Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un giudizio sui ricorsi per l'annullamento di
due decreti del Presidente della Repubblica, entrambi in data 30
settembre 1991, con i quali era stato disposto rispettivamente lo
scioglimento del consiglio comunale di S.Andrea Apostolo dello Jonio
e lo scioglimento del consiglio comunale di Trabia, il Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio, con ordinanza dell'8 luglio
1992, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 5, 24, 48, 51, 97,
113, 125 e 128 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell'art. 15- bis della legge 19 marzo 1990, n. 55,
che consente l'adozione di provvedimenti di scioglimento di consigli
comunali (e provinciali), con decreto del Presidente della Repubblica
adottato su proposta del Ministro dell'interno, previa deliberazione
del Consiglio dei Ministri, allorché " .. emergono elementi su
collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la
criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli
amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione
degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni
comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi
alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e
perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica" (comma
1 dell'art. 15- bis della legge n. 55 del 1990, introdotto dall'art.
1 del decreto-legge 31 maggio 1991, n. 164, convertito con
modificazioni dalla legge 22 luglio 1991, n. 221).
1.1. - Il Tribunale remittente, in relazione ad eccezione di
inammissibilità dei ricorsi (promossi da taluni componenti dei
consigli comunali disciolti, uti singuli) sollevata dall'Avvocatura
erariale nel giudizio a quo, premette innanzitutto che ai
provvedimenti impugnati non può riconoscersi la natura di atti
politici, come tali sottratti al sindacato giurisdizionale, dovendosi
optare per una individuazione restrittiva della categoria degli atti
politici, alla luce del principio costituzionale di indefettibilità
della tutela giurisdizionale avverso gli atti della pubblica
amministrazione, e per la necessaria delimitazione di quella
categoria ai soli atti che attengono alla direzione suprema e
generale dello Stato, considerato nella sua unità; connotati,
questi, non ravvisabili, per il giudice a quo, nei decreti
presidenziali di scioglimento.
2. - Nel merito, il Tribunale amministrativo regionale dubita
della legittimità costituzionale della norma indicata, in quanto:
a) consente di attribuire rilevanza a "collegamenti indiretti"
di taluni amministratori con la criminalità organizzata;
b) prevede lo scioglimento dell'intero organo elettivo anche in
presenza di collegamenti - nel senso detto - riguardanti soltanto
alcuni amministratori;
c) stabilisce il permanere degli effetti dello scioglimento per
un periodo da dodici a diciotto mesi.
2.1. Il giudice remittente muove dall'inquadramento della norma
impugnata nel contesto delle disposizioni finalizzate - come quella -
alla difesa delle amministrazioni locali dall'ingerenza o
dall'influenza della criminalità: l'art. 40 della legge 8 giugno
1990, n. 142, di riforma delle autonomie locali, che prevede la
possibilità di sospensione e rimozione degli amministratori degli
enti locali quando siano imputati di un reato previsto dalla legge 13
settembre 1982, n. 646 (legge che ha tra l'altro istituito il reato
di associazione di tipo mafioso) o sottoposti a misura di prevenzione
- generica, a norma della legge n. 1423 del 1956, o qualificata, a
norma della legge n. 575 del 1965 - o a misura di sicurezza; e l'art.
15 della legge 19 marzo 1990, n. 55, che ha previsto la sospensione
obbligatoria degli amministratori degli enti locali sottoposti a
procedimento penale per il delitto di associazione di tipo mafioso o
per delitti di favoreggiamento commessi in relazione al primo, ovvero
ancora soggetti all'applicazione, anche con provvedimento non
definitivo, di una misura di prevenzione a norma della citata legge
n. 575 del 1965.
In questo contesto, la norma impugnata si caratterizza - ad avviso
del giudice a quo - per un minore grado di spessore probatorio
richiesto quanto al presupposto sostanziale ivi considerato (i
"collegamenti" con la criminalità organizzata), rispetto agli
elementi richiesti sia per il promovimento dell'azione penale sia per
l'adozione della misura preventiva.
In tal modo, l'apprezzamento della sussistenza di collegamenti tra
l'organo elettivo e la criminalità organizzata viene ad essere
affidato a valutazioni, di consistenza inferiore anche a quella
richiesta per gli elementi indiziari, che non consentono un adeguato
controllo in sede giurisdizionale; di qui il dubbio di conformità ai
principi di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione) e di buon
andamento della pubblica amministrazione (art. 97 della
Costituzione), sia nel raffronto con le altre norme sopra indicate,
meno "afflittive" - in quanto limitate al singolo amministratore - e
tuttavia ancorate a presupposti maggiormente verificabili, sia per le
insufficienti garanzie di obiettività e coerenza rispetto alla
finalità della norma.
Ulteriore violazione del principio di ragionevolezza della legge
è ravvisata dal tribunale remittente nel fatto che la norma prevede
lo scioglimento dell'intero consiglio comunale, pur in presenza di
"collegamenti" con la criminalità organizzata solo di alcuni
consiglieri comunali. Tale previsione, che caratterizza la misura in
senso sanzionatorio, finisce per colpire anche i componenti
dell'organo che sono estranei al collegamento con il crimine
organizzato, vulnerando il principio di personalità della
responsabilità.
I profili critici indicati si riflettono poi, secondo il tribunale
remittente, anche sulla effettività e pienezza della tutela
giurisdizionale (artt. 24 e 113 della Costituzione) riducendosi la
possibilità di controllo della legittimità dell'operato della
pubblica amministrazione, tanto più quanto meno "percepibili" sono i
dati e gli elementi assunti a base del giudizio di collegamento tra
organo elettivo e criminalità organizzata.
Ulteriore parametro costituzionale violato, in questa prospettiva,
è ravvisato nell'art. 51 della Costituzione, giacché la garanzia di
accesso alle cariche elettive "non può non includere .. il
mantenimento della carica conseguita e l'esercizio delle relative
funzioni"; la norma denunziata non rispetta la necessità,
sottolineata dalla Corte costituzionale, che la disciplina della
materia, affidata dal precetto costituzionale al legislatore
ordinario, sia immune da genericità o indeterminatezza.
