Titolo
SENT. 164/85 A. GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE - ORDINANZA DEL GIUDICE A QUO - ALTERNATIVITA' DEI PARAMETRI COSTITUZIONALI INVOCATI - DIVERSE VALUTAZIONI COSTITUZIONALI DI UN'UNICA, BEN DETERMINATA NORMATIVA - DIFFERENZA DALL'IPOTESI DI DUE INTERPRETAZIONI ALTERNATIVE DELLA LEGGE ORDINARIA - AMMISSIBILITA' DELLE QUESTIONI.
Testo
Sono ammissibili le questioni di legittimita' costituzionale quando con l'ordinanza di rimessione si sottopongono al vaglio della Corte non gia' due interpretazioni alternative della legge ordinaria, omettendo cosi' di operare la necessaria scelta della norma ritenuta applicabile nel caso concreto, bensi' diverse valutazioni costituzionali di un'unica, ben determinata normativa. Pertanto, non rileva che il giudice a quo prospetti il duplice dubbio in termini di "alternativita'" dei parametri costituzionali invocati, trattandosi pur sempre di questioni chiaramente distinte che vanno, quindi, affrontate secondo gli schemi consueti alla Corte, allorche' una stessa norma sia censurata con contemporaneo riferimento a piu' precetti costituzionali. - Sulla inammissibilita' di questioni che prospettano interpretazioni alternative della norma impugnata, v. O. nn. 225/1983; 30/1984 e 182/1984.
Titolo
SENT. 164/85 B. SERVIZIO MILITARE - OBIEZIONE DI COSCIENZA - PRESTAZIONI PERSONALI DI PORTATA EQUIVALENTE AL SERVIZIO MILITARE ARMATO - DEROGA AL DOVERE DI DIFESA DELLA PATRIA - ESCLUSIONE - ASSUNTA VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA E DEL DOVERE INDEROGABILE DEL CITTADINO DI DIFENDERE LA PATRIA - NON FONDATEZZA DELLA QUESTIONE.
Testo
Non e' esatto che l'obbligo di prestare servizio militare armato sia un dovere di solidarieta' politica inderogabile per tutti i cittadini: viceversa, inderogabile dovere per tutti i cittadini e' la difesa della Patria, cui il servizio militare obbligatorio si ricollega, pur differenziandosene concettualmente ed istituzionalmente. Cosicche', mentre nessuna legge potrebbe esentare dal dovere di difesa della Patria previsto dall'art. 52, primo comma, Cost., in conformita' del secondo comma dello stesso articolo, il servizio militare e' obbligatorio nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge ordinaria, purche' non siano violati altri precetti costituzionali. E la normativa di cui alla legge 15 dicembre 1972, n. 772, sul riconoscimento dell'obiezione di coscienza, prevedendo per gli obbligati alla leva la possibilita' di venire ammessi a prestare, in luogo del servizio militare armato, servizio militare non armato o servizio sostitutivo civile, non si traduce in una deroga al dovere di difesa della Patria, poiche' il servizio militare armato puo' essere sostituito con altre prestazioni personali di portata equivalente, riconducibili anch'esse all'idea di difesa della Patria. (Non fondatezza - in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, e 52 Cost. - della questione di legittimita' costituzionale di detta legge). - S. n. 53/1967.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 2
Costituzione
art. 3
co. 1
Costituzione
art. 52
Riferimenti normativi
legge
15/12/1972
n. 772
art. 0
co. 0
Titolo
SENT. 164/85 C. DIFESA DELLA PATRIA - INDEROGABILITA' DEL RELATIVO DOVERE - CONTENUTO - NON SI ESAURISCE NELL'OBBLIGO DI PRESTARE SERVIZIO MILITARE - RICONOSCIMENTO DELL'OBIEZIONE DI COSCIENZA - SERVIZI SOSTITUTIVI CIVILI - DEROGA AL PRECETTO COSTITUZIONALE - ESCLUSIONE.
Testo
La difesa della Patria - che e' condizione prima della conservazione della comunita' nazionale - rappresenta, per tutti i cittadini, senza esclusioni, un dovere inderogabile, collocato al di sopra di tutti gli altri, cosicche' esso trascende e supera lo stesso dovere del servizio militare. Tale servizio, nel quale quindi non si esaurisce, per i cittadini, il dovere "sacro" di difesa della Patria, e' obbligatorio "nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge", purche' non siano violati altri precetti costituzionali. Pertanto, la possibilita' prevista dalla legge 15 dicembre 1972, n. 772, sul riconoscimento della obiezione di coscienza, per gli obbligati alla leva di venire ammessi a prestare, in luogo del servizio militare armato, servizio militare non armato o servizio sostitutivo civile, non si traduce assolutamente in una deroga al dovere di difesa della Patria, ben suscettibile di adempimento attraverso la prestazione di adeguati comportamenti di impegno sociale non armato.
Titolo
SENT. 164/85 D. SERVIZIO MILITARE - OBIEZIONE DI COSCIENZA - VERIFICHE ED ACCERTAMENTI - ASSUNTA VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA E DEI DIRITTI INVIOLABILI DELL'UOMO DI PROFESSARE LIBERAMENTE LA PROPRIA FEDE RELIGIOSA E DI MANIFESTARE IN PIENA LIBERTA' IL PROPRIO PENSIERO - PROBLEMI CONCERNENTI IL RISPETTO DELLA COSCIENZA INDIVIDUALE - INCERTEZZA ED ILLOGICITA' DEL PETITUM - INAMMISSIBILITA' DELLA QUESTIONE.
Testo
E' inammissibile la questione di legittimita' costituzionale allorche' la prospettazione del thema decidendum appare incoerente, se non addirittura contraddittoria, con inevitabili riverberi negativi sul petitum, cosi' da renderne i contorni incerti o, al limite, illogici. (Inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale della legge 15 dicembre 1972, n. 772, sull'obiezione di coscienza, sollevata - in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 19 e 21, primo comma, Cost. - sotto il profilo che, ove la difesa della Patria non debba essere ritenuta un inderogabile dovere per tutti i cittadini, non vi sarebbe ragione per affermare che l'esigenza fondamentale di rispettare le coscienze individuali debba riguardare solo coloro che abbiano fatto professione pubblica di certe convinzioni etiche, trattandosi di questione mal posta, perche' se riferita alla sola parte della legge che individua modi e procedure per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza, omette di indicare le norme impugnate, mentre se riferita all'intera legge, la caducazione di questa verrebbe a privare del riconoscimento dell'obiezione di coscienza anche coloro i quali ne possono, al momento, beneficiare solo che manifestino le proprie convinzioni al riguardo). - S. nn. 67/1984 e 269/1984.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 2
Costituzione
art. 3
co. 1
Costituzione
art. 19
Costituzione
art. 21
co. 1
Riferimenti normativi
legge
15/12/1972
n. 772
art. 0
co. 0
Titolo
SENT. 164/85 E. SERVIZIO MILITARE - OBIEZIONE DI COSCIENZA - PRESENTAZIONE DELLA DOMANDA PER IL RICONOSCIMENTO - MANCATA PREFISSIONE DI UN TERMINE PERENTORIO PER LA DECISIONE - PRETESA VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA - VALUTAZIONE DELLA RILEVANZA - MOTIVAZIONE FORMULATA ESCLUSIVAMENTE "PER RELATIONEM" - INSUFFICIENZA - INAMMISSIBILITA' DELLA QUESTIONE.
