Sentenza 641/1987 (ECLI:IT:COST:1987:641)
Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: SAJA - Redattore:
Udienza Pubblica del 13/10/1987;    Decisione  del 17/12/1987
Deposito del 30/12/1987;   Pubblicazione in G. U. 13/01/1988  n. 2
Norme impugnate:
Massime:  3991  3993  3994 
Massime:  3991  3993  3994 
Atti decisi:

Massima n. 3991 Massima successiva
Titolo
SENT. 641/87 A. AMBIENTE (TUTELA DELL') - DANNO AMBIENTALE - RISARCIMENTO - GIURISDIZIONE DEL GIUDICE ORDINARIO - NON FONDATEZZA DELLA QUESTIONE.

Testo
Nell'ordinamento il giudice dei diritti soggettivi e` il giudice ordinario, tranne le eccezioni legislativamente stabilite e poiche` in applicazione dell'art. 103 spetta al legislatore la determinazione della sfera di giurisdizione dei giudici (ordinario, amministrativo, contabile, militare ecc.), nella 'interpositio' del legislatore deve quindi individuarsi il limite funzionale delle attribuzioni giudicanti della Corte dei conti. Pertanto la scelta operata dal legislatore a favore della giurisdizione del giudice ordinario in materia di risarcimento del danno ambientale risulta conforme al precetto costituzionale di cui all'art. 103, secondo comma. (Non fondatezza della questione di legittimita` costituzionale - in riferimento all'art. 103, comma secondo, Cost. - dell'art. 18, comma secondo, Legge 8 luglio 1986, n. 349). - v. S.nn. 110/1970; 68/1971; 211/1972; 102/1977; 189/1984, 241/1984; 17/1985, 53/1985.
Parametri costituzionali
Costituzione  art. 103  co. 2

Riferimenti normativi
legge  08/07/1986  n. 349  art. 18  co. 2

Titolo
SENT. 641/87 B. AMBIENTE (TUTELA DELL') - DANNO AMBIENTALE - RISARCIMENTO - GIURISDIZIONE DEL GIUDICE ORDINARIO - NON FONDATEZZA DELLA QUESTIONE.

Testo
L'attribuzione della materia del risarcimento del danno ambientale alla giurisdizione del giudice ordinario non comporta violazione dell'art. 25, comma primo, Cost., poiche` la Corte dei conti non e`, in ogni caso, il giudice naturale della tutela degli interessi pubblici e della tutela da danni pubblici e in quanto la nozione di giudice naturale non si cristallizza nella determinazione legislativa di una competenza generale ma si forma anche a seguito di tutte quelle disposizioni di legge le quali possono anche derogare da tale competenza in base a criteri che ragionevolmente valutano i disparati interessi in gioco. (Non fondatezza della questione di legittimita` costituzionale - in riferimento all'art. 25, comma primo, Cost. - dell'art. 18, comma secondo, Legge 8 luglio 1986, n. 349).
Parametri costituzionali
Costituzione  art. 25  co. 1

Riferimenti normativi
legge  08/07/1986  n. 349  art. 18  co. 2

Massima n. 3994 Massima precedente
Titolo
SENT. 641/87 C. AMBIENTE (TUTELA DELL') - DANNO AMBIENTALE - RISARCIMENTO - AZIONE - MANCATA ATTRIBUZIONE AL PROCURATORE GENERALE DELLA CORTE DEI CONTI - NON FONDATEZZA DELLA QUESTIONE.

Testo
La mancata attribuzione dell'esercizio dell'azione risarcitoria, in materia di danno ambientale, ad un organo imparziale, quale il Procuratore generale della Corte dei conti non reca lesione alle autonomie locali (art. 5 Cost.), poiche` gia` sussistono nell'ordi- namento rimedi atti ad assicurare la tutela ambientale e ad ovviare a lacune normative (ad es., la denuncia per omissione di atti di ufficio degli amministratori inerti, la legittimazione degli organi di vigilanza; la nomina di commissari 'ad acta', nonche` la stessa possibilita` di sostituzione degli amministratori responsabili ovvero la temporaneita` delle cariche pubbliche). (Non fondatezza della questione di legittimita` costituzionale - in riferimento all'art. 5 Cost. - dell'art. 18, comma secondo, Legge 8 luglio 1986, n. 349).
Parametri costituzionali
Costituzione  art. 5

Riferimenti normativi
legge  08/07/1986  n. 349  art. 18  co. 2


Pronuncia

N. 641

SENTENZA 17-30 DICEMBRE 1987


LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO;


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 18, secondo comma, della legge 8 luglio 1986, n. 349 (Istituzione del Ministero dell'Ambiente e norme in materia di danno ambientale), promossi con ordinanze emesse il 1° ottobre 1986 ed il 9 gennaio 1987 dalla Corte dei Conti - Sezioni Riunite - sui ricorsi proposti da Tavanti Tommasi Luigi ed altri e Notaro Nicola ed altro, iscritte al n. 830 del registro ordinanze 1986 e al n. 221 del registro ordinanze 1987 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 7 e 25 prima seri speciale dell'anno 1987;

Visti gli atti di costituzione di Tavanti Tommasi Luigi, di Salari Giuseppe, di Notaro Nicola e di Ciccarone Silvio;

Udito nell'udienza pubblica del 13 ottobre 1987 il Giudice relatore Francesco Greco;

Uditi gli avv.ti Carlo Selvaggi per Tavanti Tommasi Luigi, Walter Prosperetti per Salari Giuseppe, Sebastiano Petrucci per Notaro Nicola e Emilio Sivieri per Ciccarone Silvio.


