N. 1 ORDINANZA (Atto di promovimento) 06 novembre 2023
Ordinanza del 6 novembre 2023 del Tribunale di Brescia nel
procedimento penale a carico di L. A. e altri.
Reati e pene - Stupefacenti e sostanze psicotrope - Associazione
finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o
psicotrope - Previsione la quale dispone la pena della reclusione
non inferiore agli anni venti per il soggetto che promuova,
costituisca, diriga, organizzi oppure finanzi una associazione
finalizzata a commettere i delitti di cui all'art. 73 del decreto
del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, in luogo della
reclusione non inferiore agli anni sette - Previsione la quale
stabilisce che chi partecipi alla associazione sia punito con la
reclusione non inferiore agli anni dieci, in luogo della pena della
reclusione non inferiore agli anni cinque.
- Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309
(Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli
stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), art. 74,
commi 1 e 2.
(GU n. 4 del 24-01-2024)
TRIBUNALE DI BRESCIA
Sezione giudice per le indagini preliminari GUP
Il Giudice per le indagini preliminari nella persona della
dott.ssa Angela Corvi nel procedimento a carico di: L A (difeso
dall'avv. Annalisa Abate, del Foro di Como), L J (difeso dagli avv.ti
Gianfranco e Federico Abate, del Foro di Brescia), L E (difeso
dall'avv. Alessandro Morandi Betta, del Foro di Brescia) e M E
(difesa dagli avv.ti Gianfranco e Federico Abate, del Foro di
Brescia), tutti sottoposti per questa causa alla misura degli arresti
domiciliari;
lette le memorie depositate, nelle more dell'odierna udienza, dai
difensori degli imputati; sentito il pubblico ministero ed i
difensori, che si sono riportati agli atti scritti;
nel corso della udienza del 6 novembre 2023, alla presenza delle
parti, ha pronunciato la seguente:
Ordinanza
Ritiene questo Giudice che vi siano i presupposti per sollevare,
ex officio, ai sensi dell'art. 23, comma I, II e III I. 87/1953, la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 74 decreto del
Presidente della Repubblica 309/90, in relazione al comma I, nella
parte in cui prevede la pena della reclusione non inferiore agli anni
venti, per il soggetto che promuova, costituisca, diriga, organizzi
oppure finanzi una associazione finalizzata a commettere uno o piu'
delitti previsti dal precedente art. 73 decreto del Presidente della
Repubblica 309/90, in luogo della reclusione non inferiore agli anni
sette; nonche' in relazione al comma II della medesima disposizione,
nella parte in cui prevede che chi partecipi alla associazione sia
punito con la reclusione non inferiore agli anni dieci, in luogo
della pena della reclusione non inferiore agli anni cinque. E cio',
per violazione degli articoli 3 e 27 della Carta Costituzionale, con
riferimento ai principi di proporzionalita', ragionevolezza (di cui
all'art. 3 Cost.), oltre che del principio di rieducazione (di cui
all'art. 27 Cost.) della pena.
In punto rilevanza della questione, occorre brevemente
sintetizzare la vicenda processuale che vede coinvolti gli odierni
imputati.
Con decreto di giudizio immediato, emesso dal giudice per le
indagini preliminari Tribunale di Brescia il 31 gennaio 2023, costoro
erano tratti a giudizio fra l'altro, per avere preso parte ad una
associazione per delinquere finalizzata a commettere una serie
indeterminata di delitti connessi al commercio di stupefacenti, quali
l'acquisto, il trasporto, la detenzione, il confezionamento, la
vendita al dettaglio o all'ingrosso di cocaina, predisponendo i mezzi
necessari per l'esecuzione del programma delittuoso ed operando
secondo articolata e specifica divisione dei ruoli (cfr. capo 33
della imputazione).
Ai fratelli L A e J ed a L E , era contestata la partecipazione
c.d. apicale o qualificata (art. 74 comma I decreto del Presidente
della Repubblica 309/90).
Secondo quanto indicato nel capo di imputazione di riferimento, L
A avrebbe svolto il ruolo di capo, promotore ed organizzatore;
sovraintendendo alla complessiva attivita' criminosa svolta
unitamente agli altri sodali, di cui coordina a l'attivita';
mantenendosi costantemente informato di ogni evenienza; impartendo
istruzioni ed indicazioni ai correi, in ordine al compimento dei
traffici illeciti; tessendo i contatti con i fornitori e con i
principali acquirenti; occupandosi personalmente delle consegne delle
partite piu' consistenti di cocaina; ricevendo i proventi economici
dei commerci delittuosi.
L J avrebbe, parimenti, svolto il ruolo di capo, promotore ed
organizzatore, svolgendo attivita' analoga a quella del fratello, ed
inoltre occupandosi del "reclutamento" di nuovi adepti; dell'acquisto
ed intestazione fittizia di vetture da impiegare per le consegne di
droga; dello "smistamento" delle richieste ricevute dalla clientela e
della loro assegnazione ai vari corrieri; della tenuta della
contabilita' dell'ente; del pagamento del corrispettivo dei legali,
in caso di arresto dei sodali.
