Titolo
SENT. 3/66 A. LAVORO - DIRITTO ALLA RETRIBUZIONE - PRIVAZIONE PER EFFETTO DI INTERDIZIONE DAI PUBBLICI UFFICI - ILLEGITTIMITA' DELL'ART. 28, N. 5, COD. PEN., IN RELAZIONE ALL'ART. 3 DELLA COSTITUZIONE.
Testo
In applicazione al principio insito nell'art. 3 cost., secondo il quale e' ammissibile una disparita' di trattamento in situazioni analoghe solo se e' giustificata, va dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 28, n. 5, cod. pen., laddove prevede per il personale degli enti pubblici e i loro aventi causa la perdita degli stipendi, delle pensioni e degli assegni aventi carattere retributivo e che siano a carico dello Stato o di altro ente pubblico, per effetto di condanna penale che importi l'interdizione dai pubblici uffici. Infatti la disparita' che ne risulta in danno delle persone sopra menzionate rispetto a tutte le altre che non percepiscono da enti pubblici alcuno degli indicati emolumenti retributivi, non appare ispirata a ragioni sufficienti a giustificarla, ne' poggiata su idonea base.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Costituzione
art. 36
Riferimenti normativi
codice penale
n. 0
art. 28
n.5
co. 0
Titolo
SENT. 3/66 B. LAVORO - DIRITTO ALLA RETRIBUZIONE - PRIVAZIONE A SEGUITO DI INTERDIZIONE AI PUBBLICI UFFICI - ILLEGITTIMITA' DELL'ART. 28, N. 5 COD. PEN. IN RIFERIMENTO ALL'ART. 36 DELLA COSTITUZIONE.
Testo
La retribuzione dei lavoratori - tanto quella corrisposta nel corso del rapporto di lavoro, quanto quella differita, a fini previdenziali, alla cessazione di tale rapporto, e corrisposta, sotto forma di trattamento di liquidazione o di quiescienza, a seconda dei casi, allo stesso lavoratore o ai suoi aventi causa - e' fatta oggetto, sul piano morale e su quello patrimoniale, di particolare protezione nel vigente ordine costituzionale, fondato, appunto, sul lavoro (art. 1 cost.), posto che l'art. 36 cost., garantisce espressamente il diritto alla retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del lavoro prestato ed in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Ne consegue che, pur non potendosi escludere in via assoluta la possibilita' della privazione di tale diritto quale misura sanzionatoria, e' certamente in contrasto col precetto costituzionale collegare indiscriminatamente, come fa l'art. 28, n. 5 cod. pen., integrato dall'art. 29, per il personale degli enti pubblici e i loro aventi causa, la perdita di esso al solo fatto che il titolare abbia riportato la condanna a una certa pena detentiva.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 1
Costituzione
art. 36
Riferimenti normativi
codice penale
n. 0
art. 28
n.5
co. 0
codice penale
n. 0
art. 29
co. 0
Titolo
SENT. 3/66 C. CORTE COSTITUZIONALE - SENTENZE DICHIARATIVE DI ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE - ESTENSIONE CONSEGUENZIALE AD ALTRE NORME NON IMPUGNATE.
