella sostanza, rispetto a quelli connotanti lo stesso
istituto nella legislazione che si ispirava al principio della
"riserva statale". E ciò vale tanto se si guarda alla
caratterizzazione giuridica del concessionario (società d'interesse
nazionale) e ai poteri di direttiva e di controllo che su di esso
debbono esser esercitati dallo Stato (commissione parlamentare
d'indirizzo e di vigilanza, nomina parlamentare dei consiglieri di
amministrazione, etc.), quanto se si guarda alla peculiarità del regime delle risorse economiche di cui può usufruire il concessionario
stesso. In altri termini, riferita al servizio pubblico, la
concessione conserva, nel suo complesso, il carattere di strumento
organizzatorio, attraverso il quale si costituiscono in capo al
concessionario poteri e doveri da sottoporre a controlli
discrezionali e al coordinamento amministrativo, in vista del
perseguimento di finalità di interesse pubblico.
Al contrario, riferita ai privati, la concessione per l'esercizio
della radiodiffusione sonora e televisiva assume un carattere
complesso, poiché, mentre per determinati aspetti (c.d. assegnazione
delle radiofrequenze) conserva una connotazione comune alla
concessione del servizio pubblico, per altri aspetti (controlli
sull'attività erogata e sull'organizzazione dell'impresa), invece,
costituisce uno strumento di ordinazione nei confronti di facoltà e
di doveri connessi alla garanzia costituzionale della libertà di
manifestazione del pensiero (art. 21) e della libertà di iniziativa
economica privata (art. 41), nonché ai correlativi limiti posti a
tutela di beni d'interesse generale.
10. - Questo duplice e complesso carattere della concessione per
la radiodiffusione televisiva privata, come ha correttamente
osservato l'Avvocatura dello Stato, è desumibile dall'art. 16 della
legge n. 223 del 1990, interpretato alla luce dell'art. 21 della
Costituzione. L'art. 16, infatti, oltre a regolare la specifica
concessione per l'installazione degli impianti nelle aree definite ai
sensi dell'art. 4 della stessa legge, disciplina dettagliatamente la
appena ricordata concessione per l'esercizio di impianti di
radiodiffusione televisiva privata, assegnandole contenuti
classificabili secondo due distinti profili, vale a dire quelli
relativi a:
a) l'affidamento alla esclusiva disponibilità di individuati
soggetti privati, sempreché in possesso dei requisiti prescritti
dagli artt. 16 e 17 per il rilascio della concessione medesima, di
determinate frequenze, definite in conformità ai piani di
ripartizione e di assegnazione delle stesse previsti dall'art. 3, in
relazione alle quali gli impianti, connotati da una certa potenza e
da una particolare area di servizio, sono destinati a trasmettere;
b) l'abilitazione all'utilizzazione delle frequenze conferite
(le quali, come è noto, sono suscettibili di utilizzazioni plurime)
attraverso l'uso di determinati segnali, al fine della
radiodiffusione televisiva circolare su scala nazionale o su scala
locale.
Sotto il primo profilo, la concessione concerne un presupposto
necessario per l'esercizio da parte dei privati della libertà di
manifestazione del pensiero con il mezzo radiotelevisivo: un
presupposto, comunque, che, proprio perché tale, non coincide con
l'attività di cui consta quell'esercizio, attività che costituisce
l'oggetto diretto della tutela accordata dall'art. 21 della
Costituzione. Essa, infatti, per l'aspetto ora considerato,
conferisce ai privati la disponibilità in via esclusiva di determinate utilità, le frequenze, in mancanza delle quali non sarebbe
possibile l'attività di radiodiffusione televisiva circolare. Più
precisamente, suo oggetto è il conferimento a determinati privati di
un bene comune, l'etere, da parte del soggetto (Stato) che ne ha il
governo complessivo, affinché gli assegnatari possano propagarvi in
via esclusiva onde radioelettriche connotate da predefinite
frequenze. Per questo aspetto, dunque, il provvedimento
amministrativo in esame rivela una natura tipicamente concessoria, in
relazione alla quale l'interesse del privato va qualificato come
interesse legittimo, e non già come diritto soggettivo (v.,
specialmente, sentt. nn. 1030 del 1988, 102 del 1990). In ogni caso,
quale presupposto necessario condizionante lo svolgimento
dell'attività di diffusione del pensiero attraverso il mezzo
radiotelevisivo, l'"assegnazione delle frequenze" ai privati deve
avvenire, per rispettare l'art. 21 della Costituzione, in modo tale
che sia assicurata la massima obiettività e imparzialità, dal
momento che la garanzia del nucleo di valore costituzionale espresso
dalla libertà di manifestazione del pensiero non può, certo, esser
vanificata, distorta o trasposta in una qualche forma di privilegio
da parte di provvedimenti discrezionali della pubblica
amministrazione, non vincolati da precisi parametri legali.