L E , dal canto suo, avrebbe svolto il ruolo di organizzatore,
ricevendo le chiamate dei tossicodipendenti in cerca di nuove dosi,
programmando le relative consegne ed istruendo i corrieri; tenendo la
contabilita' ed i contatti con i fittizi intestatari delle auto nella
disponibilita' dell'organizzazione.
A M E , invece, la Pubblica Accusa contesta la partecipazione
c.d. semplice (art. 74 comma II decreto del Presidente della
Repubblica 309/90), per avere rivestito il ruolo di custode della
sostanza, di "vedetta" e consigliera del marito, L J , nonche' per
avere svolto altre attivita' funzionali alla operativita' della
organizzazione criminosa di cui si discute.
Occorre specificare che, per questi stessi fatti oltre che per
numerosi episodi di detenzione illecita e spaccio di sostanza
stupefacente del tipo cocaina, e di intestazione fittizia di beni -
lo stesso giudice per le indagini preliminari Tribunale di Brescia
applicava la misura custodiale nei confronti dei quattro - all'epoca
indagati, riconoscendo, per quanto qui di interesse, il requisito
della gravita' indiziaria in ordine al reato di cui all'art. 74 comma
I e II decreto del Presidente della Repubblica 309/90,
rispettivamente loro ascritto; e la misura, sempre in punto di
gravita' indiziaria, era confermata dal Tribunale della Liberta' -
adito ex art. 309 codice di procedura penale dai difensori dei due L
e della M il quale, fra l'altro, condivideva la provvisoria
qualificazione, operata dal giudice della cautela, della associazione
criminosa, incasellandola nel paradigma di cui ai comma I e II
dell'art. 74, in luogo della fattispecie di cui al successivo comma
VI.
Regolarmente notificati i decreti ex art. 455 c.p.p., i
difensori, in forza di procura speciale, chiedevano tempestivamente
che nei confronti dei loro assistiti si procedesse nelle forme del
giudizio abbreviato; la richiesta era reiterata personalmente dagli
imputati, con l'ausilio dei difensori fiduciari, nel corso
dell'udienza camerale fissata ex art. 458 comma II c.p.p., del 12
giugno 2023, quando il Giudice ammetteva il rito cartolare,
aggiornando dapprima il processo all'udienza del 23 ottobre 2023, per
la discussione, e poi all'odierna udienza.
Da quanto sopra, emerge la rilevanza della questione, posto che,
qualora I' ipotesi accusatoria venisse confermata, in punto fatto e
diritto, sulla base delle contestazioni cristallizzate nei capi di
imputazione (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 63/2022, al
periodo 2 del "considerato in diritto", con riferimento al vaglio del
requisito, sulla base delle contestazioni di cui all'incolpazione),
la pena "base", cui questo Giudice dovrebbe fare riferimento, nella
commisurazione della pena ai sensi dell'art. 133 c.p., sarebbe pari
ad anni venti, per i capi, promotori o organizzatori dell'ente
criminoso; e ad anni dieci, per il "mero" partecipe. Su questo minimo
edittale dovrebbero, infatti, innestarsi i successivi calcoli, ed in
particolare quello relativo alla eventuale continuazione ex art. 81
comma II c.p., la fattispecie associativa risultando indubbiamente,
in astratto, il "reato piu' grave".
Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, e con
riferimento ai parametri costituzionali gia' evocati «si e' detto,
articoli 3 e 27 Cost.), si osserva quanto segue.
L'art. 74 decreto del Presidente della Repubblica 309/90, nella
attuale formulazione, punisce con pena non inferiore ai vent'anni chi
promuova, costituisca, organizzi, diriga o finanzi una associazione
criminale che abbia quale scopo la commissione di una pluralita' di
reati di cui al precedente art. 73; mentre pena non inferiore ai
dieci anni e' riservata a coloro che facciano parte del sodalizio,
senza rivestire uno dei ruoli sopra descritti. E' prevista poi una
circostanza aggravante comune «co. III), qualora la compagine sia
formata almeno da dieci soggetti o se fra i sodali vi siano persone
dedite all'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, e due
aggravanti ad effetto speciale, applicabili in caso di associazione
annata (co. IV) o quando le sostanze "maneggiate" dall'ente criminoso
siano state adulterate o commiste ad altre, in modo da accentuarne la
potenzialita' lesiva (co. V, con riferimento all'art. 80 comma I
lettera E).
Le scelte sanzionatorie, particolarmente severe, compiute dal
legislatore con l'introduzione dell'art. 74, sono state compensate
con la previsione di una peculiare figura associativa, disciplinata
al comma VI della disposizione, il quale prevede che «Se
l'associazione e' costituita per commettere i fatti descritti dal
comma V dell'art. 73, si applicano il primo ed il secondo comma
dell'art. 416 del codice penale».
