Titolo
Reati e pene - Reato di ubriachezza manifesta in luogo pubblico o aperto al pubblico - Punibilità soltanto se il fatto è commesso da chi abbia già riportato una condanna per delitto non colposo contro la vita o l’incolumità individuale - Irrazionalità intrinseca della disciplina, con violazione dei principî di legalità e della funzione rieducativa della pena nonché del principio di offensività del reato - Illegittimità costituzionale.
Testo
E' costituzionalmente illegittimo l'articolo 688, secondo comma, del codice penale, che punisce con l'arresto il reato di ubriachezza, se commesso da chi aveva già riportato una condanna per delitto non colposo contro la vita o l'incolumità individuale. La norma risulta viziata da intrinseca irrazionalità in relazione alla avvenuta trasformazione in illecito amministrativo del reato di ubriachezza, di cui al primo comma - e alle finalità perseguite dalla depenalizzazione - poiché essa non costituisce più una circostanza aggravante, ma configura un reato autonomo e finisce con il punire non tanto l'ubriachezza in sé, ma una qualità personale del soggetto. Risulta altresì vanificata la finalità rieducativa che l'articolo 27, terzo comma, della Costituzione assegna alla pena nonché sussiste l'aperta violazione del principio di offensività del reato, di cui all'art. 25, secondo comma, della Costituzione e del limite ivi posto alla discrezionalità del legislatore che, nella specie, è quello di impedire la trasformazione in reato di fatti che per la generalità dei soggetti non costituiscono illecito penale, in dipendenza della qualità di condannato per determinati delitti.
- Con riferimento al reato di ubriachezza e alla relativa aggravante, v. le ordinanze citate n. 53/1972, n. 185/1971 e n. 155/1971.
- Sul principio di offensività del reato, v. le sentenze richiamate n. 263/2000 e n. 360/1995.
Atti oggetto del giudizio
codice penale
art. 688
co. 2
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Costituzione
art. 25
co. 2
Costituzione
art. 27
co. 3
Riferimenti normativi
legge
25/06/1999
n. 205
decreto legislativo
30/12/1999
n. 507
N. 354
SENTENZA 10 - 17 luglio 2002.
Pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale» n. 29 del 24 luglio 2002
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA,
Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK,
Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA;
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 688,
secondo comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il
6 febbraio 2001 dal Tribunale di Venezia, sezione distaccata di
Portogruaro, in composizione monocratica, iscritta al n. 55 del
registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 7, 1ª serie speciale, dell'anno 2002.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 5 giugno 2002 il giudice
relatore Carlo Mezzanotte.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un procedimento penale a carico di un imputato
del reato di cui all'articolo 688, secondo comma, del codice penale,
il Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Portogruaro, in
composizione monocratica, con ordinanza in data 6 febbraio 2001, ha
sollevato, su eccezione della difesa, in riferimento agli articoli 3,
25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, questione
di legittimità costituzionale del citato articolo 688, secondo
comma, del codice penale, nella parte in cui punisce con la pena
dell'arresto da tre a sei mesi chiunque, in un luogo pubblico o
aperto al pubblico, è colto in stato di manifesta ubriachezza, se il
fatto è commesso da chi ha già riportato una condanna per delitto
non colposo contro la vita o l'incolumità individuale.
Il remittente, individuata la ratio dell'articolo 688 del codice
penale, nella sua originaria formulazione, nella esigenza di tutelare
la sicurezza sociale attraverso la prevenzione dell'alcolismo quale
causa di disordini e reati, e rilevato che si tratta di fattispecie
inquadrabile tra i cosiddetti reati "ostativi", osserva che soggetto
attivo del reato di cui al previgente articolo 688, primo comma, cod.
pen. poteva essere chiunque si trovasse in luogo pubblico o aperto al
pubblico in stato di manifesta ubriachezza. Conseguentemente tale
stato era considerato, da un lato, elemento disturbante e in qualche
modo lesivo di un interesse pubblico e, dall'altro, sintomo di
pericolosità sociale, non essendo l'ubriaco in grado di controllare
le proprie azioni. L'alcolismo, quindi, inteso come status personale,
aveva rilevanza penale sotto due aspetti, e cioè come fattore
pregiudizievole per la salute individuale e collettiva e come fattore
criminogeno, avendo l'assunzione di alcol valore scatenante e
favorendo la genesi di determinati comportamenti criminali.