Sotto il profilo del conferimento al privato dell'abilitazione a
svolgere l'attività di teletrasmissione, la concessione disciplinata
dall'art. 16 riconosce, invece, una facoltà, analoga a quella
indicata dall'art. 29 per la diffusione via cavo, il cui svolgimento
coincide con l'attività tutelata dall'art. 21 come manifestazione
del pensiero. L'esercizio di tale facoltà, pertanto, è, per un
verso, soggetto ai limiti stabiliti dall'art. 21 della Costituzione a
tutela di determinati valori di carattere generale (buon costume,
protezione dei minori, etc.) e, per altro verso, è sottoponibile a
restrizioni o a controlli soltanto nel rispetto delle garanzie
previste dallo stesso art. 21 della Costituzione e, in particolare,
nel rispetto della riserva assoluta di legge, oltreché della c.d.
riserva di giurisdizione.
11. - Gli articoli della legge n. 223 del 1990 oggetto della
contestazione ora in esame non contravvengono ai requisiti di
validità sopraindicati, desumibili dall'art. 21 della Costituzione.
Nel determinare i criteri sulla cui base deve avvenire la
selezione dei soggetti privati aspiranti alla concessione, l'art. 16,
al comma diciassettesimo, impone che siano seguiti criteri oggettivi,
che attengono alla potenzialità economica, alla qualità della
programmazione prevista e dei progetti radioelettrici e tecnologici,
oltreché, per i soggetti già operanti nel campo della emittenza
radiotelevisiva, ad altri elementi più specifici, come la presenza
sul mercato, le ore di trasmissione effettuate, la qualità dei
programmi riscontrata, le quote percentuali di spettacoli e i servizi
informativi autoprodotti, il personale dipendente, con particolare
riguardo a quello con contratto giornalistico, e gli indici di
ascolto rilevati. Si tratta di requisiti che, oltre ad essere
oggettivi, sono predeterminati dalla legge in modo tale da delimitare
e circoscrivere i poteri amministrativi sull'accesso dei privati nel
sistema radiotelevisivo a parametri prefissati dalla legge, e non
già lasciati alla scelta dell'amministrazione medesima.
Analogamente, per quanto riguarda lo svolgimento dell'attività di
teletrasmissione, il principio della riserva assoluta di legge, posto
dall'art. 21 della Costituzione a garanzia della libertà di
manifestazione del pensiero, è rispettato sia sotto il profilo dei
limiti di trasmissione, sia sotto quello dei controlli previsti. Per
quanto riguarda il primo aspetto, infatti, l'art. 15, dal nono al
tredicesimo comma, specifica, attraverso puntuali norme di legge,
taluni dei limiti desumibili dalla Costituzione nei confronti della
libertà di manifestazione del pensiero (divieto di trasmissione di
messaggi di carattere subliminale o cifrati, divieto di messa in onda
di programmi nocivi allo sviluppo psichico o morale dei giovani,
divieto o limitazione della fascia oraria per la trasmissione di
programmi vietati ai minori). Anche sotto il profilo dei controlli
previsti, il principio di stretta legalità comportato dalla riserva
assoluta di legge in materia di attività di manifestazione del
pensiero non è contraddetto dalle norme contestate, tanto che il
più importante fra i controlli delineati dalla legge n. 223 del
1990, quello attribuito al Garante per la radiodiffusione e
l'editoria (art. 6), non è caratterizzato, come pure avviene per
istituzioni analoghe operanti in ordinamenti diversi dal nostro, da
funzioni ampiamente discrezionali, ma consiste, invece, in attività
predeterminate dalla legge in modo tale che il relativo potere sia
delimitato e circoscritto a parametri legislativamente stabiliti
secondo i principi propri della riserva assoluta di legge.