Quanto alla durata dello scioglimento dell'organo elettivo,
fissata dalla norma (comma 3 dell'art. 15- bis della legge n. 55 del
1990) tra i dodici e i diciotto mesi, il Tribunale Amministrativo
Regionale per il Lazio dubita che la previsione sia conforme a
Costituzione per vari profili:
a) perché tale protratta efficacia dello scioglimento comporta
la sospensione sia del diritto di elettorato attivo, che l'art. 48
della Costituzione consente di limitare solo per le cause -
incapacità civile, sentenza penale irrevocabile, indegnità morale -
ivi elencate, sia del diritto di elettorato passivo (art. 51 della
Costituzione);
b) perché determina la "sospensione dell'autonomia degli enti
locali", garantita dagli articoli 5 e 128 della Costituzione;
c) perché la rimessione alla discrezionalità
dell'amministrazione della determinazione in concreto della durata
dello scioglimento, in difetto di un parametro normativo, sottrae la
scelta al sindacato giurisdizionale, violando l'art. 24 della
Costituzione e altresì gli artt. 5, 48, 51 "e 125" della
Costituzione, per le ragioni già esposte riguardo agli altri profili
della questione.
3. - Si sono costituiti in giudizio Guglielmo Picciolo e Giuseppe
di Vittorio, ricorrenti nel giudizio a quo quali componenti del
disciolto consiglio comunale di Trabia, i quali hanno ulteriormente
sviluppato le argomentazioni già proposte nell'ordinanza di
rimessione, concludendo per una richiesta di declaratoria di
illegittimità costituzionale della norma impugnata.
4. - È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha
chiesto che la questione venga dichiarata inammissibile e comunque
infondata.
4.1. - L'Avvocatura rileva che i ricorsi proposti nel giudizio a
quo sono volti all'annullamento di decreti di scioglimento ai quali
deve riconoscersi natura di atti politici, contro i quali non è
consentito sindacato giurisdizionale, ai sensi dell'art. 31 del Testo
Unico delle leggi sul Consiglio di Stato 26 giugno 1924, n. 1054; di
qui la richiesta di declaratoria di inammissibilità della questione
per difetto di rilevanza nel giudizio medesimo.
Alla qualificazione come "atti politici" dei provvedimenti di
rigore adottati a norma dell'art. 15-bis della legge n. 55 del 1990,
l'Avvocatura perviene attraverso una ampia disamina dei caratteri
qualificanti di tali misure, alla luce delle finalità perseguite dal
legislatore e del tipo di procedimento configurato per la loro
adozione.
I provvedimenti in questione hanno carattere di specialità
rispetto alle ipotesi di scioglimento delle assemblee elettive degli
enti locali già contemplate nell'ordinamento; tale specialità,
manifestata dalla clausola di esclusione con cui la norma denunziata
esordisce "Fuori dei casi contemplati dall'art. 39 della legge 8
giugno 1990, n. 142.."), attiene sia alle ipotesi più consuete di
scioglimento per motivi amministrativi sia al caso di scioglimento
"per gravi motivi di ordine pubblico", già previsto nell'art. 323
del T.U. della legge comunale e provinciale n. 148 del 1915 e oggi
previsto nel citato art. 39 della legge n. 142 del 1990, come è
comprovato dal fatto che, in situazioni di concorso di ipotesi di
scioglimento ( ex legge n. 142 del 1990 ed ex art. 15- bis legge n.
55 del 1990) si fa comunque luogo alla più incisiva misura prevista
dalla norma impugnata (comma 6 dell'art. 15- bis citato).
La finalità che il legislatore ha avuto di mira, dunque, è stata
quella di superare la tradizionale delimitazione del concetto di
"ordine pubblico" già in precedenza legittimante provvedimenti di
scioglimento di organi elettivi locali, concetto riferito alla
sicurezza e alla quiete pubblica (Corte costituzionale, sent. n. 40
del 1961); l'emergenza rappresentata dal crescente condizionamento di
organizzazioni criminali sui pubblici poteri in ambito locale ha
determinato la necessità di un superamento di quei tradizionali e
limitati istituti, in ragione del carattere realmente eversivo
dell'operato della criminalità organizzata di stampo mafioso.
Le misure di rigore rispondono così ad esigenze generali e
unitarie di difesa dello Stato dall'aggressione di contro-poteri
criminali; siffatte connotazioni si riflettono del resto - osserva
l'Avvocatura - nel procedimento: l'adozione della misura è affidata
alla delibera del Consiglio dei Ministri - il cui intervento non è
viceversa previsto nelle ipotesi "ordinarie" di scioglimento - che è
trasmessa al Presidente della Repubblica per l'emanazione e
contestualmente è trasmessa alle Camere, prima ancora
dell'esecutività del provvedimento, per evidenti esigenze di
controllo politico anticipato, laddove per l'art. 323 del T.U. n. 148
del 1915 era previsto solo un sindacato a posteriori sull'operato del
Governo, e per l'art. 39 della legge n. 142 del 1990 i provvedimenti
di controllo degli organi sono comunicati al termine dell'iter di
formazione degli stessi. Tali peculiarità sostanziali e
procedimentali, in definitiva, rendono le misure di scioglimento in
argomento piuttosto assimilabili allo scioglimento dei consigli
regionali per ragioni di sicurezza nazionale, a norma dell'art. 126,
terzo comma, della Costituzione, misura cui si riconosce generalmente
la natura di atto politico, non sindacabile in sede di giurisdizione
amministrativa bensì in sede di conflitto di attribuzioni dinanzi
alla Corte costituzionale in virtù dell'espresso disposto dell'art.
134 della Costituzione (che in ogni caso non riguarda i comuni e le
province).
Del resto - conclude l'Avvocatura - se autorevoli opinioni
attribuiscono natura di atto politico allo scioglimento di consigli
comunali e provinciali per motivi di ordine pubblico già previsto
dall'art. 323 del T.U. n. 148 del 1915 e ora ridisciplinato dall'art.
39 della legge n. 142 del 1990, a maggior ragione tale natura va
riconosciuta al decreto emanato in base alla norma denunziata.
4.2. - Quanto al merito della questione, l'Avvocatura erariale ne
deduce l'infondatezza sotto vari profili:
a) in quanto è improprio il raffronto, istituito dal Tribunale
remittente, tra la norma denunziata e gli artt. 40 della legge n. 142
del 1990 e 15 della legge n. 55 del 1990, poiché queste ultime
disposizioni concernono ipotesi di rimozione e sospensione di
amministratori locali sul piano individuale, laddove la prima regola
situazioni di inquinamento dell'organo come tale. Il raffronto,
quindi, deve essere più correttamente istituito con l'art. 39 della
citata legge n. 142 del 1990, che concerne ipotesi di scioglimento
del consiglio comunale a causa di anomalie o turbative riferite
all'organo nella sua interezza, ipotesi in cui lo scioglimento non
può essere "frazionato" a seconda della riferibilità dei fatti o
delle condizioni, assunti quali presupposti di scioglimento, a questo
o quello dei componenti dell'organo: emblematico lo scioglimento per
"gravi motivi di ordine pubblico", in cui non si ha riguardo
all'imputazione soggettiva della turbativa, che può anche essere
estranea all'agire dell'organo.
La norma denunziata dà rilievo a un dato obiettivo e super-individuale, un "collegamento" dell'organo con la criminalità
organizzata di stampo mafioso. Non pertinenti dunque risultano i
riferimenti del giudice a quo alla responsabilità personale,
giacché è diverso il segno delle norme poste a raffronto, ed è
altresì inesatta l'argomentazione per cui la norma sospettata di
incostituzionalità presupporrebbe solo un diverso e minor grado di
acquisizione probatoria a fronte delle prove o degli indizi richiesti
per l'azione penale o per l'avvio del procedimento di prevenzione.
La disomogeneità dei termini posti a raffronto sottolinea, per
questo primo profilo, l'infondatezza della questione rispetto al
principio di ragionevolezza;
b) il principio di buon andamento alla pubblica amministrazione
è invocato "a rovescio", posto che finalità primaria della norma è
quella di tutelare il corretto operato amministrativo negli enti
locali;
c) in ordine ai parametri della tutela giurisdizionale (artt.
24 e 113 della Costituzione), l'Avvocatura replica che, laddove
venisse esclusa la natura politica dei provvedimenti, la piena
ricorribilità che ne conseguirebbe sarebbe sufficiente per escludere
la lesione di questi stessi parametri;
d) quanto all'art. 51 della Costituzione, l'Avvocatura nega che
esista una garanzia costituzionale per il "mantenimento" delle
funzioni di consigliere comunale, e, quanto al diritto di elettorato
attivo (art. 48 della Costituzione), sottolinea come la norma
impugnata tuteli proprio la libera espressione del voto, evitando
"sedimentazioni politico-amministrative di tipo illegale o conniventi
con fattori criminali";
e) contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale remittente,
l'autonomia comunale non solo non è lesa ma al contrario è
valorizzata dalla introduzione di un effettivo strumento di tutela
della libera determinazione degli organi elettivi locali, così
frequentemente eterodiretti e condizionati dal potere criminale
(artt. 5 e 128 della Costituzione);
f) non è ravvisabile violazione di principi costituzionali
nella durata della sospensione, né, infine, è esattamente invocato
l'art. 125 della Costituzione, che concerne le - sole - regioni e non
interferisce in alcun modo con la materia del giudizio a quo.
4.3. - In prossimità dell'udienza l'Avvocatura Generale dello
Stato ha depositato una memoria nella quale, sviluppando le
indicazioni già proposte nell'atto di intervento per la richiesta di
declaratoria di inammissibilitào infondatezza della questione, ha
sottolineato ulteriori profili nella medesima direzione; in
particolare:
a) in ordine ai presupposti dello scioglimento dei consigli
comunali e provinciali l'Avvocatura ritiene inesatta
l'interpretazione della norma denunziata operata dal giudice
remittente, che incentra la questione - solo - sulla nozione di
"collegamenti", diretti o indiretti, tra amministratori locali
criminalità organizzata, laddove i presupposti richiesti per far
luogo allo scioglimento sono, nella legge, ben più complessi: l'art.
15-bis, infatti, dà rilievo a quegli elementi in quanto produttivi
di una situazione di menomazione della libera determinazione degli
organi elettivi, in una effettiva relazione causale tra i primi e la
seconda. Non può quindi affermarsi la "labilità" delle condizioni
che legittimano il provvedimento di rigore, consistendo queste nella
rilevazione di una perdita o compressione dell'autonomia, politica e
funzionale, degli organi, per effetto dei citati elementi di
"collegamento"; né d'altra parte sarebbe stato possibile per il
legislatore predeterminare le modalità con cui viene a manifestarsi
il condizionamento mafioso, il che tuttavia non attribuisce al
Governo un potere arbitrario di intervento, attivandosi il
procedimento solo in presenza di elementi qualificati (risultanze di
indagini penali, accertamenti in sede di prevenzione), ed
articolandosi il procedimento stesso su diversi livelli
istituzionali;
b) in ordine alla censura circa la "rimozione indiscriminata"
di tutti gli amministratori, l'Avvocatura erariale ribadisce che il
provvedimento di scioglimento opera su un piano completamente diverso
da quello che attiene alle misure individuali a carico di singoli
componenti degli organi che risultino coinvolti in procedimenti
penali o di prevenzione; la norma denunziata rappresenta uno
strumento di "difesa anticipata" delle istituzioni locali, e si
colloca sul terreno della prevenzione, in cui acquistano rilievo
elementi che, al di là del grado di rilevanza probatoria che possono
acquistare in sede processuale ai fini della individuazione di
responsabilità soggettive, dimostrano obiettivamente che l'azione
dell'organo si è allontanata dai canoni di legalità e trasparenza;
c) in ordine, infine, alla durata degli effetti del
provvedimento da dodici a diciotto mesi, l'Avvocatura osserva che
tale periodo, più lungo rispetto a quello contemplato nelle ipotesi
di scioglimento ex art. 39 della legge n. 142 del 1990, è coerente
con la finalità della norma: la misura rischierebbe di essere del
tutto superflua qualora all'applicazione dello scioglimento dovesse
seguire un immediato rinnovo del disciolto consiglio, assai
verosimilmente riproducendosi la medesima situazione precedente allo
scioglimento; la più lunga gestione commissariale è finalizzata
quindi all'obiettivo di risanamento della già inquinata situazione
politico-amministrativa locale.