Testo
E' inammissibile la questione di legittimita' costituzionale che il giudice a quo si limita a sollevare "nei medesimi termini" di altre ordinanze dello stesso o di altro giudice, risultando indiscutibile la carenza di motivazione, non bastando ad assolvere il relativo onere una motivazione formulata esclusivamente per relationem. (Inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, sulla obiezione di coscienza, nella parte in cui non prefisserebbe un termine perentorio per la decisione sulla relativa istanza di riconoscimento, sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. da un'ordinanza motivata unicamente per relationem). - v., da ultimo, O. nn. 7/1985 e 23/1985.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Riferimenti normativi
legge
15/12/1972
n. 772
art. 3
co. 2
Titolo
SENT. 164/85 F. SERVIZIO MILITARE - OBIEZIONE DI COSCIENZA - PRESENTAZIONE DELLA DOMANDA PER IL RICONOSCIMENTO - MANCATA PREFISSIONE DI UN TERMINE PERENTORIO PER LA DECISIONE - PRETESA VIOLAZIONE DEI PRINCIPI DI EGUAGLIANZA E DEL BUON ANDAMENTO ED IMPARZIALITA' DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - INSUSSISTENZA - NATURA PERENTORIA DEL TERMINE PREVISTO DALLA LEGGE - EFFETTI - POTERE DEL RICHIEDENTE DI ATTIVARE LA PROCEDURA PER IL SILENZIO - RIFIUTO - INIZIO DEL SERVIZIO SOSTITUTIVO CIVILE ED INIZIO DEL SERVIZIO MILITARE ARMATO - NON OMOGENEITA' DELLE SITUAZIONI POSTE A CONFRONTO - NON FONDATEZZA DELLA QUESTIONE, NEI SENSI DI CUI IN MOTIVAZIONE.
Testo
Secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa e' utilizzabile, anche con riguardo al procedimento di ammissione al servizio sostitutivo civile, il meccanismo, operante in via generale, dell'istanza-diffida ai fini della formazione del silenzio-rifiuto. Alla determinazione legale del termine di sei mesi viene cosi' riconosciuto un duplice effetto: da un lato, quello di impedire, nell'interesse del buon andamento degli uffici, che, prima della scadenza di esso, l'amministrazione possa essere messa in mora ai fini della formazione del silenzio- rifiuto, e, dall'altro, quello di fissare il momento a partire dal quale il richiedente puo' subito attivare la procedura per la formazione del silenzio-rifiuto, onde ottenere entro una scadenza predeterminabile l'accesso alla tutela giurisdizionale, per sentir dichiarare in sede di giudizio cognitorio l'obbligo dell'Amministrazione di decidere sull'istanza e, nel caso di persistente inerzia, per veder successivamente assumere in sede di giudizio di ottemperanza le necessarie misure coattive. Di conseguenza, detto termine non puo' essere considerato meramente ordinatorio, anche se non e' possibile pretendere una completa parita' con il servizio militare armato anche per quanto riguarda il momento iniziale del servizio, non potendo certamente dirsi omogenee le situazioni messe a confronto, basate come sono, rispettivamente, sull'automatismo dell'avvio al servizio armato e sulla necessita' di una domanda motivata (peraltro meramente eventuale e, quindi, non preventivabile) da parte dell'interessato per l'ammissione al servizio sostitutivo civile. (Non fondatezza, nei sensi di cui in motivazione, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma secondo, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, nella parte in cui, stabilendo che il Ministro decide entro sei mesi dalla presentazione della domanda, non prevederebbe un termine perentorio per decidere sulla stessa).
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Costituzione
art. 97
co. 1
Riferimenti normativi
legge
15/12/1972
n. 772
art. 3
co. 2
Titolo
SENT. 164/85 G. SERVIZIO MILITARE - OBIEZIONE DI COSCIENZA - ISTITUZIONE DI UNA COMMISSIONE CONSULTIVA - SOLLECITAZIONE ALLA CORTE A SOLLEVARE D'UFFICIO QUESTIONE DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE - VALUTAZIONE DEI PRESUPPOSTI NECESSARI - NON INCIDENZA SULLA DEFINIZIONE DELLE QUESTIONI POSTE DAL GIUDICE A QUO.
Testo
La Corte non puo' sollevare d'ufficio le questioni di legittimita' costituzionale ove facciano difetto i presupposti di incidentalita' necessari, cioe' quando le norme impugnate non influiscano sulla risoluzione dei quesiti posti dal giudice a quo. (Nella specie, la Corte non ha ritenuto di accogliere la sollecitazione della parte privata ad esaminare anche la questione di legittimita' costituzionale dell'art.3, primo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, sulla obiezione di coscienza, nella parte in cui prevede la istituzione di una commissione consultiva - con riferimento agli artt. 2, 3, 15, 19 e 21 Cost. -, attesoche' la norma relativa al parere della commissione non incideva sulle questioni di portata generale, senz'altro pregiudiziali rispetto a quelle riguardanti singoli punti della detta legge, ne' sulla questione concernente l'art. 3, secondo comma, della stessa, in quanto con essa si era contestata non la durata del termine, ma la sua sostanziale indeterminatezza). - S. nn. 29/1964; 383/1973 e 122/1976.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 2
Costituzione
art. 3
Costituzione
art. 15
Costituzione
art. 19
Costituzione
art. 21
Riferimenti normativi
legge
15/12/1972
n. 772
art. 3
co. 1
N. 164
SENTENZA 6 MAGGIO 1985
Deposito in cancelleria: 24 maggio 1985.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 131 bis del 5 giugno 1985.
Pres. ELIA - Rel. CONSO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. LEOPOLDO ELIA, Presidente - Prof.
GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Prof. ANTONIO
LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI - Prof. GIUSEPPE FERRARI - Dott.
FRANCESCO SAJA - Prof. GIOVANNI CONSO - Prof. ETTORE GALLO - Dott. ALDO
CORASANITI - Prof. GIUSEPPE BORZELLINO - Dott. FRANCESCO GRECO,
Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della legge 15
dicembre 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento dell'obiezione di
coscienza), e successive modificazioni e integrazioni, promossi con le
seguenti ordinanze:
1) due ordinanze emesse l'11 luglio 1978 dal T.A.R. per il Piemonte
sui ricorsi di Loccisano Elio e Masino Roberto contro il Ministero
della difesa, iscritte ai nn. 357 e 358 del registro ordinanze 1979 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 175 dell'anno
1979;
2) ordinanza emessa il 15 aprile 1980 dal T.A.R. per il Piemonte
sul ricorso proposto da Mulone Edoardo contro il Ministero della
difesa, iscritta al n. 727 del registro ordinanze 1980 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 345 dell'anno 1980;
3) sette ordinanze emesse il 14 luglio 1981 dal T.A.R, per il
Piemonte sui ricorsi proposti da Cornaglia Raimondo, Imperato Tobia,
Marongiu Marco, Vecchi Valerio, Rizzi Angelo, Carpino Rossi Giancarlo e
Lovaglio Mario contro il Ministero della difesa, iscritte ai nn. da 849
a 855 del registro ordinanze 1982 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica nn. 94 e 121 dell'anno 1983.
Visti gli atti di costituzione di Loccisano Elio e di Masino
Roberto, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 5 marzo 1985 il Giudice relatore
Giovanni Conso;
uditi l'avv. Mauro Mellini per Loccisano Elio e l'Avvocato dello
Stato Franco Chiarotti per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
1. - Il Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, con due
ordinanze (di identico contenuto) emesse l'11 luglio 1978 (r.o. n. 357
e n. 358 del 1979) nei procedimenti instaurati a seguito dei ricorsi
proposti da Loccisano Elio e Masino Roberto contro il Ministero della
difesa che aveva respinto la loro domanda intesa ad ottenere il
riconoscimento dell'obiezione di coscienza, ha denunciato, in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, l'illegittimità dell'art.
3, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, nella parte in
cui stabilisce che il Ministro della difesa decide sulla domanda
diretta ad "essere ammessi a soddisfare l'obbligo del servizio militare
nei modi previsti dalla legge per il riconoscimento dell'obiezione di
coscienza" entro sei mesi dalla presentazione della domanda, senza
prevedere che tale termine debba qualificarsi "perentorio".