In definitiva, poiché attraverso il "principio della concessione"
gli articoli contestati non introducono deroghe o rotture alla regola
della riserva assoluta di legge, si deve escludere che essi si
pongano in contrasto con l'art. 21 della Costituzione.
12. - Posto che l'art. 15 della Costituzione è male invocato come
parametro di costituzionalità nella dedotta questione, poiché, come
questa Corte ha già chiarito (v. sent. n. 1030 del 1988), il
suddetto articolo non può trovare applicazione nel campo della
radiodiffusione televisiva circolare (destinata a una pluralità
indeterminata di soggetti) avendo ad oggetto soltanto la
comunicazione riservata tra persone predeterminate, in relazione agli
articoli della legge n. 223 del 1990 finora esaminati non resta che
vagliare le contestazioni ad essi mosse dal giudice a quo per
l'asserita violazione dell'art. 41 della Costituzione.
Occorre osservare preliminarmente che, essendo l'attività di
radiotrasmissione televisiva dei privati organizzata in forma di
impresa, non si può dubitare dell'applicabilità alla stessa della
garanzia costituzionale relativa alla libertà di iniziativa
economica privata e dei connessi limiti di interesse sociale.
Tuttavia, va sottolineato che nella materia ora considerata
l'organizzazione imprenditoriale ha soltanto una posizione
strumentale rispetto allo svolgimento dell'attività di diffusione
del pensiero attraverso il mezzo radiotelevisivo, di modo che, come
non si possono giustificare limiti all'impresa che siano tali da
ricadere sull'attività di radiodiffusione televisiva con effetti di
irragionevole compressione della libertà tutelata dall'art. 21 della
Costituzione, così sono pienamente giustificabili limiti più
rigorosi nei confronti delle imprese operanti nel settore al fine di
apprestare un'adeguata protezione ai valori primari connessi alla
manifestazione del pensiero attraverso il mezzo televisivo.
Alla luce di tali principi, le disposizioni contestate non si
pongono in contrasto con l'art. 41 della Costituzione, poiché,
mentre tutelano in modo adeguato l'autonomia di scelta
costituzionalmente garantita agli imprenditori privati, nello stesso
tempo sottopongono lo svolgimento di tale autonomia a limiti
specifici, giustificati dall'esigenza di prevenire il pericolo che
l'esercizio della libertà di scelta da parte dell'impresa possa
arrecare pregiudizio al pluralismo e all'imparzialità
dell'informazione televisiva e, in genere, ai valori protetti
dall'art. 21 della Costituzione.
Sotto il profilo del rispetto della libertà d'impresa, occorre
sottolineare, innanzitutto, che, nel prevedere la radiodiffusione
privata a carattere commerciale, l'art. 16 salvaguarda chiaramente lo
scopo di lucro, connaturale a qualsiasi attività imprenditoriale
svolta dai privati, ai sensi dell'art. 41, primo comma, della
Costituzione. In coerente svolgimento con tale principio, la legge n.
223 del 1990 riconosce l'autonomia imprenditoriale sull'attività
produttiva, rimettendo, in particolare, alla libertà
dell'imprenditore la scelta dei mezzi di finanziamento della propria
azienda fra il complesso delle risorse utilizzabili ai sensi
dell'art. 15 e garantendo che queste ultime siano certe e predeterminate.
Sotto il profilo dei limiti e dei controlli effettuabili nei
confronti dello svolgimento della libertà d'iniziativa economica
privata, occorre osservare, in linea generale, che anche per
l'aspetto relativo all'attività d'impresa, il rapporto tra poteri
pubblici e soggetti privati è posto al riparo da interventi
amministrativi non rispettosi del principio della riserva di legge
stabilito dall'art. 41, secondo e terzo comma, della Costituzione, a
tutela della libertà di iniziativa economica privata. Il
legislatore, infatti, ha improntato lo statuto dell'impresa
radiotelevisiva al principio della certezza giuridica, determinando
la linea di confine tra l'attività dei privati e i poteri pubblici
in termini oggettivi di legalità sostanziale, vale a dire attraverso
la predeterminazione in norme di legge del contenuto essenziale e
della forma dei limiti imponibili all'autonomia imprenditoriale.
