Ritenuto in fatto:
1. - Il 17 giugno 1972 Capenti Antonio esplodeva tre colpi di
fucile contro Nalli Nello e sua figlia Nalli Andreina, causando loro
lesioni personali di varia entità. Tratto in arresto, era condannato
dal tribunale di Camerino, con sentenza del 17 giugno 1973, alla pena
di mesi sette di reclusione.
Dopo il passaggio in giudicato della sentenza, le parti lese
agivano, in sede civile, chiedendo la condanna del Capenti al
risarcimento anche per il pregiudizio, di carattere non patrimoniale,
arrecato dalla condotta criminosa del convenuto alla loro integrità
fisica.
A sostegno di tali richieste si deduceva che, accanto alle due
consuete categorie di danni ingiusti, doveva ipotizzarsene, in caso di
danno alla persona, una terza, consistente nella menomazione della
salute, considerata in se stessa, quale stato di benessere fisico
dell'individuo e non quale mezzo per la produzione di un reddito (c.d.
danno biologico).
L'adito tribunale, premesso che quest'ultimo tipo di danno non
sarebbe risarcibile, in base al diritto positivo, né come danno
patrimoniale né come danno morale e rilevato che la salute è tutelata
dalla Costituzione come bene fondamentale dell'individuo oltre che come
interesse della collettività, sollevava, con l'ordinanza indicata in
epigrafe, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2043 del
codice civile, in riferimento agli artt. 3, 24 e 32 della Costituzione.
2. - Ritualmente comunicata, notificata e pubblicata l'ordinanza de
qua, nessuna delle parti si costituiva nel giudizio innanzi a questa
Corte ma spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo
- con atto del 12 aprile 1977 - che la questione sollevata fosse
dichiarata non fondata perché la norma denunziata assicurerebbe la
risarcibilità di ogni tipo di danno ingiusto, ivi compreso quello
biologico.
Tali conclusioni erano successivamente ribadite alla pubblica
udienza del 3 maggio 1979.
Considerato in diritto:
1. - Nel corso di un procedimento civile per risarcimento danni da
illecito extracontrattuale promosso nei confronti di persona condannata
con sentenza penale passata in giudicato per il reato previsto dagli
artt. 582 e 585 del codice penale (lesione personale aggravata), il
tribunale di Camerino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e
32 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell'art. 2043 del codice civile, in quanto non comprende la
risarcibilità del danno alla salute, autonomamente considerato
rispetto alle conseguenze economiche del fatto lesivo e al danno morale
puro.
Come si è già esposto in narrativa, nel caso di specie gli attori
avevano chiesto tra l'altro la condanna del convenuto al risarcimento
dei danni per il pregiudizio, di carattere non patrimoniale, che la
loro salute aveva subito a causa dell'illecito.
Secondo il giudice a quo, un danno così configurato non sarebbe
risarcibile alla stregua del diritto vigente né come danno
patrimoniale (in quanto non sarebbe caratterizzato dalla economicità
dell'interesse pregiudicato) né come danno morale, perché questo
riguarderebbe esclusivamente le afflizioni morali e i turbamenti alle
condizioni d'animo del danneggiato.
Di qui il dubbio che la norma denunziata violi:
a) l'art. 32 della Costituzione, perché non riconoscerebbe
rilievo, ai fini della responsabilità per fatto illecito, ad un
diritto (quello alla salute) che la Costituzione riconosce e garantisce
anche nell'ambito dei rapporti interprivati;
b) l'art. 24 della Costituzione, in quanto escluderebbe dalla
tutela giurisdizionale un diritto attribuito dalla norma costituzionale
senza limiti e condizioni;
c) l'art. 3 della Costituzione, in quanto, considerando il diritto
nel suo aspetto strumentale volto alla produzione di un reddito,
tutelerebbe un bene eguale per tutti - la salute - in modo diseguale in
ragione delle condizioni economiche del danneggiato.
2. - Ciò premesso, occorre verificare la fondatezza della proposta
questione in relazione alla qualificazione criminosa del fatto lesivo.
Il giudice a quo muove dal presupposto che, in tal caso non sarebbe
possibile accordare alcun risarcimento per i danni non patrimoniali,
diversi dalle sofferenze fisiche e morali.
L'assunto non può essere condiviso.
Invero gli artt. 2059 del codice civile e 185 del codice penale,
nel loro combinato disposto, espressamente stabiliscono che, ove un
reato sia commesso, il colpevole è tenuto anche al risarcimento dei
danni non patrimoniali. L'espressione "danno non patrimoniale",
adottata dal legislatore, è ampia e generale e tale da riferirsi,
senza ombra di dubbio, a qualsiasi pregiudizio che si contrapponga, in
via negativa, a quello patrimoniale, caratterizzato dalla economicità
dell'interesse leso. Il che porta a ritenere che l'ambito di
applicazione dei sopra richiamati artt. 2059 del codice civile e 185
del codice penale - contrariamente a quanto affermato nell'ordinanza di
rimessione - si estende fino a ricomprendere ogni danno non
suscettibile direttamente di valutazione economica, compreso quello
alla salute.
Il bene a questa afferente è tutelato dall'art. 32 Costituzione
non solo come interesse della collettività, ma anche e soprattutto
come diritto fondamentale dell'individuo, sicché si configura come un
diritto primario ed assoluto, pienamente operante anche nei rapporti
tra privati. Esso certamente è da ricomprendere tra le posizioni
soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione e non sembra dubbia
la sussistenza dell'illecito, con conseguente obbligo della
riparazione, in caso di violazione del diritto stesso.
Da tale qualificazione deriva che la indennizzabilità non può
essere limitata alle conseguenze della violazione incidenti
sull'attitudine a produrre reddito ma deve comprendere anche gli
effetti della lesione al diritto, considerato come posizione soggettiva
autonoma, indipendentemente da ogni altra circostanza e conseguenza.
Ciò deriva dalla protezione primaria accordata dalla Costituzione al
diritto alla salute come a tutte le altre posizioni soggettive a
contenuto essenzialmente non patrimoniale, direttamente tutelate.
Appare evidente, allora, che ricorrendo nella fattispecie in esame
i presupposti per l'applicabilità dell'art. 2059 del codice civile (il
Capenti era stato condannato, in sede penale, per il reato di cui
all'art. 582 cod. pen.), vi è la possibilità di accordare agli attori
il risarcimento per tutti i pregiudizi di carattere non patrimoniale da
essi subiti in dipendenza dell'illecito, compresi quelli corrispondenti
alla menomazione della loro integrità fisica in sé considerata.
Non è quindi ipotizzabile alcun contrasto con gli artt. 32 e 24
della Costituzione - in quanto la tutela del diritto alla salute,
riconosciuto dalla Costituzione come diritto fondamentale
dell'individuo oltre che come interesse della collettività, riceve,
nella particolare ipotesi esaminata (che è la sola che in questa sede
può venire in considerazione), concreta applicazione.
3. - Del pari insussistente è poi la dedotta violazione dell'art.
3 della Costituzione - fondata sulla differente entità del
risarcimento a seconda del reddito e delle condizioni economiche del
danneggiato - poiché, per quanto si è detto, la lesione del diritto
alla salute, autonomamente considerato, può trovare, nel caso di
specie, congrua riparazione, a prescindere da ogni riflesso di ordine
economico.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
di legittimità costituzionale dell'art. 2043 del codice civile,
sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 32 della Costituzione, dal
tribunale di Camerino con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 luglio 1979.
F.to: LEONETTO AMADEI - EDOARDO
VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - MICHELE
ROSSANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO
ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO
MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO
MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA -
VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere