Ritenuto in fatto:
Con ordinanza emessa in data 12 febbraio 1976, il tribunale di
Livorno sollevava questione incidentale di legittimità costituzionale
degli artt. 165 e 167 del r.d.l. 9 luglio 1939, n. 1238 (ordinamento
dello stato civile), e dell'art. 454 del codice civile, in relazione
agli artt. 2 e 24 della Costituzione.
Il detto tribunale era stato adito da tal Lubrano di Scampamorte
Riccardo, il quale chiedeva di sentir dichiarare che, contrariamente
alle risultanze del registro degli atti di nascita, nel quale egli era
iscritto come persona di sesso maschile, esso attore era appartenente
al sesso femminile; con conseguente ordine all'ufficiale di stato
civile di Livorno di provvedere alle rettificazioni occorrenti.
A sostegno delle proprie richieste, il Lubrano aveva esposto
sostanzialmente due circostanze: l'aver egli, sin dalla prima infanzia,
manifestato, in contrasto con le sue caratteristiche fisiche,
tipicamente mascoline, una personalità psicologicamente femminile,
esplicantesi in tendenze, attitudini e comportamenti propri di quel
sesso; l'essersi, in prosieguo di tempo, sottoposto ad intervento
chirurgico, eseguito a Casablanca, mediante il quale era stata
praticata la castrazione e la rimozione del pene, con costituzione
plastica di una vagina. Tutto ciò avrebbe reso possibile che egli,
nell'ambiente familiare e sociale, fosse da tutti accettato come donna.
Veniva disposta ed espletata consulenza medico-legale, le cui
risultanze possono essere così riassunte: prima dell'intervento
chirurgico di cui si è detto il Lubrano possedeva "tutti gli attributi
somatici del sesso maschile", cosa questa del resto confermata dalle
determinazioni del sesso cromosomico. In particolare, allo stato,
trattasi di soggetto dotato di "robusta costituzione scheletrica di
tipo maschile", recante al volto "minute tracce cicatriziali puntiformi
riferibili a depilazione, con accenno a residua peluria al labbro
superiore".
Per ciò che attiene agli organi genitali, si ebbe a rilevare che
l'atto operatorio (praticato nel 1970) aveva comportato la
trasformazione dei genitali esterni mediante asportazione dei testicoli
e la costituzione di una pseudo vagina, previa rimozione dei corpi
cavernosi del pene, in grado di consentire la copula, mentre non v'è
traccia di "alcun organo o formazione che ricordi l'utero".
Peraltro, l'aspetto fisico esterno è attualmente tipicamente
femminile, anche per effetto di depilazione e dell'azione di ormoni
sulle mammelle.
La relazione tecnica, sotto il profilo psichico, ha posto in chiara
luce come ci si trovi di fronte a un caso di "transessualismo", nel
quale cioè nel soggetto è operante una profonda convinzione di
appartenere al sesso opposto, con rifiuto degli attributi del sesso
fisico di appartenenza, che sono sentiti come fonte di disgusto, ed una
aspirazione ad essere inserito ed accettato nella società come persona
di sesso opposto; e ciò a differenza degli omosessuali.
Dagli esami psico-diagnostici emerge una personalità
affettivamente coartata, immatura, labile, ansiosa, ma "conformizzata
al ruolo culturale femminile".
La detta consulenza concludeva affermando che "la funzione di
determinazione del sesso", in casi di transessuale sottoposto ad
intervento chirurgico, deve essere attribuita "ai caratteri esterni ed
all'orientamento psichico, perché nella vita di relazione, principale
espressione dell'attività umana, la differenza di sesso è data
soprattutto dagli attributi esterni della persona, gli unici che
consentono immediatamente di affermare se un determinato soggetto
appartiene a un sesso oppure all'altro".
Su questa base medico-legale e di fatto, il tribunale ricordava
come talvolta i giudici di merito avessero affermato che doveva essere
riconosciuto giuridicamente il cambiamento di sesso quando, ancorché
il mutamento dei caratteri sessuali fosse stato conseguenza di
interventi medici e chirurgici, risultassero prevalenti, nel loro
complesso, gli elementi del sesso diverso rispetto all'originale,
sussistendo l'esigenza di adeguare il più possibile il sesso legale
con quello reale.
