Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso del 19 novembre 1983 i coniugi Giovanni Salvi e
Liliana Carosi impugnavano innanzi al TAR del Lazio la mancata
ammissione della loro figlia Carla, diciottenne portatrice di
handicap, a ripetere nell'anno scolastico 1983/84 la frequenza della
prima classe dell'Istituto Professionale di Stato per il Commercio
"N. Garrone" di Roma. Costei nell'anno precedente era stata ritenuta
inclassificabile, ed il Preside, accettata con riserva la domanda di
reiscrizione, aveva rimesso la questione al Provveditore agli studi,
facendo presente che - secondo gli insegnanti - la giovane non
avrebbe potuto trarre un qualche profitto dalla permanenza nella
scuola media superiore. Il Provveditore agli Studi, a fronte della
certificazione medica allegata all'istanza, aveva invitato il Preside
ad acquisire presso i competenti servizi specialistici dell'USL un
parere medico legale, da esprimersi sulla base sia di accertamenti di
carattere sanitario e psicologico, sia della conoscenza della
situazione determinatasi nell'anno precedente e dei giudizi espressi
dal Consiglio di classe in sede di verifica finale. Il responso
sanitario, peraltro, aveva escluso che l'handicap - di tipo
neuropsichico - fosse da considerarsi grave, ed aveva sottolineato
che la giovane poteva trarre dalla frequenza un beneficio che, se
relativo quanto all'apprendimento, era viceversa notevole sul terreno
della socializzazione e dell'integrazione, sì da far ritenere
fondamentale la riammissione della giovane, per la quale l'isolamento
avrebbe contribuito in maniera assolutamente negativa alla formazione
del carattere.
Ciononostante, la richiesta di reiscrizione era stata respinta di
fatto, con il rifiuto opposto alla giovane ad assistere alle lezioni.
2. - Con ordinanza del 28 novembre 1984, il TAR ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell'art. 28 della legge 30
marzo 1971, n. 118, assumendone il contrasto con gli artt. 3, 30, 31
e 34 Cost.
All'inserimento scolastico degli handicappati - ricorda
innanzitutto il TAR rimettente - si provvide solo a partire dagli
anni sessanta, prima mediante classi speciali e differenziali
(circolari nn. 4525 del 1962 e 93 del 1963), poi con l'ammissione in
classi normali, opportunamente dimensionate, e l'utilizzazione in
esse di insegnanti di sostegno (circolari nn. 227 del 1975, 228 del
1976 e 216 del 1977).
Con la legge 4 agosto 1977, n. 517 furono poi previste (artt. 2 e
7) forme di integrazione e di sostegno in favore degli alunni
handicappati, in particolare con l'impiego di insegnanti
specializzati e, nella scuola media, anche di attività scolastiche
integrative.
Con l'art. 12 della legge 20 maggio 1982, n. 270 si provvide poi a
fissare le dotazioni organiche del personale docente delle scuole
materne, elementari e medie, tenendo conto dei posti di sostegno da
istituire a favore degli alunni portatori di handicaps.
Ciò premesso, il TAR del Lazio osserva che l'impugnato art. 28 l.
n. 118/1971 - recante "Conversione in legge del decreto-legge 30
gennaio 1971, n. 5, e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi
civili" - dispondendo in ordine alla frequenza scolastica di costoro,
prevede, al secondo comma, che "L'istruzione dell'obbligo deve
avvenire nelle classi normali della scuola pubblica, salvi i casi in
cui i soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettive o da
menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere molto
difficoltoso l'apprendimento o l'inserimento nelle predette classi
normali"; ed al terzo comma, che "Sarà facilitata, inoltre, la
frequenza degli invalidi e mutilati civili alle scuole medie
superiori ed universitarie".
Richiamando le deduzioni dei ricorrenti, il giudice a quo lamenta
che tali disposizioni nulla prevedano in favore degli handicappati,
diversamente che per i mutilati ed invalidi civili, cui si assicura
la frequenza scolastica anche se afflitti da menomazioni fisiche o
psichiche pari a quelle dei primi. Ma avverte che "la questione
investe più direttamente" le richiamate disposizioni delle leggi nn.