Ritenuto in fatto

1. - Fra il 1961 e il 1964 nell'ambito del Parco Nazionale d'Abruzzo, si costruivano trenta villette, una rete stradale di collegamento per la creazione di un centro residenziale nel territorio del Comune di Lecce dei Marsi. Ritenendosi prodotto un danno ambientale di natura erariale, il Procuratore Generale della Corte dei Conti iniziava giudizio per responsabilità amministrativa a carico di coloro che erano risultati autori del danno e cioè gli amministratori del Comune, il Presidente dell'Ente Parco, i componenti della Giunta Provinciale amministrativa di L'Aquila, un Vice-prefetto e un sottosegretario al Ministero dell'Agricoltura e Foreste. Essi venivano condannati al risarcimento dei danni per importi di varia entità.

Costoro proponevano appello.

Essendo nelle more intervenuta la legge 8 luglio 1986 n. 349, istitutiva del Ministero per l'Ambiente, la quale all'art. 18 ha demandato i giudizi per il risarcimento dei danni alla compe tenza del giudice ordinario, le Sezioni Riunite della Corte dei Conti, con ordinanza del 1° ottobre 1986 (R.O. n. 830/86) hanno sollevato, in riferimento agli artt. 103, secondo comma, e 25 Cost., questione di legittimità costituzionale del detto articolo 18 nella parte in cui ha devoluto al giudice ordinario la materia relativa al risarcimento per danno ambientale, salva la giurisdizione della Corte dei Conti in limitate ipotesi di responsabilità amministrativo-contabile.

2. - Sul primo profilo le Sezioni remittenti hanno rilevato che, mentre la norma primaria individua una competenza tendenzialmente generale della Corte dei Conti nelle materie di contabilità pubblica, la disposizione impugnata sembra limitare il suo ambito in quanto difettano ragionevoli tratti differenziali tra la responsabilità per danni ambientali e la responsabilità per danni arrecati ad altri beni pubblici.

A parere delle Sezioni Riunite, il nucleo storico e fondamentale della giurisdizione della Corte dei Conti, presente al Costituente, in sede di redazione dell'art. 103, secondo comma, sarebbe costituito oltre che dal giudizio sui conti (cioè nei confronti dei contabili) anche da quello nei confronti dell'impiegato che, per azione od omissione, anche solo colposa, nell'esercizio delle sue funzioni, cagioni danno allo Stato, come precipuamente emerge dal T.U. delle norme sulla contabilità dello Stato approvato con R.D. 18 novembre 1923 n. 2440, nonché dal coevo R.D. n. 2441, recante modifiche di alcune norme della legge istitutiva della Corte dei Conti.

Il precetto costituzionale rimarrebbe, in pratica, svuotato di contenuto ove lo si ritenesse idoneo a garantire l'estensione della giurisdizione amministrativa contabile, almeno alle materie riconducibili a tale nucleo fondamentale perché si riconoscerebbe al legislatore ordinario il potere di ridurre tale estensione secondo le sue scelte discrezionali pur in presenza di tutti gli elementi che, tradizionalmente, giustificherebbero l'assoggettamento di tale materia a quella giurisdizione.

D'altra parte per il danno ambientale imputabile a responsabilità di pubblici dipendenti sussisterebbero tutti i presupposti di siffatto assoggettamento sia sotto il profilo soggettivo che sotto quello oggettivo.

In contrario non potrebbe invocarsi una presunta necessità di unitaria cognizione dell'unico fatto causativo del danno nel quale concorressero pubblici funzionari e soggetti privati o delle diverse azioni dannose concorrenti di costoro poiché nel vigente ordinamento sussiste la regola della ripartizione della cognizione del medesimo danno unitariamente prodotto dal pubblico funzionario, il quale ne risponde davanti alla Corte dei Conti, e dal privato, il quale ne risponde davanti al giudice ordinario. Inoltre la materia della responsabilità patrimoniale dei pubblici funzionari, che nell'esercizio delle loro attribuzioni abbiano recato danno ai beni ambientali, inteso come danno allo Stato, quale ente esponenziale della collettività generale, è stata individuata dalla giurisprudenza della Corte dei Conti, che ha ricostruito il relativo modello giuridico in termini corrispondenti a quelli fatti propri dal legislatore con la legge n. 349 del 1986.