Considerato in diritto
1. - È stata sollevata questione di legittimità costituzionale
dell'articolo 15- bis della legge 19 marzo 1990, n. 55 (articolo
introdotto dall'art. 1 del decreto-legge 31 maggio 1991, n. 164,
convertito con modificazioni dalla legge 22 luglio 1991, n. 221), il
quale prevede che con decreto del Presidente della Repubblica, su
proposta del Ministro dell'interno, previa deliberazione del
Consiglio dei Ministri, possa essere disposto lo scioglimento di
consigli comunali e provinciali allorché "emergono elementi su
collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la
criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli
amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione
degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni
comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi
alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e
perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica".
Ad avviso del giudice a quo tale articolo, consentendo di
attribuire rilevanza ai "collegamenti indiretti" con la criminalità
organizzata ed estendendo la misura anche agli amministratori non
direttamente interessati da quei collegamenti, contrasterebbe: con
l'art. 3 della Costituzione, nel raffronto con altre previsioni
normative anch'esse dirette a reprimere la criminalità organizzata,
dato che queste non solo richiedono un maggior grado di acquisizione
probatoria, ai fini dell'adozione di provvedimenti di sospensione o
rimozione di amministratori di organi elettivi locali, ma producono
effetti più ristretti, in quanto possono riguardare soltanto i
soggetti colpiti da condanne o misure di prevenzione e devono essere
ancorati a dati probatori certi e verificabili; ancora con l'art. 3
della Costituzione, essendo irragionevole e lesiva del principio di
"personalità della responsabilità" l'estensione della misura a
tutti i consiglieri anche estranei ai "collegamenti" con la
criminalità; con gli artt. 24 e 113 della Costituzione per la
ridotta tutela giurisdizionale derivante dalla labilità ed
incontrollabilità degli elementi sui quali il provvedimento si
fondi; con l'art. 51 della Costituzione, in quanto lesivo del diritto
alla prosecuzione dell'esercizio delle funzioni di consigliere
comunale, sulla base di elementi normativi vaghi e generici non
rispondenti alla riserva di legge ivi prevista; con l'art. 97 della
Costituzione, in quanto non aderente al principio costituzionale sul
piano della coerenza tra mezzo e fine perseguito. Inoltre anche in
quanto stabilisce il permanere degli effetti dello scioglimento per
un periodo da dodici a diciotto mesi, la disposizione impugnata
contrasterebbe poi con gli artt. 5 e 128 della Costituzione,
producendo l'ulteriore effetto "di una sorta di sospensione della
autonomia degli enti locali .. della quale è necessario corollario
la rappresentatività degli organi di amministrazione"; con l'art. 48
della Costituzione perché "ne deriva .. una sospensione .. del
diritto di elettorato attivo" fuori dei casi ivi contemplati e,
analogamente, con l'art. 51 della Costituzione per quel che riguarda
l'elettorato passivo; con l'art. 24 della Costituzione, in difetto di
un parametro normativo di riferimento che possa far valutare in sede
di sindacato giurisdizionale la graduazione temporale della misura.
2. - Va preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilità
sollevata dal Presidente del Consiglio dei Ministri nell'assunto
della natura politica dei provvedimenti di scioglimento impugnati
dinanzi al giudice rimettente e che sarebbero per tale ragione
insuscettibili di sindacato giurisdizionale, ai sensi dell'art. 31
del T.U. 26 giugno 1924, n. 1054.
Osserva in proposito la Corte che l'ordinanza di rimessione ha
disatteso in modo esplicito la medesima eccezione - che era stata
già dedotta nel giudizio a quo - nel "rilievo che la categoria degli
atti politici, da individuare con criteri restrittivi, stante il
principio della indefettibilità della tutela giurisdizionale (artt.
24 e 113 della Costituzione), include gli atti che attengono alla
direzione suprema e generale dello Stato considerato nella sua unità
e nelle sue istituzioni fondamentali". I provvedimenti adottati ai
sensi della norma impugnata, si soggiunge nell'ordinanza, "non
presentano tali requisiti, giacché, da un lato la salvaguardia delle
amministrazioni locali dalle ingerenze della criminalità organizzata
risponde ad un interesse specifico e delimitato dello Stato, per
quanto pressante e necessaria sia l'esigenza dell'intervento, e,
d'altro lato, una volta che la norma abbia previsto i presupposti ed
i contenuti del provvedimento, le valutazioni di ordine politico
devono intendersi esaurite nella sede legislativa, restando al potere
esecutivo il compito, che è proprio della sfera di azione della
potestà amministrativa, di rendere operante il dettato della fonte
primaria". In presenza di sì precisa ed argomentata presa di
posizione del giudice a quo, circa l'assoggettabilità a sindacato
giurisdizionale dei decreti del Presidente della Repubblica in quella
sede impugnati, non può più mettersi in discussione
l'ammissibilità della questione incidentale di legittimità
costituzionale, essendo all'uopo sufficiente ricordare l'indirizzo di
questa Corte (v. da ultimo sentenza n. 436 del 1992) secondo cui "una
volta che il giudice a quo abbia ritenuto di dover fare applicazione
della norma, il controllo sull'ammissibilità della questione
potrebbe far disattendere la premessa interpretativa (del medesimo
giudice) solo quando questa dovesse risultare palesemente arbitraria,
e cioè in caso di assoluta reciproca estraneità fra oggetto della
questione e oggetto del giudizio di provenienza (sent. n. 67 del
1985) o quando l'interpretazione offerta dovesse risultare del tutto
non plausibile." Questi presupposti non si verificano nel caso di
specie, il primo, perché è indubitabile la pertinenza della norma
impugnata rispetto al giudizio a quo, il secondo, perché il giudice
remittente offre un'interpretazione di per sé plausibile sul
problema della natura politica degli atti impugnati, che viene
esclusa, peraltro, alla stregua di argomenti sostenuti dalla dottrina
e dalla giurisprudenza prevalente, ben tenuti presenti nel dibattito
parlamentare sviluppatosi sulla norma ora impugnata (relazione alla
Camera dei Deputati - Commissione Affari Costituzionali, resoconto 18
giugno 1991, Atto Camera n. 5723).
3.1. - Nel merito le questioni non sono fondate.