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione (cfr. Cassazione,
S.U., 22 settembre 2011, n. 34475) hanno avuto modo di affermare che
quella di cui al comma VI costituisce fattispecie autonoma di reato,
e non mera ipotesi attenuata del delitto. di cui al precedente
comma I (e II); cio', in forza della chiara dizione della norma,
espressione di un rinvio quoad factum e non di un meramente quoad
poenam, indicativa della volonta' del legislatore di riservare
all'ipotesi criminosa in questione, in ragione del minore allarme
sociale suscitato dai fatti e della minore pericolosita' degli
autori, un regime diverso.
Ne deriva che, in questa ipotesi, non si applica la disciplina
processual-penalistica e penitenziaria, particolarmente rigorosa,
prevista per il fatto di cui all'art. 74 comma I e II: ad esempio, la
presunzione di cui all'art. 275 comma III codice di procedura penale
non puo' intendersi riferita alla associazione finalizzata al
traffico di stupefacenti di lieve entita'; la fattispecie non rientra
fra quelle annoverate dall'art. 51 comma III bis c.p.p., e, dunque,
nelle previsioni che richiamano quest'ultima norma, con riferimento,
fra l'altro, al raddoppio dei termini di prescrizione ed al divieto
di patteggiamento allargato. Quanto al piano della esecuzione della
pena, non opera il divieto di sospensione dell'esecuzione della pena,
ne' le restrizioni di cui all'art. 4-bis ordinanza pen.
La giurisprudenza e' univoca nel ritenere che la fattispecie
associativa prevista dall'art. 74 comma VI sia configurabile a
condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la
commissione di fatti di lieve entita', predisponendo modalita'
strutturali ed operative incompatibili con fatti di maggiore gravita'
e che, in concreto, l'attivita' associativa si sia manifestata con
condotte tutte rientranti nella previsione dell'art. 73 comma V
decreto del Presidente della Repubblica 309/90. Non e' tuttavia
sufficiente considerare la natura dei singoli episodi di cessione
accertati in concreto, perche' occorre valutare il momento genetico
della associazione, nel senso che essa deve essere stata costituita
per commettere cessioni di stupefacente di lieve entita', e le
potenzialita' dell'organizzazione, con riferimento ai quantitativi di
sostanze che il gruppo e' in grado di procurarsi. Puo' dunque darsi
che l'associazione sia si' finalizzata alla perpetrazione di fatti di
cessione che, singolarmente considerati, potrebbero rientrare
nell'alveo dell'art. 73 comma V decreto del Presidente della
Repubblica 309/90; e che tuttavia la stessa non sia sussumibile nel
comma VI dell'art. 74, in forza della complessiva considerazione in
concreto dell'attivita' di spaccio in concreto esercitata, che
esorbiti, per la molteplicita' degli episodi ed il loro reiterarsi in
un apprezzabile lasso di tempo, nonche' per la predisposizione di una
idonea organizzazione, dalla previsione di "lieve entita'" (cfr., da
ultimo, Cassazione, sez. VI, 9 ottobre 2019, n. 1642; Cassazione,
sez. IV, 25 novembre 2021, n. 476).
Ebbene, se la qualificazione giuridica della fattispecie
associativa "a monte" a norma dei comma I e II dell'art. 74 decreto
del Presidente della Repubblica 309/90, in luogo del comma VI - si
modella sulle caratteristiche del programma criminoso "a valle" - sia
pure con le specificazioni sopra illustrate - e' allora evidente che,
in punto ragionevolezza del trattamento sanzionatorio (artt. 3 e 27
Cost.), si ripropongono le censure gia' avanzate nella ordinanza del
17 marzo 2017, della Corte di Appello di Trieste, fatte proprie dal
Giudice delle Leggi, con la sentenza n. 40 del 2019.
Nel provvedimento si osservata, infatti, che «... mentre la linea
di demarcazione "naturalistica" fra le fattispecie "ordinaria" e
"lieve" e' talvolta non netta (si pensi alle condotte concernenti
quantitativi non particolarmente cospicui, ma non minimi, ovvero
connotate da modalita' esecutive caratterizzate da una certa, ma non
rilevante pericolosita', quanto al rischio di diffusione della
sostanza, suscettibili di escludere comunque la sussumibilita' della
fattispecie concreta nell'art. 73 comma V), il "confine
sanzionatorio" dell'una e dell'altra incriminazione e', invece
estremamente - ed irragionevolmente - distante (intercorrendo ben
quattro anni di pena detentiva fra il massimo dell'una e il minimo
dell'altra). Il che, nella prassi, spesso induce i giudici a
forzature interpretative, tese a rimediare - mediante l'ampliamento
dell'ambito applicativo dell'ipotesi "lieve" - l'ingiustificato
dislivello edittale tra le due fattispecie incriminatrici [...] le
fattispecie concrete presentano talora un confine sfumato tra il
fatto di lieve entita' che meriti il massimo della sanzione edittale
prevista dall'art. 73 comma V [...] e il fatto "non lieve" che meriti
pero' il minimo della pena prevista dall'art. 73 comma I [...]; il
peso che il giudice di merito e' chiamato a dare a ogni elemento per
una corretta qualificazione giuridica del caso concreto non
giustifica pero', il trattamento sanzionatorio sensibilmente diverso
tra le c.d. "fattispecie di confine", che non si pone in ragionevole
rapporto con il disvalore della condotta».