2.1 - Per l'altro profilo (violazione dell'art. 25, primo comma, Cost.), il giudice a quo ha rilevato che, ove si affermi l'esistenza di una riserva costituzionale di giurisdizione della Corte dei Conti ex art. 103 Cost., non potrebbero essere sottratti al giudice naturale, individuabile alla stregua di tale ultima norma, i funzionari pubblici responsabili di danno allo Stato. Tanto più se si considerino le peculiarità strutturali di detta giurisdizione rispetto a quella ordinaria: cioè l'affidamento del potere di azione ad un organo pubblico neutrale posto a difesa degli interessi dello Stato-ordinamento; i poteri ufficiosi di acquisizione delle prove, non limitati dall'iniziativa delle parti; il potere del giudice di porre a carico del responsabile anche solo una parte del danno accertato.

La necessità dell'attribuzione alla giurisdizione della Corte dei Conti della materia della responsabilità verso lo Stato dei pubblici funzionari, giustificata dalle peculiarità, appare particolarmente evidente dalla individuazione della responsabilità di organi di vertice dell'Amministrazione: ad esempio, la disposizione impugnata, non contenendo alcuna previsione circa la proposizione dell'azione risarcitoria allorché autore del danno ambientale sia un Ministro o altro organo di vertice che abbia agito per delega di questo, si risolve in una causa di insufficiente tutela della collettività, che non può giovarsi del potere di azione proprio del Procuratore Generale presso la Corte dei Conti (artt. 82 della legge di contabilità di Stato e 52 del T.U. delle leggi sulla Corte dei Conti).

3. - Il medesimo giudice ha denunciato la stessa disposizione con ordinanza emessa il 9 gennaio 1987 (Reg. Ord. n. 221 del 1987) nel procedimento di appello avverso la decisione parziale del 30 aprile 1985, con la quale la 1ª sezione giurisdizionale della Corte dei Conti aveva, fra l'altro, affermato la sussistenza della propria giurisdizione in un caso di azione promossa dal Procuratore Generale presso la Corte stessa nei confronti di taluni amministratori del Comune di Vasto e di altri pubblici funzionari per il risarcimento del danno ambientale provocato dalla realizzazione abusiva di determinate opere in località Punta Penne (zona vincolata dal piano regolatore generale di detto Comune), con riferimento alle quali i convenuti avevano omesso di provvedere all'applicazione delle sanzioni pecuniarie di legge.

La censura è stata proposta in riferimento all'art. 5 e, sotto diverso profilo, ancora all'art. 103, secondo comma, Cost.

A sostegno della dedotta violazione della prima di dette norme si assume che nel caso in cui la giurisdizione in subiecta materia fosse conservata alla Corte dei Conti, la tutela dell'interesse dello Stato sarebbe pienamente realizzata dalla imparzialità del Procuratore Generale della Corte dei Conti, costituente indiretta garanzia dell'esercizio dell'azione di danno; per converso, la facoltatività dell'azione innanzi all'Autorità giudiziaria ordinaria in sede civile, rimessa all'apprezzamento dell'Avvocatura dello Stato o degli organi degli enti locali, si risolverebbe in un difettoso meccanismo che non garantirebbe l'inderogabile tutela degli interessi delle singole collettività locali e, di riflesso, dell'intera collettività, perché le stesse persone fisiche potrebbero essere nel contempo legittimate a deliberare la proposizione del giudizio di responsabilità e poi esserne le convenute con tutte le conseguenti possibili e notevoli ripercussioni sull'autonomia degli enti locali che tali amministratori esprimono.

Il contrasto con l'art. 103, secondo comma, Cost., viene prospettato sotto il profilo che le deroghe alla giurisdizione della Corte dei Conti in tema di responsabilità per danni arrecati allo Stato sono state "storicamente" apportate solo in ragione delle funzioni di particolari categorie di soggetti (es., amministratori di enti pubblici economici) e non anche per motivi oggettivi concernenti la specie del danno.

4. - In entrambe le ordinanze per la rilevanza della questione si osserva che la norma impugnata, per la sua natura processuale, è di immediata applicazione nei giudizi pendenti, talché l'esame della sua legittimità costituzionale riveste carattere di necessaria pregiudizialità. Le ordinanze sono state regolarmente notificate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale.

5. - Si sono costituiti taluni degli appellanti nei giudizi a quibus ed hanno sollecitato la declaratoria di infondatezza della questione. A tal fine, le rispettive difese hanno concordemente rilevato che l'art. 103, secondo comma, Cost. distingue due settori della giurisdizione della Corte dei Conti, uno solo dei quali può ritenersi ad essa costituzionalmente riservato e cioè quello attinente alle "materie di contabilità pubblica"; mentre ogni altra competenza è "attribuita dalla legge" e, quindi, fuori di tale riserva. Fra le competenze non riservate si colloca anche quella attinente all'adempimento dei doveri di tutti gli agenti i quali, pur non avendo maneggio di pubblico denaro o specifica custodia dei beni pubblici, tuttavia, col loro comportamento, nell'espletamento del rapporto di servizio, in senso lato, che li lega alla pubblica amministrazione, possono cagionare danni destinati a ripercuotersi direttamente o indirettamente sulle pubbliche finanze. In questi casi l'attribuzione della giurisdizione alla Corte dei Conti non deriva dall'appartenenza delle controversie alla materia della "contabilità pubblica", ma da una valutazione discrezionale del legislatore, fondata su considerazioni di opportunità politica, circa la maggiore idoneità di detto giudice, rispetto a quello ordinario, alla decisione delle controversie medesime.