Premette il giudice a quo che, nulla precisando la legge "col
definire il carattere del termine e col disciplinare gli effetti della
sua inosservanza", il termine previsto dalla norma impugnata deve, alta
stregua della costante giurisprudenza amministrativa, considerarsi
"ordinatorio".
Una diversa natura di tale termine non potrebbe, peraltro,
ricavarsi dalla logica del sistema, giacché il criterio logico "non
può condurre oltre l'esclusione nel sistema della legge n. 772 del
1972 della configurabilità di un silenzio rifiuto, non consentendo
però certamente di ricavare un'ipotesi implicita di silenzio
accoglimento e neppure un'ipotesi di decadenza del potere del ministro
per la difesa di pronunciarsi sulla domanda allorché sia decorso il
termine di sei mesi dalla presentazione della stessa".
I principi generali del diritto amministrativo, prosegue il giudice
a quo, inducono a considerare del tutto eccezionali le ipotesi in cui
il silenzio dell'amministrazione possa produrre effetti di
provvedimento, sia pure di contenuto negativo; donde l'esclusione - in
assenza di norme che ricollegano a meri accadimenti l'effetto di
provvedimenti - della configurabilità di un'ipotesi di
silenzio-rifiuto e, "a maggior ragione", di silenzio-accoglimento
(quest'ultima in base ad arbitrarie estensioni analogiche di
fattispecie eccezionali come quella di cui all'art. 12 della stessa
legge n. 772 del 1972); e ciò in quanto "solo il legislatore potrebbe
sovvertire in materia la logica interna del sistema, collegando effetti
che normalmente sono collegati a provvedimenti, a semplici accadimenti,
quale l'inutile decorso di un termine".
Non potrebbe essere assegnato alla norma impugnata nemmeno
l'effetto di provocare la caducazione del potere ministeriale di
decidere, dato che, alla stregua dell'art. 3, terzo comma, della legge
n. 772 del 1972, nel caso di protrazione del termine ne deriverebbero
due conseguenze entrambe inaccettabili: da un lato, si protrarrebbe
l'effetto sospensivo della chiamata alle armi, dall'altro, il
richiedente sfuggirebbe tanto al servizio militare armato che al
servizio civile sostitutivo.
La decadenza del potere ministeriale di provvedere non potrebbe
nemmeno intendersi come decadenza del potere di pronunciarsi in senso
negativo: una simile interpretazione, infatti, oltre ad apparire, non
meno delle precedenti, carente di ogni base normativa, diverrebbe
incompatibile con l'esigenza di un'effettiva valutazione della
fondatezza e della validità dei motivi addotti dal richiedente e,
benché positiva, interverrebbe in un momento non determinabile a
priori dopo la scadenza dei sei mesi, comportando, "pur sempre, il
possibile verificarsi di quegli effetti sulla posizione soggettiva del
richiedente, che inducono... a sospettare di incostituzionalità la
norma di cui trattasi".
Posto, dunque, che al termine di cui al secondo comma dell'art. 3
legge n. 772 del 1972 deve attribuirsi carattere "ordinatorio", ne
consegue, ad avviso del giudice a quo, "il venir meno
dell'imprescindibile garanzia, per il cittadino soggetto agli obblighi
di leva, che sia contrario all'uso delle armi per motivi di coscienza,
di non restare - a differenza degli altri obbligati alla leva - per un
periodo indeterminabile alla mercé di circostanze esterne in attesa di
una decisione, imprevedibile anche nel quando, del Ministero per la
difesa in ordine all'accoglimento, o meno della domanda alla ammissione
al servizio militare non armato o servizio sostitutivo civile".
Una simile condizione di incertezza potrebbe divenire grave ed
irreparabile in un periodo decisivo della vita lavorativa del giovane,
posto, sostanzialmente, nella pratica impossibilità di programmare le
proprie scelte; al contempo, difficoltà amministrative od istruttorie
sarebbero in grado di fornire una fin troppo facile giustificazione
all'Amministrazione per procrastinare la propria determinazione, "sino
ad attuare eventuali comportamenti larvatamente vessatori in insanabile
conflitto con la stessa esigenza, costituzionalmente tutelata, di buon
funzionamento ed imparzialità degli uffici".
Inoltre, sempre a causa della non perentorietà del termine in
questione, potrebbero di fatto scaturire ulteriori ostacoli, non
calcolabili in anticipo nella loro reale portata, a danno del giovane
obbligato alla leva che voglia intraprendere il cammino (altrettanto
meritorio dal punto di vista dell'interesse pubblico) del servizio
civile, "difficoltà che verrebbero surrettiziamente ad aggiungersi a
quelle, già sensibili, espressamente e tassativamente previste dalla
legge in funzione della necessità di costituire elementi oggettivi di
verifica della sincerità della relativa vocazione".
In base alle considerazioni esposte, conclude il giudice a quo, una
tale situazione sembra fondatamente sospettabile di contrasto con
l'art. 3 della Costituzioine, "non apparendo rispettata (a causa della
mancata prefissazione da parte del 2 comma dell'art. 3 della legge n.
772 del 1972 di un termine perentorio al Ministro per la Difesa per
decidere sulla domanda di cui all'art. 2 della stessa legge) l'esigenza
che a parità di situazione di assoggettamento agli obblighi di leva
corrisponda una parità di trattamento in ordine all'effettiva
prevedibilità del momento della chiamata alla prestazione del servizio
militare non armato, o servizio sostitutivo civile, rispetto al momento
della chiamata alla prestazione del servizio militare armato".
Le ordinanze, ritualmente notificate e comunicate, sono state
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 175 del 27 giugno 1979.
Si sono costituiti nel presente giudizio tanto il Loccisano che il
Masino, il primo rappresentato dagli avvocati Alfredo Viterbo e Mauro
Mellini, il secondo dagli avvocati Bianca Guidetti Serra e Pier Claudio
Costanzo, con comparse di costituzione depositate il 24 gennaio 1979.
La difesa dei ricorrenti, dopo aver dedotto argomentazioni adesive
alla tesi esposta dalle ordinanze di rimessione, ha chiesto che venga
presa in esame anche la questione concernente la legittimità
costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3, 15, 19 e 21 Cost. e in
genere all'intero spirito della Carta costituzionale, dell'art. 3,
primo comma, della legge n. 772 del 1972, in base al quale il Ministro
della difesa, con proprio decreto, decide sulla domanda, sentito il
parere di una commissione circa la fondatezza e la sincerità dei
motivi addotti dal richiedente.
In entrambi i giudizi è intervenuta la Presidenza del Consiglio
dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Deduce l'Avvocatura che la invocata "parità di condizioni" tra il
giovane che si presenti alla leva senza porre problemi di obiezione di
coscienza ed il giovane che sollevi problemi del genere, non sussiste:
per il primo, infatti, dopo che venga accertata la sua idoneità
fisica, la prestazione effettiva del servizio inizierà con la chiamata
alle armi dello scaglione al quale appartiene; per l'obiettore di
coscienza "è da compiere, in più, un giudizio inteso a convincere che
la dedotta obiezione è fondata e sincera": solo dopo questo ulteriore
accertamento (che richiede tempi supplementari) il Ministro potrà
dispensare il richiedente dal servizio armato e disporre per
l'avviamento al servizio non armato, ovvero al servizio civile
sostitutivo, se richiesto.
Passando ad esaminare "i suggerimenti" proposti dall'ordinanza di
rimessione, volti a sopprimere - mediante la "trasformazione" del
termine "ordinatorio" in termine "perentorio" - la disparità di
disciplina tra le due categorie di soggetti chiamati alla leva,
l'Avvocatura manifesta "gravi perplessità" circa la "congruità" delle
soluzioni prescelte dal giudice a quo, che apparirebbero, nel contesto
dello stesso provvedimento, assolutamente contraddittorie.