Il tema si ripropone, inevitabilmente, in relazione alla
fattispecie associativa, laddove il Giudice e' chiamato ad una
valutazione, per cosi' dire, "sinergica", che tenga conto dei singoli
reati scopo - ad esempio di trasporto, vendita o cessione -
programmati e/o realizzati; delle condotte dirette
all'approvvigionamento della sostanza commerciata; dei mezzi
economici e/o le risorse di cui l'ente disponga; della ampiezza,
territoriale e temporale, del suo raggio di azione.
Pure facendo rigorosa applicazione di questi - multiformi e
sfaccettati - criteri, possono darsi casi di confine, in cui
l'organizzazione criminosa, pur non possedendo le caratteristiche per
essere inquadrata nella ipotesi di minore gravita', presenti, in
concreto, una pericolosita' sociale contenuta, o comunque prossima a
quella delle associazioni genuinamente sussumibili nella fattispecie
di cui al comma VI dell'art. 74 decreto del Presidente della
Repubblica 309/90. Casi che, come osservato dalla Corte
costituzionale, nella sentenza 40/2019 a proposito delle fattispecie
di cui all'art. 73, comma I e V, si collocano in una "zona grigia",
al confine fra le due fattispecie di reato, sicche' non puo'
ritenersi giustificabile uno intervallo sanzionatorio di cinque anni
(fra la pena massima prevista per la partecipazione "semplice" di cui
agli articoli 416 comma II, e la pena minima di cui all'art. 74 comma
II decreto del Presidente della Repubblica 309/90) o addirittura di
tredici anni (fra il massimo edittale della partecipazione
qualificata alla associazione "lieve" ed il minimo previsto per
l'apicale di una associazione finalizzata al traffico di stupefacenti
"ordinaria"). Si tratta di uno iato evidentemente sproporzionato, sol
che si consideri che il minimo edittale del fatto di non lieve
entita' e' pari esattamente al doppio del massimo edittale del fatto
lieve, per il comma II dell'art. 74 decreto del Presidente della
Repubblica 309/90, quando non a poco meno del triplo, per l'art. 74
comma I.
Pure in questo caso, quindi, «l'ampiezza del divario
sanzionatorio condiziona inevitabilmente la valutazione complessiva
che il giudice di merito deve compiere al fine di accertare la lieve
entita' del fatto [...], con il rischio di dar luogo a sperequazioni
punitive, in eccesso o in difetto, oltre che a irragionevoli
difformita' applicative in un numero rilevante di condotte».
D'altra parte, se e' vero che i requisiti di fattispecie
dell'art. 74 decreto del Presidente della Repubblica 309/90 sono
quelli previsti, in generale, per il reato associativo - ossia la
presenza di uno stabile accordo fra almeno tre persone, di un
programma criminoso indeterminato (nel caso di specie quanto al
numero, e non alla tipologia, dei reati scopo) e di una
organizzazione, di uomini e di mezzi, dotata di un minimo di
stabilita' - e' altresi' vero che quest'ultimo elemento - quello
della "organizzazione" - si modella sugli scopi di volta in volta
avuti di mira dall'ente, nel senso che l'armamentario di cui il
sodalizio dispone deve renderlo capace, in concreto, di raggiungere e
perpetuare i suoi obiettivi criminosi, costituendo una viva e
perdurante occasione di commissione di condotte descritte dall'art.
73 decreto del Presidente della Repubblica 309/90.
Se e' dunque l'effettiva capacita', in capo alla singola
associazione ex art. 74 decreto del Presidente della Repubblica
309/90, di realizzare il suo specifico programma delinquenziale - sia
esso costituito, ad esempio, dalla importazione o dalla esportazione
di una o piu' sostanze, su scala internazionale o nazionale; dal
commercio all'ingrosso o al dettaglio, con un raggio di azione piu' o
meno ampio - e' allora evidente che, nell'unico "contenitore" di cui
alla disposizione richiamata, rientreranno sodalizi dalle
peculiarita' assai disparate, con un ben diverso grado di
pericolosita' rispetto ai beni giuridici tutelati dall'ordinamento -
in primis, la salute pubblica e, dunque, caratterizzati da gradi di
disvalore radicalmente distinti.