La non riconducibilità della materia della responsabilità amministrativa a quella della "contabilità pubblica" si apprezza poi in modo particolare quando, come nella specie, si tratti di responsabilità per danno all'ambiente, per la natura di esso di bene immateriale non configurabile tecnicamente come patrimonio dello Stato, ma come utilità della collettività generale, verso la quale l'amministrazione ha doveri più che diritti. E proprio la peculiarità di tale bene può individuarsi come ragionevole fondamento delle valutazioni di opportunità che hanno determinato la norma censurata.

Negata l'esistenza, in subiecta materia, di una riserva costituzionale della giurisdizione della Corte dei Conti, ne discende anche l'infondatezza del profilo di illegittimità costituzionale afferente alla pretesa violazione del principio del giudice naturale.

Inoltre la pretesa garanzia di tutela ravvisata nell'inderogabilità ed imparzialità dell'azione del Procuratore Generale della Corte dei Conti non può configurarsi come requisito e condizione inseparabile dalla funzione giurisdizionale e la mancanza di tale garanzia nell'ambito della giurisdizione ordinaria può essere fonte tutt'al più di inconvenienti pratici non suscettibili di ascendere al livello di vizi di incostituzionalità della norma censurata, neanche sotto il profilo di una presunta minorazione della tutela delle autonomie locali. Invero l'art. 5 Cost., invocato al riguardo come parametro dal giudice a quo, imponendo allo Stato di adeguare i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia locale, appare la norma meno idonea a giustificare la persistenza di uno strumento certamente limitativo dell'autonomia medesima, quale nella ricostruzione fattane da detto giudice si configura il potere di azione del Procuratore Generale.

Nell'imminenza dell'udienza hanno presentato memorie talune delle parti costituite.

La difesa di Giuseppe Salari ha insistito sulle deduzioni già formulate.

La difesa di Luigi Tavanti Tommasi ha pregiudizialmente sollevato dubbi sulla rilevanza della questione, venendo censurata una norma che, per essere di immediata attuazione, ha già privato il giudice a quo della potestas judicandi.

Nel merito ha sottolineato che il complessivo disegno costituzionale in materia di giurisdizione si ispira al principio dell'unità di questa, alla luce del quale va intesa anche la posizione riservata alla Corte dei Conti: la sola competenza costituzionalmente inderogabile di tale giudice attiene ai giudizi di conto, mentre altre materie possono essergli attribuite se ciò è giustificato da una chiara connessione delle stesse con quella della contabilità. Siffatto collegamento è assente per quanto riguarda la materia della responsabilità per danno all'ambiente perché, anche ove esso sia prodotto dal pubblico dipendente, attiene ad un bene protetto che non è parte del patrimonio dello Stato e tanto meno del demanio.

Si tratta, invece, di un bene immateriale che ha rilevanza giuridica soltanto per il riconoscimento contenuto nella stessa legge n. 349 del 1986 e che rientra fra le res communia omnium: le lesioni di esso, da chiunque prodotte, non si sottraggono allo schema ordinario della responsabilità civile extracontrattuale, talché si giustifica la competenza giurisdizionale dell'A.G.O..

La difesa del Ciccarone ha svolto rilievi non dissimili, nella sostanza, sottolineando che quand'anche si condividesse l'assunto del giudice a quo secondo il quale dal "nucleo storico" della giurisdizione della Corte dei Conti, già normativamente definito, si sarebbe andato sviluppando, nella materia di "contabilità pubblica", un processo evolutivo verso una nozione tendenzialmente generale della giurisdizione stessa, dovrebbe nondimeno riconoscersi che questo orientamento non può che arrestarsi di fronte alla tassativa specificazione della norma censurata che, muovendosi in uno spazio assegnato al legislatore ordinario dallo stesso art. 103, comma secondo, Cost., attribuisce in modo non equivoco al giudice ordinario la materia relativa alla responsabilità dei soggetti, pubblici o privati agenti, che arrecano danno all'ambiente.

Ha rilevato poi che, nella legge n. 349 del 1986, la nozione di ambiente è assunta in senso globale, tale da prescindere dalla specifica considerazione dei singoli beni, isolatamente presi, che formano il demanio o il patrimonio dello Stato e di altri enti pubblici: tale nozione è indicativa di un bene nuovo e diverso da questi, di natura immateriale e riferibile alla generalità dei cittadini e, per essi, allo Stato-comunità, sicché agevolmente si comprende come anche la tutela giudiziaria di detto bene non possa atteggiarsi nelle medesime forme riservate alla tutela del demanio o del patrimonio.

