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La Corte costituzionale

Introduzione

La Corte costituzionale è il più giovane tra gli organi costituzionali della Repubblica: "nata" con la Costituzione del 1948, ha cominciato a funzionare nel 1956. Sotto il profilo della tradizione istituzionale, essa non può, perciò, reggere il confronto né con le Camere del Parlamento, né con il Governo e neppure con il Presidente della Repubblica ("Capo dello Stato", come in precedenza il Re).
Essendo, peraltro, del tutto estranea allo schema della "separazione dei poteri" e, anzi, in certo modo, mettendolo vistosamente in discussione, essa presenta una fisionomia tratteggiabile soprattutto in negativo, con caratteri e peculiarità di tipo differenziale.
La Corte è, infatti, in primo luogo, un "giudice", e tuttavia non appartiene all'ordine giudiziario; è un organo di "giustizia", ma non, in senso stretto, di "giurisdizione" (non "dice" il diritto, ma piuttosto lo "giudica"); è, per la sua stessa composizione, un organo, in certo senso, "professionale" (di competenti), ma non "burocratico"; segue, nei suoi processi, forme procedurali assimilabili a quelle dei giudizi "comuni", ma con regole e contenuti a questi non comparabili.
La Corte è, anche, in parte, legislatore delle regole del suo processo (ad esempio, con le Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale) e, in generale, della sua attività (con i diversi Regolamenti), ma non in quanto titolare di poteri di rappresentanza, tanto meno politica, come invece le Assemblee legislative. La sua potestà di autoregolazione, ancorata alla prassi e alla trasmissione di una conoscenza consolidata attraverso l'esperienza, appare non già come un sintomo di onnipotenza o di privilegio, ma piuttosto come uno strumento di indipendenza. Pur avendo, d'altra parte, anche un apparato amministrativo, la Corte non è configurabile, sotto alcun profilo, come una pubblica amministrazione e non soggiace alle relative discipline, né sotto il profilo delle attribuzioni (stabilite, per lo più, direttamente dalla Costituzione), né sotto quello dei criteri di organizzazione o di attività, né sotto quello della gestione delle risorse e delle spese.

Considerata dal punto di vista delle funzioni, si può dire, con una grossolana semplificazione, che la Corte costituzionale è una "macchina" che produce decisioni. Secondo l'architettura formale disegnata dall'art. 134 della Costituzione, le decisioni riguardano le leggi (statali e regionali) e i conflitti di attribuzione tra "poteri dello Stato" (cioè tra «organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono»: art. 37 della legge n. 87 del 1953) o quelli tra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni (per regolamento di competenza: art. 39 della stessa legge n. 87 del 1953), oltre che le accuse mosse contro il Presidente della Repubblica. In quanto istituto di garanzia (disciplinato dal titolo VI della parte seconda della Costituzione, dedicato, per l'appunto, alle «Garanzie costituzionali»), la Corte è chiamata a giudicare, formalmente, in termini di "legittimità", vale a dire di conformità alla Costituzione di atti e, talvolta, di comportamenti. E tuttavia essa giudica, sostanzialmente, in termini di "compatibilità", vale a dire di congruità delle scelte legislative o concernenti lo svolgimento delle funzioni rispetto all'insieme dei princìpi e delle regole della Costituzione. In questo senso, il suo sindacato - che non può implicare valutazioni "di natura politica" o sull'"uso del potere discrezionale del Parlamento" - finisce per estendersi naturalmente, ben oltre i contenuti espressi negli atti, al concreto esercizio delle potestà, riguardando anche le omissioni, i vuoti, perfino i silenzi o i tempi o i modi e, complessivamente, le qualità degli interventi o dei mancati interventi.

I giudizi di legittimità "in via incidentale", come tutti gli incidenti, interrompono temporaneamente il corso regolare di un qualsiasi processo davanti a un qualsiasi giudice, in attesa della soluzione della questione prospettata (purché "rilevante" e "non manifestamente infondata") e si svolgono per iniziativa delle parti o dello stesso giudice.
I giudizi "in via principale" (o "in via di azione") si svolgono, invece, dietro l'impulso dei soggetti legittimati (lo Stato o la Regione), con l'impugnazione, entro un termine, di un provvedimento legislativo considerato lesivo di una competenza costituzionale; così anche, con diverse differenze, i giudizi per conflitto. Indipendentemente dalle singole vicende legate al processo, nei giudizi di legittimità è come se, in sostanza, si riaprissero procedimenti legislativi non andati, per così dire, "a buon fine": come se le occasionali ragioni delle scelte legislative si rivelassero, alla prova dei fatti, e cioè nell'applicazione delle regole, relativamente insufficienti o inadeguate in rapporto al parametro costituzionale, considerato irrinunciabile e fondamentale proprio perché le fondamenta necessariamente "costituiscono".
Il discorso della legislazione - destinato, per sua natura, verso la continua ricerca del "miglior diritto possibile", vale a dire delle discipline più efficaci - diventa, così, un discorso sulla legislazione o, più propriamente, sulla "giustizia" nella legislazione, vale a dire, in ultima analisi, sulle qualità della convivenza nell'intera comunità. Abbandonata la sede "politica", esso riprende a svolgersi, entro i limiti consentiti, in una dimensione autenticamente "giuridica": nelle forme della controversia e con la sostanza di un "colloquio", anche tra giudici, gli argomenti si confrontano sul piano dei valori condivisi e sono sottoposti al vaglio di una razionalità ragionevole. Nella permanente dialettica tra bisogni di stabilità e, contemporaneamente, di mutamento, la Corte appare, dunque, nella complessità delle dinamiche pubbliche, piuttosto che come un semplice custode, quasi museale, di valori imbalsamati in formule solenni, come un garante soprattutto di procedure e di metodi, logici ma intrinsecamente etici, che consentano a quei valori di essere, di volta in volta, riconosciuti ed affermati nella loro attuale vitalità.
E proprio sul terreno del processo costituzionale, e delle sue apparenti aridità, tante situazioni di vita, di persone, di gruppi o di apparati, possono assumere, una volta di più, una consistenza plastica e quasi materiale, sottraendosi all'enfasi meramente declamatoria. E la Costituzione può davvero risultare, piuttosto che soltanto come una super-legge, destinata, com'è necessario, ad arginare il pericolo dello strapotere, dell'arbitrio o della prepotenza di chicchessia, come l'habitat di razionalità, idealità ed eticità collettiva nel quale le istanze contrapposte riescano a trovare, per quanto faticosamente, la più adeguata tutela.