Testo
In applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiarata l'illegittimita' costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 36 cost., dell'art. 28, secondo comma, n. 5 cod. pen., limitatamente alla parte in cui i diritti in esso previsti, traggono titolo da un rapporto di lavoro, va dichiarata altresi' la illegittimita' costituzionale delle seguenti altre norme, con la stessa limitazione indicata a proposito dell'art. 28 cit.; terzo comma dello stesso art. 28 del Cod. pen.; dell'art. 183 comma primo lett. a, e comma terzo del T.U. 21 febbraio 1895 n. 70, sulle pensioni civili e militari; art. 29, primo comma, lett. a, e quarto comma, del R.D.L. 31 dicembre 1925 n. 680, sull'ordinamento della Cassa di previdenza per le pensioni degli impiegati degli enti locali; dell'art. 42, comma primo n. 1, e comma secondo, e art. 43 della legge 25 luglio 1941 n. 934, sull'ordinamento della Cassa di previdenza per le pensioni ai salariati degli enti locali; dell'art. 36, comma primo, e art. 37, comma primo, della legge 6 luglio 1939 n. 1035, sull'ordinamento della Cassa di previdenza per le pensioni dei salariati.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Costituzione
art. 36
Riferimenti normativi
codice penale
n. 0
art. 28
co. 3
regio decreto
21/02/1995
n. 70
art. 183
co. 1
regio decreto
21/02/1995
n. 70
art. 183
co. 3
regio decreto legge
31/12/1925
n. 2383
art. 29
co. 1
regio decreto legge
31/12/1925
n. 2383
art. 29
co. 4
regio decreto legge
03/03/1938
n. 680
art. 43
co. 1
regio decreto legge
03/03/1938
n. 680
art. 43
co. 2
legge
25/07/1941
n. 934
art. 42
co. 1
legge
25/07/1941
n. 934
art. 42
co. 2
legge
25/07/1941
n. 934
art. 43
co. 0
legge
06/07/1939
n. 1035
art. 36
co. 1
legge
06/07/1939
n. 1035
art. 37
co. 1
N. 3
SENTENZA 7 GENNAIO 1966
Deposito in cancelleria: 13 gennaio 1966.
Pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale" n. 12 del 15 gennaio 1966.
Pres. AMBROSINI - Rel. SANDULLI
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente - Prof.
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO - Prof. ANTONINO PAPALDO - Prof. NICOLA JAEGER
- Prof. GIOVANNI CASSANDRO - Prof. BIAGIO PETROCELLI - Dott. ANTONIO
MANCA - Prof. ALDO SANDULLI - Prof. GIUSEPPE BRANCA - Prof. MICHELE
FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI - Prof. GIUSEPPE CHIARELLI - Dott.
GIUSEPPE VERZÌ - Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - Prof. FRANCESCO
PAOLO BONIFACIO, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 28, secondo
comma, n. 5, del Codice penale, promosso con ordinanza emessa il 6
maggio 1965 dal Tribunale di Varese nel procedimento penale a carico di
Zona Carlo, iscritta al n. 101 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 163 del 3 luglio 1965.
Udita nella camera di consiglio del 18 novembre 1965 la relazione
del Giudice Aldo Sandalli.
Ritenuto in fatto:
Con ordinanza emessa il 6 maggio 1965 nel giudizio penale a carico
di Zona Carlo il Tribunale di Varese, ritenutane la rilevanza ai fini
del decidere, e consideratala non manifestamente infondata, rimetteva a
questa Corte la questione di legittimità costituzionale dell'art. 28,
secondo comma, n. 5, del Codice penale (in base al quale l'interdizione
perpetua dai pubblici uffici priva il condannato "degli stipendi, delle
pensioni e degli assegni che siano a carico dello Stato o di altro ente
pubblico"), per il fatto che la perdita delle pensioni e degli assegni,
da esso prevista, contrasterebbe con gli artt. 3, primo comma, 27,
terzo comma, 38, secondo comma, e 47, primo comma, della Costituzione.
Ciò: 1) a causa della disparità di trattamento tra correi a seconda
che il trattamento di quiescenza sia dovuto a essi a carico di un ente
pubblico o di un soggetto privato; 2) a causa del carattere non
rieducativo della pena accessoria in esame, essendo questa destinata a
rendere più difficile il reinserimento del condannato nella vita
sociale; 3) a causa della imposizione della perdita di somme
costituenti - come l'indennità di buonuscita - una forma di risparmio
coattivo, con conseguente indebito arricchimento da parte dell'ente; 4)
a causa della imposizione della perdita di somme derivanti da
provvidenze di natura previdenziale e destinate ad assicurare al
lavoratore mezzi adeguati alle sue esigenze di vita in caso di
invalidità e vecchiaia, e costituenti, peraltro, una forma di
retribuzione differita.
È evidente che, pur non menzionandolo espressamente, l'ordinanza
chiama in questione, con questo ultimo riferimento, anche l'art. 36
della Costituzione, attinente al diritto dei lavoratori alla
retribuzione.