La memoria difensiva di Notaro Nicola è stata depositata fuori termine.


Considerato in diritto

1. - I due ricorsi possono essere riuniti e decisi con un'unica sentenza in quanto prospettano questioni in parte identiche ed in parte connesse.

2. - Le Sezioni Riunite della Corte dei Conti, con le due ordinanze di rimessione, sospettano l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, secondo comma, della legge 3 luglio 1986 n. 349, che ha attribuito alla giurisdizione del giudice ordinario l'intera materia del risarcimento del danno ambientale, facendo salva la giurisdizione della Corte dei Conti solo in alcune limitate ipotesi di responsabilità amministrativa in quanto, a loro giudizio, risulterebbero violati:

a) l'art. 103, secondo comma, Cost. perché toglie alla giurisdizione della Corte dei Conti una materia che, per caratteristiche soggettive ed oggettive, rientra tra quelle costituzionalmente ad essa riservate;

b) l'art. 25, primo comma Cost. perché sottrae i pubblici funzionari responsabili del danno ambientale al giudice naturale individuabile in base al suddetto precetto costituzionale;

c) l'art. 5 Cost. perché la carenza di un organo cui spetti, in subjecta materia, un potere imparziale ed inderogabile di esercizio dell'azione risarcitoria si risolve in una compressione della tutela delle autonomie locali, particolarmente evidente allorché il pubblico funzionario, competente a deliberare l'esercizio dell'azione, sia anche il legittimato passivo nel relativo giudizio, siccome autore e responsabile del danno ambientale.

2.1 - Le remittenti sostengono:

a) che la norma primaria individua una competenza tendenzialmente generale della Corte dei Conti nelle materie di contabilità pubblica qualificata dalla concorrenza del carattere pubblico dell'ente dalla natura pubblica del bene e della sua gestione;

b) che l'art. 103 Cost. attribuisce alla giurisdizione della Corte dei Conti, oltre al giudizio sui conti, anche quello nei confronti dell'impiegato che, per azione od omissione anche colposa nell'esercizio delle sue funzioni, cagioni danno allo Stato;

c) che nella materia di danno ambientale si è in presenza di tutti gli elementi che tradizionalmente giustificano l'assoggettamento di tale materia alla giurisdizione della Corte dei Conti;

d) che nel caso di danno ambientale imputabile a responsabilità del pubblico dipendente, sussistono tutti gli elementi soggettivi ed oggettivi i quali determinano l'attribuzione della giurisdizione alla Corte dei Conti;

e) che la riserva costituzionale di giurisdizione alla Corte qualifica, in subjecta materia, la stessa Corte dei Conti come giudice naturale nei relativi giudizi; si aggiunge poi la considerazione che la presenza attiva nel giudizio del Procuratore Generale della Corte, il quale è detentore del potere di azione e di tutti gli altri connessi, specie di quello in ordine all'acquisizione diretta delle prove, garantirebbe la piena tutela della collettività e delle stesse autonomie locali.

2.2 - Le censure non sono fondate.

Il secondo comma dell'art. 103 Cost. è stato più volte interpretato da questa Corte (sentt. nn. 17/85; 189/84; 241/84; 102/77), nel senso che alla Corte dei Conti è riservata la giurisdizione sulle materie di contabilità pubblica, la quale va intesa nel senso tradizionalmente accolto dalla giurisprudenza e dalla legislazione, cioè come comprensiva sia dei giudizi di conto che di responsabilità a carico degli impiegati e degli agenti contabili dello Stato e degli enti pubblici non economici che hanno il maneggio del pubblico denaro; che la materia di contabilità pubblica non è definibile oggettivamente ma occorrono apposite qualificazioni legislative e puntuali specificazioni non solo rispetto all'oggetto ma anche rispetto ai soggetti; che, comunque, essa appare sufficientemente individuata nell'elemento soggettivo che attiene alla natura pubblica dell'ente (Stato, Regioni, altri enti locali e amministrazione pubblica in genere) e nell'elemento oggettivo che riguarda la qualificazione pubblica del denaro e del bene oggetto della gestione.

Si è anche affermato che la giurisdizione della Corte dei Conti, nelle dette materie, è solo tendenzialmente generale (tanto che nell'ordinamento precostituzionale la si qualificava giurisdizione speciale) e che sono possibili deroghe con apposite disposizioni legislative, specie nella materia della responsabilità amministrativa non di gestione e che la cognizione delle cause attinenti alla responsabilità patrimoniale per danni cagionati agli enti pubblici da pubblici funzionari, nell'esercizio delle loro funzioni, siccome involge questioni relative a diritti soggettivi, sarebbe spettata al giudice ordinario se non vi fosse stata la previsione legislativa derogatoria la quale sancisce una diversa ripartizione giurisdizionale.

