Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza-ricorso del 20 maggio 2000, depositata presso
la cancelleria della Corte costituzionale il 25 maggio 2000, la
Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha
sollevato conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato, chiedendo
che la Corte, previo riconoscimento dell'ammissibilità del
conflitto, dichiari che non spetta al Senato della Repubblica
ritenere insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della
Costituzione, i fatti di cui ai punti 2, lettere a) e b) e 4
dell'incolpazione disciplinare (proc. n. 33/2000 R.G, stralcio dal
proc. n. 71/1999 R.G.) nei confronti del senatore Angelo Giorgianni,
al momento della sollevazione del conflitto magistrato collocato
fuori dal ruolo organico della magistratura, in aspettativa per
mandato parlamentare, e di conseguenza annulli in parte qua la
deliberazione del Senato del 29 luglio 1999.
L'ordinanza-ricorso dà conto dei sei punti dell'incolpazione per
cui la Sezione disciplinare procede nei confronti di Angelo
Giorgianni, su azione del Ministro della giustizia, dei quali qui
interessano, in particolare: il punto 2, con il quale gli viene
contestata "la violazione del dovere di diligenza di cui all'art. 18
del r.d.lgs. 31 maggio 1946, n. 511, in relazione alla gestione del
procedimento n. 1238/93/21 (cd. "procedimento contenitore") per
avere: a) omesso di informare i colleghi che lo avrebbero sostituito
sullo stato del procedimento, particolarmente complesso e con proprie
caratteristiche strutturali, con indagini informatizzate in corso e
con un inizio di informatizzazione del procedimento, con la
predisposizione di collegamenti fra vari documenti e dati, con
possibilità di più chiavi di lettura; b) disposto la cancellazione
da tutti i computers, utilizzati personalmente e da parte dei suoi
collaboratori, del programma fornito dal consulente Genchi e di
quello predisposto dal M.llo Pavone, nonché di tutti i dati
immagazzinati, restituendo solo (dopo varie richieste) singoli files
di documenti istruttori, così creando un oggettivo danno alla futura
gestione del procedimento"; il punto 4, con cui si contesta al dott.
Giorgianni l'incolpazione di cui allo stesso art. 18 del r.d.lgs.
n. 511 del 1946, "per avere il medesimo, già Sostituto Procuratore
della Repubblica presso il Tribunale di Messina, frequentato con
carattere di continuità o comunque di non occasionalità Mollica
Antonio, personaggio che, in considerazione dei suoi precedenti
penali e giudiziari (in passato anche al vaglio dello stesso
Giorgianni) è da ritenersi di dubbia fama, con conseguente grave
compromissione del proprio prestigio e di quello dell'Ordine
Giudiziario, anche per eventuali possibili sospetti di precedente
parzialità nell'espletamento dell'attività giudiziaria"; il punto
5, con cui gli si contesta l'incolpazione di cui al medesimo art. 18,
"per avere violato il principio del dovere di piena e leale
collaborazione del Magistrato, con riferimento alle prospettazioni
dal medesimo rappresentate alla Commissione parlamentare antimafia,
in sede di inchiesta relativa ai rapporti intercorsi con il Mollica.
Segnatamente, per avere, nel corso dell'audizione nei giorni
23/24 febbraio 1998 dinanzi alla Commissione parlamentare antimafia
riunitasi presso la Prefettura di Messina fornito dichiarazioni non
corrispondenti alla effettiva realtà" (seguono,
nell'ordinanza-ricorso, le dichiarazioni del dott. Giorgianni).
La Sezione disciplinare ricorda poi che il 2 agosto 1999, a
seguito della fissazione e dello svolgimento della discussione orale,
tenutasi nelle date del 10 giugno e 1 luglio 1999, il Procuratore
generale della Corte di cassazione ha rimesso alla stessa Sezione una
nota, con allegati, del Presidente del Senato della Repubblica, la
quale informa che il Senato, nella seduta del 29 luglio 1999, ha
deliberato di approvare la proposta della Giunta delle elezioni e
delle immunità parlamentari, con cui si riteneva che i fatti
attinenti al punto 2, lett. a) e b) al punto 4 e al punto 5
dell'incolpazione concernessero opinioni espresse da un membro del
Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni e ricadessero, pertanto,
nell'ipotesi di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione.