517 del 1977 e 270 del 1982, in quanto non garantiscono agli
handicappati la frequenza nella scuola media di secondo grado; ed
assume che tale carenza legislativa sia incostituzionale: "in
particolare rispetto all'art. 3 che, dopo affermato il principio di
uguaglianza, affida all'Ordinamento il compito di rimuovere gli
ostacoli impedenti il pieno sviluppo della persona umana; rispetto
all'art. 30 che consacra il diritto all'istruzione di ogni cittadino;
all'art. 31 che affida alla Repubblica il compito di proteggere la
gioventù, favorendo gli istituti necessari allo scopo; come anche
all'art. 34 ove si afferma che la Repubblica rende effettivo il
diritto di tutti a frequentare la scuola".
3. - Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto.
Si sono invece costituite le parti private Giovanni e Carla Salvi
e Liliana Carosi, a mezzo degli avv.ti G.C. Sciacca e P. d'Amelio.
Nella relativa memoria vengono svolte considerazioni analoghe a
quelle prospettate nell'ordinanza di rimessione.
Si assume, in particolare, essere privo di giustificazione che si
prevedano per l'invalido civile misure atte ad agevolarne
l'inserimento nella vita sociale e lavorativa, mentre l'handicappato
sarebbe tutelato "solo per quanto riguarda il suo inserimento nella
scuola dell'obbligo, dopo di che, essendo le sue minorazioni tali da
impedirgli un'attività lavorativa normale, viene completamente
abbandonato". Ciò sarebbe in contrasto con i principi posti dagli
artt. 30, 31, 34 e 38, 3 comma, Cost., dai quali discenderebbe il
compito dello Stato di garantire anche ai minorati formazione ed
educazione (intese come sviluppo integrale della persona: art. 2
Cost.), nonché il conseguente avviamento professionale. La
permanenza nel contesto scolastico dopo la scuola dell'obbligo
sarebbe invero uno dei mezzi di attuazione di tali fini, in mancanza
della quale dovrebbe preventivarsi "una sicura regressione, in
termini di maturazione psico-intellettuale e di socialità" e si
renderebbero perciò vani i risultati già raggiunti.
Considerato in diritto
1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale
Amministrativo Regionale del Lazio dubita, in riferimento agli artt.
3, 30, 31 e 34 Cost., della legittimità costituzionale dell'art. 28
della legge 30 marzo 1971, n. 118, recante "Conversione in legge del
D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed
invalidi civili".
Tale disposizione detta "Provvedimenti per la frequenza
scolastica" di questi ultimi: ed in particolare, dopo aver previsto,
nel primo comma, misure dirette a rendere possibile o comunque ad
agevolare in generale l'accesso e la permanenza nella scuola
(trasporto gratuito dalla abitazione alla scuola, accesso a questa
mediante adatti accorgimenti ed eliminazione delle cosiddette
barriere architettoniche, assistenza agli invalidi più gravi durante
le ore scolastiche) prescrive, nel secondo comma, che, per quanto
riguarda l'istruzione dell'obbligo, questa "deve avvenire nelle
classi normali della scuola pubblica, salvi i casi in cui i soggetti
siano affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni
fisiche di tale gravità da impedire o rendere molto difficoltoso
l'apprendimento o l'inserimento nelle predette classi normali".
Il terzo comma dispone che "sarà facilitata, inoltre, la
frequenza degli invalidi e mutilati civili alle scuole medie
superiori ed universitarie"; il quarto comma infine, estende la
medesima disciplina alle istituzioni prescolastiche e ai doposcuola.
Come precisato in narrativa, nel caso di specie il TAR rimettente era
chiamato a decidere in ordine alla legittimità della mancata
reiscrizione di una giovane portatrice di handicap alla prima classe
di un istituto professionale di Stato, manifestata col rifiuto
oppostole ad assistere alle lezioni nonostante il contrario parere
espresso dai competenti servizi specialistici sotto il profilo
sanitario e psicologico; parere nel quale era stata sottolineata la
non gravità dell'affezione e la fondamentale importanza della
frequenza scolastica nell'indurre momenti di socializzazione ed
integrazione atti a favorirne un'evoluzione positiva.