In questo senso, la Corte costituzionale, nella sentenza 231 del
2011 - con cui dichiarava l'illegittimita' dell'art. 275 comma III
c.p.p., nella formulazione all'epoca vigente, nella parte in cui,
parificando la disciplina prevista per l'art. 74 decreto del
Presidente della Repubblica 309/90 con quella di cui all'art. 416-bis
c.p., prevedeva una presunzione «assoluta» di adeguatezza della
custodia cautelare in carcere - evidenziava proprio la natura
"aperta" della fattispecie, cio' che la rendeva nettamente eterogenea
rispetto al sodalizio di stampo mafioso, al contrario ben
distintamente connotato, sul piano criminologico e sociologico («Il
delitto di associazione di tipo mafioso e', infatti, normativamente
connotato di riflesso ad un dato empirico-sociologico - come quello
in cui il vincolo associativo esprime una forza di intimidazione e
condizioni di assoggettamento e di omerta', che da quella derivano,
per conseguire determinati fini illeciti. Caratteristica essenziale
e' proprio tale specificita' del vincolo, che, sul piano concreto,
implica ed e' suscettibile di produrre, da un lato, una solida e
permanente adesione tra gli associati, una rigida organizzazione
gerarchica, una rete di collegamenti e un radicamento territoriale e,
dall'altro, una diffusivita' dei risultati illeciti, a sua volta
produttiva di accrescimento della forza intimidatrice del sodalizio
criminoso. Sono tali peculiari connotazioni a fornire una congrua
"base statistica" alla presunzione considerata, rendendo ragionevole
la convinzione che, nella generalita' dei casi, le esigenze cautelari
derivanti dal delitto in questione non possano venire adeguatamente
fronteggiate se non con la misura carceraria, in quanto idonea - per
valersi delle parole della Corte europea dei diritti de 'uomo - «a
tagliare i legami esistenti tra le persone interessate e il loro
ambito criminale di origine», minimizzando «il rischio che esse
mantengano contatti personali con le strutture delle organizzazioni
criminali e possano commettere ne/frattempo delitti» [...]
Altrettanto non puo' dirsi per il delitto di associazione finalizzata
al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope. Quest
'ultimo si concreta, infatti, in una forma speciale del delitto di
associazione per delinquere, qualificata unicamente dalla natura dei
reati-fine (i delitti previsti dall'art. 73 del d.P.R. n. 309 del
1990). Per consolidata giurisprudenza, essa non postula
necessariamente la creazione di una struttura complessa e
gerarchicamente ordinata, essendo viceversa sufficiente una qualunque
organizzazione, anche rudimentale, di attivita' personali e di mezzi
economici, benche' semplici ed elementari, per il perseguimento del
fine comune. Il delitto in questione prescinde, altresi', da
radicamenti sul territorio, da particolari collegamenti personali e
soprattutto da qualsivoglia specifica connotazione del vincolo
associativo[ ...] Si tratta, dunque, di fattispecie, per cosi' dire,
"aperta", che, descrivendo in definitiva solo lo scopo
dell'associazione e non anche specifiche qualita' di essa, si presta
a qualificare penalmente fatti e situazioni in concreto i piu'
diversi ed eterogenei: da un sodalizio transnazionale, forte di una
articolata organizzazione, di ingenti risorse finanziarie e
rigidamente strutturato, al piccolo gruppo, talora persino ristretto
ad un ambito familiare - come nel caso oggetto del giudizio a quo -
operante in un'area limitata e con i piu' modesti e semplici mezzi.
Proprio per l'eterogeneita' delle fattispecie concrete riferibili al
paradigma punitivo astratto, ricomprendenti ipotesi nettamente
differenti quanto a contesto, modalita' lesive del bene protetto e
intensita' del legame tra gli associati, non e' dunque passibile
enucleare una regala di esperienza, ricollegabile ragionevolmente a
tutte le «connotazioni criminologiche» del fenomeno [...]».
Si profila cosi' una ulteriore ragione di incostituzionalita',
sempre per violazione degli articoli 3, 27 Cost., con riguardo al
contrasto del trattamento sanzionatorio con il principio di
proporzionalita', colpevolezza e di necessaria finalizzazione
rieducativa della pena.
Se, infatti, possono darsi casi in cui- in considerazione
dell'ampiezza del raggio di azione dell'ente criminoso, della
tipologia e quantita' di stupefacente maneggiato, della varieta' ed
imponenza dei mezzi strumentali ed economici a disposizione, da un
lato, e delle concrete caratteristiche della condotta partecipativa,
dall'altro - il disvalore di azione sia tale per cui una pena uguale
o prossima al massimo edittale appaia adeguata, oltre che necessaria
per permettere il reinserimento sociale del condannato, nelle -
probabilmente, ben piu' numerose - ipotesi in cui la pericolosita'
della condotta, rispetto al bene giuridico rappresentato dalla salute
pubblica, appaia contigua, o comunque non troppo "distante", rispetto
a quella della partecipazione in associazione di "lieve entita'"
(art. 74 comma VI), l'imposizione di un minimo edittale "astratto" di
ben dieci anni si traduce, in concreto, nella scelta obbligata di una
pena assolutamente sproporzionata rispetto alla gravita' del fatto
contestato.
Il contrasto con il principio costituzionale del finalismo
rieducativo si fa ancora piu' "drammatico" in relazione alla
partecipazione qualificata, di cui all'art: 74 comma I decreto del
Presidente della Repubblica 309/90, laddove la pena base e' pari ad
anni venti, sicche' il Giudice si trova, nel caso concreto, pure a
fronte della ampia varieta' di condotte astrattamente sussumibili
all'interno della fattispecie, a muoversi attraverso una forbice
edittale assai angusta (quattro anni), tutta proiettata, fra l'altro,
verso il massimo previsto dall'ordinamento per la pena detentiva
della reclusione (art. 23 comma I c.p.).