Mentre nella prima parte dell'ordinanza, infatti, il giudice a quo
ha stigmatizzato gli effetti che la "perentorietà" del termine
(facendo venir meno il potere per l'amministrazione di procedere)
comporterebbe, nella seconda parte "quella stessa tesi che prima era
stata respinta perché avrebbe determinato conseguenze palesemente
inaccettabili, viene riproposta nei medesimi termini, e con giudizio di
non manifesta infondatezza, che è logicamente incompatibile con la
prima parte dell'ordinanza stessa". In ogni caso, la conversione
autoritativa del termine "ordinatorio" in termine "perentorio" non
arrecherebbe alcun vantaggio alla tutela giurisdizionale delle
posizioni soggettive: troverebbe sempre applicazione (pur essendo
attualmente variata la normativa alla quale deve farsi capo) l'istituto
del silenzio-rifiuto.
Inoltre, l'auspicata "perentorietà" del termine non determinerebbe
una posizione di vantaggio quanto alla tutela sostanziale
dell'interesse fatto valere in giudizio: occorrerebbe, in più, una
norma espressa, la quale annettesse alla decorrenza del termine
"perentorio" non il rigetto del ricorso amministrativo ovvero la
impugnabilità in sede giurisdizionale del silenzio sull'istanza
prodotta, ma statuisse che, decorso il semestre, si ha per accolta
l'istanza dell'obiettore di coscienza il quale abbia omesso di addurre
elementi probatori per iscritto ed abbia rifiutato di far conoscere,
sia pure a voce, gli imprescindibili motivi di coscienza per cui egli
è contrario all'uso delle armi.
Tutto ciò comporterebbe - oltre al travolgimento dei principi
relativi agli effetti giuridici dell'inerzia della pubblica
amministrazione - la conseguenza che sarebbe sufficiente la nuda
affermazione ed un contegno ostruzionistico in ordine alla rilevazione
degli imprescindibili motivi di coscienza per far sì che quella nuda
affermazione risulti provata juris et de jure, ponendosi così nel
nulla il "sacro" dovere di difendere la Patria con le armi.
2. - Il Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, chiamato a
decidere sul ricorso proposto da Mulone Edoardo diretto ad ottenere
l'annullamento del decreto del Ministro della difesa che aveva respinto
la domanda del ricorrente volta a fruire dei benefici della legge n.
772 del 1972, con ordinanza del 15 aprile 1980 (r.o. n. 727 del 1980)
ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge 15
dicembre 1972, n. 772, e delle successive modificazioni e integrazioni,
"perché, così come concepita e strutturata, quale corpo di norme
speciali, essa si rivela in contrasto, alternativamente, o nei
confronti degli artt. 2, 3 primo comma e 52 della Costituzione o nei
riguardi degli artt. 2, 3 primo comma, 19 e 21 primo comma della carta
costituzionale medesima".
Secondo il giudice a quo, "se ripugna alla coscienza civile ed
etica della nostra società che il cittadino debba dar conto delle
proprie convinzioni religiose, filosofiche e morali per evitare di
essere costretto al servizio militare, non si vede perché lo si debba
comunque obbligare a far dichiarazione o professione di fede pubblica
di tali convinzioni e non gli si consenta, invece, di esprimere in mera
libertà di pensiero la sua pura e semplice repulsione all'uso delle
armi".
Tuttavia, poiché la Costituzione non è solo fonte di diritti e
ausilio garantistico di libertà, ma pone ai componenti della comunità
associata dei doveri inderogabili e qualificanti del loro status
civitatis (tra i quali rientra il "sacro dovere" di difesa della Patria
e, conseguentemente, l'obbligatoria prestazione del servizio militare)
- doveri che non possono non rivolgersi a tutti i cittadini, i quali,
per il principio di eguaglianza, non sono pari soltanto nel fruire dei
diritti ma anche nell'adempiere ai doveri - ne consegue che il
principio di eguaglianza non potrebbe consentire di fare distinzione a
causa della religione, delle opinioni politiche e delle condizioni
personali e sociali dei cittadini.
Se è vero, perciò, che la Costituzione ripudia la guerra, vero è
altresì che essa chiama a raccolta tutti i cittadini in caso di
situazioni eccezionali e inevitabili: non v'è, del resto, ragione per
ritenere che "il travaglio di coscienza attanagli in tali circostanze
solo coloro che affermano (anche sinceramente) che l'uso personale
delle armi contrasta con le loro convinzioni religiose, filosofiche e
sociali e non anche coloro che non hanno magari mai fatto professione
pubblica di particolari convinzioni, ma hanno trascorso la loro vita
nella semplicità del lavoro, nell'amore della famiglia e
nell'educazione dei figli".
Ove, poi, "tenuto conto dell'ulteriore progredire del livello di
maturità culturale e civile del popolo negli ultimi trent'anni si
volesse ritenere che la difesa della Patria non è più dovere sacro
dei cittadini, perché è irrinunciabile l'esigenza fondamentale di
rispettare le coscienze individuali, allora non vi sarebbe ragione per
ritenere che tale salvaguardia dei valori dell'individuo debba
riguardare solo alcuni, coloro che abbiano fatto professione pubblica
di certe convinzioni etiche, e non abbracciare anche tutti coloro che,
per il loro maggiore impegno nella vita sociale o semplicemente perché
meno dotati di nozioni culturali o virtù dialettiche, non rendono, è
vero, di dominio pubblico le loro più intime convinzioni, ma non per
questo sono meno turbati nell'intimo della coscienza di far ricorso
all'uso delle armi".
Il giudice a quo ha sollevato "in subordine", facendo espresso
rinvio alle sue precedenti ordinanze di rimessione, questione di
legittimità, in riferimento all'art. 3 Cost., del solo art. 3, secondo
comma, della legge n. 772 del 1972.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 345 del 17 dicembre 1980.
È intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri,
rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo
che la questione sia dichiarata non fondata.
Quanto alla prima delle due questioni alternativamente proposte,
l'Avvocatura richiama la sentenza n. 53 del 1967, sottolineando come ai
principi da essa espressi si sia allineata la dottrina, la quale ha
ritenuto che, mentre il dovere di difesa grava su tutti i cittadini,
secondo modalità di adempimento proporzionate alla minaccia usata
contro lo Stato, il dovere di prestazione del servizio militare si
dirige soltanto verso i soggetti individuati come idonei alla
prestazione della difesa in armi, nel quadro dell'ordinamento delle
forze armate. È dato, quindi, distinguere, prosegue l'Avvocatura, tra
"difesa con le armi", nei cui confronti il dovere di prestazione del
servizio militare assume una "strumentalità diretta, e difesa a
contenuto non predeterminato, che può estrinsecarsi anche con
modalità diverse dall'annientamento fisico del nemico e che, dunque,
prescinde dal servizio militare".
Pertanto, l'obiezione di coscienza opera, nel nostro ordinamento,
contro il servizio militare quale strumento di difesa armata, che
implica la necessità o il rischio di uccidere il nemico, e non contro
il dovere di difesa, posto che questo può essere adempiuto anche senza
l'uso delle armi e senza dover necessariamente conseguire
l'annientamento fisico del nemico.
Anche l'altra questione non ha, secondo l'Avvocatura, alcun
fondamento.
E ciò perché non sarebbe dato comprendere per quali ragioni
l'ordinanza di rimessione ritenga che non sia applicabile la normativa
sull'obiezione di coscienza a quei cittadini che, per il loro maggior
impegno nella vita sociale o semplicemente perché meno dotati di
nozioni culturali o virtù dialettiche, si trovino ad essere chiamati
all'uso delle armi.
In ordine, infine, alla questione motivata per relationem alle due
precedenti ordinanze di rimessione, l'Avvocatura si è riportata alle
precedenti deduzioni.
3. - Le questioni sopra esposte sono state discusse alla udienza
pubblica dell'11 gennaio 1983, al cui esito la Corte, riuniti i tre
giudizi, ha pronunciato l'ordinanza istruttoria n. 267 del 1983, con
la quale è stato disposto che il Ministro della difesa provvedesse a
far pervenire: il testo integrale della circolare 19 settembre 1979, n.
