Titolo
SENT. 13/60 A. CORTE COSTITUZIONALE - NATURA DELLA FUNZIONE - CARATTERE DEL PROCEDIMENTO.
Testo
La Corte costituzionale non e' un organo della giurisdizione amministrativa o speciale. Essa esercita essenzialmente funzioni di controllo sull'osservanza della Costituzione della Repubblica da parte degli organi costituzionali dello Stato e delle Regioni. Le sue decisioni, concernendo la norma in se', concorrono non tanto all'interpretazione e all'attuazione quanto, all'accertamento della validita' delle norme dell'ordinamento: percio' hanno efficacia erga omnes quando di una norma dichiarano illegittimita' costituzionale. L'adozione di forme e garanzie processuali, che rendono possibile il contraddittorio fra soggetti ed organi legittimati a difendere innanzi alla Corte interpretazioni eventualmente diverse delle norme costituzionali, riflette soltanto la scelta del metodo considerato piu' idoneo dal legislatore costituente per ottenere la collaborazione dei soggetti e degli organi meglio informati e piu' sensibili rispetto alle questioni da risolvere e alle conseguenze della decisione.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 134
Costituzione
art. 137
legge costituzionale
09/02/1948
n. 1
legge costituzionale
11/03/1953
n. 1
Altri parametri e norme interposte
legge
11/03/1953
n. false
Riferimenti normativi
decreto del Presidente della Repubblica
26/08/1959
n. 875
art. 0
co. 0
Titolo
SENT. 13/60 B. PROCEDIMENTO INNANZI ALLA CORTE COSTITUZIONALE - INTERVENTO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI - QUALITA' IN CUI TALE ORGANO PUO' INTERVENIRE.
Testo
Quando la legge prevede l'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri, legittimato attivamente o passivamente, nei giudizi dinanzi alla Corte costituzionale, essa vi ravvisa non il capo di una amministrazione, ma il rappresentante dello Stato inteso come ordinamento unitario.
Altri parametri e norme interposte
legge
11/03/1953
n. false
art. 23
legge
11/03/1953
n. false
art. 25
legge
11/03/1953
n. false
art. 31
legge
11/03/1953
n. false
art. 32
legge
11/03/1953
n. false
art. 33
legge
11/03/1953
n. false
art. 35
Riferimenti normativi
decreto del Presidente della Repubblica
26/08/1959
n. 875
art. 0
co. 0
Titolo
SENT. 13/60 C. GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALE - LEGGE REGIONALE IMPUGNATA DALLO STATO DINANZI ALLE CAMERE PER "CONTRASTO DI INTERESSI" - RICORSO DELLA REGIONE ALLA CORTE COSTITUZIONALE PER LA DECISIONE SULLA COMPETENZA PREVISTA DALL'ART. 127 COST. - NOTIFICAZIONE AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI E AI PRESIDENTI DELLE CAMERE - MOTIVI PER CUI E' DISPOSTA.
Testo
La notificazione al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Presidenti delle due Camere del ricorso di una Regione alla Corte costituzionale per promuovere la decisione sulla competenza prevista dall'art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e' prescritta non perche' il Presidente del Consiglio e i Presidenti delle Camere possono essere considerati titolari di interessi in conflitto, ma solo come rappresentanti degli organi investiti di sfere di attribuzioni, rispetto alla delimitazione delle quali possono sorgere le questioni la cui soluzione e' affidata alla Corte costituzionale.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 127
Altri parametri e norme interposte
legge
11/03/1953
n. false
art. 35
Riferimenti normativi
decreto del Presidente della Repubblica
26/08/1959
n. 875
art. 0
co. 0
Titolo
SENT. 13/60 D. PROCEDIMENTO INNANZI ALLA CORTE COSTITUZIONALE - NOTIFICAZIONE AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI E AI PRESIDENTI DELLE DUE CAMERE - FORMA DI NOTIFICAZIONE PREVISTA DALLA LEGGE 25 MARZO 1958, N. 260 - INAPPLICABILITA' - NECESSITA' DI NOTIFICAZIONE DIRETTA.