La richiamata giurisprudenza non è in contrasto con l'altra di questa stessa Corte (sentt. nn. 110/70; 68/71; 211/72; 102/77; 241/84; 53/85) che ha affermato la espansione tendenziale della giurisdizione della Corte dei Conti, ove sussista identità di materia e di interesse tutelato, in carenza di regolamentazione specifica da parte del legislatore che potrebbe anche prevedere la giurisdizione ed attribuirla ad un giudice diverso (per es. in tema di responsabilità amministrativa dei funzionari regionali in fattispecie di gestione di interessi patrimoniali pubblici).

A parte la rilevata necessità della carenza di una diversa disciplina legislativa si rimane sempre nel campo della giurisdizione contabile, come sopra specificata.

Trattasi sempre di un limite funzionale alla giurisdizione del giudice ordinario che nell'ordinamento è il giudice dei diritti soggettivi, tranne le eccezioni legislativamente stabilite.

Proprio in applicazione dell'art. 103, secondo comma, Cost., e nei limiti ad esso imposti, spetta al legislatore la determinazione della sfera di giurisdizione dei giudici (ordinario, amministrativo, contabile, militare ecc...). E nella interpositio del legislatore deve individuarsi il limite funzionale delle attribuzioni giudicanti della Corte dei Conti.

La scelta a favore del giudice ordinario operata dal legislatore con il secondo comma dell'art. 18 della legge n. 349 del 1986, oggetto della impugnazione, risulta, quindi, conforme al precetto costituzionale (art. 103, secondo comma, Cost.).

Si osserva, anche, che il legislatore può scegliere sanzioni più idonee alla salvaguardia dei pubblici interessi nelle varie materie ed effettuare altresì la conformazione tipologica delle responsabilità. Il che è avvenuto nella materia di cui trattasi.

Inoltre, la infondatezza della questione di legittimità costituzionale di cui trattasi si evince anche dall'esame delle altre norme non impugnate dell'art. 18 (nn. dal 3 all'8) e di tutta la legge in generale.

Anzitutto, con essa si è creato un Ministero per l'ambiente che, per le funzioni attribuite, assurge a centro di riferimento dello interesse pubblico ambientale e di fatto realizza il coordinamento e la riconduzione ad unità delle azioni politico-amministrative finalizzate alla sua tutela.

L'ambiente è stato considerato un bene immateriale unitario sebbene a varie componenti, ciascuna delle quali può anche costituire, isolatamente e separatamente, oggetto di cura e di tutela; ma tutte, nell'insieme, sono riconducibili ad unità.

Il fatto che l'ambiente possa essere fruibile in varie forme e differenti modi, così come possa essere oggetto di varie norme che assicurano la tutela dei vari profili in cui si estrinseca, non fa venir meno e non intacca la sua natura e la sua sostanza di bene unitario che l'ordinamento prende in considerazione.

L'ambiente è protetto come elemento determinativo della qualità della vita. La sua protezione non persegue astratte finalità naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l'esigenza di un habitat naturale nel quale l'uomo vive ed agisce e che è necessario alla collettività e, per essa, ai cittadini, secondo valori largamente sentiti; è imposta anzitutto da precetti costituzionali (artt. 9 e 32 Cost.), per cui esso assurge a valore primario ed assoluto.

Vi sono, poi, le norme ordinarie che, in attuazione di detti precetti, disciplinano ed assicurano il godimento collettivo ed individuale del bene ai consociati; ne assicurano la tutela imponendo a coloro che lo hanno in cura, specifici obblighi di vigilanza e di interventi. Sanzioni penali, civili ed amministrative rendono la tutela concreta ed efficiente.

L'ambiente è, quindi, un bene giuridico in quanto riconosciuto e tutelato da norme.

Non è certamente possibile oggetto di una situazione soggettiva di tipo appropriativo: ma, appartenendo alla categoria dei c.d. beni liberi, è fruibile dalla collettività e dai singoli.

Alle varie forme di godimento è accordata una tutela civilistica la quale, peraltro, trova ulteriore supporto nel precetto costituzionale che circoscrive l'iniziativa economica privata (art. 41 Cost.) ed in quello che riconosce il diritto di proprietà, ma con i limiti della utilità e della funzione sociale (art. 42 Cost.).

È, inoltre, specificamente previsto il danno che il bene può subire (art. 18 n. 1). Esso è individuato come compromissione (dell'ambiente) e, cioè, alterazione, deterioramento o distruzione, cagionata da fatti commissivi o omissivi, dolosi o colposi, violatori delle leggi di protezione e di tutela e dei provvedimenti adottati in base ad esse.

Le dette violazioni si traducono, in sostanza, nelle vanificazioni delle finalità protettive e per se stesse costituiscono danno.

La responsabilità che si contrae è correttamente inserita nell'ambito e nello schema della tutela aquiliana (art. 2043 cod. civ.).