L'ordinanza, letta in udienza presente l'imputato, è stata
notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri il 13 maggio 1965 e
comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento l'8 dello stesso
mese. Essa è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 3 luglio
1965, n. 163, edizione speciale.
Innanzi a questa Corte nessuno si è costituito. Pertanto la causa
è stata trattata in camera di consiglio.
Considerato in diritto:
1. - Il giudizio in esame trae origine da un reato commesso da un
impiegato di un ente pubblico assistenziale, avente diritto, in quanto
tale, a un trattamento di quiescenza a carico della pubblica
Amministrazione; e la questione di legittimità sottoposta alla Corte
con l'ordinanza di rimessione è tutta articolata con esclusivo
riferimento alla privazione dei lavoratori, nei confronti dei quali sia
stata comminata una pena cui si accompagni la interdizione dai pubblici
uffici, dei trattamenti economici ad essi spettanti, nei confronti di
pubbliche Amministrazioni, in conseguenza appunto del rapporto di
lavoro. Il giudizio della Corte relativo alla legittimità della
disposizione dell'art. 28, secondo comma, n. 5, del Codice penale,
sottoposta al suo esame - in base alla quale l'interdizione dai
pubblici uffici comporta la privazione "degli stipendi, delle pensioni
e degli assegni che siano a carico dello Stato o di un altro ente
pubblico" - deve essere perciò limitato alla ipotesi in cui il
condannato sia privato dei diritti anzidetti, e non va esteso alle
ipotesi relative a trattamenti economici non aventi titolo in un
rapporto di lavoro (quali le pensioni di guerra, le pensioni "di
grazia" e simili).
Entro i riferiti limiti la Corte ritiene fondata la questione, ai
sensi degli artt. 36 e 3 della Costituzione.
Con riferimento all'art. 36, è da osservare che la retribuzione
dei lavoratori - tanto quella corrisposta nel corso del rapporto di
lavoro, quanto quella differita, a fini previdenziali, alla cessazione
di tale rapporto, e corrisposta, sotto forma di trattamento di
liquidazione o di quiescenza, a seconda dei casi, allo stesso
lavoratore e ai suoi aventi causa - rappresenta, nel vigente ordine
costituzionale (che, tra l'altro, l'art. 1 della Costituzione definisce
fondato sul lavoro), una entità fatta oggetto, sul piano morale e su
quello patrimoniale, di particolare protezione. L'art. 36 garantisce
espressamente il diritto ad una retribuzione proporzionata alla
quantità e qualità del lavoro prestato ed in ogni caso sufficiente ad
assicurare al lavoratore e alla famiglia un'esistenza libera e
dignitosa. E non appare compatibile con i principi ispiratori di questo
precetto costituzionale collegare indiscriminatamente (come fa l'art.
28, n. 5, del Codice penale, integrato dall'art. 29), per il personale
degli enti pubblici e i loro aventi causa, la perdita di tale diritto
al fatto che il titolare di esso abbia riportato la condanna a una
certa pena detentiva.
La Corte non intende escludere in via assoluta la possibilità di
misure del genere di quella in esame a carico di trattamenti economici
traenti titolo da un rapporto di lavoro. Non può ritenersi conforme
alla Costituzione però che una sanzione siffatta venga collegata
puramente e semplicemente all'entità della pena detentiva inflitta,
così come attualmente dispone l'art. 29 del Codice penale.
È da aggiungere poi, con riferimento all'art. 3 della
Costituzione, che la disposizione denunciata non appare conciliabile
col fatto che il trattamento retributivo avente titolo in un rapporto
di lavoro riveste carattere non dissimile, nella sostanza, - e anche a
tale riguardo ha decisiva importanza l'art. 36 -, a seconda che sia
posto a carico di una pubblica Amministrazione o di un soggetto
privato.
In tale situazione, la disparità fatta dall'art. 28, n. 5, del
Codice penale correlato con l'art. 29, in danno delle persone
retribuite a carico di enti pubblici e dei loro aventi causa, ai fini
della automatica e indiscriminata perdita, in conseguenza della
interdizione dai pubblici uffici per qualsiasi causa, del trattamento
economico collegato al rapporto di lavoro, non appare ispirata a
ragioni sufficienti a giustificarla, né poggiata su idonea base.