Testo
Fra le notificazioni regolate espressamente dalla legge 25 marzo 1958, n. 260, non possono ritenersi comprese quelle previste nei procedimenti davanti alla Corte costituzionale, riguardino esse il Presidente del Consiglio dei Ministri ovvero i Presidenti delle due Camere del Parlamento: la forma corretta, alla stregua delle disposizioni vigenti, e' quella della notificazione diretta al destinatario, non quella della notificazione presso l'Avvocatura dello Stato.
Altri parametri e norme interposte
legge
11/03/1953
n. false
art. 87
Riferimenti normativi
decreto del Presidente della Repubblica
26/08/1959
n. 875
art. 0
co. 0
Titolo
SENT. 13/60 E. PROCEDIMENTO INNANZI ALLA CORTE COSTITUZIONALE - VIZI DI NOTIFICAZIONE - EFFETTI.
Testo
Il carattere particolare dei procedimenti innanzi alla Corte costituzionale e la stessa natura della funzione affidata alla Corte nel sistema delle garanzie costituzionali inducono a non attribuire ad una irregolarita' di notificazione le stesse conseguenze che essa potrebbe avere in un processo avente ad oggetto un conflitto intersubiettivo di interessi. (Nella specie, la Corte ha respinto l'eccezione di nullita' della notificazione e quindi di irricevibilita', per decorso dei termini, del ricorso per conflitto di attribuzione contro lo Stato proposto dalla Regione siciliana a seguito del D.P.R. 26 agosto 1959, n. 875, con cui sono state soppresse due linee ferroviarie a scartamento ridotto della Sicilia: eccezione sollevata per il motivo, in se stesso fondato, che la notificazione al Presidente del Consiglio dei Ministri era stata eseguita presso l'Avvocatura dello Stato e non direttamente al Presidente. Nella sentenza si rileva che non e' il caso di accogliere l'eccezione di nullita', sia perche' e' la prima volta che la questione si e' presentata e sia perche' entrambi i soggetti si sono costituiti ed hanno svolto le proprie difese).
Riferimenti normativi
decreto del Presidente della Repubblica
26/08/1959
n. 875
art. 0
co. 0
Titolo
SENT. 13/60 F. CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE FRA STATO E REGIONE - ATTO DELLO STATO O DELLA REGIONE RELATIVO A UN BENE DELLA CUI APPARTENENZA SI DISCUTE - IDONEITA' A DETERMINARE IL CONFLITTO.
Testo
Vedi: Sent. 31/1959 A
Altri parametri e norme interposte
legge
11/03/1953
n. false
art. 39
Riferimenti normativi
decreto del Presidente della Repubblica
26/08/1959
n. 875
art. 0
co. 0
Titolo
SENT. 13/60 G. REGIONE SICILIA - BENI RIMASTI AL DEMANIO DELLO STATO ALL'ENTRATA IN VIGORE DELLO STATUTO - SUCCESSIVA CESSAZIONE DELLA DEMANIALITA' - TRASFERIMENTO AL PATRIMONIO DELLO STATO.
Testo
I beni siti in Sicilia, che al momento dell'entrata in vigore dello Statuto siciliano rimasero a far parte del demanio statale, restano di proprieta' dello Stato, se perdono successivamente il carattere di beni demaniali, e non devono essere trasferiti al patrimonio della Regione. (Specie in cui la Corte ha respinto il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla Regione siciliana contro lo Stato a seguito del D.P.R. 26 agosto 1959 n. 875, con cui sono state soppresse le linee ferroviarie a scartamento ridotto Licata-Agrigento Bassa e Margonia-Canicatti: ricorso proposto per il motivo che con l'impugnato decreto non era stato disposto il trasferimento al patrimonio della Regione di tutte le attrezzature delle linee soppresse).
Altri parametri e norme interposte
regio decreto legge
15/05/1946
n. false
art. 32
regio decreto legge
15/05/1946
n. false
art. 33
Riferimenti normativi
decreto del Presidente della Repubblica
26/08/1959
n. 875
art. 0
co. 0
N. 13
SENTENZA 16 MARZO 1960
Deposito in cancelleria: 23 marzo 1960.