Su queste premesse, secondo il giudice a quo, non avrebbe senso
ritenere che lo stato di ubriachezza, sotto l'aspetto punitivo,
rilevi soltanto per una certa categoria di soggetti, individuata
peraltro in base ad elementi meramente statistici, in quanto la
probabilità che un soggetto non compos sui (come colui che si trova
in stato di ubriachezza) commetta un reato più grave sarebbe
identica tanto nel caso in cui egli sia incensurato quanto se sia
pregiudicato, tanto più in caso di condanna molto risalente nel
tempo o relativa a reato di non rilevante gravità.
Il remittente osserva che considerazioni analoghe sarebbero state
fatte da questa Corte in riferimento alla fattispecie di cui
all'articolo 708 del codice penale, disposizione che puniva il
possesso ingiustificato di valori solo con riferimento ai soggetti
già condannati per delitti determinati da motivi di lucro e che è
stata dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza
n. 370 del 1996.
In definitiva, ad avviso del giudice a quo, avendo il legislatore
ritenuto che lo stato di ubriachezza non assuma rilevanza penale
autonoma, ma sia sufficiente la sua punibilità sotto l'aspetto
amministrativo, la disposizione di cui al secondo comma dell'articolo
688 del codice penale non avrebbe più ragion d'essere, in quanto
introdurrebbe ex novo una fattispecie penale in cui l'elemento
costitutivo fondamentale non sarebbe più considerato fatto punibile
e la punibilità deriverebbe invece da elementi e presupposti del
tutto estranei al momento e alle condizioni concrete in cui un
determinato comportamento (penalmente irrilevante) è stato posto in
essere. Sotto tale profilo sarebbe, quindi, evidente l'illegittimità
costituzionale della disposizione censurata "sia per la disparità di
trattamento che introduce, sia sotto il profilo strettamente
logico-giuridico, in omaggio ai principi di legalità, offensività e
materialità della legge penale".
2. - Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.
La difesa erariale premette che argomentazioni a favore della
legittimità costituzionale della disposizione censurata possono
ricavarsi proprio dalla sentenza n. 370 del 1996, richiamata dal
remittente, in quanto se è vero che in questa decisione la Corte ha
dichiarato l'illegittimità dell'articolo 708 del codice penale,
ritenendo, tra l'altro, irragionevole la discriminazione operata dal
legislatore nei confronti di una categoria di soggetti, è anche vero
che nella stessa pronuncia è stata affermata la legittimità
costituzionale dell'articolo 707 dello stesso codice, norma in cui la
condotta (possesso ingiustificato di chiavi alterate o di
grimaldelli) assume rilevanza penale solo se posta in essere da
soggetto condannato per delitti determinati da motivi di lucro o per
contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il
patrimonio.
Conseguentemente, ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, da
un'attenta lettura della sentenza citata non potrebbe ricavarsi un
generale principio inteso a ritenere sempre e comunque irragionevole
la discriminazione operata dal legislatore nei confronti di una
categoria di soggetti ai fini della rilevanza penale dell'ipotesi di
reato.
La disposizione censurata, quindi, secondo la difesa erariale,
pur discriminando soggetti incensurati da quelli già condannati per
delitto non colposo contro la vita o l'incolumità individuale,
sarebbe conforme al canone della ragionevolezza: la contravvenzione
prevista dall'articolo 688, secondo comma, del codice penale, come
tutti i reati "ostativi", sarebbe diretta a prevenire il compimento
di azioni lesive e la pericolosità del soggetto pregiudicato, quale
si evince dalle precedenti condanne riportate, caratterizzerebbe la
fattispecie al punto da indurre il legislatore a costruire su di essa
il passaggio dalla tutela amministrativa a quella penale.
Considerato in diritto
1. - Il Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Portogruaro,
in composizione monocratica, dubita della legittimità costituzionale
dell'articolo 688, secondo comma, del codice penale, nella parte in
cui punisce con la pena dell'arresto da tre a sei mesi chiunque, in
un luogo pubblico o aperto al pubblico, è colto in stato di
manifesta ubriachezza, se il fatto è commesso da chi ha già
riportato una condanna per delitto non colposo contro la vita o
l'incolumità individuale.
Ad avviso del remittente, la disposizione censurata violerebbe
l'articolo 3 della Costituzione, in quanto, a seguito della
depenalizzazione del reato previsto dall'articolo 688, primo comma,
del codice penale, attuata con l'articolo 54 del decreto legislativo
30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma
del sistema sanzionatorio, ai sensi dell'articolo 1 della legge
25 giugno 1999, n. 205), l'essere colto in stato di ubriachezza in un
luogo pubblico o aperto al pubblico assumerebbe rilevanza penale solo
se l'autore abbia riportato precedenti condanne per delitto non
colposo contro la vita o l'incolumità individuale. La norma
incriminatrice sarebbe viziata da irragionevolezza, giacché un
medesimo fatto, in presenza di esigenze non dissimili di tutela della
sicurezza sociale attraverso la prevenzione dell'alcolismo,
rileverebbe sotto l'aspetto penale soltanto per una particolare
categoria di soggetti, quelli cioè che abbiano riportato una
condanna per delitto non colposo contro la vita e l'incolumità
individuale.
Inoltre la disposizione impugnata introdurrebbe una figura di
reato in cui la punibilità non riguarderebbe il fatto in sé, ma
deriverebbe da elementi a questo estranei. Ciò comporterebbe la
violazione dei "principi di legalità, offensività e materialità
della legge penale", riconducibili all'articolo 25, secondo comma,
Cost., nonché del principio, affermato dall'articolo 27, terzo
comma, secondo il quale le pene devono tendere alla rieducazione del
condannato.
2. - La questione è fondata.
L'articolo 688 del codice penale, nella sua formulazione
originaria, puniva con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda da
lire ventimila a quattrocentomila chiunque, in un luogo pubblico o
aperto al pubblico, fosse colto in stato di manifesta ubriachezza
(comma primo). La pena era, invece, dell'arresto da tre a sei mesi se
il fatto era commesso da chi aveva già riportato una condanna per
delitto non colposo contro la vita o l'incolumità individuale (comma
secondo).
Della aggravante speciale (tale era pacificamente considerata
dalla giurisprudenza di merito e di legittimita) prevista dal secondo
comma, questa Corte ha già avuto modo di occuparsi. La figura di
reato constava di una ipotesi base e di una aggravante: non vi era
pertanto alcuna difficoltà a riconoscere la non irragionevolezza
della previsione secondo la quale colui che venisse colto in stato di
manifesta ubriachezza in luogo pubblico o aperto al pubblico e avesse
già subito una condanna per delitto non colposo contro la vita o
l'incolumità individuale dovesse soggiacere ad una pena più
elevata. La valutazione in termini di maggiore pericolosità della
condotta della persona colta in stato di manifesta ubriachezza che
avesse riportato una condanna per quei determinati delitti non era
infatti priva di fondamento giustificativo (ordinanze n. 53 del 1972;
n. 185 e n. 155 del 1971).
A seguito della depenalizzazione del reato previsto dal primo
comma dell'articolo 688 del codice penale, il quadro normativo al
quale quelle pronunce si erano attenute è profondamente mutato.
Quella che per l'innanzi era una aggravante, attualmente non è più
riferita ad un reato base ed è divenuta essa medesima una autonoma
fattispecie di reato: incorre, infatti, nel reato di ubriachezza solo
chi in passato abbia riportato condanna per delitto non colposo
contro la vita o l'incolumità delle persone; chi invece tale
condanna non abbia subito, anche se è stato condannato per reati di
non minore gravità, risponde per quel medesimo comportamento
soltanto a titolo di illecito amministrativo.
L'operazione compiuta dal legislatore del 1999, in breve, era
intesa a rendere più lieve la posizione della persona colta in stato
di manifesta ubriachezza in luogo pubblico o aperto al pubblico.
Nella relazione governativa al decreto legislativo n. 507 del 1999 la
ratio della disciplina emerge con inequivoca chiarezza: trasformare
in illeciti amministrativi una serie di reati eterogenei quanto ad
oggettività giuridica e modalità di condotta, "il cui unico comune
denominatore è rappresentato dall'esiguo spessore sanzionatorio".
Nel trasporre sul piano amministrativo la risposta sanzionatoria in
modo da ridurre l'area del diritto penale e sollevare così gli
uffici giudiziari da oneri impropri, si intendeva altresì "evitare
di "rivitalizzare talune fattispecie che a causa del loro evidente
anacronismo trovano oggi una applicazione assai limitata".