500081/3, statuente per gli obiettori, i quali, alla data della
presentazione della domanda, si trovassero ad avere atteso per un
periodo di ventisei mesi se della leva di terra ovvero di trentadue
mesi se della leva di mare, l'adozione del provvedimento di dispensa
dalla ferma ai sensi dell'art. 100, lettera b, del d.P.R. 14 febbraio
1964, n. 237; i dati numerici relativi all'applicazione di detta
circolare; eventuali altre circolari o determinazioni ministeriali
riguardanti la materia.
4. - Il Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, con sette
ordinanze (di identico contenuto) emesse il 14 luglio 1981 (r.o. da n.
849 a n. 855 del 1982), ha denunciato l'illegittimità, in riferimento
agli artt. 3 e 97 Cost., dell'art. 3, secondo comma, della legge 15
dicembre 1972, n. 772.
Per quel che si riferisce alla dedotta violazione del principio di
eguaglianza, il giudice a quo riproduce sostanzialmente la motivazione
adottata nelle prime due ordinanze, aggiungendo, con riferimento alla
dedotta violazione dell'art. 97 Cost. (parametro richiamato nella
motivazione - ma non anche nel dispositivo - delle due predette
ordinanze), che non sarebbe del tutto da escludere, a causa della
natura non "perentoria" del termine per decidere sulla domanda volta ad
ottenere il riconoscimento dell'obiezione di coscienza, la possibilità
di un conflitto con l'esigenza di buon andamento e imparzialità
dell'amministrazione.
Le ordinanze, ritualmente notificate e comunicate, sono state
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 94 dell'8 aprile 1983 (r.o. 849
del 1982) e n. 121 del 4 maggio 1983 (le altre sei).
5. - Le questioni sub 4 sono state discusse all'udienza pubblica
del 7 giugno 1983, in esito alla quale la Corte, riuniti i sette
giudizi, ha pronunciato l'ordinanza istruttoria n. 268 del 1983 di
contenuto identico all'ordinanza istruttoria n. 267 del 1983.
6. - Pervenuta alla cancelleria della Corte la documentazione
richiesta, i due gruppi di giudizi sono stati discussi all'udienza
pubblica del 5 marzo 1985.
Considerato in diritto:
1. - I giudizi promossi con le prime tre ordinanze in epigrafe,
già riuniti dall'ordinanza istruttoria n. 267 del 1983, ed i giudizi
promossi con le altre sette ordinanze, a loro volta già riuniti
dall'ordinanza istruttoria n. 268 del 1983, hanno tutti per oggetto,
sia pur non sempre esclusivo, un'identica questione di legittimità
costituzionale: si impone, pertanto, l'ulteriore riunione degli uni
agli altri, onde deciderli con un'unica sentenza.
Più precisamente, ciascuna delle dieci ordinanze, emanate dal
Tribunale amministrativo regionale del Piemonte nell'arco di un
triennio, sottopone al vaglio di questa Corte, con riferimento all'art.
3 Cost., l'art. 3, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772,
a causa della mancata prefissione di un termine perentorio al Ministro
della difesa per decidere sulla domanda con cui chi si dichiara
obiettore di coscienza chiede, come è avvenuto in tutti i casi di
specie, di essere ammesso a prestare servizio sostitutivo civile,
sempre preferito al servizio militare non armato. La stessa
legittimità della norma viene, peraltro, contestata dalle cinque
ordinanze del secondo gruppo anche con espresso riferimento all'art. 97
Cost.. A sua volta, un'ordinanza del primo gruppo (r.o. n. 727 del
1980) antepone alla specifica denuncia del suddetto art. 3, secondo
comma, la denuncia globale della legge 15 dicembre 1972, n. 772,
comprese le sue successive modificazioni ed integrazioni, con
riferimento a due serie di parametri costituzionali, alternativamente
indicate (artt. 2, 3, primo comma, e 52 Cost.; oppure artt. 2, 3, primo
comma, 19 e 21, primo comma, Cost.).
2. - Prima di scendere nel merito delle questioni così dedotte,
non si può non dare atto dei risultati dell'indagine conoscitiva
disposta dalle già ricordate ordinanze n. 267 e n. 268 del 1983. Con
esse, questa Corte, avvalendosi dei poteri istruttori previsti dagli
artt. 13 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 12 delle norme integrative
per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, aveva ritenuto
opportuno richiedere al Ministro della difesa documenti e dati relativi
all'applicazione della legge 15 dicembre 1972, n. 772, per una migliore
conoscenza della sua realtà operativa. E ciò con particolare riguardo
alla circolare ministeriale del 19 settembre 1979, n. 500081/3, che,
incidendo in modo determinante sul concreto vivere del nuovo istituto,
ne aveva deformato significati e contenuti, fino al punto di equiparare
alla prestazione del servizio sostitutivo civile il puro e semplice
decorso del tempo nell'attesa della relativa ammissione.
Come la difesa di una delle due parti private costituite e
l'Avvocatura dello Stato hanno sottolineato all'udienza, la principale
risultanza emersa dopo la Pronuncia delle ordinanze istruttorie sta
nell'intervenuta abrogazione della circolare anzidetta, non più
operante a partire dal 18 aprile 1984 (v. la circolare in tale data n.
001327/UDG dello stesso Ministero della difesa). Il che consente di
vagliare la normativa denunciata secondo la genuinità delle sue
prescrizioni, non più alterate da direttive ultronee.
3. - Poiché le questioni riguardanti una legge nella sua
globalità rivestono, sotto il profilo logico, carattere sicuramente
preliminare rispetto alle questioni riguardanti sue singole parti,
occorre prendere le mosse dall'unica ordinanza - T.A.R. del Piemonte 15
aprile 1980 (r.o. n. 727 del 1980) - che coinvolge l'intera legge 15
dicembre 1972, n. 772. Del resto, è questa stessa ordinanza a
qualificare come "subordinata" la questione che coinvolge il solo art.
3, secondo comma, della medesima legge. Ne consegue che sono,
anzitutto, da esaminare le argomentazioni addotte e sviluppate in via
principale da tale ordinanza.
4. - Un'analisi attenta di quanto l'ordinanza ora in considerazione
argomenta principaliter dimostra che si è in presenza non di una, ma
di due questioni aventi ad oggetto l'intero sistema normativo
introdotto dalla legge 15 dicembre 1972, n. 772: l'una con riferimento
agli artt. 2, 3, primo comma, e 52 Cost.; l'altra con riferimento agli
artt. 2, 3, primo comma, 19 e 21, primo comma, Cost..
Il fatto che il giudice a quo prospetti il duplice dubbio in
termini di "alternatività" dei parametri costituzionali invocati non
muta la sostanza delle cose: le questioni dedotte si presentano
chiaramente distinte e vanno, quindi, affrontate secondo gli schemi
consueti alla Corte, allorché una stessa norma sia censurata con
contemporaneo riferimento a più precetti costituzionali.
A differenza di ciò che avviene quando con l'ordinanza di
rimessione si sottopongono al vaglio della Corte due interpretazioni
alternative della legge ordinaria, così omettendo di operare la
necessaria scelta della norma ritenuta applicabile nel caso concreto
(v., per l'inammissibilità di simili questioni, le ordinanze n. 182 e
n. 30 del 1984, n. 225 del 1983), qui le questioni sono oggettivamente
ammissibili, trattandosi non già di diverse interpretazioni del
medesimo dettato legislativo, ma di diverse valutazioni costituzionali
di un'unica, ben determinata normativa.
5. - La motivazione dell'ordinanza enuclea per prima la questione
di legittimità dell'intera legge 15 dicembre 1972, n. 772, per
contrasto con gli artt. 2, 3, primo comma, e 52 Cost..