Per quel che riguarda l'asserito contrasto della disposizione
impugnata con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, nella parte in cui
essa attribuisce rilevanza "ai collegamenti indiretti" degli
amministratori con la criminalità organizzata, l'ordinanza di rinvio
sostiene in primo luogo che tale disposizione, rispetto al contesto
normativo nel quale deve essere inquadrata, finalizzato alla difesa
delle amministrazioni locali dalle infiltrazioni della criminalità
organizzata (art. 40 della legge 8 giugno 1990, n. 142; legge 13
settembre 1982, n. 646; legge 27 dicembre 1956, n. 1423; legge 31
maggio 1965, n. 575 e successive modificazioni; art. 15 della legge
19 marzo 1990, n. 55; art. 416- bis del codice penale) sarebbe
caratterizzata, nelle premesse costitutive del provvedimento ivi
contemplato, da una "diversa intensità delle acquisizioni probatorie
circa i rapporti degli amministratori con la criminalità
organizzata". Difatti, si sostiene che, alla stregua della
disposizione impugnata, allo scioglimento dei consigli comunali e
provinciali potrebbe addivenirsi "anche in presenza di elementi
insufficienti sia per la promozione dell'azione penale sia, e
soprattutto, per l'adozione della misura preventiva". Di conseguenza
si assume che, mentre le misure di prevenzione possono fondarsi su
situazioni e circostanze "aventi semplice valore indiziario,
l'apprezzamento dei collegamenti con la criminalità organizzata"
(richiesto per l'applicazione della norma impugnata) risulterebbe
"affidato ad elementi che presentano un grado di significatività
inferiore a quello degli indizi e che, pertanto, mal si prestano ad
un procedimento logico di tipo induttivo e ad un successivo controllo
in sede giurisdizionale".
3.2. - Ciò premesso, rileva la Corte che l'ordinanza di rinvio,
nel prospettare tali dubbi di costituzionalità, muove da una lettura
parziale della disposizione impugnata perché sembra soffermarsi su
uno solo dei suoi aspetti (quello dei collegamenti indiretti degli
amministratori con la criminalità organizzata) senza tener conto
della struttura complessiva del citato art. 15- bis che è ben
diverso da come viene inteso dal giudice a quo. Si sostiene difatti
che esso sarebbe tale da consentire di prescindere "dall'osservanza
del canone di congruità argomentativa" perché prevederebbe che quei
provvedimenti possano basarsi "su presunzioni aprioristiche", onde la
sua "dubbia aderenza ai principi di ragionevolezza .. e di
imparzialità .. per le insufficienti garanzie di obbiettività e di
coerenza .. rispetto al fine perseguito".
Osserva in proposito la Corte che la disposizione impugnata è
invece formulata in modo da assicurare il rispetto dei principi che
si assumono violati, e contiene in sé tutti gli elementi idonei a
garantire obiettività e coerenza nell'esercizio dello straordinario
potere di scioglimento degli organi elettivi conferito all'autorità
amministrativa. Quel potere è previsto nella ricorrenza di talune
situazioni, fra loro alternative, quali a) i collegamenti diretti o
indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata, b) le
forme di condizionamento degli amministratori, ma sempre che risulti
che l'una o l'altra situazione compromettano la libera determinazione
degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni
comunali e provinciali nonché il regolare funzionamento dei servizi
loro affidati, ovvero quando il suddetto collegamento o le suddette
forme di condizionamento risultino "tali da arrecare grave e
perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica".
La norma esige, perciò, una stringente consequenzialità tra
l'emersione, da un lato, di una delle due situazioni suddette,
"collegamenti" o "forme di condizionamento", e, dall'altro, di una
delle due evenienze, l'una in atto, quale la compromissione della
libertà di determinazione e del buon andamento amministrativo
nonché del regolare funzionamento dei servizi, l'altra conseguente
ad una valutazione di pericolosità, espressa dalla disposizione
impugnata con la formula (che ha come premessa i "collegamenti" o le
"forme di condizionamento") "tali da arrecare grave e perdurante
pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica".
3.3. - Non può perciò condividersi, alla stregua dell'analisi
della disposizione impugnata, l'assunto del giudice a quo, secondo
cui l'applicazione dell'art. 15- bis della legge in questione sarebbe
affidata ad elementi "che presentano un grado di significatività
inferiore a quello degli indizi e che, pertanto, mal si prestano ad
un procedimento logico di tipo induttivo e ad un successivo controllo
in sede giurisdizionale"; né può aderirsi alla sua opinione secondo
cui la disposizione stessa potrebbe legittimare provvedimenti fondati
su "convincimenti che, prescindendo dall'osservanza del canone di
congruità argomentativa e conclusiva, possono basarsi su
considerazioni aprioristiche". È invece la stessa prevista
connessione tra situazione emersa ed evenienza pregiudizievole ad
esigere, nella motivazione del provvedimento, la dimostrazione che,
muovendo dalla accertata constatazione della sussistenza di una delle
due situazioni anzidette, possano farsi risalire ad essa quella
compromissione o quel pregiudizio cui il legislatore ha inteso
ovviare nel prevedere la misura. Un obbligo, quello della adeguatezza
della motivazione, che, anche prima di essere espressamente previsto
in via generale dall'art. 3 della legge n. 241 del 1990, era già
imposto dalla costante giurisprudenza amministrativa in modo rigoroso
per gli atti amministrativi - come quelli previsti dalla disposizione
impugnata - restrittivi della sfera giuridica dei destinatari. Si è
difatti sempre affermato il principio che in questo particolare tipo
di atti si debba adeguatamente dar conto della sussistenza dei
presupposti di fatto, del nesso logico fra questi e le determinazioni
che, muovendo da essi, vengono adottate, della congruità dei
sacrifici operati in relazione alle finalità da perseguire.
3.4. - Ad escludere che la norma, intesa in modo conforme alla sua
struttura complessiva ed agli scopi che si propone, possa dar luogo
ad interpretazioni tali da dar corpo ai sollevati dubbi di
costituzionalità relativamente ai parametri invocati, soccorre
d'altronde il significato che ad essa è stato attribuito dalla
circolare esplicativa (n. 7102 M/6 del 25 giugno 1991) del Ministero
dell'Interno, sul punto dei presupposti che debbono sorreggere i
provvedimenti di scioglimento. In tale circolare si afferma che dagli
"elementi" oggetto di valutazione debba emergere "chiaramente il
determinarsi di uno stato di fatto nel quale il procedimento di
formazione della volontà degli amministratori subisca alterazioni
per effetto dell'interferenza di fattori, esterni al quadro degli
interessi locali, riconducibili alla criminalità organizzata".