La questione è quindi indubbiamente rilevante, posto che la
disposizione impugnata, nella prospettazione del giudice a quo, non
assicura ai portatori di handicaps il diritto alla frequenza delle
scuole secondarie superiori.
2. - Giova anzitutto premettere all'esame della specifica
questione sollevata, un sia pur sintetico cenno all'evoluzione
normativa sull'inserimento nella scuola dei portatori di handicaps,
in quanto è anche sulla considerazione di taluni suoi caratteri che
l'ordinanza di rimessione fonda le proprie censure.
Come è noto, il problema dell'inserimento di minorati nella
scuola è stato per lungo tempo affrontato e risolto, nel nostro
ordinamento, con gli strumenti delle scuole speciali e delle classi
differenziali.
Ancora negli anni sessanta, le leggi 24 luglio 1962, n.1073
(recante i "Provvedimenti per lo sviluppo della scuola nel triennio
dal 1962 al 1965") e 31 ottobre 1966, n. 942 (relativa al
"Finanziamento del piano di sviluppo della scuola nel quinquennio dal
1966 al 1970") prevedono stanziamenti per il funzionamento di tali
strutture speciali. La legge 31 dicembre 1962, n.1859, istitutiva
della scuola media statale, contempla classi differenziali per
"alunni disadattati scolastici" (art. 12) e la legge 18 marzo 1968,
n. 444, relativa alla scuola materna statale, istituisce sezioni o,
per i casi più gravi, scuole speciali per i bambini da tre a cinque
anni affetti da disturbi dell'intelligenza o del comportamento o da
menomazioni fisiche o sensoriali.
Negli anni settanta, questo indirizzo viene sostanzialmente
ribaltato. La legge 30 marzo 1971, n.118 - oltre a prevedere, per i
"mutilati ed invalidi civili", corsi di istruzione per l'espletamento
o completamento della scuola dell'obbligo presso i centri di
riabilitazione, scuole per la formazione di assistenti educatori e
assistenti sociali specializzati e particolari misure per
l'addestramento professionale (artt. 4, 5 e 23) - stabilisce - come
si è visto - che "l'istruzione dell'obbligo deve avvenire nelle
classi normali della scuola pubblica" (art. 28) e che "Esclusivamente
quando sia accertata l'impossibilità di far frequentare ai minorati
la scuola pubblica dell'obbligo" si istituiranno "per i minori
ricoverati" nei centri di degenza e di recupero, classi normali
"quali sezioni staccate della scuola statale" (art. 29).
La legge 4 agosto 1977, n. 517, poi, "al fine di agevolare
l'attuazione del diritto allo studio e la promozione della piena
formazione della personalità" prevede per la scuola elementare (art.
2) e media (art. 7) forme di integrazione e di sostegno a favore
degli alunni portatori di handicaps, da realizzarsi tra l'altro
attraverso limitazioni numeriche delle classi in cui costoro sono
inseriti, predisposizione di particolari servizi ed impiego di
docenti specializzati. Con la medesima legge (art. 7, ultimo comma)
sono abolite le classi differenziali. La successiva legge 20 maggio
1982, n. 270 provvede poi (art. 12) circa le dotazioni organiche, nei
ruoli di dette scuole, degli insegnanti di sostegno (di regola, uno
ogni quattro alunni portatori di handicaps).
La disciplina così sommariamente richiamata concerne peraltro
solo la scuola materna, elementare e media; mentre per la scuola
secondaria superiore non ha avuto sviluppi, nella legislazione
nazionale, l'indicazione contenuta nel già citato terzo comma
dell'art. 28 l. n. 118 del 1971.
Per la verità, la previsione di "forme di integrazione educativa"
atte a facilitare l'inserimento e la formazione degli handicappati
anche in tale ordine di scuola è diffusamente presente al livello di
legislazione regionale (cfr., in particolare, l. r. Veneto 8 maggio
1980, n. 46; l.r. Friuli-Venezia Giulia 21 dicembre 1981, n. 87; l.r.