Questo, in sintesi, il ragionamento del giudice a quo: "(La Carta
costituzionale) non è solo fonte di diritti e ausilio garantistico di
libertà, ma pone anche ai componenti della comunità associata dei
doveri inderogabili e qualificanti del loro status civitatis (art. 2
Cost.)", tra l'altro "proclamando (art. 52) che la difesa della Patria
è sacro dovere del cittadino e dichiarando di conseguenza che il
servizio militare è obbligatorio"; "tale dovere non può non
rivolgersi a tutti i cittadini, i quali per il principio di eguaglianza
non sono pari solo per fruire dei diritti ma evidentemente anche per
adempiere ai doveri"; "La Costituzione ripudia la guerra ma chiama a
raccolta tutti i cittadini in caso di situazioni eccezionali e
inevitabili. Non v'è del resto ragione per ritenere che il travaglio
di coscienza attanagli in tali circostanze solo coloro che affermano
(anche sinceramente) che l'uso personale delle armi contrasta con le
loro convinzioni religiose, filosofiche e morali"; di fronte
all'eventualità, sia pur eccezionale, di un nuovo conflitto la
Costituzione "ha giudicato debba prevalere lo spirito di solidarietà
di tutti i cittadini nella difesa della integrità e dignità della
comunità come società libera e indipendente".
La questione così posta non è fondata.
6. - Il congiunto richiamo degli artt. 2, 3, primo comma, e 52
Cost. sembra dare per presupposto che l'obbligo di prestare servizio
militare armato sia un dovere di solidarietà politica inderogabile per
tutti i cittadini. Inderogabile dovere di solidarietà politica per
tutti i cittadini è, invece, la difesa della Patria, cui il servizio
militare obbligatorio si ricollega, pur differenziandosene
concettualmente ed istituzionalmente.
La mancata distinzione tra il primo ed il secondo comma dell'art.
52 Cost., invocato dall'ordinanza come un tutt'uno, è al tempo stesso
la causa ed il sintomo dell'equivoco in cui incorre il ragionamento
dianzi riassunto: un equivoco che riappare ancora più chiaramente nel
proseguo dell'ordinanza, allorché, ventilando l'eventualità di un
rigetto della questione, il giudice a quo sembrerebbe non saperlo
spiegare altrimenti che con il "ritenere che la difesa della Patria non
è più un dovere sacro per tutti i cittadini".
Questa Corte, come l'Avvocatura dello Stato ha puntualmente
ricordato nell'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri, ha già avuto modo di precisare (sentenza n. 53 del 1967) che
"per tutti i cittadini, senza esclusioni, la difesa della Patria - che
è condizione prima della conservazione della comunità nazionale -
rappresenta un dovere collocato al di sopra di tutti gli altri",
cosicché "esso trascende e supera lo stesso dovere del servizio
militare". Di conseguenza, questo servizio - "nel quale... non si
esaurisce, per i cittadini, il dovere "sacro" di difesa della Patria"
ha una sua "autonomia concettuale e istituzionale rispetto al dovere
patriottico contemplato dal primo comma dell'art. 52 Cost.", il che
impone di tenere distinte le rispettive sfere di applicazione. In
particolare, mentre il dovere di difesa è inderogabile, nel senso che
nessuna legge potrebbe farlo venir meno, il servizio militare è
obbligatorio "nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge", purché,
ovviamente, "non siano violati altri precetti costituzionali".
La legge che, con il dare riconoscimento e, quindi, ingresso
all'obiezione di coscienza, ha previsto per gli obbligati alla leva la
possibilità di venire ammessi a prestare, in luogo del servizio
militare armato, servizio militare non armato o servizio sostitutivo
civile, non si traduce assolutamente in una deroga al dovere di difesa
della Patria, ben suscettibile di adempimento attraverso la prestazione
di adeguati comportamenti di impegno sociale non armato.
Quanto ai rapporti con il servizio militare obbligatorio - problema
qui non posto a causa dell'equivoco già sottolineato - il fatto che
sia stata demandata al legislatore ordinario la determinazione dei modi
e dei limiti del relativo obbligo, ovviamente nel rispetto degli altri
precetti costituzionali, consente di affermare che, a determinate
condizioni, il servizio militare armato può essere sostituito con
altre prestazioni personali di portata equivalente, riconducibili
anch'esse all'idea di difesa della Patria.
7. - Con la seconda questione di portata generale la legge 15
dicembre 1972, n. 772, viene denunciata per contrasto con gli artt. 2,
3, primo comma, 19 e 21, primo comma, Cost.. L'iter argomentativo che
sorregge la censura muove dall'eventualità di un mancato accoglimento
della questione precedente, ipotizzandone - già lo si è ricordato -
il rigetto alla stregua della tesi secondo cui "la difesa della Patria
non è più un dovere sacro per tutti i cittadini, perché è
irrinunciabile la esigenza fondamentale di rispettare le coscienze
individuali". Ma, se così dovesse essere, aggiunge l'ordinanza, "non
vi sarebbe ragione per ritenere che tale salvaguardia dei valori
dell'individuo debba riguardare solo alcuni", cioè "solo coloro che
abbiano fatto professione pubblica di certe convinzioni etiche". Una
volta ritenuta la "preminenza della libertà di coscienza individuale,
anche nell'eventualità di un possibile grave pericolo per la
sopravvivenza della comunità associata", il principio di eguaglianza
comporta che di tale preminenza "debba avvalersi in perfetta parità e
liberamente qualunque cittadino".
La questione così posta è inammissibile.
8. - A parte il fatto che al rigetto della questione precedente si
è giunti attraverso considerazioni ben diverse da quelle ipotizzate
dal Giudice a quo, cioè senza dover riconoscere deroghe al dovere di
difesa della Patria, anzi ribadendolo nella sua pienezza, e senza dover
richiamare la libertà di coscienza individuale, la prospettazione del
secondo thema decidendum appare incoerente, se non addirittura
contraddittoria, con inevitabili riverberi negativi sul petitum, così
da renderne i contorni incerti o, al limite, illogici.
L'incoerenza della prospettazione emerge chiaramente dal raffronto
della parte conclusiva dell'ordinanza, cioè della parte ora in esame,
con la sua parte iniziale, là dove viene dato atto che "il problema
prende l'avvio" da una diversa eccezione di legittimità sollevata dal
ricorrente. Questi aveva, infatti, sospettato di incostituzionalità le
parti della legge 15 dicembre 1972, n. 772, concernenti il parere
preventivo di un'apposita commissione, giudicando "contrario ai valori
fondamentali di salvaguardia della personalità umana che l'autorità
statale scandagli e inquisisca il foro interno del soggetto che fa
dichiarazione di ripudio alle armi" e "più aderente allo spirito della
Costituzione che sia dato riconoscimento all'affermazione di libertà
del cittadino che chiede l'esonero dal servizio militare e la
sostituzione a questo di un servizio civile". Ma l'eccezione era stata
disattesa dal giudice a quo in base all'osservazione che "questo
illimitato riguardo alla libertà personale a proposito degli obblighi
militari non sembra però trovare adeguato riscontro nella Carta
costituzionale". Nel sollevare, poco più oltre, la questione
attualmente in esame, lo stesso giudice sembra rivendicare proprio
quanto appena negato, ricavando dalla Costituzione la "preminenza
assoluta della libertà di coscienza individuale anche nella evenienza
di un possibile grave pericolo per la sopravvivenza della comunità
associata".