Questa Corte (sentt. n. 247/74 e n. 184/86) ha già ritenuto possibile il ricorso all'art. 2043 cod. civ. in tema di lesione della salute umana, dell'integrità dell'ambiente naturale e di danno biologico.

Si è così in grado di provvedere non solo alla reintegrazione del patrimonio del danneggiato ma anche a prevenire ed a sanzionare l'illecito. Il tipo di responsabilità civile ben può assumere, nel contempo, compiti preventivi e sanzionatori.

Questa Corte ha messo in rilievo la nuova valenza del citato art. 2043 cod. civ., a seguito e per effetto dell'entrata in vigore della Costituzione, come strumento per la protezione dei valori che essa prevede ed assicura, tra cui ha rilievo precipuo il principio della solidarietà, nonché la stretta relazione che ne deriva tra la detta norma e i precetti costituzionali, al fine della determinazione dell'illecito e della riparazione che consegue alla violazione del precetto.

Lo stesso principio del neminem laedere, che era il supporto della responsabilità aquiliana, assume una nuova e diversa rilevanza e sopratutto un contenuto diverso, siccome comprensivo anche della riparazione alle menomazioni di beni di valore assoluto e primario.

L'art. 2043 cod. civ. va posto in correlazione con la disposizione che prevede il bene giuridico tutelato attraverso la posizione del divieto primario.

La sanzione risarcitoria è conseguenza della lesione della situazione giuridica tutelata. E l'illecito è fatto consistere nella violazione della norma e dei provvedimenti adottati in base ad essa.

In tal modo si tiene esattamente conto della realtà e si pone rimedio a tutta la gamma delle conseguenze dannose che derivano dalla violazione effettuata.

Risultano rimedi a tutta la indefinita e sterminata serie degli eventi lesivi che l'uomo quotidianamente si inventa utilizzando anche, in maniera distorta e a proprio esclusivo vantaggio, il progresso tecnologico. In tal modo il giudice poggia la sua decisione su dati certi e applica regole di sicura conoscibilità.

Il danno è certamente patrimoniale, sebbene sia svincolato da una concezione aritmetico-contabile e si concreti piuttosto nella rilevanza economica che la distruzione o il deterioramento o l'alterazione o, in genere, la compromissione del bene riveste in sé e per sé e che si riflette sulla collettività la quale viene ad essere gravata da oneri economici.

La tendenziale scarsità delle risorse ambientali naturali impone una disciplina che eviti gli sprechi e i danni sicché si determina una economicità e un valore di scambio del bene. Pur non trattandosi di un bene appropriabile, esso si presta a essere valutato in termini economici e può ad esso attribuirsi un prezzo.

Consentono di misurare l'ambiente in termini economici una serie di funzioni con i relativi costi, tra cui quella di polizia che regolarizza l'attività dei soggetti e crea una sorveglianza sull'osservanza dei vincoli; la gestione del bene in senso economico con fine di rendere massimo il godimento e la fruibilità della collettività e dei singoli e di sviluppare le risorse ambientali. Si possono confrontare i benefici con le alterazioni; si può effettuare la stima e la pianificazione degli interventi di preservazione, di miglioramento e di recupero; si possono valutare i costi del danneggiamento. E per tutto questo l'impatto ambientale può essere ricondotto in termini monetari. Il tutto consente di dare all'ambiente e quindi al danno ambientale un valore economico.

Lo schema seguito, però, porta a identificare il danno risarcibile come perdita subita, indipendentemente sia dal costo della rimessione in pristino, peraltro non sempre possibile, sia dalla diminuzione delle risorse finanziarie dello Stato e degli enti minori.

Risulta superata la considerazione secondo cui il diritto al risarcimento del danno sorge solo a seguito della perdita finanziaria contabile nel bilancio dell'ente pubblico, cioè della lesione del patrimonio dell'ente, non incidendosi su un bene appartenente allo Stato.

Non si possono richiamare in senso proprio i principi della responsabilità contabile e della responsabilità amministrativa dei funzionari pubblici che, peraltro, è di natura contrattuale.

Né possono essere trasportati nel campo aquiliano i principi affermati nel settore del danno erariale o danno pubblico in generale. Non rileva nemmeno l'evoluzione che ha subito la nozione di finanza pubblica come comprensiva anche della finanza degli enti pubblici oltre che di quella propria dello Stato.

Il tipo di responsabilità non è stata nemmeno riduttivamente concretata nei soli comportamenti in contrasto con i criteri della buona amministrazione a seguito di valutazioni di tipo gestionale, sia pure collegata a dati ordinamentali di fondo, ma è stata legata a parametri certi e univoci, quale la esistenza di leggi e provvedimenti emanati in base ad esse, la cui violazione determina l'ingiustizia del danno.

Ma il formale rispetto della norma non deve coprire gli eventuali comportamenti di negligenza e di mala fede nell'esercizio di attività amministrativa o di impresa, i quali sono sempre vietati e contrastano con i principi costituzionali del buon andamento dell'amministrazione e della funzione sociale della proprietà e dei limiti dell'iniziativa privata che in ogni caso non debbono essere violati.