Sicilia 18 aprile 1981, n. 68; l.r. Calabria 3 settembre 1984, n. 28;
ecc.).
Spazi per concrete iniziative di inserimento dei portatori di
handicaps nelle scuole superiori sono inoltre individuabili nella
definizione normativa dei compiti degli organi collegiali della
scuola (cfr. d.P.R. 31 maggio 1974, n. 416, artt. 3, 6, 12 e 15).
Specifiche prescrizioni in tal senso sono inoltre contenute nelle
circolari ministeriali nn.129 del 28 aprile 1982 e 163 del 16 giugno
1983 (quest'ultima relativa alle prove di esame di maturità da parte
di candidati portatori di handicaps).
Nell'ottava e nella nona legislatura, infine, sono state assunte
molteplici iniziative legislative volte a disciplinare la frequenza,
da parte degli handicappati, delle scuole secondarie superiori e
dell'università, con la previsione di misure atte a realizzarla
concretamente: ma esse non sono riuscite a tradursi in provvedimenti
legislativi.
3. - Al fine di puntualizzare l'oggetto del presente giudizio di
costituzionalità, giova ricordare che il giudice rimettente, nel
dare inizialmente conto delle prospettazioni della parte privata,
sembra lamentare (senza però fare inequivocabilmente propria la
censura) che le disposizioni di cui al secondo e terzo comma
dell'art. 28 l. n. 118 del 1971 concernano solo i mutilati ed
invalidi civili, e ne siano viceversa esclusi i portatori di
handicaps.
Così intesa, la questione muoverebbe però da un erroneo
presupposto. Dispone invero l'art. 2, secondo comma, di tale testo
legislativo che "Agli effetti della presente legge, si considerano
mutilati ed invalidi civili i cittadini affetti da minorazioni
congenite o acquisite, anche a carattere progressivo, compresi gli
irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico o
dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali
e funzionali che abbiano subìto una riduzione permanente della
capacità lavorativa non inferiore ad un terzo o, se minori di anni
18, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le
funzioni proprie della loro età"; ed è pacifico in dottrina e
giurisprudenza che in tale ampia nozione sono ricompresi i soggetti
affetti da menomazioni fisiche, psichiche e sensoriali comportanti
sensibili difficoltà di sviluppo, apprendimento ed inserimento nella
vita lavorativa e sociale, cui il concetto di "portatore di
handicaps" comunemente si riferisce (anche se al riguardo non esiste,
allo stato - salvo che in talune leggi regionali - una precisa
definizione legislativa).
Dopo il suddetto cenno iniziale, peraltro, l'ordinanza di
rimessione prosegue con una diffusa esposizione della soprarichiamata
normativa in materia e nella parte finale incentra le proprie censure
sulla genericità della previsione di cui all'impugnato art. 28,
lamentando la carenza di disposizioni, quali quelle di cui alle
citate leggi nn. 517 del 1977 e 270 del 1982, idonee a garantire ai
portatori di handicaps, con la predisposizione di strumenti all'uopo
idonei, la frequenza della scuola secondaria superiore.
La questione dedotta investe, perciò, il terzo comma del citato
art. 28, in quanto, limitandosi a disporre che "sarà facilitata"
tale frequenza, non assicura l'effettiva e concreta realizzazione di
tale diritto: nel che il giudice rimettente ravvisa una violazione
degli artt. 3, 30, 31 e 34 Cost.