Sul punto, l'insegnamento del Giudice delle Leggi (ribadito nella
recente pronuncia n. 63/2022, in relazione al trattamento
sanzionatorio previsto dall'art. 12, comma 3, lettera D, del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286), e' nel senso che, allorche' le
pene comminate appaiano manifestamente sproporzionate rispetto alla
gravita' del fatto previsto quale reato, si profila un contrasto con
gli articoli 3 e 27 Cost., giacche' una pena non proporzionata alla
gravita' del fatto si risolve in un ostacolo alla sua funzione
rieducativa (sent. nn. 236/2016 e 222/2018, fra le altre). I principi
di cui agli articoli 3 e 27 Cost. «esigono di contenere la privazione
della liberta' e la sofferenza inflitta alla persona umana nella
misura minima necessaria e sempre allo scopo di favorirne il cammino
di recupero, riparazione, riconciliazione e reinserimento sociale»
(sent. n. 179/2017), in vista del «progressivo reinserimento armonico
della persona nella societa', che costituisce l'essenza della
finalita' rieducativa» della pena (sent. n. 149/2018). Al
raggiungimento di tale impegnativo obiettivo posto dai principi
costituzionali e', dunque, di ostacolo «l'espiazione di una pena
oggettivamente non proporzionata alla gravita' del fatto, quindi,
soggettivamente percepita come ingiusta e inutilmente vessatoria e,
dunque, destinata a non realizzare lo scopo rieducativo verso cui
obbligatoriamente deve tendere» (sent. n. 40/2019).
Sempre agli ormai consolidati principi espressi dalla Corte
costituzionale in materia, nelle pronunce sopra citate, occorre
rifarsi ai fini della individuazione del minimo edittale di
fattispecie (semplice e qualificata) che possa sostituirsi alla
previsione sanzionatoria che qui si assume illegittima.
Se e' vero che le valutazioni discrezionali di dosimetria della
pena spettano anzitutto al legislatore, non sussistono ostacoli
all'intervento della Corte costituzionale, quando le scelte
sanzionatorie adottate dal primo si siano rivelate manifestamente
arbitrarie, o irragionevoli e il sistema legislativo consenta
l'individuazione di soluzioni, anche alternative tra loro, che siano
tali da «ricondurre a coerenza le scelte gia' delineate a tutela di
un determinato bene giuridico, procedendo puntualmente, ove
possibile, all'eliminazione di ingiustificabili incongruenze» (sent.
nn. 236/2016 e 233/2018). Non e' quindi necessario che esista
un'unica soluzione costituzionalmente vincolata, in grado di
sostituirsi a quella dichiarata illegittima - come quella prevista
per una norma avente identica struttura e ratio, idonea a essere
assunta come tertium comparationis - essendo sufficiente che il
sistema nel suo complesso offra alla Corte "precisi punti di
riferimento" e soluzioni gia' esistenti, ancorche' non
"costituzionalmente obbligate", che possano sostituirsi alla
previsione sanzionatoria dichiarata illegittima (sent. n. 222/2018),
garantendo, al contempo, coerenza alla logica perseguita dal
legislatore (sentenza n. 233 del 2018).
Orbene, ritiene questo Giudice che simile soluzione non possa
coincidere - come pure gia' ipotizzato, in eccezioni difensive gia'
dichiarate manifestamente infondate dalla Suprema Corte (cfr.
Cassazione, sez. IV, 28 giugno 2016, n. 40903 e Cassazione, sez. VI,
26 settembre 2019, n. 5560) - nella assimilazione, quantomeno nel
minimo, del trattamento sanzionatorio della associazione finalizzata
al traffico di stupefacenti a quello di una o piu' altre fattispecie
associative gia' presenti nel nostro ordinamento (le quali, per
inciso, presentano tutte cornici sanzionatorie diverse fra loro).
Estendere in toto la disciplina di cui all'art. 416 codice penale
si rivelerebbe illogico, irrazionale, contrastante con il principio
di eguaglianza (nel senso di trattare situazioni diverse, per
gravita', in maniera identica), oltre che certamente contrario alla
"logica perseguita dal legislatore" nella repressione del fenomeno
criminoso di cui si discute, «... in considerazione del persistente
dilagare del fenomeno criminoso e dello scopo di lucro sempre sotteso
a tale reato, che comporta la diffusione di sostanze nocive per la
salute pubblica e privata» (Cass., sez. IV, n. 40903/2016).
Quanto al delitto di cui all'art. 416-bis c.p., basta ricordare
le peculiari caratteristiche criminologiche della fattispecie che si
traducono nella definizione del requisito del "metodo mafioso",
estranee, di per se', al reato associativo di cui all'art. 74 decreto
del Presidente della Repubblica 309/90 (tant'e' che, qualora un
sodalizio presenti. in concreto, gli elementi costitutivi previsti da
entrambe le nonne, puo' ben darsi concorso formale fra le stesse:
Cassazione, sez. VI, 14 maggio 2019, n. 31908; Cassazione, sez. I, 4
maggio 2018, n. 4071).
I reati previsti dagli articoli 270 e 270-bis codice penale
presentano una oggettivita' giuridica del tutto eterogenea, rispetto
alla associazione di cui si discute e lo stesso vale pure per la
fattispecie di cui all'art. 291-quater decreto del Presidente della
Repubblica n. 43/1973 (associazione per delinquere finalizzata al
contrabbando di tabacchi lavorati esteri), la quale, ci pare, piu'
che salvaguardare la salute pubblica, la vita e l'integrita' fisica
di una moltitudine di individui, tutela il monopolio dello Stato sul
commercio nel settore merceologico di riferimento.
Piuttosto, il "rimedio" conforme ai parametri costituzionali piu'
volte evocati, capace di ricondurre a razionalita' il sistema, senza
sconfessare le scelte di fondo di natura politico-criminale
perseguite dal legislatore nella materia di repressone penale del
fenomeno del traffico di sostanze stupefacenti, si ritiene sia quello
di ancorare e fare coincidere il minimo edittale della fattispecie
associativa di cui all'art. 74 comma I e II decreto del Presidente
della Repubblica 309/90, con il massimo della pena rispettivamente
previsto dal comma I e II dell'art. 416 c.p., ossia la disposizione
cui, come si e' detto, l'art. 74 comma VI, fa rinvio quoad factum.
Entrambi i reati associativi (previsti dalla disciplina in materia di
stupefacenti), infatti, risultano del tutto identici, riguardo alla
condotta punita, l'unica differenza assestandosi sul grado
dell'offesa al bene giuridico ritenuto meritevole di tutela
dall'ordinamento.
Non pare superfluo ricordare che, in un ordinamento penale
necessariamente ispirato - in forza del dettato costituzionale (cfr.,
per tutte, Corte costituzionale sentenza 265/2005) - al principio di
necessaria offensivita' (per cui, sul piano della previsione
normativa, il legislatore e' vincolato a prevedere fattispecie che
esprimano, in astratto, un contenuto lesivo, o comunque la messa in
pericolo, di un bene o interesse oggetto della tutela penale, mentre,
sul piano interpretativo, al Giudice e' imposto l'onere di accertare
che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo
il bene o l'interesse tutelato), la ragione per cui la creazione e
partecipazione ad un sodalizio finalizzato al traffico di
stupefacenti e' punita, sia nel caso in cui lo scopo criminoso non
venga raggiunto, sia quando i fatti di produzione, fabbricazione,
vendita, cessione etc. siano effettivamente posti in essere (cosi'
cumulandosi le rispettive sanzioni penali), non puo' che essere la
concreta pericolosita' dell'ente stesso - di per se' ed a prescindere
da quanto eventualmente realizzato per il bene giuridico
rappresentato dalla salute pubblica.
L'associazione di cui all'art. 74 - sia essa finalizzata a
realizzare fatti "di lieve entita'" o traffici di maggiore spessore -
esiste ed e' punibile quando e' effettivamente capace di realizzare e
perpetuare i propri obiettivi, costituendo "centro propulsore"
rispetto alla commissione di condotte descritte dall'art. 73 decreto
del Presidente della Repubblica 309/90; sicche' non basta punire le
singole ''imprese'' dell'ente, ma occorre proprio - in vista della
tutela di beni giuridici di rilievo certamente costituzionale (art.
32 Cost.) - sanzionare il solo fatto di partecipare allo stesso,
poiche' gia' questa sola condotta determina la probabilita' o la
rilevante possibilita' di commissione di nuovi ed ulteriori reati
"scopo".
E dunque, in questa ottica - e con particolare rigore - il
Giudice e' tenuto ad interpretare i requisiti di fattispecie del
reato associativo, ossia la presenza di uno stabile accordo fra
almeno tre persone, di un programma criminoso indeterminato (nel caso
di specie quanto al numero, e non alla tipologia, dei reati scopo) e
di una organizzazione - di uomini e di mezzi - dotata di un minimo di
stabilita' e idonea al raggiungimento degli scopi criminosi avuti di
mira.
Al di sotto di questa "soglia minima", non e' dato ravvisare la
sussistenza di partecipazione - semplice o qualificata che sia - ad
una associazione penalmente rilevante, e l'interprete si trovera'
semmai, di fronte ad un concorso di persone, eventualmente
continuato, in uno o piu' delitti previsti dal precedente art. 73
decreto del Presidente della Repubblica 309/90, se del caso aggravato
ai sensi dell'art. 80 comma I (che richiama, al comma 1 lettera B,
l'art. 112 comma I n. 2 c.p., il quale a sua volta contempla la
promozione, organizzazione e/o direzione della condotta concorsuale)
o del comma III (che prevede, quale aggravante, l'impiego di armi
(co. 3).
Qualora, al contrario, si ravvisino tutti gli elementi
costitutivi della fattispecie, cio' che varia e' soltanto il grado di
offesa, che, per sua natura, integra «un concetto quantitativo, che
esprime la progressiva intensificazione della lesione o della messa
in pericolo del bene giuridico protetto, senza soluzioni di
continuita'» (cfr. ordinanza GUP Tribunale di Rovereto, del 9 marzo
2016).
Per tale ragione - fermo restando l'insindacabile potere del
legislatore di riservare soltanto alle fattispecie di maggiore
"consistenza" offensiva, la disciplina processuale ed esecutiva
"speciale" di cui si e' detto, espressa, in particolare, dagli
articoli 51 comma III bis c.p,p. e 4-bis ordinanza pen. appare
conforme ai principi costituzionali gia' evocati, che il Giudice sia
chiamato a determinare - facendo applicazione dei canoni di cui
all'art. 133 comma I e II codice penale - la pena proporzionata alla
gravita' del fatto commesso, oltre che necessaria e sufficiente a
svolgere la sua irrinunciabile funzione rieducativa, scegliendola
nell'ambito di una cornice edittale che rappresenti ed esprima quel
continuum - il massimo edittale della fattispecie piu' lieve
coincidendo con il minimo di quella "ordinaria" che, sul piano della
offensivita', sussiste fra i due reati associativi previsti dall'art.
74 decreto del Presidente della Repubblica 309/90.
Questo Giudice e' consapevole che, in questo modo, la forbice
edittale dei reati di cui al comma I, e soprattutto al comma II,
della disposizione risulterebbe particolarmente estesa.
Tuttavia, e' questo un tratto che caratterizza pure la disciplina
sanzionatoria dei cosiddetti reati scopo, di cui all'art. 73 decreto
del Presidente della Repubblica 309/90, che contempla una risposta
sanzionatoria complessivamente assai dilatata: dai sei mesi ai
quattro anni di reclusione (oggi cinque, in seguito alla novella di
cui all'art. 4 comma III decreto-legge 123/2023), per i fatti di cui
all'art. 73 comma V, a prescindere dalla tipologia di stupefacente
maneggiato; dai due ai sei anni di reclusione, per i fatti non lievi
aventi ad oggetto le sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle
tabelle II e IV previste dall'art. 14; da sei a venti anni di
reclusione - successivamente all'intervento del Giudice delle Leggi,
che comportava la reviviscenza della misura della pena minima per i
fatti non lievi, introdotta con l'art. 4-bis del decreto-legge n. 272
del 2005 - qualora le condotte individuate dalla disposizione abbiano
ad oggetto i preparati di cui alle tabelle I e III).
Pure in quel caso, l'ampiezza dell'intervallo sanzionatorio
rispecchia la natura di norma "collettore" dell'art. 73 decreto del
Presidente della Repubblica 309/90 destinata, cosi' come quella di
cui al successivo art. 74, a catalizzare condotte caratterizzate da
gradi di offensivita' assai eterogenei; formo restando che, in ogni
caso, nella concreta opera di individualizzazione della sanzione,
l'interprete sara' chiamato a fare applicazione dei gia' citati
criteri di cui all'art. 133 c.p., che ne orientano la
discrezionalita' sul punto, offrendo puntuale e rigorosa motivazione.
Si da' atto che la presente ordinanza e' stata letta all'udienza
del 6 novembre 2023, alla presenza del pubblico ministero, di tutti
gli imputati e dei rispettivi difensori di fiducia, cio' che tiene
luogo, ai sensi dell'art. 23 comma IV legge 87/1953, della notifica
alle medesime parti.
P.Q.M.
Visto l'art. 23 legge 87/1953,
ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 74 decreto del Presidente della
Repubblica 309/90, in relazione al comma I, nella parte in cui
prevede la pena della reclusione non inferiore agli anni venti, per
il soggetto che promuova, costituisca, diriga, organizzi oppure
finanzi una associazione finalizzata a commettere uno o piu' delitti
previsti dal precedente art. 73 decreto del Presidente della
Repubblica 309/90, in luogo della reclusione non inferiore agli anni
sette, nonche' in relazione al comma II della medesima disposizione,
nella parte in cui prevede che chi partecipi alla associazione sia
punito con la reclusione non inferiore agli anni dieci, in luogo
della pena della reclusione non inferiore agli anni cinque, in
entrambi i casi per contrasto con gli articoli 3 e 27 della Carta
Costituzionale;
dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso; ordina che, a cura
della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente
del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due
Camere (le parti processuali gia' edotte, ai sensi dell'art. 23 comma
IV legge 87/1953).
Visto l'art. 159 comma I n. 2 c.p. dichiara sospesi i termini di
prescrizione.
Visto l'art. 304 comma I lettera A e C bis c.p.p., dichiara
sospesi i termini di durata della custodia cautelare in atto, di cui
all'art. 303 comma I lett. B bis, in relazione a tutti gli imputati.
Brescia, 6 novembre 2023.
Il Giudice: Corvi