Del resto, nella concreta vita giudiziaria lo stesso art. 2043 cod. civ. del quale la stessa Corte ha già sottolineato il ruolo importante sotto il profilo sistematico, spesso sorregge condanne di pubblici amministratori responsabili di danneggiamenti non solo in situazioni dalle quali emergevano profili penalistici.

La legittimazione ad agire, che è attribuita allo Stato ed agli enti minori non trova fondamento nel fatto che essi hanno affrontato spese per riparare il danno o nel fatto che essi abbiano subito una perdita economica ma nella loro funzione a tutela della collettività e delle comunità nel proprio ambito territoriale e degli interessi all'equilibrio ecologico, biologico e sociologico del territorio che ad essi fanno capo.

Per il privato cittadino il danno ambientale potrebbe essere ingiusto nei limiti in cui si assume la rilevanza. Rimane, comunque, ferma la tutela del cittadino che ha subito nocumento dal danno ambientale.

La rilevanza del rapporto tra il soggetto e il bene risulta dai luoghi e secondo la logica dell'ordinamento e non dall'autoattribuzione del soggetto.

Per quanto si è detto, non sussiste nemmeno la dedotta violazione dell'art. 25 Cost. non essendo la Corte dei Conti, in ogni caso, il giudice naturale della tutela degli interessi pubblici e della tutela da danni pubblici.

Peraltro, secondo la costante interpretazione di detto precetto costituzionale, il giudice naturale è quello precostituito per legge la cui competenza è previamente determinata rispetto a fattispecie astratte da verificarsi e non rispetto a quelle già verificatesi (Corte Cost. n. 164/1983).

La nozione di giudice naturale non si cristallizza nella determinazione legislativa di una competenza generale ma si forma anche a seguito di tutte quelle disposizioni di legge le quali possono anche derogare da tale competenza in base a criteri che ragionevolmente valutano i disparati interessi in gioco.

Per quanto riguarda la lamentata violazione dell'art. 5 Cost., e cioè delle autonomie locali, che si verificherebbe per effetto della norma censurata in quanto, a dire del giudice remittente, questa non avrebbe attribuito il potere di azione in subiecta materia ad un organo imparziale quale può essere solo il Procuratore Generale della Corte dei Conti, si osserva che la censura è priva di consistenza. Invero, essa è riferita unicamente alla lamentata mancata attribuzione della giurisdizione alla Corte dei Conti, risultando impugnato solo il secondo comma dell'art. 18 che tale giurisdizione prevede e non anche il terzo comma che, invece, attribuisce la legittimazione ad agire allo Stato e agli enti sul cui territorio incidono i beni oggetto del fatto lesivo, mentre il successivo comma quarto facultizza le associazioni di cui all'art. 13 della stessa legge e i cittadini a denunciare i fatti lesivi dei beni ambientali di cui sono a conoscenza al fine di sollecitare l'esercizio dell'azione da parte dei soggetti legittimati.

Non sono mancate critiche alla norma così come è formulata in ordine alla effettività del suo funzionamento e all'assicurazione della voluta tutela del bene ambientale, ma spetta al legislatore provvedere a colmare le eventuali lacune e le deficienze al fine di assicurare la effettiva applicazione della norma stessa ai casi concreti, mentre lo stesso ordinamento appresta già alcuni rimedi (per es. la denuncia per omissione di atti di ufficio degli amministratori inerti; la legittimazione degli organi di vigilanza dell'ente; la nomina di commissari ad acta o curatori speciali (art. 78 cod. proc. civ.).

Va anche considerato che la possibilità del mutamento delle persone elette o nominate alle cariche che importano la rappresentanza dell'ente e della sostituzione degli amministratori responsabili di eventuali danni con altri che abbiano maggiore cura degli interessi pubblici e siano in grado di agire contro i detti responsabili.

Soccorre, cioè, il principio della temporaneità delle cariche pubbliche e la possibilità concreta di un avvicendamento che rende possibile ai subentranti di perseguire gli uscenti che sono stati inerti, anche per la prevista sospensione della prescrizione (art. 2941 cod. civ.).

Tuttavia va anche detto che la scelta del giudice ordinario assicura una regolarità di giudizio sia per la sussistenza di tre gradi di giurisdizione sia per la struttura del sistema istruttorio e probatorio, sia, infine, per la maggiore idoneità del giudice ordinario alla cura di interessi concernenti rapporti di natura paritaria, attribuiti alla sua competenza.

Pertanto, la sollevata questione di legittimità costituzionale va dichiarata non fondata.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, secondo comma, della legge 8 luglio 1986 n. 349 sollevata, in riferimento agli artt. 5, 25, primo comma, e 103, secondo comma, Cost., dalla Corte dei Conti con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 dicembre 1987.

Il Presidente: SAJA

Il redattore: GRECO

Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1987.

Il direttore della cancelleria: MINELLI