4. - La disposizione impugnata ha indubbiamente un contenuto
esclusivamente programmatorio, limitandosi ad esprimere solo un
generico impegno ed un semplice rinvio ad imprecisate e future
facilitazioni. Il suo tenore non è perciò idoneo a conferire
certezza alla condizione giuridica dell'handicappato aspirante alla
frequenza della scuola secondaria superiore; a garantirla, cioè,
come diritto pieno pur ove non sussistano (come nel caso oggetto del
giudizio a quo) le condizioni che - se concretamente verificate - ne
limitano la fruizione per la scuola dell'obbligo a termini del
precedente secondo comma del medesimo articolo. Per la scuola
secondaria superiore, inoltre, non solo mancano norme che apprestino
gli strumenti atti a corredare tale diritto di opportuni supporti
organizzativi e specialistici - come avviene per la scuola
dell'obbligo ai sensi dei richiamati articoli delle leggi nn. 517 del
1977 e 270 del 1982 -; ma la disposizione impugnata, non è, per la
sua formulazione, idonea a costituire il fondamento cogente né della
disciplina, che - pur se in modo parziale e disorganico - è stata
finora emanata a livello di normazione regionale o secondaria, né
delle iniziative che sul piano della gestione concreta competono,
come si è detto, agli organi scolastici.
5. - La questione, nei termini anzidetti, è fondata.
Per valutare la condizione giuridica dei portatori di handicaps in
riferimento all'istituzione scolastica occorre innanzitutto
considerare, da un lato, che è ormai superata in sede scientifica la
concezione di una loro radicale irrecuperabilità, dall'altro che
l'inserimento e l'integrazione nella scuola ha fondamentale
importanza al fine di favorire il recupero di tali soggetti. La
partecipazione al processo educativo con insegnanti e compagni
normodotati costituisce, infatti, un rilevante fattore di
socializzazione e può contribuire in modo decisivo a stimolare le
potenzialità dello svantaggiato, al dispiegarsi cioè di quelle
sollecitazioni psicologiche atte a migliorare i processi di
apprendimento, di comunicazione e di relazione attraverso la
progressiva riduzione dei condizionamenti indotti dalla minorazione.
Insieme alle pratiche di cura e riabilitazione ed al proficuo
inserimento nella famiglia, la frequenza scolastica è dunque un
essenziale fattore di recupero del portatore di handicaps e di
superamento della sua emarginazione, in un complesso intreccio in cui
ciascuno di tali elementi interagisce sull'altro e, se ha evoluzione
positiva, può operare in funzione sinergica ai fini del complessivo
sviluppo della personalità.
Da siffatto ordine concettuale ha indubbiamente preso le mosse il
legislatore ordinario allorquando, con le già richiamate
disposizioni delle leggi del 1971 e 1977, ha da un lato previsto
l'inserimento in via di principio dei minorati nella normale scuola
dell'obbligo - onde evitare i possibili effetti di segregazione ed
isolamento ed i connessi rischi di regressione - dall'altro ha
concepito le forme di integrazione, sostegno ed assistenza ivi
previste come strumenti preordinati ad agevolare non solo
l'attuazione del diritto allo studio ma anche la piena formazione
della personalità degli alunni handicappati.
Ora, è innegabile che le esigenze di apprendimento e
socializzazione che rendono proficua a questo fine la frequenza
scolastica non vengono meno col compimento della scuola dell'obbligo;
anzi, proprio perché si tratta di complessi e delicati processi nei
quali il portatore di handicaps incontra particolari difficoltà, è
evidente che una loro artificiosa interruzione, facendo mancare uno
dei fattori favorenti lo sviluppo della personalità, può comportare
rischi di arresto di questo, quando non di regressione.
Altrettanto innegabile è, d'altra parte, che l'apprendimento e
l'integrazione nella scuola sono, a loro volta, funzionali ad un più
pieno inserimento dell'handicappato nella società e nel mondo del
lavoro; e che lo stesso svolgimento di attività professionali più
qualificate di quelle attingibili col mero titolo della scuola
dell'obbligo - e quindi il compimento degli studi inferiori - può
favorire un più ricco sviluppo delle potenzialità del giovane
svantaggiato e quindi avvicinarlo alla meta della piena integrazione
sociale.
6. - Dalle considerazioni ora svolte è agevole arguire come sul
tema della condizione giuridica del portatore di handicaps
confluiscono un complesso di valori che attingono ai fondamentali
motivi ispiratori del disegno costituzionale; e che,
conseguentemente, il canone ermeneutico da impiegare in siffatta
materia è essenzialmente dato dall'interrelazione e integrazione tra
i precetti in cui quei valori trovano espressione e tutela.