L'anzidetto principio connota le restrizioni previste dalla legge
n. 223 del 1990 alla libertà d'impresa radiotelevisiva e, in
particolare, i limiti e i controlli derivanti dalla specifica
disciplina "anti-trust" ivi stabilita, in relazione alla quale, anzi,
quel principio è reso più rigoroso in ragione dell'esigenza di
tutelare nel modo più efficace i valori primari della libertà, del
pluralismo e dell'imparzialità dell'informazione (televisiva)
contenuti nell'art. 21 della Costituzione. In ragione di ciò,
infatti, la disciplina "anti-trust" appositamente prevista per il
settore radiotelevisivo correttamente non ricorre a parametri
consistenti in concetti indeterminati, in clausole generali o,
comunque, in poteri dotati di un'ampiezza sostanzialmente non
definita nella legge, ma prevede, piuttosto, limiti alla dimensione
delle imprese basati su prescrizioni precise e puntuali.
Alla luce delle considerazioni ora svolte, anche il dubbio di
legittimità costituzionale prospettato nei confronti degli artt. 2,
3, 15, 16, 19 e 32 della legge n. 223 del 1990 in riferimento
all'art. 41 della Costituzione non è fondato, poiché il "principio
della concessione" stabilito dalle disposizioni contestate non
comporta un'irragionevole compressione della libertà d'iniziativa
economica privata, ma sottopone quest'ultima a regole e a controlli,
che, valutati anche in relazione alla loro ricaduta finale sulla
libertà di manifestazione del pensiero, rispondono ai principi della
riserva di legge e della certezza giuridica.
13. - Va altresì respinto il dubbio di costituzionalità
specificamente rivolto all'art. 32 della legge n. 223 del 1990 in
riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione.
Secondo il giudice a quo, l'articolo contestato, nel permettere ai
privati, che, al momento di entrata in vigore della legge, gestiscono
impianti di radiodiffusione televisiva, di proseguire nella loro
attività ove facciano domanda per il rilascio della concessione nel
termine di sessanta giorni, oltre a porsi in contrasto con l'art. 3
della Costituzione per un irragionevole discrimine a danno degli
altri privati che non godono del suddetto beneficio, violerebbe
altresì l'art. 41 della Costituzione, sia perché non garantirebbe a
tutti l'accesso nel mercato televisivo, sia perché costituirebbe un
limite alla libertà d'iniziativa economica privata non giustificato
da alcun motivo di utilità sociale.
In realtà, l'autorizzazione ex lege alla prosecuzione
nell'attività di teletrasmissione, contenuta nell'art. 32,
rappresenta una misura provvisoria, diretta a congelare la situazione
delle emittenti radiotelevisive risultante all'atto dell'entrata in
vigore della legge fino al momento della decisione sul rilascio delle
concessioni. Tale misura, mentre non viola l'art. 3 della
Costituzione, dal momento che non si rivela irragionevole alla luce
della consistente diffusione delle emittenti radiotelevisive occorsa
in via di fatto prima dell'entrata in vigore della legge n. 223 del
1990 e provvisoriamente legittimata con la legge n. 10 del 1985, non
si pone in contrasto neppure con l'art. 41 della Costituzione, per il
fatto che il carattere assolutamente provvisorio e transitorio della
norma contestata fa sì che non sia introdotta una regola volta a
connotare stabilmente l'accesso dei privati nel sistema
radiotelevisivo e a porre, pertanto, un limite ingiustificato al
normale svolgimento della libertà d'iniziativa economica privata.
14. - Non fondata è anche la questione di legittimità
costituzionale riferita all'art. 2 della legge n. 223 del 1990, per
la quale sussisterebbe una disparità di trattamento, con conseguente
viola zione dell'art. 3 della Costituzione, fra le emittenti
radiotelevisive, soggette a concessione, e i ripetitori di programmi
esteri, sottoposti ad autorizzazione, anche in considerazione della
possibilità che questi ultimi vengano a occupare lo spettro
radioelettrico disponibile, a danno delle altre.