Peraltro, lo stesso tribunale evidenziava anche che la
giurisprudenza della Corte di cassazione era chiaramente orientata in
senso contrario all'accoglimento di istanze del genere. Secondo la
Suprema Corte infatti, nessuna norma consentirebbe nel nostro
ordinamento giuridico il riconoscimento legale della condizione
sessuale femminile (con la conseguente annotazione nei registri dello
stato civile) nel caso di soggetto già appartenente con certezza al
sesso maschile, pur se psichicamente orientato dalla nascita come
femminile, che, attraverso un'operazione di castrazione e di plastica,
abbia assunto caratteri genitali esterni apparentemente femminili.
Tale conclusione viene motivata in base alla considerazione che gli
artt. 165 e 167 del r.d.l. 9 luglio 1939, n. 1238, prevedono
l'eventuale rettificazione di un atto di nascita solo nell'ipotesi di
errore materiale ricadente sull'identificazione sessuale della persona,
dovuto ad erronea dichiarazione del denunziante, o a errore di
scritturazione in cui sia incorso l'Ufficiale di stato civile nella
redazione dell'atto.
Peraltro, mentre nel contenuto precettivo delle norme in questione
si fa rientrare anche l'ipotesi in cui intervengano modificazioni dei
caratteri sessuali a seguito di evoluzione naturale, che rivelino una
realtà sessuale diversa da quella accertata al momento del generico
esame fatto alla nascita, si esclude che tra le ipotesi di errore sia
compreso il caso di "modificazioni artificiali di un sesso definitivo"
in ragione del fatto che in siffatta ipotesi l'accertamento effettuato
al momento della nascita corrispondeva alla realtà; sicché non vi fu
"quel contrasto tra apparenza e realtà che è il presupposto
dell'errore".
Il Collegio remittente ritiene di dover condividere a pieno la
suesposta interpretazione, siccome pienamente corrispondente al
significato logico-letterale delle norme in questione; da ciò
scaturirebbe come ovvia conseguenza che la domanda del Lubrano dovrebbe
essere respinta.
Passando però ancora in rassegna gli elementi di fatto addotti
dall'attore a sostegno della sua domanda, il tribunale ritiene che
emerga chiaramente come il Lubrano, sommerso da una grave situazione di
conflitto agitantesi in lui fin dai suoi primi anni di vita, abbia
obbedito a profonde ragioni, conseguite a una meditata analisi della
sua identità sessuale (significativo il diario tenuto dall'attore,
versato in atti), nel sottoporsi alla ricordata operazione.
Da ciò deriverebbe che il diritto fatto valere dall'attore, e
cioè quello alla identità sessuale, sia da annoverare come "diritto
della personalità e quindi tra i diritti fondamentali ed inviolabili
che l'art. 2 della Costituzione riconosce e garantisce a tutti". Tanto
premesso, appare ingiusto, sotto il profilo sostanziale, che da parte
dell'ordinamento non venga prevista tutela alcuna per la soluzione di
un così grave problema, mentre lo stesso Collegio non ritiene
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 165 e 167 del r.d.l. 9 luglio 1939, n. 1238, e dell'art.
454 del codice civile, con riferimento agli artt. 2 e 24 della
Costituzione, nella parte in cui, secondo l'interpretazione costante
della Corte di cassazione, non ricomprendono nella tutela da dette
norme accordata il diritto di ottenere la eventuale rettificazione
dell'atto di nascita "nell'ipotesi di modificazioni artificiali di un
sesso che facciano perdere ad un individuo le caratteristiche peculiari
maschili ed acquistare quelle femminili esterne, qualora le
modificazioni stesse trovino corrispondenza in una originaria,
indiscutibile, personalità psichica di natura femminile".
L'ordinanza è stata ritualmente notificata e comunicata.