Vi è dunque la piena consapevolezza, da parte dell'autorità che
deve applicare la norma, che questa renda possibile lo straordinario
potere di scioglimento solo in presenza di situazioni di fatto
evidenti e quindi necessariamente suffragate da obiettive risultanze
che rendano attendibili le ipotesi di collusioni anche indirette
degli organi elettivi con la criminalità organizzata, sì da rendere
pregiudizievole per i legittimi interessi delle comunità locali il
permanere di quegli organi alla guida degli enti esponenziali di
esse.
Si è in presenza perciò di una misura di carattere
sanzionatorio, che ha come diretti destinatari gli organi elettivi,
anche se caratterizzata da rilevanti aspetti di prevenzione sociale
per la sua ricaduta sulle comunità locali che la legge intende
sottrarre, nel loro complesso, all'influenza della criminalità
organizzata. Una misura di carattere straordinario, dunque,
rigorosamente ancorata alle finalità enunciate nel titolo della
legge 22 luglio 1991, n. 221, di conversione del decreto-legge 31
maggio 1991, n. 164 che la qualifica come "misura urgente ..
conseguente ai fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo
mafioso". Tale qualificazione, collegando la misura ad una emergenza
straordinaria, attribuisce a quell'emergenza il valore di limite e di
misura del potere, esercitabile perciò solo nei luoghi e fino a
quando si manifesti tale straordinario fenomeno eversivo.
3.5. - Le considerazioni che precedono mettono in evidenza la
specificità della previsione e giustificano così compiutamente le
sue peculiarità anche rispetto al restante contesto normativo
finalizzato alla difesa della collettività dalle infiltrazioni
mafiose. Ciò induce a disattendere il dubbio di costituzionalità
prospettato in riferimento al principio di ragionevolezza (art. 3
della Costituzione) e di imparzialità (art. 97 della Costituzione),
sotto il profilo delle insufficienti garanzie di obbiettività e di
coerenza rispetto sia al fine perseguito, sia al modello
procedimentale previsto dalle altre disposizioni assunte quali
termini di confronto. Queste collegano la sospensione e la rimozione
degli amministratori all'avvenuta irrogazione di altra misura
preventiva, limitandole solo a coloro cui questa sia stata appunto
irrogata, e subordinandole a "riscontri probatori meno labili e
verificati dall'osservanza del principio del contraddittorio".
Osserva al riguardo la Corte che la rilevata diversità della
misura in esame, rispetto ai modelli procedimentali previsti da altre
disposizioni invocate a raffronto, non è irragionevole, ove si
consideri l'enunciata specificità della misura che, come si è
rilevato in precedenza (punto 3.4), ha natura sanzionatoria nei
confronti dell'organo elettivo, considerato nel suo complesso, in
ragione della sua inidoneità ad amministrare l'ente locale. Tale
natura del provvedimento di scioglimento e la specificità del suo
destinatario (organo collegiale) impediscono perciò di poter
assumere a termine di raffronto i modelli che riguardano persone
singole ed in particolare quelli che prevedono la loro sospensione o
la rimozione da cariche pubbliche a seguito della irrogazione di
condanne penali o di misure preventive.
3.6. - La irragionevolezza della norma impugnata non può neppure
sostenersi sotto il profilo, prospettato nell'ordinanza di rinvio, di
eccessività del mezzo rispetto al fine, ravvisabile nella prevista
possibilità di estensione della misura a tutti gli amministratori,
pur in presenza del collegamento solo di alcuni di essi con la
criminalità organizzata. In proposito è sufficiente richiamare
quanto osservato in precedenza, circa il carattere sanzionatorio
della misura che ha come destinatari non tutti i consiglieri, ma
l'organo collegiale considerato nel suo complesso, in ragione della
sua inidoneità a gestire la cosa pubblica. Un rilievo, questo, che
fa perdere ogni consistenza sia al profilo della eccessività della
misura rispetto al fine, sia al profilo del carattere personale della
responsabilità, che non può essere riferito ad un organo
collegiale, in particolare nell'ipotesi, alternativa a quella della
collusione, del "condizionamento" dell'organo da parte dei gruppi
criminali; situazione questa che può profilarsi non necessariamente
in conseguenza di comportamenti illegali di taluno degli
amministratori.
Avendo dunque come destinatari i consigli comunali e provinciali,
la misura può essere per molti versi assimilata a quella prevista
dall'art. 39, comma 1, lettera a, della legge n. 142 del 1990, che
contempla lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali "per
gravi motivi d'ordine pubblico".
Per il comune fondamentale connotato della regolazione di ipotesi
di diminuita o cessata idoneità dell'organo collegiale come tale e
non di suoi singoli componenti, e per l'analoga previsione
collaterale di uno strumento di controllo parlamentare sull'adozione
del provvedimento (rispettivamente, comma 2 della disposizione
denunciata e art. 39, comma 6, della legge n. 142 del 1990), anzi, la
misura in argomento può considerarsi una specificazione di quella
contemplata nell'art. 39 citato, per la cui irrogazione neppure è
previsto, nella fase amministrativa, "il contraddittorio". Un
elemento questo con cui l'ordinanza di rinvio ha inteso probabilmente
riferirsi alla preventiva contestazione degli addebiti e alla
possibilità di dedurre in ordine ad essi nel corso del procedimento.
La mancanza di tale previsione nel procedimento amministrativo
relativo alle ipotesi di scioglimento, così assimilate, appare
giustificata dalla loro peculiarità, essendo quelle misure
caratterizzate dal fatto di costituire la reazione dell'ordinamento
alle ipotesi di attentato all'ordine ed alla sicurezza pubblica. Una
evenienza dunque che esige interventi rapidi e decisi, il che esclude
che possa ravvisarsi l'asserito contrasto con l'art. 97 della
Costituzione, dato che la disciplina del procedimento amministrativo
è rimessa alla discrezionalità del legislatore nei limiti della
ragionevolezza e del rispetto degli altri principi costituzionali,
fra i quali, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sent. n. 23
del 1978; ord. n. 503 del 1987), non è compreso quello del "giusto
procedimento" amministrativo, dato che la tutela delle situazioni
soggettive è comunque assicurata in sede giurisdizionale dagli artt.