Pres. AZZARITI - Rel. JAEGER
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente - Avv.
GIUSEPPE CAPPI - Prof. TOMASO PERASSI - Prof. GASPARE AMBROSINI -
Prof. ERNESTO BATTAGLINI - Dott. MARIO COSATTI - Prof. FRANCESCO
PANTALEO GABRIELI - Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO - Prof. ANTONINO
PAPALDO - Prof. NICOLA JAEGER - Prof. GIOVANNI CASSANDRO - Prof. BIAGIO
PETROCELLI - Dott. ANTONIO MANCA - Prof. ALDO SANDULLI - Prof. GIUSEPPE
BRANCA, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio promosso dal Presidente della Regione siciliana con
ricorso notificato il 23 dicembre 1959, depositato nella cancelleria
della Corte costituzionale il 31 dicembre 1959 ed iscritto al n. 22 del
Registro ricorsi 1959, per conflitto di attribuzione tra la Regione
siciliana e lo Stato, sorto a seguito del decreto del Presidente della
Repubblica 26 agosto 1959, n. 875, con il quale è stata disposta la
soppressione della linea ferroviaria a scartamento ridotto Licata -
Agrigento Bassa, nonché della linea di diramazione Margonia -
Canicattì.
Udita nell'udienza pubblica del 17 febbraio 1960 la relazione del
Giudice Nicola Jaeger;
uditi gli avvocati Antonio Ramirez e Leopoldo Piccardi, per il
ricorrente, e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe
Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto:
Con decreto n. 779 in data 27 luglio 1957 il Ministro per i
trasporti "visto il R.D.L. 21 dicembre 1931, n. 1575, con quale il
Ministero era autorizzato a sostituire parzialmente o totalmente i
servizi ferroviari con mezzi automobilistici"; vista la proposta della
Direzione generale delle ferrovie dello Stato (Servizio commerciale e
del traffico) e sentito il parere del Consiglio di amministrazione,
disponeva:
"Art. 1. - L'Amministrazione delle ferrovie dello Stato è
autorizzata a sopprimere i servizi ferroviari sulla linea Agrigento -
Licata e sulla diramazione Margonia - Canicattì".
"Art. 2. - In luogo del soppresso servizio ferroviario sarà
istituito un autoservizio da autorizzarsi dalla Regione a norma delle
vigenti disposizioni di legge".
Successivamente, con decreto n. 712 in data 28 luglio 1958,
l'Assessore delegato ai trasporti e comunicazioni della Regione
siciliana, visti il decreto - legge e il decreto ministeriale sopra
ricordati e "la proposta dell'Amministrazione delle ferrovie dello
Stato, di cui alla nota 20 marzo 1958, n. C. C. 790, con la quale si
stabiliscono le condizioni da cui deve essere regolato il servizio
automobilistico sostitutivo del servizio ferroviario viaggiatori e
merci" fra l'altro, sulla linea Agrigento - Licata con la diramazione
Margonia - Canicattì, nonché una istanza della Azienda Siciliana
Trasporti in data 17 giugno 1958, n. 14.999, "da cui risulta che
l'Amministrazione ferroviaria ha già concluso apposite intese con
l'A.S.T. (Azienda Siciliana Trasporti), ente di diritto pubblico
regionale, circa le condizioni e modalità, sia tariffarie che di
servizio degli istituendi servizi sostitutivi", autorizzava detta
Azienda a stipulare la convenzione relativa con l'Amministrazione delle
ferrovie dello Stato, dettando talune prescrizioni al riguardo.
Con decreto n. 875 in data 26 agosto 1959 il Presidente della
Repubblica, richiamate le leggi vigenti in materia e il decreto 26
luglio 1957, n. 779, del Ministro per i trasporti, su proposta del
Ministro stesso e sentito il Consiglio dei Ministri, disponeva:
È soppressa la linea ferroviaria a scartamento ridotto Licata -
Agrigento Bassa, nonché la linea di diramazione Margonia -
Canicattì".
Con atto notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri presso
l'Avvocatura generale dello Stato il 23 dicembre 1959, la Regione
siciliana ha proposto ricorso per il regolamento di competenza
conseguente al conflitto di attribuzione, provocato dal decreto del
Presidente della Repubblica 26 agosto 1959, n. 875, che era stato
pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 259 del 27 ottobre 1959.
Nel ricorso si conclude perché la Corte costituzionale voglia
"sospendere preliminarmente l'esecuzione del provvedimento impugnato.
Ritenere e dichiarare che, di seguito alla soppressione del servizio
sulla linea Agrigento Licata e sulla diramazione Margonia Canicatti,
già esercitato dall'Amministrazione delle ferrovie dello Stato,
disposta col decreto ministeriale n. 779 del 26 luglio 1957, la linea
stessa, con tutti i suoi accessori e pertinenze, è passata nella sfera
di competenza e, quindi, in proprietà della Regione. Conseguentemente
ritenere e dichiarare che il decreto del Presidente della Repubblica n.
875 del 26 agosto 1959 ha invaso la sfera di competenza della Regione
siciliana, emettendo tutte le statuizioni conseguenziali".
A sostegno di tali conclusioni la Regione, richiamate numerose
disposizioni vigenti e in particolare quelle del decreto presidenziale
17 dicembre 1953, n. 1113, con cui vennero emanate le norme di
attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia di
comunicazioni e trasporti, afferma che la soppressione del servizio
ferroviario sulla linea in questione sarebbe già avvenuta con il
decreto ministeriale n. 779 del 26 luglio 1957; aggiunge che tale
soppressione ha fatto immediatamente sorgere la competenza della
Regione sulla linea anzidetta e su tutte le sue pertinenze, con la
conseguenza che la Regione può decidere di gestire la linea
ferroviaria sia in proprio sia dandola in concessione, può decidere di
trasformare la linea in strada rotabile, può decidere di smantellarla
parzialmente o totalmente; contesta che le norme degli artt. 32 e 33
dello Statuto siciliano possano essere interpretate nel senso che il
momento del passaggio dei beni dallo Stato alla Regione sia quello
dell'entrata in vigore dello Statuto stesso.
A detta della ricorrente, con l'impugnato provvedimento lo Stato ha
continuato a disporre di una linea non più sua, invadendo la sfera di
competenza della Regione, e poiché l'esecuzione del provvedimento
stesso, che avrebbe ordinato lo smantellamento della linea e delle sue
pertinenze, importerebbe un grave ed evidente danno per la Regione, ne
sarebbe giustificata la sospensione a norma dell'art. 40 della legge n.
87 del 1953. Altro vizio importante illegittimità deriverebbe dalla
mancata partecipazione al Consiglio dei Ministri del Presidente della
Regione.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri si e costituito, con il
patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, depositando le proprie
deduzioni in data 12 gennaio 1960, nelle quali si conclude perché la
Corte voglia dichiarare la nullità e, subordinatamente, la
infondatezza del ricorso con ogni conseguenziale pronunzia. A sostegno
di tali conclusioni si osserva anzitutto che le norme sulle
notificazioni per i giudizi davanti alla Corte costituzionale,
contenute nella Legge 11 marzo 1953, n. 87, non sono state modificate
da quelle della legge 25 marzo 1958, n. 260, perché non ricorre qui il
concetto di giurisdizione amministrativa o speciale; quindi, poiché la
notificazione è stata eseguita presso l'Avvocatura generale dello
Stato, essa è assolutamente nulla, con il conseguente inutile decorso
dei termini previsti dall'art. 39 della legge n. 87 del 1953 e
l'irricevibilità del ricorso.
Nel merito la difesa dello Stato afferma che il decreto
ministeriale n. 779 del 26 luglio 1957 non poteva interpretarsi come
soppressione definitiva della linea ferroviaria e rinunzia ad avvalersi
della facoltà di sostituirla con servizi automobilistici, poiché
questi provvedimenti non sarebbero neppure rientrati nella competenza
del Ministro, ma del Governo. Soprattutto, però, in relazione ai fini
che la Regione si sarebbe proposta di raggiungere col ricorso e che di
questo costituiscono la specifica conclusione, la difesa dello Stato
afferma decisamente, richiamando un precedente già deciso dalla Corte
costituzionale, che la linea soppressa, con tutti i suoi accessori e
pertinenze, non è passata in proprietà della Regione, ma è rimasta
di proprietà dello Stato, passando dal suo demanio al suo patrimonio
disponibile.