La premessa da cui muove il giudice a quo nel prospettare la
questione ora esaminata è che i ripetitori di programmi esteri siano
titolari di un diritto soggettivo, essendo l'autorizzazione un
provvedimento diretto semplicemente a rimuovere un limite
all'esercizio di un preesistente diritto. Questa premessa, non solo
non è corretta in via generale per le ragioni già esposte nel punto
6 di questa motivazione, ma non lo è neppure con riferimento al caso
specifico. I ripetitori di programmi esteri, infatti, possono
esercitare la loro attività di diffusione televisiva soltanto
attraverso l'utilizzazione in via esclusiva di un certo spettro
radioelettrico connotato da predeterminate frequenze. Da questo punto
di vista, pertanto, la loro posizione è identica a quella delle
emittenti radiotelevisive di fronte alla c.d. assegnazione delle
frequenze, che, come è stato precisato nel precedente punto 10 di
questa motivazione, dev'esser giuridicamente qualificata come
interesse legittimo. Sicché, per l'aspetto considerato, deve
escludersi l'effetto discriminatorio a danno delle emittenti
radiotelevisive in conseguenza dell'ipotizzata libera occupazione
dell'etere da parte dei ripetitori dei programmi esteri, essendo
sottoposti questi ultimi a un'autorizzazione, cui è connesso anche
il compito di riconoscere al richiedente una determinata frequenza,
ove ciò sia compatibile con il piano nazionale di assegnazione e con
la "distribuzione" delle stesse frequenze alle emittenti abilitate a
trasmettere ai sensi degli artt. 3, undicesimo comma (concessionaria
pubblica) e 16 (concessionari privati) della legge n. 223 del 1990.
Il fatto che l'art. 2 continui a sottoporre i ripetitori di
programmi esteri ad autorizzazione significa soltanto che a questi
ultimi - proprio in ragione della circostanza differenzianteche essi
non producono, né preordinano i programmi, ma ritrasmettono soltanto
quelli generati da altri all'estero, secondo le norme dei rispettivi
ordinamenti, - non può ragionevolmente richiedersi l'insieme delle
condizioni implicato dal rilascio della concessione ai sensi
dell'art. 16 della stessa legge. Ma per il resto - ed è l'art. 38
della legge n. 223 del 1990 a renderlo esplicito - i titolari
dell'autorizzazione per la ripetizione dei canali esteri sono
equiparati ai concessionari privati in ambito nazionale, ai fini
dell'applicazione della legge medesima. Entro questi limiti la
differenziazione sussistente tra le due situazioni poste a confronto
dal giudice a quo non configura un'irragionevole disparità di
trattamento e, pertanto, non può considerarsi in contrasto con
l'art. 3 della Costituzione.
15. - Va, infine, respinta la questione di legittimità
costituzionale mossa nei confronti dell'art. 32 sul presupposto che
questo articolo violerebbe l'art. 3 della Costituzione nel prevedere
la medesima autorizzazione ex lege a favore di soggetti diversi,
quali le emittenti radiotelevisive e i ripetitori di programmi
esteri, abilitandoli indifferentemente a proseguire le loro
attività, esercitate in via di fatto al momento dell'entrata in
vigore della legge.
Considerata la ratio dell'art. 32 - che, come si è già precisato
nel punto 13 di questa motivazione, è quella di congelare
provvisoriamente la situazione di fatto esistente al momento
dell'entrata in vigore della legge fino al rilascio dei provvedimenti
amministrativi diretti a determinare stabilmente i soggetti abilitati
a trasmettere - non può ritenersi in contrasto con l'art. 3 della
Costituzione una norma transitoria che tratta uniformemente
situazioni che la disciplina a regime regola differentemente.
Infatti, in relazione allo scopo perseguito dalla norma transitoria,
che è l'unica rilevante ai fini della valutazione della parità di
trattamento nel caso in esame, le situazioni considerate non
presentano elementi di differenziazione tali da indurre a ritenere
irragionevole la loro assimilazione.