Ritiene perciò la Corte che, con riferimento ai diritti
collegantisi a un rapporto di lavoro, la norma del n. 5 dell'art. 28
del Codice penale sia, nella attuale formulazione, costituzionalmente
illegittima.
2. - Rimane in tal modo assorbita la questione se la disposizione
denunciata contrasti anche con gli artt. 27, 38 e 47 della
Costituzione.
3. - La Corte ritiene che la dichiarazione di illegittimità
costituzionale debba essere estesa - ai sensi dell'art. 27 della legge
11 marzo 1953, n. 87 - anche al terzo comma dell'art. 28 del Codice
penale, riguardante la interdizione temporanea dai pubblici uffici,
nella parte in cui dispone che per la sua durata questa priva il
condannato della capacità di acquistare, esercitare o godere quei
diritti contemplati nel n. 5 del comma precedente, la privazione dei
quali in conseguenza della interdizione perpetua viene dichiarata
illegittima. Ma naturalmente tale estensione della dichiarazione di
illegittimità deve esser contenuta negli stessi limiti in cui viene
dichiarata la illegittimità del secondo comma n. 5.
4. - Inoltre la dichiarazione di illegittimità deve essere estesa,
fin da ora, alle seguenti altre disposizioni, che sono tra le più
importanti di quelle aventi il medesimo contenuto:
1) art. 183, comma primo, lett. a, e comma terzo, del T.U. 21
febbraio 1895, n. 70, sulle pensioni civili e militari;
2) art. 29, comma primo, lett. a, e comma quarto, del R.D.L. 31
dicembre 1925, n. 2383, sul trattamento di quiescenza dei salariati
statali;
3) art. 43, comma primo, n. 1, e comma secondo, del R.D.L. 3 marzo
1938, n. 680, sull'ordinamento della Cassa di previdenza per le
pensioni degli impiegati degli enti locali;
4) art. 42, comma primo, n. 1, e comma secondo, e art. 43 della
legge 25 luglio 1941, n. 934, sull'ordinamento della Cassa di
previdenza per le pensioni ai salariati degli enti locali;
5) art. 36, comma primo, e art. 37, comma primo, della legge 6
luglio 1939, n. 1035, sull'ordinamento della Cassa di previdenza per le
pensioni dei sanitari.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 28, secondo
comma, n. 5, del Codice penale, limitatamente alla parte in cui i
diritti in esso previsti traggono titolo da un rapporto di lavoro;
dichiara inoltre, a norma dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953,
n. 87, l'illegittimità costituzionale:
1) del terzo comma dello stesso art. 28 del Codice penale, nei
medesimi limiti;
2) dell'art. 183, comma primo, lett. a, e comma terzo, del T.U. 21
febbraio 1895, n. 70, sulle pensioni civili e militari;
3) dell'art. 29, comma primo, lett. a, e comma quarto, del R.D.L.
31 dicembre 1925, n. 2383, sul trattamento di quiescenza dei salariati
statali;
4) dell'art. 43, comma primo, n. 1, e comma secondo, del R.D.L. 3
marzo 1938, n. 680, sull'ordinamento della Cassa di previdenza per le
pensioni degli impiegati degli enti locali;
5) dell'art. 42, comma primo, n. 1, e comma secondo, e dell'art. 43
della legge 25 luglio 1941, n. 934, sull'ordinamento della Cassa di
previdenza per le pensioni ai salariati degli enti locali;
6) dell'art. 36, comma primo, e dell'art. 37, comma primo, della
legge 6 luglio 1939, n. 1035, sull'ordinamento della Cassa di
previdenza per le pensioni dei sanitari.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 gennaio 1966.
GASPARE AMBROSINI - GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO - ANTONINO PAPALDO - NICOLA
JAEGER - GIOVANNI CASSANDRO - BIAGIO
PETROCELLI - ANTONIO MANCA - ALDO
SANDULLI - GIUSEPPE BRANCA - MICHELE
FRAGALI - COSTANTINO MORTATI -
GIUSEPPE CHIARELLI - GIUSEPPE VERZÌ
- GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI -
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.