Entrambe le parti hanno depositato memorie, nelle quali hanno
ribadito le proprie conclusioni, illustrando più ampiamente gli
argomenti a sostegno di esse. La difesa della Regione ha insistito
particolarmente sulla estensione della competenza legislativa e
amministrativa regionale rispetto a tutti i servizi di comunicazione e
di trasporto che si svolgono esclusivamente nell'ambito del relativo
territorio, alla sola condizione che non si tratti di servizi
esercitati dalle Ferrovie dello Stato. Ha poi affermato che il servizio
automobilistico, il quale dovrebbe sostituire il servizio ferroviario,
rientra certamente nella competenza della Regione; che, pertanto, il
provvedimento dell'autorità statale sarebbe subordinato ad un
provvedimento di competenza regionale, mentre nella specie le autorità
centrali dello Stato avrebbero manifestato il loro intendimento di
rendere obbligatoria per la Regione siciliana, con il loro operato,
l'istituzione di un servizio automobilistico destinato a sostituire la
soppressa linea ferroviaria. Distinte due parti nel contenuto del
provvedimento statale, quella in cui si manifesta la volontà
dell'Amministrazione ferroviaria di non continuare l'esercizio del
servizio e l'altra in cui se ne dispone la soppressione, la difesa
della Regione vede in questa seconda parte uno sconfinamento della
sfera dei poteri spettanti allo Stato, perché a questo punto il
servizio sarebbe diventato di interesse regionale e competerebbe alla
Regione decidere se, come tale, esso debba continuare od essere
soppresso. Essa riafferma infine la tesi del trasferimento dei beni al
demanio regionale, ricordando una precedente decisione della Corte
costituzionale in tema di beni del demanio marittimo, rispetto ai quali
la Regione rivendicava il diritto di disposizione.
Nella memoria della difesa dello Stato si richiama la tesi della
nullità del ricorso; si insiste sulla incompetenza del Ministro dei
trasporti a disporre la soppressione di una linea ferroviaria, che
potrebbe essere determinata - dal Governo - solo dopo un congruo
periodo di sospensione del servizio, che ne dimostri la non necessità;
si contesta che la competenza della Regione in materia abbia carattere
derivativo, in quanto essa sorgerebbe invece a titolo originario e non
potrebbe parlarsi di successione della Regione allo Stato; si rileva
che il potere di disporre dei beni e degli impianti ferroviari spetta
alla Amministrazione delle ferrovie, azienda autonoma, e che
accogliendo la tesi della Regione si arriverebbe all'assurdo che ogni
modificazione del tracciato di una linea nel territorio della Sicilia
importerebbe l'acquisto da parte di questa di tutte le installazioni
del tracciato, precedente; si nega, infine, che la mancata
partecipazione del Presidente della Regione alla seduta del Consiglio
dei Ministri determini la nullità dei provvedimenti nelle materie che
interessano la Regione, anche perché il Presidente, quando interviene,
eserciterebbe una attribuzione non regionale, ma statale.
All'udienza i difensori delle parti hanno ulteriormente illustrato
le proprie deduzioni.
Considerato in diritto:
1. - La difesa dello Stato ha sostenuto in via preliminare la
nullità della notificazione e conseguentemente del ricorso della
Regione, perché esso venne notificato al Presidente del Consiglio dei
Ministri presso l'Avvocatura generale dello Stato, mentre le
disposizioni degli artt. 41 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (in
aggiunta alle quali deve essere menzionato il primo comma dell'art. 27
delle Norme integrative per i giudizi approvate dalla Corte
costituzionale il 16 marzo 1956), non prevedono tale forma di
notificazione.
La difesa stessa esclude che siano applicabili nei giudizi davanti
alla Corte costituzionale le norme della legge 25 marzo 1958, n. 260,
poiché la Corte non può essere qualificata come un organo della
giurisdizione amministrativa o speciale. È quindi necessario risolvere
anzitutto tale questione, che si presenta per la prima volta all'esame
della Corte.