Se questo era il fine perseguito dal legislatore del 1999, con
riferimento al reato di ubriachezza, emerge una intrinseca
irrazionalità della disciplina censurata in quanto il risultato non
è stato unicamente la depenalizzazione del reato base, ma anche
l'eventuale trattamento sanzionatorio più severo a carico di chi
abbia riportato condanne per delitto non colposo contro la vita o
l'incolumità individuale.
Infatti, nella prospettiva dell'aggravante speciale, entro la
quale si manteneva la vecchia previsione del secondo comma
dell'articolo 688, il giudice ben avrebbe potuto, in applicazione
dell'articolo 69 del codice penale, bilanciare tale aggravante con
eventuali circostanze attenuanti rinvenibili nel concreto atteggiarsi
della fattispecie e, una volta rimossa l'aggravante e reso così
applicabile il reato base di cui al primo comma, irrogare nelle
ipotesi più lievi la sola ammenda, prevista come pena alternativa.
Nel sistema attuale la possibilità di commisurare la pena
all'effettivo disvalore del fatto è fortemente limitata: in effetti,
il secondo comma dell'art. 688 del codice penale non costituisce più
una circostanza aggravante, ma configura un reato autonomo, sicché
non può più parlarsi di bilanciamento con eventuali circostanze
attenuanti, le quali, ove ravvisabili, possono determinare un
abbattimento del minimo edittale, ma non esimere il giudice
dall'applicare comunque la pena dell'arresto.
3. - Oltre ad avere trasformato una semplice circostanza
aggravante in elemento costitutivo del reato, ciò che comporta, nel
caso dell'ubriachezza, la rilevata incongruenza, la disposizione
censurata è affetta dagli ulteriori vizi, anch'essi denunciati dal
remittente, derivanti dalla violazione dei principi costituzionali di
legalità della pena e di orientamento della pena stessa all'emenda
del condannato, ai quali, in base agli articoli 25, secondo comma, e
27, terzo comma, della Costituzione, deve attenersi la legislazione
penale.
L'avere riportato una precedente condanna per delitto non colposo
contro la vita o l'incolumità individuale, pur essendo evenienza del
tutto estranea al fatto-reato, rende punibile una condotta che, se
posta in essere da qualsiasi altro soggetto, non assume alcun
disvalore sul piano penale. Divenuta elemento costitutivo del reato
di ubriachezza, la precedente condanna assume le fattezze di un
marchio, che nulla il condannato potrebbe fare per cancellare e che
vale a qualificare una condotta che, ove posta in essere da ogni
altra persona, non configurerebbe illecito penale. Il fatto poi che
il precedente penale che qui viene in rilievo sia privo di una
correlazione necessaria con lo stato di ubriachezza rende chiaro che
la norma incriminatrice, al di là dell'intento del legislatore,
finisce col punire non tanto l'ubriachezza in sé, quanto una
qualità personale del soggetto che dovesse incorrere nella
contravvenzione di cui all'articolo 688 del codice penale. Una
contravvenzione che assumerebbe, quindi, i tratti di una sorta di
reato d'autore, in aperta violazione del principio di offensività
del reato, che nella sua accezione astratta costituisce un limite
alla discrezionalità legislativa in materia penale posto sotto il
presidio di questa Corte (sentenze n. 263 del 2000 e n. 360 del
1995). Tale limite, desumibile dall'articolo 25, secondo comma, della
Costituzione, nel suo legame sistematico con l'insieme dei valori
connessi alla dignità umana, opera in questo caso nel senso di
impedire che la qualità di condannato per determinati delitti possa
trasformare in reato fatti che per la generalità dei soggetti non
costituiscono illecito penale.
Sotto un concorrente profilo, infine, la disposizione censurata,
nel trasformare irragionevolmente in elementi costitutivi del reato
di ubriachezza fatti per i quali è già intervenuta una condanna
irrevocabile, vanifica la finalità rieducativa che l'articolo 27,
terzo comma, della Costituzione assegna alla pena.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 688,
secondo comma, del codice penale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2002.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Mezzanotte
Il cancelliere:Di Paola
Depositata in cancelleria il 17 luglio 2002.
Il direttore della cancelleria:Di Paola