Statuendo che "la scuola è aperta a tutti", e con ciò
riconoscendo in via generale l'istruzione come diritto di tutti i
cittadini, l'art. 34, primo comma, Cost. pone un principio nel quale
la basilare garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo "nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità" apprestata
dall'art. 2 Cost. trova espressione in riferimento a quella
formazione sociale che è la comunità scolastica. L'art. 2 poi, si
raccorda e si integra con l'altra norma, pure fondamentale, di cui
all'art. 3, secondo comma, che richiede il superamento delle
sperequazioni di situazioni sia economiche che sociali suscettibili
di ostacolare il pieno sviluppo delle persone dei cittadini.
Lette alla luce di questi principi fondamentali, le successive
disposizioni contenute nell'art. 34 palesano il significato di
garantire il diritto all'istruzione malgrado ogni possibile ostacolo
che di fatto impedisca il pieno sviluppo della persona.
L'effettività dell'istruzione dell'obbligo è, nel secondo comma,
garantita dalla sua gratuità; quella dell'istruzione superiore è
garantita anche a chi, capace e meritevole, sia privo di mezzi,
mediante borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze
(terzo e quarto comma). In tali disposizioni, l'accento è
essenzialmente posto sugli ostacoli di ordine economico, giacché il
Costituente era ben consapevole che è principalmente in queste che
trova radice la disuguaglianza delle posizioni di partenza e che era
perciò indispensabile dettare al riguardo espresse prescrizioni
idonee a garantire l'effettività del principio di cui al primo
comma. Ciò però non significa che l'applicazione di questo possa
incontrare limiti in ostacoli di altro ordine, la cui rimozione è
postulata in via generale come compito della Repubblica nelle
disposizioni di cui agli artt. 2 e 3, secondo comma: sostenere ciò
significherebbe sottacere il fatto evidente che l'inserimento nella
scuola e l'acquisizione di una compiuta istruzione sono strumento
fondamentale per quel "pieno sviluppo della persona umana" che tali
disposizioni additano come meta da raggiungere.
In particolare, assumere che il riferimento ai "capaci e
meritevoli" contenuto nel terzo comma dell'art. 34 comporti
l'esclusione dall'istruzione superiore degli handicappati in quanto
"incapaci" equivarrebbe a postulare come dato insormontabile una
disuguaglianza di fatto rispetto alla quale è invece doveroso
apprestare gli strumenti idonei a rimuoverla, tra i quali è appunto
fondamentale - per quanto si è già detto - l'effettivo inserimento
di tali soggetti nella scuola.
Per costoro, d'altra parte, capacità e merito vanno valutati
secondo parametri peculiari, adeguati alle rispettive
situazioni di minorazione, come le stesse circolari ministeriali
dianzi citate si sono in certa misura sforzate di prescrivere
(cfr. par. 2); ed il precludere ad essi l'inserimento negli istituti
d'istruzione superiore in base ad una presunzione di
incapacità - soprattutto, senza aver preventivamente predisposto gli
strumenti (cioè le "altre provvidenze" di cui
all'art. 34, quarto comma) idonei a sopperire all'iniziale posizione
di svantaggio - significherebbe non solo assumere
come insuperabili ostacoli che è invece doveroso tentare di
eliminare, o almeno attenuare, ma dare per dimostrato ciò
che va invece concretamente verificato e sperimentato onde assicurare
pari opportunità a tutti, e quindi anche ai
soggetti in questione. Inoltre, se l'obiettivo è quello di garantire
per tutti il pieno sviluppo della persona e se, dunque, compito della
Repubblica è apprestare i mezzi per raggiungerlo, non v'ha dubbio
che alle condizioni di minorazione che tale sviluppo ostacolano debba
prestarsi speciale attenzione e che in quest'ottica vadano
individuati i compiti della scuola quale fondamentale istituzione
deputata a tal fine. Di ciò si è mostrato consapevole il
legislatore ordinario, che non a caso nelle leggi del 1971 e 1977
dianzi citate ha al riguardo congiuntamente indicato i fini
dell'"istruzione" e della "piena formazione della personalità"
(ovvero - il che è lo stesso - quelli dell'"apprendimento" e
dell'"inserimento"), inquadrando in tale contesto le specifiche
disposizioni dettate in favore dei minorati. Che poi ai medesimi
compiti sia deputata anche l'istruzione superiore è dimostrato,
prima ancora che da specifiche disposizioni in tal senso (cfr. d.P.R.