In proposito si deve rilevare che la Corte esercita essenzialmente
una funzione di controllo costituzionale, di suprema garanzia della
osservanza della Costituzione della Repubblica da parte degli organi
costituzionali dello Stato e di quelli delle Regioni.
È vero che la sua attività si svolge secondo modalità e con
garanzie processuali ed è disciplinata in modo da rendere possibile il
contraddittorio fra i soggetti e gli organi ritenuti più idonei, e
pertanto legittimati, a difendere davanti ad essa interpretazioni
eventualmente diverse delle norme costituzionali. Tutto ciò riguarda
soltanto, però, la scelta del metodo considerato più idoneo dal
legislatore costituente per ottenere la collaborazione dei soggetti e
degli organi meglio informati e più sensibili rispetto alle questioni
da risolvere ed alle conseguenze della decisione, tanto è vero che nei
casi, in cui la questione di legittimità costituzionale sorge in
relazione ad una controversia concernente singoli interessati, l'organo
giurisdizionale competente a risolvere tale controversia conserva il
potere di deciderne tutte le altre questioni, ed anche quello di
valutare la rilevanza della questione di legittimità costituzionale
rispetto ad essa; mentre la Corte è chiamata a risolvere la questione
di legittimità, astraendo dai rapporti di essa con la controversia
principale e persino dalle successive vicende processuali di questa
(estinzione del processo per rinuncia accettata, morte dell'imputato
ecc.: cfr. art. 22 delle Norme integrative). La sua decisione,
concernendo la norma in sé, concorre non tanto alla interpretazione ed
alla attuazione, quanto all'accertamento della validità delle norme
dell'ordinamento e, quando ne dichiara la illegittimità
costituzionale, ha - come è noto - efficacia erga omnes.
È pertanto da respingere l'opinione che la Corte possa essere
inclusa fra gli organi giudiziari, ordinari o speciali che siano, tante
sono, e tanto profonde, le differenze tra il compito affidato alla
prima, senza precedenti nell'ordinamento italiano, e quelli ben noti e
storicamente consolidati propri degli organi giurisdizionali.
Si deve osservare anche che la partecipazione di una
Amministrazione dello Stato ai procedimenti davanti alla Corte
costituzionale non è certamente frequente, non essendo dubbio che
quando la legge prevede il così detto intervento del Presidente del
Consiglio dei Ministri, legittimato attivamente o passivamente (art.
20, terzo comma; art. 23, quarto comma; art. 25, terzo comma; art. 31,
secondo comma; art. 32, secondo comma; art. 33, secondo comma; art.
35, primo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87; art. 27, primo comma,
Norme integrative approvate dalla Corte), essa vi ravvisa non il capo
di una Amministrazione, ma il rappresentante dello Stato inteso come
ordinamento unitario. A chiarimento del concetto può non essere
superfluo ricordare la disposizione dell'art. 35 della legge n. 87 del
1953, che, prevedendo il ricorso di una Regione alla Corte
costituzionale per promuovere la decisione sulla competenza prevista
dall'art. 127 della Costituzione, prescrive che tale ricorso deve
essere notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento: organi tutti, che non
possono essere certamente considerati quali titolari di interessi in
conflitto, ma solo come rappresentanti degli organi investiti di sfere
di attribuzioni, rispetto alla delimitazione delle quali possono
sorgere le questioni, la cui soluzione è affidata alla Corte
costituzionale.
Queste considerazioni inducono a ritenere, da un lato, esatta la
premessa posta dall'Avvocatura generale dello Stato, che fra le
notificazioni regolate espressamente dalla citata legge del 1958 non
possono ritenersi comprese quelle previste nei procedimenti davanti
alla Corte costituzionale, riguardino esse il Presidente del Consiglio
dei Ministri ovvero i Presidenti delle due Camere del Parlamento;
quindi la forma corretta, alla stregua delle disposizioni vigenti, è
quella della notificazione diretta al destinatario, non presso
l'Avvocatura dello Stato.