Di fronte a questa Corte non vi è stata costituzione di parti né
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto:
1. - Come si evince dalla narrativa, la Corte è chiamata a
decidere se siano in contrasto con gli artt. 2 e 24 della Costituzione
gli artt. 165 e 167 del r.d.l. 9 luglio 1939, n. 1238, e 454 del codice
civile in quanto, secondo la costante interpretazione della Cassazione
(che il giudice a quo condivide), escludono il diritto alla
rettificazione dell'atto di nascita e alla attribuzione del sesso
femminile "nell'ipotesi di modificazioni artificiali di un sesso che
facciano perdere ad un individuo le caratteristiche peculiari maschili
ed acquistare quelle femminili esterne, qualora le modificazioni stesse
trovino corrispondenza in una originaria, indiscutibile, personalità
psichica di natura femminile".
Lo stesso tribunale di Livorno, nell'ordinanza con la quale ha
sollevato le dette questioni di legittimità costituzionale, riferisce
che, dall'accertamento dei consulenti da esso tribunale nominati "è
risultato che l'attore, prima dell'intervento chirurgico eseguito a
Casablanca nel 1970, possedeva tutti gli attributi somatici del sesso
maschile, ma una personalità psichica femminile e che l'atto
operatorio aveva comportato la trasformazione dei genitali esterni
mediante asportazione dei testicoli e la costituzione di una
pseudo-vagina, previa rimozione dei corpi cavernosi del pene, in grado
di consentire la copula assumendo un aspetto fisico esterno tipicamente
femminile".
L'oggetto della garanzia costituzionale che, secondo il giudice a
quo, le impugnate norme del codice civile e della legge sullo stato
civile avrebbero violato, sarebbe il diritto alla "identità sessuale"
quale altro fra i diritti inviolabili dell'uomo enunciati nell'art. 2
della Costituzione e tutelabili in giudizio in virtù dell'art. 24
della stessa.
Rimangono dunque fuori dal thema decidendam la questione della
(incontestata) libertà sessuale dell'attore nel giudizio a quo, e
anche, quanto meno direttamente, la questione della liceità civile e
penale dell'intervento chirurgico da lui subi'to a Casablanca.
2. - Così delimitata la materia, la Corte ritiene che le norme
costituzionali invocate non pongano fra i diritti inviolabili dell'uomo
quello di far riconoscere e registrare un sesso esterno diverso
dall'originario, acquisito con una trasformazione chirurgica per farlo
corrispondere a una originaria personalità psichica.
Posto, infatti, nei suoi termini reali, e perciò impropriamente
definito come relativo al riconoscimento della "identità sessuale", il
problema, che non coinvolge, come si è detto, la libertà del
comportamento sessuale, può suscitare in Italia, come in altri Paesi,
l'attenzione del legislatore sulle sue possibilità di soluzione e i
relativi limiti in ordine al matrimonio, che la Costituzione definisce
fondamento della famiglia come "società naturale", ma non può essere
risolto in termini di costituzionalità delle norme impugnate.
Infatti, nella costante interpretazione della Corte, l'invocato
art. 2 della Costituzione, nel riconoscere i diritti inviolabili
dell'uomo, che costituiscono patrimonio irretrattabile della sua
personalità, deve essere ricollegato alle norme costituzionali
concernenti singoli diritti e garanzie fondamentali (sentenze nn.
11/1956, 29/1962, 1, 29 e 37/1969, 102 e 238/1975), quanto meno nel
senso che non esistono altri diritti fondamentali inviolabili che non
siano necessariamente conseguenti a quelli costituzionalmente previsti.
Ora dalla Costituzione non è possibile desumere una tutela di quel
diritto cui richiamavasi l'attore in giudizio e che il giudice a quo -
riconoscendolo sprovvisto di tutela nella legge ordinaria - ha ritenuto
potesse essere compreso fra i diritti inviolabili dell'uomo.
3. - Ne consegue la infondatezza del richiamo non solo all'art. 2,
ma anche all'art. 24 della Costituzione: il quale ultimo garantisce la
possibilità di agire in giudizio per la tutela dei diritti e interessi
legittimi e non può quindi essere utilmente invocato dove si tratti,
come nella specie, non della (incontestata) possibilità di azione, ma
dell'esistenza o inesistenza del diritto sostanziale.