31 maggio 1974, n. 417, artt. 1 e 2), dall'ovvia constatazione che
essa stessa è strumento di piena formazione della personalità.
7. - Per i minorati, d'altra parte - a dimostrazione della
speciale considerazione di cui devono essere oggetto - il
perseguimento dell'obiettivo ora indicato non è stato dal
Costituente rimesso alle sole disposizioni generali. L'art. 38, terzo
comma, prescrive infatti che "gli inabili ed i minorati hanno diritto
all'educazione ed all'avviamento professionale". Attesa la chiara
formulazione della norma, che sancisce un duplice diritto, non
potrebbe dedursi dalla sua collocazione nel titolo dedicato ai
rapporti economici che essa garantisca l'educazione solo in quanto
funzionale alla formazione professionale e che quindi solo per questa
via sia a tali soggetti assicurato l'inserimento nella vita
produttiva: se così fosse, il primo termine sarebbe evidentemente
superfluo. Certo, la seconda garanzia - che nei confronti dei
portatori di handicaps trova specifica attuazione nella legge quadro
in materia di formazione professionale, attraverso la prescrizione
alle regioni di "idonei interventi" atti ad "assicurarne il completo
inserimento nell'attività formativa e favorirne l'integrazione
sociale": art. 3, lett. m), l. n. 845 del 1978 - ha per costoro
fondamentale importanza, specie per quei casi di handicaps gravi o
gravissimi per i quali risulti concretamente impossibile
l'apprendimento e l'integrazione nella scuola secondaria superiore:
impedimenti che peraltro - alla stregua di quanto s'è detto, ed in
coerenza con quanto chiaramente prescrive, per la scuola
dell'obbligo, l'art. 28 della legge n. 118 del 1971 - vanno valutati
esclusivamente in riferimento all'interesse dell'handicappato e non a
quello ipoteticamente contrapposto della comunità scolastica,
misurati su entrambi gli anzidetti parametri (apprendimento ed
inserimento) e non solo sul primo e concretamente verificati alla
stregua di già predisposte strutture di sostegno, senza cioè che la
loro permanenza possa imputarsi alla carenza di queste.
Se, quindi, l'educazione che deve essere garantita ai minorati ai
sensi del terzo comma dell'art. 38 è cosa diversa da quella
propedeutica o inerente alla formazione professionale - che si
rivolge a chi ha assolto l'obbligo scolastico o ne è stato
prosciolto (art. 2, secondo comma, legge n. 845 del 1978 cit.) - è
giocoforza ritenere che la disposizione sia da riferire
all'educazione conseguibile anche attraverso l'istruzione superiore.
Benché non si esaurisca in ciò, l'educazione è infatti "l'effetto
finale complessivo e formativo della persona in tutti i suoi aspetti"
che consegue all'insegnamento ed all'istruzione con questo acquisita
(cfr. sent. n. 7 del 1967).
Sotto quest'aspetto, dunque, la disposizione in discorso integra e
specifica quella contenuta nell'art. 34, per quanto concerne
l'istruzione che va garantita ai minorati; e la sua collocazione nel
III, anziché nel II titolo della I parte della Costituzione ben si
giustifica coll'essere l'istruzione in questione finalizzata anche
all'inserimento di tali soggetti nel mondo del lavoro.
Garantire a minorati ed invalidi tale possibilità anche
attraverso l'istruzione superiore corrisponde perciò ad una precisa
direttiva costituzionale: e non a caso questa Corte, decidendo in
ordine ad una situazione per molti versi analoga, nella quale era
stato posto in discussione il rapporto tra il cittadino invalido e il
suo inserimento nel mondo del lavoro, ha affermato (sent. n. 163 del
1983) che "non sono costituzionalmente, oltreché moralmente
ammissibili esclusioni e limitazioni dirette a relegare sul piano di
isolamento e di assurda discriminazione soggetti che, particolarmente
colpiti nella loro efficienza fisica e mentale, hanno invece pieno
diritto di inserirsi nel mondo del lavoro".
8. - Ciò che va ancora sottolineato, poi, è che, onde garantire
l'effettività del diritto all'educazione (nel senso ora precisato)
di minorati ed invalidi - e quindi dei portatori di handicaps - lo
stesso art. 38 dispone, al quarto comma, che ai compiti a ciò
inerenti debbano provvedere "organi ed istituti predisposti o
integrati dallo Stato". Ciò, per un verso, evidenzia la doverosità
delle misure di integrazione e sostegno idonee a consentire ai
portatori di handicaps la frequenza degli istituti d'istruzione anche
superiore: dimostrando, tra l'altro, che è attraverso questi
strumenti, e non col sacrificio del diritto di quelli, che va
realizzata la composizione tra la fruizione di tale diritto e le
esigenze di funzionalità del servizio scolastico.
Per altro verso, la disposizione pone in risalto come
all'assolvimento di tali compiti siano deputati primariamente gli
organi pubblici. Di ciò si ha, sotto altro e più generale profilo,
significativa conferma nella disposizione di cui all'art. 31, primo
comma, Cost., che, facendo carico a tali organi di agevolare, con
misure economiche e "altre provvidenze", l'assolvimento dei compiti
della famiglia - tra i quali è quello dell'istruzione ed educazione
dei figli (art. 30) - presuppone che esso possa per vari motivi
risultare difficoltoso: ed è evidente che se vi è un settore in cui
la dedizione della famiglia può risultare in concreto inadeguata,
esso è proprio quello dell'educazione e sostegno dei figli
handicappati. Ciò dà la misura dell'impegno che in tale campo è
richiesto tanto allo Stato quanto alle Regioni, alle quali ultime
spetta in particolare provvedere, con i necessari supporti,
all'assistenza scolastica in favore dei "minorati psico-fisici" (art.
42 d.P.R. n. 616 del 1977).
Nello stesso senso depongono, del resto, i compiti posti alla
Repubblica dall'art. 32 Cost., atteso l'ausilio al superamento od
attenuazione degli handicaps (ovvero ad evitare interruzioni di tali
positive evoluzioni) che può essere fornito, come si è già detto,
dall'integrazione negli istituti d'istruzione superiore: non a caso
la legge di riforma sanitaria n. 833 del 1978 pone l'obiettivo, tra
l'altro, della "promozione della salute nell'età evolutiva...
favorendo con ogni mezzo l'integrazione dei soggetti handicappati"
(art. 2, secondo comma, lett. d).
9. - Alla stregua delle suesposte considerazioni, l'art. 28, terzo
comma, della legge n. 118 del 1971 va dichiarato costituzionalmente
illegittimo nella parte in cui, in riferimento ai soggetti portatori
di handicaps, prevede che "Sarà facilitata", anziché disporre che
"È assicurata", la frequenza alle scuole medie superiori.
In questo modo, la disposizione acquista valore immediatamente
precettivo e cogente, ed impone perciò ai competenti organi
scolastici sia di non frapporre a tale frequenza impedimenti non
consentiti alla stregua delle precisazioni sopra svolte, sia di dare
attuazione alle misure che, in virtù dei poteri-doveri loro
istituzionalmente attribuiti, ovvero dell'esistente normazione
regionale, secondaria o amministrativa (cfr. par. 2), possano già
allo stato essere da essi concretizzate o promosse.
Spetta ovviamente al legislatore il compito - la cui importanza ed
urgenza è sottolineata dalle considerazioni sopra svolte - di
dettare nell'ambito della propria discrezionalità una compiuta
disciplina idonea a dare organica soluzione a tale rilevante problema
umano e sociale.