D'altro lato, il carattere sopra ricordato dei procedimenti e la.
natura della funzione affidata alla Corte nel sistema delle garanzie
costituzionali inducono a non attribuire ad una irregolarità commessa
nel corso di una notificazione le stesse conseguenze che essa potrebbe
avere in un processo avente ad oggetto un conflitto intersubbiettivo di
interessi. Qui, più che in ogni altro caso, l'interesse generale esige
l'accertamento e l'attuazione della volontà della legge; e, nella
specie, la delimitazione delle attribuzioni assegnate da norme
costituzionali rispettivamente allo Stato ed alle Regioni. Attenendosi
a principi analoghi, la Corte ha ripetutamente posto in luce come, dato
lo speciale carattere e lo scopo dei giudizi di legittimità
costituzionale, anche quando essi siano proposti in via principale, non
possano avere rilievo istituti specialmente elaborati dalla
giurisprudenza amministrativa, come quelli della inammissibilità del
ricorso per acquiescenza o per il carattere confermativo del
provvedimento impugnato (sentenze 7 marzo 1957, n. 44; 7 luglio 1958,
n. 54; 30 dicembre 1958, n. 77; 18 maggio 1959, n. 30).
Tenuto conto poi che è questa la prima volta che la questione si
è presentata, così che mancava ogni precedente atto a servire di
norma, e che un'altra notificazione dell'atto sarebbe di fatto
superflua perché entrambi i soggetti si sono costituiti ed hanno
svolto le proprie difese scritte e orali, la Corte non ritiene di
accogliere la eccezione di nullità proposta dall'Avvocatura generale
dello Stato.
2. - Nel merito si osserva anzitutto che il provvedimento cui si
riferisce il ricorso della Regione è un decreto del Presidente della
Repubblica, mediante il quale non si è fatto altro che porre in essere
l'ultimo atto di un complesso procedimento iniziato con il decreto
ministeriale n. 779 in data 27 luglio 1957. Contro questo provvedimento
la Regione siciliana non avanzò alcuna protesta né riserva, anzi
provvide a tutti i necessari adempimenti affinché, esso potesse avere
piena e relativamente sollecita esecuzione.
D'altra parte, anche la censura rivolta al decreto presidenziale
non concerne propriamente il provvedimento stesso, ma alcune delle sue
conseguenze, o meglio la mancanza di certe conseguenze, che dovrebbe
derivarne secondo la tesi della Regione, e precisamente quella del
trasferimento al suo patrimonio di tutti i beni attinenti alla linea
ferroviaria ed alla diramazione soppresse con il decreto medesimo.
La difesa della Regione attribuisce all'unica disposizione del
decreto "soppressa la linea ferroviaria a scartamento ridotto Licata -
Agrigento Bassa, nonché la linea di diramazione Margonia - Canicatti"
un duplice contenuto: l'ordine di soppressione della linea, contro il
quale essa non ha nulla da eccepire, riconoscendo che esso rientra
pienamente nelle attribuzioni dello Stato a norma delle disposizioni
vigenti (art. 17, lett. a, dello Statuto della Regione; art. 4 del
D.P.R. 17 dicembre 1953, n. 1113), ed un implicito atto di disposizione
dei beni attinenti alla linea ferroviaria, mediante il quale lo Stato
avrebbe trasferito i beni stessi dal proprio demanio al patrimonio
disponibile come conseguenza della soppressione della linea stessa. La
Regione, che non ravvisa veramente nella prima parte (esplicita) alcun
vizio censurabile, tanto più in quanto proprio su di essa fonda la sua
domanda relativa al trapasso dei beni sdemanializzati al patrimonio
regionale, denuncia invece la seconda parte (implicita) per una lacuna
che essa presenterebbe, non avendo dato atto di tale trapasso di beni,
fondato secondo la sua tesi sulla norma contenuta nell'art. 32 dello
Statuto speciale per la Regione siciliana.