24 e 113 della Costituzione.
4. - Alla luce di quanto precede devono essere disattese anche le
censure che invocano come parametro di riferimento gli artt. 24 e 113
della Costituzione e che sono svolte nell'assunto che "le indicate
carenze si riflettono in senso riduttivo sulla pienezza della tutela
giurisdizionale, perché quanto meno è percepibile l'efficacia
rappresentativa degli elementi sui quali poggia l'accertamento dei
rapporti con la criminalità organizzata, tanto più si riduce la
possibilità di controllare, nel giudizio di legittimità, l'operato
dell'amministrazione".
Osserva in proposito la Corte che, come è stato chiarito in altre
occasioni (sent. n. 409 del 1988), gli interessi legittimi correlati
all'azione amministrativa non hanno una soglia costituzionalmente
garantita, ma sono configurabili, nella loro effettiva consistenza,
in relazione alla disciplina sostanziale di rango ordinario di volta
in volta presa in considerazione.
Di conseguenza, una volta salvaguardati nei confronti
dell'amministrazionei diritti fondamentali ed il principio di
uguaglianza, ed assicurata la relativa tutela giurisdizionale, gli
interessi procedimentali (cioè quelli che attengono alla regolarità
formale dell'azione amministrativa) assurgono ad interessi legittimi
alla stregua della disciplina che li contempla, perché è essa che
ne definisce la misura ed il contenuto in base ai quali possono poi
essere fatti valere dinanzi al giudice. I modelli organizzativi o
procedimentali, come è stato chiarito (sent. n. 409 del 1988 cit.),
sono molteplici ed articolati, per cui la legittimità delle norme
che li prevedono non può essere affermata solo allorché essi
consentano un sindacato il più penetrante possibile, ma deve essere
considerata nel contemperamento con tutti gli altri principi
costituzionali.
Ciò premesso, va richiamato quanto si è osservato, secondo cui
l'adozione dei provvedimenti di scioglimento degli organi elettivi
locali è ancorata alla ricorrenza di alcune situazioni di fatto in
connessione con il verificarsi di certe conseguenze reputate
pregiudizievoli. Si è anche osservato che la norma impugnata non
esclude affatto che il provvedimento di scioglimento debba essere
motivato con riferimento a risultanze obbiettive circa l'effettiva
sussistenza di quelle situazioni, nonché argomentato in modo
plausibile sulle conseguenze che da esse siano derivate o possano
derivare sul piano della funzionalità e della imparzialità degli
organi stessi o su quello della sicurezza pubblica. Ma appare pur
sempre evidente che, una volta assicurati quegli adempimenti, deve
ritenersi, in armonia con i principi costituzionali, che l'autorità
che deve provvedere sia dotata di poteri latamente discrezionali per
valutare - nel suo prudente apprezzamento e con riferimento a tutto
il contesto delle circostanze prese in considerazione, nel quadro del
particolare fenomeno della criminalità organizzata - le conseguenze
pregiudizievoli che ritenga si siano prodotte o possano prodursi sul
terreno degli interessi pubblici da salvaguardare.
Orbene, anche in presenza di tale latitudine di apprezzamenti, la
garanzia della tutela giurisdizionale appare sufficientemente
assicurata dalla possibilità, per il giudice amministrativo, di
verificare la sussistenza degli elementi di fatto - "precisi",
secondo quanto affermato nella citata circolare del Ministero
dell'Interno - quali vengono asseriti nella motivazione, che all'uopo
deve essere fornita dall'organo che emana il provvedimento di
scioglimento, nonché di valutare, sotto il profilo della logicità,
il significato attribuito agli elementi di fatto su cui ci si fondi,
e l'iter seguito per pervenire a certe conclusioni. Del resto, la
consistenza fattuale degli "elementi" su cui le misure di
scioglimento devono essere fondate si accentua ulteriormente in
rapporto alle fonti informative da cui quegli elementi sono rilevati,
trattandosi di risultanze che conseguono a poteri di accesso e di
verifica delle autorità preposte alla tutela dell'ordine pubblico e
alla lotta contro i fenomeni di criminalità organizzata. Tali poteri
a loro volta sono puntualmente disciplinati e delimitati nei
rispettivi presupposti sostanziali di esercizio: accesso del prefetto
presso gli enti territoriali e locali, i cui amministratori vengono
raggiunti da provvedimenti di sospensione o decadenza per effetto di
condanne penali o misure di prevenzione (art. 15, comma 5, in
relazione al comma 1, della legge n. 55 del 1990); accesso del
Ministro dell'interno, del direttore della Direzione investigativa
antimafia o del prefetto nell'ambito di pubbliche amministrazioni,
allorché siano riscontrate "infiltrazioni" di tipo mafioso
nell'ambito dell'attività contrattuale concernente opere o lavori
pubblici (art. 16, legge n. 55 del 1990 cit., in relazione all'art. 2
del d.l. 29 ottobre 1991, n. 345 convertito in legge 30 dicembre
1991, n. 410); analogo intervento, dei medesimi organi, nell'ambito
delle verifiche previste dagli artt. 1 e 1- bis del d.l. 6 settembre
1982, n. 629, convertito in legge 12 ottobre 1982, n. 726, già
istitutivo dell'Alto Commissario per il coordinamento della lotta
contro la delinquenza mafiosa.
Tutta una serie di elementi, questi, che portano ad escludere
anche il ravvisato dubbio di costituzionalità in riferimento agli
artt. 24 e 113 della Costituzione.
5.1. - Altro gruppo di censure riguarda la parte dell'art. 15- bis
che prevede la protrazione degli effetti dello scioglimento per la
durata da dodici a diciotto mesi. Questa previsione contrasterebbe,
per il giudice remittente, come si è già ricordato, con il
principio di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione) sotto il
profilo "dell'adeguatezza del mezzo al fine"; con l'art. 48, secondo
comma, della Costituzione, poiché limiterebbe, per la prevista
durata, il diritto di elettorato attivo al di là delle ipotesi contemplate da esso; con l'art. 51 della Costituzione, ponendo non
consentiti limiti all'elettorato passivo; con gli artt. 5 e 128 della
Costituzione, poiché da tale protrazione deriverebbe una sorta di
sospensione dell'autonomia degli enti locali, della quale è
tradizionale e necessario corollario la rappresentatività degli
organi di amministrazione; con l'art. 24 della Costituzione, perché
la durata degli effetti dello scioglimento dell'organo elettivo
sarebbe rimessa alla insindacabile discrezionalità
dell'amministrazione, mancando qualsiasi parametro normativo per la
graduazione temporale della misura.