Da ciò l'incertezza che investe il petitum: interpretata alla
lettera, l'ordinanza coinvolgerebbe l'intera legge; interpretata
logicamente, l'ordinanza coinvolgerebbe soltanto le disposizioni
relative alle verifiche ed agli accertamenti. Per qualunque delle due
ipotesi si opti, il risultato non cambia in ordine alla
inammissibilità della questione (v. sentenze n. 269 e n. 67 del
1984). Mentre nel secondo caso, in mancanza di una specifica
indicazione delle parti effettivamente denunciate, l'incertezza
resterebbe comunque insuperabile, nel primo caso l'incertezza si
tramuterebbe in illogicità. La caducazione dell'intera legge verrebbe,
infatti, a privare del riconoscimento dell'obiezione di coscienza anche
coloro i quali ne possono, al momento, beneficiare sol che manifestino
le proprie convinzioni al riguardo. Un arretramento di posizioni tanto
più grave ora che una risoluzione del Parlamento europeo (7 febbraio
1983), ricordato come il diritto alla libertà di pensiero, di
coscienza e di religione vada annoverato tra i diritti fondamentali,
"constata che la salvaguardia della libertà di coscienza implica il
diritto di rifiutarsi di compiere il servizio militare armato".
9. - Delle questioni sollevate dal T.A.R. del Piemonte con
l'ordinanza del 15 aprile 1980 (r.o. n. 727 del 1980) resta da
esaminare quella - proposta in subordine - dell'art. 3, secondo comma,
della legge 15 dicembre 1972, n. 772, in riferimento all'art. 3 Cost..
Poiché il giudice a quo si limita a sollevare la questione "nei
medesimi termini" di altre "ordinanze di questo Tribunale", la carenza
di motivazione risulta indiscutibile, non bastando ad assolvere il
relativo onere una motivazione formulata esclusivamente per relationem
(v., da ultimo, ordinanze n. 23 e n. 7 del 1985).
Tale questione è, perciò, inammissibile.
10. - Con le altre nove ordinanze in epigrafe il T.A.R. del
Piemonte porta al vaglio di questa Corte l'art. 3, secondo comma, della
legge 15 dicembre 1972, n. 772, per contrasto con gli artt. 3 e 97
Cost..
Più precisamente, dalla motivazione delle ordinanze, in definitiva
sempre la stessa, si ricava che il comma in discussione ("Il Ministro
decide entro sei mesi dalla presentazione della domanda") viene
denunciato "a causa della mancata prefissione di un termine perentorio
per decidere sulla domanda di cui all'art. 2 della stessa legge".
Quanto ai parametri invocati, dal confronto delle motivazioni si ricava
che anche le due ordinanze (r.o. nn. 357 e 358 del 1979), il cui
dispositivo richiama il solo art. 3 Cost., contengono il passaggio
argomentativo a seguito del quale le altre sette (r.o. nn. da 849 a 855
del 1982) sono state indotte a richiamare esplicitamente sia l'art. 3
sia l'art. 97 Cost.. Tutto questo comporta che si faccia luogo ad una
trattazione unitaria.
11. - Le ordinanze prendono le mosse dalla tesi difensiva - posta,
ogni volta, alla base del ricorso principale - stando alla quale il
termine previsto dall'art. 3, secondo comma, della legge 15 dicembre
1972, n. 772, sarebbe "di natura perentoria". Ma, poiché tale tesi
viene disattesa attraverso un'articolata confutazione, al T.A.R. del
Piemonte "non resta che riconoscere al termine di cui al 2 comma
dell'art. 3 della legge n. 772 del 1972 carattere ordinatorio".
Da ciò l'insorgere dei dubbi di legittimità costituzionale per il
giudice a quo. Il carattere "ordinatorio", anziché "perentorio", del
termine in questione implicherebbe, infatti, per il cittadino soggetto
agli obblighi di leva, ma contrario all'uso delle armi per motivi di
coscienza, "il venir meno dell'imprescindibile garanzia" di non restare
"per un periodo indeterminabile alla mercé di circostanze esterne in
attesa di una decisione, imprevedibile anche nel "quando", del
Ministero della difesa in ordine all'accoglimento o meno" della sua
domanda: con gravi ed irreparabili "pregiudizi... in un periodo
decisivo della vita lavorativa del giovane", posto "nella pratica
impossibilità di programmare in concreto le proprie scelte". Questa
libertà per l'Amministrazione di procrastinare illimitatamente le sue
determinazioni, mentre, da un lato, potrebbe dare adito persino a
"comportamenti larvatamente vessatori" in conflitto con l'esigenza di
buon andamento ed imparzialità degli uffici (art. 97 Cost.),
dall'altro, e prima ancora, si troverebbe in contrasto con il principio
di eguaglianza, data la differenza riscontrabile con "gli altri
obbligati alla leva": la circostanza che questi siano in grado di
conoscere tempestivamente il momento della chiamata alle armi fa
apparire non rispettata "l'esigenza che a parità di situazione di
assoggettamento agli obblighi di leva corrisponda una parità di
trattamento in ordine all'effettiva prevedibilità del momento della
chiamata alla prestazione del servizio militare non armato o (del)
servizio sostitutivo civile, rispetto al momento della chiamata alla
prestazione del servizio militare armato".
12. - Prima di individuare il tipo di pronuncia che le ordinanze di
rimessione mirerebbero ad ottenere da questa Corte, qualora venisse
accertata la violazione, da parte della norma sottoposta a vaglio di
legittimità, dei parametri costituzionali invocati, e, comunque, prima
di procedere a tale accertamento, occorre verificare se
l'interpretazione data dal giudice a quo all'art. 3, secondo comma,
della legge 15 dicembre 1972, n. 772 - nel senso che chi fa domanda di
ammissione al servizio sostitutivo civile resterebbe per un periodo
indeterminabile alla mercé di circostanze esterne, con possibilità
per l'Amministrazione di procrastinare ad libitum la propria
determinazione - sia conforme all'attuale assetto normativo, quale
risulta anche alla stregua del diritto vivente formatosi nella materia.
La prima precisazione che si impone riguarda il significato da
attribuire alla contrapposizione termine "perentorio" - termine
"ordinatorio", ripetutamente utilizzata dal giudice a quo. Un'attenta
lettura delle ordinanze di rimessione in tutti i loro passaggi
argomentativi porta a ritenere che, al di là della terminologia ivi
adoperata, e al di là del linguaggio comunemente usato dalla
giurisprudenza amministrativa, la vera contrapposizione dovrebbe, più
puntualmente, essere fondata sul prodursi o no di effetti giuridici in
conseguenza dell'inosservanza del termine preordinato alla decisione di
un'istanza rispetto alla quale l'Amministrazione abbia, come nella
specie, l'obbligo di provvedere. "Ordinatori" sarebbero, dunque, i
termini la cui inosservanza non determina effetti; "perentori"
sarebbero tutti gli altri, anche se va subito aggiunto che la varietà
degli effetti alternativamente possibili richiede, a proposito di tale
seconda categoria di termini, un'analisi più articolata.
Basta quest'ultima osservazione per dimostrare come la tesi
difensiva - avanzata in partenza dai ricorrenti al T.A.R. del
Piemonte, nel senso che il termine di cui all'art. 3, secondo comma,
della legge 15 dicembre 1972, n. 772, sarebbe da considerare
"perentorio", perché, in corrispondenza alla sua inosservanza, si
verrebbe a configurare un'ipotesi di silenzio-accoglimento della
domanda presentata - sia, prima ancora che errata, come ha rilevato il
giudice a quo, concettualmente troppo riduttiva.
Le stesse ordinanze di rimessione, dopo aver escluso che sia
possibile - stante l'eccezionalità e tassatività di previsioni come
quella di cui all'art. 12, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972,
n. 772 (domanda presentata da chi, anteriormente all'entrata in vigore
della legge, sia stato imputato o condannato per reato militare
determinato da obiezioni di coscienza) - ricavare un'ipotesi implicita
di silenzio-accoglimento, si sono date carico di ventilare altre
ipotesi di effetti ricollegabili all'inosservanza del termine in esame,
soffermandosi, in particolare, sia sull'ipotizzabilità della
formazione immediata di un silenzio-rifiuto, tale da legittimare
l'interessato ad adire le vie giurisdizionali non appena scaduto il
termine stesso (soluzione anch'essa scartata in mancanza di un
principio generale al riguardo), sia sull'eventualità di una decadenza
del potere ministeriale di pronunciarsi sulla domanda una volta decorsi
i sei mesi (soluzione ritenuta incompatibile con la presenza di una
disposizione quale il terzo comma dell'art. 3: "La presentazione alle
armi è sospesa sino a quando il Ministro per la difesa non si sia
pronunciato sulla domanda").