Con tutto ciò, non è veramente del tutto chiara l'argomentazione
in base alla quale la difesa della Regione, la quale conclude per
l'assegnazione alla medesima della proprietà sui beni della linea
ferroviaria soppressa, giunge a tale conclusione attraverso una censura
dello stesso decreto presidenziale, che costituisce in realtà il
presupposto della sua domanda. Ma è chiaro invece che l'oggetto del
presente giudizio è, in via principale, la questione sulla
appartenenza allo Stato o alla Regione di una potestà pubblica
relativamente a certi beni, che la Regione assume trasferiti aI suo
patrimonio e lo Stato ritiene rimasti nel proprio; così che la specie
presenta notevole analogia con un'altra, che si è presentata
recentemente al giudizio della Corte costituzionale, e che dette
occasione a questa di affermare la propria competenza a giudicare della
appartenenza di un bene allo Stato o alla Regione, come presupposto del
legittimo esercizio delle potestà amministrative rispetto al bene
stesso (sentenza 18 maggio 1959, n. 31).
D'altra parte, le censure rivolte al decreto presidenziale del 1959
avrebbero potuto essere dirette piuttosto al decreto ministeriale del
1957, rispetto al quale la difesa della Regione muove pure alcuni
appunti, oltretutto tardivi e contraddittori, come quello di avere
posto dei limiti alla libertà di determinazione della Regione,
obbligandola a provvedere alla sostituzione del servizio ferroviario,
una volta che questo fosse stato soppresso, ma non formula conclusioni
di sorta.
3. - Precisato così l'oggetto del conflitto di attribuzione ed
accertato, proprio in base alle conclusioni contenute nel ricorso, che
la Regione non domanda l'annullamento del decreto presidenziale (e ciò
spiega perché l'accenno, fatto solo per inciso, ad un vizio dell'atto,
derivante dalla mancata partecipazione del Presidente della Regione
alla seduta del Consiglio dei Ministri che precedette l'emanazione del
provvedimento, non è stato poi né svolto adeguatamente, né posto a
base di una conclusione), la sola questione da risolvere è quella che
concerne la proprietà delle attrezzature della linea ferroviaria
soppressa.
La stessa difesa della Regione richiama, a sostegno delle proprie
tesi, la interpretazione data da questa Corte alle norme contenute
negli artt. 32 e 33 dello Statuto speciale (sentenza 4 giugno 1958, n.
37); ma il richiamo non è esatto, perché nel caso deciso con quella
sentenza si trattava di un bene, rispetto al quale la situazione
giuridica era rimasta immutata dalla data dell'entrata in vigore dello
Statuto, onde occorreva solo un atto di accertamento della situazione
stessa.
Nella controversia presente, invece, la Regione rivendica la
proprietà di un bene, che al momento dell'entrata in vigore dello
Statuto era indiscutibilmente compreso nel demanio dello Stato, e la
sua pretesa si fonda su un fatto nuovo, la soppressione della linea
ferroviaria, avvenuto ben tredici anni dopo l'approvazione di quello
Statuto.
La domanda della Regione deve pertanto essere respinta; e con ciò
rimane assorbita anche la questione concernente la sospensione del
decreto presidenziale n. 875 del 26 agosto 1959.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
pronunciando sul conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione
siciliana con atto 23 dicembre 1959 in relazione al decreto del
Presidente della Repubblica 26 agosto 1959, n. 875:
respinta la eccezione pregiudiziale di nullità del ricorso
proposta dalla Avvocatura generale dello Stato;
dichiara la competenza dello Stato a disporre dei beni attinenti a
servizi di trasporto esercitati dall'Amministrazione delle ferrovie
dello Stato nell'ambito del territorio della Regione siciliana, anche
successivamente alla soppressione del servizio;
respinge pertanto il ricorso proposto dalla Regione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 marzo 1960.
GAETANO AZZARITI - GIUSEPPE CAPPI -
TOMASO PERASSI - GASPARE AMBROSINI -
ERNESTO BATTAGLINI - MARIO COSATTI -
FRANCESCO PANTALEO GABRIELI -
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO - ANTONINO
PAPALDO - NICOLA JAEGER - GIOVANNI
CASSANDRO - BIAGIO PETROCELLI -
ANTONIO MANCA - ALDO SANDULLI -
GIUSEPPE BRANCA.