5.2. - Osserva la Corte, per quel che riguarda l'art. 3 della
Costituzione, che la possibilità del protrarsi degli effetti dello
scioglimento, al di là dei tre mesi previsti dall'art. 39 della
legge n. 142 del 1990, non appare irragionevole, perché è collegata
alla peculiarità del fenomeno, in ragione del quale è prevista
nelle more la ricostituzione dell'organo elettivo per un periodo più
lungo rispetto a quello indicato per le altre ipotesi di
scioglimento, non legate al fenomeno della criminalità; ciò che
trova una sua ragionevole giustificazione nell'esigenza di evitare il
riprodursi del fenomeno, ove si sia manifestato: un'evenienza questa
che sarebbe certamente più probabile ove la ricostituzione
dell'organo fosse immediata. Il protrarsi degli effetti dello
scioglimento può difatti consentire, nel frattempo, di intervenire
sul terreno del ripristino della legalità, della eliminazione degli
effetti prodotti dall'inquinamento criminoso, della creazione di
condizioni nuove che, avvalendosi della precedente esperienza,
permettano la ripresa della vita amministrativa al riparo dai
collegamenti e dai condizionamenti cui si era voluto ovviare con lo
scioglimento. Coerente con questa finalità, sottesa alla
determinazione legale della durata minima e massima della misura,
risulta del resto la prevista prevalenza dello scioglimento in base
alla norma denunziata, allorché con esso concorra una ipotesi di
scioglimento dell'organo a norma del già richiamato art. 39 della
legge n. 142 del 1990, secondo quanto dispone il comma 6 della
disposizione censurata: tale previsione - che rappresenta una
ulteriore conferma del rapporto di sostanziale specificazione che
intercorre tra i due istituti - mira ad evitare che lo strumento
dello scioglimento adottato ex art. 15- bis possa essere vanificato
dalle dimissioni di almeno la metà dei consiglieri, le quali
comporterebbero lo svolgimento di nuove elezioni appunto entro tre
mesi, a norma dell'art. 39, legge n. 142 del 1990.
5.3. - Quanto all'asserito contrasto con gli artt. 48 e 51 della
Costituzione, la censura è manifestamente inammissibile in quanto i
parametri costituzionali invocati sono completamente estranei
all'ipotesi in esame. L'art. 48, terzo comma, della Costituzione
prevede la possibilità di limitazioni del diritto di elettorato
attivo con riferimento a situazioni che riguardano la persona di
ciascun elettore, singolarmente considerato. Così parimenti l'art.
51, primo comma, posto anche in relazione con l'art. 3 della
Costituzione, tende ad evitare ogni discriminazione fra i soggetti
dell'ordinamento, quanto alla possibilità di accesso agli uffici
pubblici ed alle cariche elettive. Nella specie non si è in presenza
né di limitazioni legate al diritto di voto del singolo, né di
limitazioni all'accesso alle cariche elettive, derivanti da
condizioni personali del cittadino, bensì di effetti indiretti della
misura sanzionatoria in questione che, come si è detto, è diretta a
colpire non i singoli componenti dei consigli elettivi né,
tantomeno, i cittadini, singolarmente considerati, del comune o della
provincia, bensì l'organo elettivo nel suo complesso, al verificarsi
di taluni presupposti di fatto, valutati in ragione delle
pregiudizievoli evenienze che possono produrre. Una misura, quindi,
che solo indirettamente si riflette su tutti i cittadini di quel
determinato comune o di quella determinata provincia, non per
conculcare i diritti di ciascuno di essi ma, al contrario, proprio in
vista della già ravvisata esigenza di preservare la parte sana della
comunità locale dall'influenza delle organizzazioni criminali.
5.4. - Quanto poi al prospettato contrasto con gli artt. 5 e 128
della Costituzione della censurata durata, per un periodo da dodici a
diciotto mesi, degli effetti dello scioglimento, la questione è
infondata perché, pur essendosi in presenza di una misura che può
essere annoverata nella categoria del controllo sugli organi, essa è
ispirata - a differenza che in altre ipotesi di scioglimento in cui
è previsto un minor intervallo temporale per la ricostituzione di
quelli disciolti - dalla particolare esigenza più volte qui messa in
evidenza. Si giustifica perciò che l'aspetto proprio delle
autonomie, quale quello della rappresentatività degli organi di
amministrazione, possa temporaneamente cedere di fronte alla
necessità di assicurare l'ordinato svolgimento della vita delle
comunità locali, nel rispetto delle libertà di tutti ed al riparo
da soprusi e sopraffazioni, estremamente probabili quando sui loro
organi elettivi la criminalità organizzata possa immediatamente
riprendere ad esercitare pressioni e condizionamenti.
5.5. - Infondata è anche la censura formulata in riferimento
all'art. 24 della Costituzione. Diversamente da quanto si asserisce
nell'ordinanza, se è vero che la durata degli effetti è determinata
sulla base di un potere discrezionale dell'amministrazione, la sua
latitudine è pur sempre delimitata dalla valutazione della
situazione in concreto riscontrata in relazione all'estensione
dell'influenza criminale così come manifestatasi.
La determinazione della durata è, perciò, per sua natura legata
alla valutazione di cui si deve dare necessariamente conto alla
stregua dei principi generali in tema di motivazione degli atti
amministrativi: il che costituisce sicuro limite al possibile
arbitrio, condizionando il potere dell'organo che deve determinare la
durata degli effetti dello scioglimento e, quindi, consentendo il
sindacato giurisdizionale sulla congruità e logicità della
valutazione compiuta anche per questa parte del provvedimento.
5.6. - Relativamente alla previsione per ultimo presa in
considerazione, l'ordinanza fa anche riferimento all'art. 125 della
Costituzione, senza svolgere alcun argomento che possa giustificare
tale richiamo. La questione è pertanto manifestamente inammissibile,
non ravvisandosi alcuna attinenza con essa del parametro
costituzionale invocato.