A questo punto, il fatto che, soltanto dopo l'esclusione di ben tre
alternative, le ordinanze siano giunte a concludere per
l'"ordinarietà" del termine, elevando nel contempo a problema di
costituzionalità "la mancata prefissione di un termine perentorio",
potrebbe condurre a dubitare dell'ammissibilità della questione: le
varie possibili soluzioni sottostanti alla generica qualifica di
termine "perentorio" sembrerebbero, infatti, riservare ogni opzione
alla discrezionalità del legislatore, tanto più che l'attribuire un
significato piuttosto che un altro al silenzio dell'Amministrazione
presuppone sempre una scelta di politica legislativa. Ma una lacuna
nella panoramica che degli effetti potenzialmente ricollegabili
all'inosservanza del termine previsto dall'art. 3, secondo comma, della
legge 15 dicembre 1972, n. 772, il giudice a quo ha cercato di
delineare, porta a disattendere la conclusione dallo stesso raggiunta
nel senso dell'"ordinarietà" di tale termine. Il tutto alla stregua di
una giurisprudenza amministrativa ormai consolidata, che ritiene
utilizzabile, anche con riguardo al procedimento di ammissione al
servizio sostitutivo civile, il meccanismo, operante in via generale,
dell'istanza-diffida ai fini della formazione del silenzio-rifiuto.
Alla determinazione legale del termine di sei mesi viene così
riconosciuto un duplice effetto: da un lato, quello di impedire,
nell'interesse del buon andamento degli uffici, che prima della
scadenza di esso, l'Amministrazione possa essere messa in mora ai fini
della formazione del silenzio-rifiuto, e, dall'altro, quello di fissare
il momento a partire dal quale il richiedente può subito attivare la
procedura per la formazione del silenzio-rifiuto, onde ottenere entro
una scadenza predeterminabile a breve l'accesso alla tutela
giurisdizionale, per sentir dichiarare in sede di giudizio cognitorio
l'obbligo dell'Amministrazione di decidere sull'istanza e, nel caso di
persistente inerzia, per veder successivamente assumere in sede di
giudizio di ottemperanza le necessarie misure coattive.
Grazie all'esistenza di questa forma di tutela, l'art. 3, secondo
comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, si sottrae alla doglianza
posta a base delle ordinanze di rimessione. Proprio perché il termine
ivi previsto non può essere considerato meramente "ordinatorio", perde
consistenza l'asserto secondo cui chi si dichiara obiettore di
coscienza resterebbe - a differenza degli altri obbligati alla leva -
per un periodo indeterminabile alla mercé dell'Amministrazione,
esposto al rischio di comportamenti vessatori.
Naturalmente, non si può pretendere (né le ordinanze di
rimessione, ponendo l'accento soltanto sull'assoluta indeterminabilità
del momento iniziale del servizio sostitutivo civile, lo pretendono)
che l'invocata parità nell'assoggettamento agli obblighi di leva
comporti una completa parità con il servizio militare armato anche per
quanto riguarda il momento iniziale del servizio. Sotto questo profilo,
le situazioni a confronto non possono certamente dirsi omogenee, basate
come sono, rispettivamente, sull'automatismo dell'avvio al servizio
armato e sulla necessità di una domanda motivata da parte
dell'interessato per l'ammissione al servizio sostitutivo civile,
domanda meramente eventuale e, quindi, non preventivabile. Una
coincidenza nei momenti iniziali sarebbe possibile soltanto in un
regime di alternatività incondizionata tra i due tipi di servizio, ma
una simile soluzione presupporrebbe necessariamente la facoltatività
del servizio militare armato, cui è di ostacolo l'art. 52, secondo
comma, Cost..
Ciò non toglie, è ovvio, che, di pari passo con la ricerca di
soluzioni anche pratiche tendenti a realizzare equipollenza di
contenuti tra i diversi tipi di servizio previsti per gli obbligati
alla leva, ci si debba attendere una più puntuale applicazione
dell'art. 3, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, onde
circoscrivere al minimo indispensabile gli innegabili disagi connessi
ad ogni prolungata attesa. Al superamento degli inconvenienti, che si
sono verificati e si verificano in concreto, dovrebbero dare
sicuramente contributo positivo, oltre al progressivo assestamento
delle varie componenti dell'istituto, sia l'impiego di strumenti
organizzativi fortemente acceleratori quali l'informatica mette sempre
più a disposizione, sia, una volta esaurito l'arretrato della fase
transitoria, la piena operatività della ricordata abrogazione della
circolare che dal 1979 al 1984 aveva provocato un aumento abnorme nelle
domande di ammissione al servizio sostitutivo civile, peraltro ancora
non ben definito quanto a strutture e funzionamento.
13. - Resta la sollecitazione che la difesa della parte privata
costituita ha rivolto alla Corte perché sia esaminata anche la
questione di legittimità dell'art. 3, primo comma, della legge 15
dicembre 1972, n. 772, nella parte in cui prevede la istituzione di una
commissione consultiva, con riferimento agli artt. 2, 3, 15, 19 e 21
Cost. e, in genere, all'intero spirito della Carta costituzionale.
Ma, a parte ogni considerazione sull'incidenza di iniziative non
recepite, anzi disattese (r.o. n. 727 del 1980) dal giudice a quo, va
osservato che nella specie farebbero comunque difetto i presupposti di
incidentalità necessari perché la Corte sollevi d'ufficio l'indicata
questione (v. sentenze n. 122 del 1976, n. 383 del 1973, n. 29 del
1964). Non può dirsi, infatti, che la norma relativa al parere della
commissione incida sulla definizione delle questioni poste dal giudice
a quo: essa non incide sulle questioni di portata generale (v. punti 5
e 7), senz'altro pregiudiziali rispetto a quelle riguardanti singole
parti della legge, né incide sulla questione concernente l'art. 3,
secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (v. punto 11), in
quanto con tale questione si è contestata non la durata del termine,
ma la sua sostanziale indeterminatezza.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
della legge 15 dicembre 1972, n. 772, sollevata, in riferimento agli
artt. 2, 3, primo comma, e 52 della Costituzione, dal Tribunale
amministrativo regionale del Piemonte con ordinanza del 15 aprile 1980
(r.o. n. 727 del 1980);
b) dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale della legge 15 dicembre 1972, n. 772, sollevata, in
riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 19 e 21, primo comma, della
Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Piemonte con
ordinanza del 15 aprile 1980 (r.o. n. 727 del 1980);
c) dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 3, secondo comma, della legge 15 dicembre
1972, n. 772, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione,
dal Tribunale amministrativo regionale del Piemonte con ordinanza del
15 aprile 1980 (r.o. n. 727 del 1980);
d) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma,
della legge 15 dicembre 1972, n. 772, sollevata, in riferimento
all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale
del Piemonte con due ordinanze dell'11 luglio 1978 (r.o. n. 357 e n.
358 del 1979);
e) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma,
della legge 15 dicembre 1972, n. 772, sollevata, in riferimento agli
artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale
del Piemonte con sette ordinanze del 14 luglio 1981 (r.o. da n. 849 a
n. 855 del 1982).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 maggio 1985.
F.to: LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO
ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO
MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ANTONIO
LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI -
GIUSEPPE FERRARI - FRANCESCO SAJA -
GIOVANNI CONSO - ETTORE GALLO - ALDO
CORASANITI - GIUSEPPE BORZELLINO -
FRANCESCO GRECO.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere