ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 37 della legge
6 dicembre 1971, n. 1034 ("Istituzione dei tribunali amministrativi
regionali"), promosso con ordinanza emessa l'8 maggio 1980 dal TAR
del Lazio, iscritta al n. 228 del registro ordinanze 1981 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 207 dell'anno
1981;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1988 il Giudice
relatore Vincenzo Caianiello;
Ritenuto che nel corso di un giudizio di ottemperanza ad una
sentenza di condanna al pagamento di somme, emanata dal giudice
ordinario a carico dell'E.N.P.A.S., il T.A.R. Lazio, con ordinanza in
data 8 maggio 1980, ha sollevato questione di legittimità
costituzionale dell'art. 37 l. 6 dicembre 1971, n. 1034, nella parte
in cui (commi secondo e terzo) attribuisce esclusivamente al
Consiglio di Stato in unico grado la competenza in ordine ad alcuni
ricorsi diretti ad ottenere l'adempimento dell'obbligo dell'autorità
amministrativa di conformarsi al giudicato, per contrasto con gli
artt. 3 e 125, comma secondo, Cost.;
che, nella fattispecie sottoposta all'esame del giudice a quo,
l'ente tenuto ad eseguire la sentenza, emanata dall'autorità
giudiziaria ordinaria, esercita la sua attività oltre i limiti della
circoscrizione territoriale del tribunale adito;
che in tali ipotesi, ai sensi del secondo comma del citato art.
37, la cognizione e l'esecuzione dell'obbligo di conformarsi al
giudicato spetta al Consiglio di Stato in unico grado, donde la
rilevanza della questione sollevata, dovendo il giudice a quo
declinare la propria competenza ove venisse meno la disposizione
impugnata;
che oggetto dell'incidente di legittimità costituzionale è
anche il terzo comma dello stesso art. 37, nella parte in cui
(individuando il giudice competente all'attuazione dei giudicati
amministrativi) attribuisce, in relazione al comma successivo, sempre
al Consiglio di Stato la competenza in ordine ai giudizi di
ottemperanza relativi a decisioni emesse dal medesimo organo
giudiziario, purché non confermative delle pronuncie di primo grado;
che, aderendo all'ormai consolidata giurisprudenza
amministrativa che ammette l'appellabilità delle sentenze per
l'esecuzione del giudicato, l'attribuzione di una parte dei relativi
ricorsi al Consiglio di Stato in unico grado, porrebbe in essere, ad
avviso del Tribunale rimettente, una ingiustificata disparità di
trattamento "tra controversie" aventi la medesima natura;
che, a differenza di quanto avviene per tutte le altre
giurisdizioni, per le quali si esclude il principio della
costituzionalizzazione del doppio grado, per la "giustizia
amministrativa ordinaria", la costituzionalizzazione dell'anzidetto
principio troverebbe il suo specifico fondamento nella norma
dell'art. 125 comma secondo, Cost., la quale avrebbe sancito per
tutte le controversie da sottoporre al giudice amministrativo
"l'ineluttabilità di un primo grado" di giurisdizione;
che è intervenuta l'Avvocatura Generale dello Stato chiedendo
che la questione sia dichiarata infondata e dubitando della sua
rilevanza, in quanto l'eventuale eliminazione delle norme impugnate
non comporterebbe l'automatico insorgere della competenza del T.A.R.
Lazio, dovendosi escludere l'applicabilità al caso di specie dei
criteri territoriali dettati dall'art. 3, comma terzo, legge n. 1034
del 1971, e, più in generale, trattandosi di materia processuale, la
possibilità di integrazioni analogiche;
Considerato che il dubbio di rilevanza prospettato dall'Avvocatura
Generale dello Stato appare privo di fondamento in quanto, una volta
esclusa, in ordine alla fattispecie in esame, la competenza
funzionale del Consiglio di Stato, ben potrebbe il T.A.R. adito
definire il giudizio a quo, non risultando, dall'ordinanza di
rimessione, la proposizione del regolamento di competenza;
che, ai fini del merito, va osservato che questa Corte ha più
volte escluso l'esistenza di una norma costituzionale che garantisca
il principio del doppio grado di giudizio (sentt. nn. 41 del 1965, 22
e 117 del 1973, 186 del 1980, 78 del 1984 e 80 del 1988);
che per quanto riguarda la giurisdizione amministrativa non può
indurre a conclusioni diverse la norma di cui all'art. 125, comma
secondo, della Costituzione che, prevedendo, nella regione,
l'istituzione di organi di giustizia amministrativa di primo grado
"disciplina innanzitutto una modalità che deve assumere il sindacato
giurisdizionale sugli atti amministrativi della Regione.... in un
sistema di giustizia amministrativa nel quale, in base all'art. 111,
ultimo comma, Cost., non si dà ricorso in Cassazione per violazione
di legge" (sent. n. 62 del 1981);
che tale norma comporta soltanto l'impossibilità di attribuire
al T.A.R. competenze giurisdizionali in unico grado e la conseguente
necessaria appellabilità di tutte le sue pronuncie, e, quindi, una
garanzia del doppio grado riferita alle controversie che il
legislatore ordinario attribuisca agli organi locali della giustizia
amministrativa;
che solo in tal senso assume rilevanza costituzionale, come
affermato dalla sentenza di questa Corte n. 8 del 1982, il predetto
principio del doppio grado di giudizio, non potendo, l'art. 125 della
Costituzione comportare l'inverso, perché nessun'altra norma della
Costituzione indica il Consiglio di Stato come giudice solo di
secondo grado;
che, pertanto, sotto tale profilo la questione va dichiarata
manifestamente infondata;
che ad identica conclusione deve pervenirsi anche in relazione
alla lamentata violazione dell'art. 3 Cost., non potendosi ritenere
sperequate le posizioni giuridiche tutelabili, con possibilità di
impugnazione, davanti al T.A.R. e quelle di cui conosce, invece,
direttamente il Consiglio di Stato, in ragione della posizione di
vertice che riveste nel complesso della giurisdizione amministrativa;
che questa Corte, del resto, in presenza di norme che
attribuiscono direttamente all'istanza superiore controversie che
spetterebbero di norma al giudice di primo grado, ne ha giustificato
la sottrazione a questi in ragione della "peculiarità del contesto"
in cui i giudizi si collocano (sentt. nn. 62 del 1981 e 80 del 1988),
peculiarità che sono certamente ravvisabili nelle fattispecie di cui
all'art. 37, commi secondo e terzo, della legge n. 1034 del 1971;