La Sezione disciplinare ricorrente considera che le si deve
riconoscere la legittimazione a sollevare conflitto fra poteri, in
quanto organo giurisdizionale in posizione di indipendenza
costituzionalmente garantita, competente a dichiarare definitivamente
la volontà del potere a cui appartiene; e che al Senato della
Repubblica deve parimenti essere riconosciuta la legittimazione ad
essere parte del conflitto in ordine all'applicabilità dell'art. 68,
primo comma, della Costituzione; e lamenta la lesione della propria
sfera di attribuzione, costituzionalmente garantita a norma
dell'art. 105 della Costituzione, in conseguenza dell'illegittimo
esercizio da parte del Senato del potere di dichiarare
l'insindacabilità ai sensi dell'art. 68 stesso.
Dopo avere escluso l'addebito relativamente al capo 1
dell'incolpazione, per esercizio tardivo dell'azione disciplinare, e
osservato che il dott. Giorgianni, anche a seguito della delibera di
insindacabilità relativa ai punti 2, lett. a) e b) 4 e 5
dell'incolpazione stessa, va comunque sottoposto a giudizio per ciò
che riguarda i capi 3 e 6, seconda parte, dell'incolpazione, la
Sezione, ricordando il costante insegnamento della Corte
costituzionale, ritiene di dover verificare l'esistenza del "nesso
funzionale" fra l'attività, su cui deve svolgersi il giudizio della
Sezione medesima, e l'esercizio del mandato del parlamentare, e
conclude che questo nesso sussiste soltanto relativamente al punto 5
dell'incolpazione, in relazione al quale si pronuncia quindi con
decisione di non doversi procedere.
Il nesso funzionale non sussisterebbe, invece, con riguardo agli
altri capi di incolpazione, e cioè ai punti 2, lett. a) e b) e 4
dell'incolpazione medesima.
In punto di fatto, si considera che in sede disciplinare al dott.
Giorgianni è contestata una condotta non collaborativa,
concretantesi in un ostacolo alla normale conduzione delle indagini,
mentre la deliberazione del Senato prenderebbe in considerazione una
mera mancata consegna (dei files con i documenti istruttori); e che
le frequentazioni con il Mollica risalirebbero, secondo il capo di
incolpazione, ad epoca anteriore alla elezione del medesimo dott.
Giorgianni.
In punto di diritto, si afferma che spetterebbe alla Sezione
disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, a norma
dell'art. 105 Cost., stabilire se il dott. Giorgianni, prima della
sua elezione a senatore, non avesse alcun obbligo di collaborazione
con i colleghi dell'ufficio e se abbia ostacolato di fatto il normale
svolgimento delle indagini, e accertare se sia censurabile la
ipotizzata frequentazione con un personaggio, che nel capo di
incolpazione è definito "di dubbia fama", risalente all'epoca
anteriore alla elezione al Senato dello stesso magistrato. La Sezione
aggiunge, relativamente al punto 2, che la motivazione del Senato
apparirebbe contraddittoria, ed evidenzierebbe la confusione, operata
dal Senato stesso, fra il dovere di collaborare con i colleghi,
mettendo a disposizione il proprio patrimonio di conoscenze, e il
dovere di non interferire, astenendosi dal compiere ulteriore
attività positiva di indagine: il Senato avrebbe infatti affermato
che fin quando il dott. Giorgianni era magistrato in attesa di essere
eletto non avrebbe avuto alcun obbligo di collaborare con l'ufficio,
e che dopo l'elezione avrebbe avuto addirittura l'obbligo di non
collaborare, per non interferire in attività giudiziarie a cui era
divenuto estraneo.
2. - Il conflitto è stato dichiarato ammissibile con l'ordinanza
n. 530 del 2000. L'ordinanza-ricorso introduttiva del presente
giudizio è stata notificata al Senato della Repubblica, unitamente
all'ordinanza di ammissibilità, il 27 novembre 2000 e depositata
presso la cancelleria della Corte costituzionale il 1 dicembre 2000.
3. - Si è costituito nel giudizio davanti alla Corte il Senato
della Repubblica, chiedendo che il conflitto sia dichiarato
inammissibile o comunque infondato, e depositando numerosi documenti.
Sulla notifica dell'ordinanza-ricorso, il Senato nota che essa
risulta "richiesta come in atti", senza che si possa ricavare con
certezza quale organo abbia formalizzato la richiesta di
notificazione, la quale - ai sensi della lettera b) del dispositivo
dell'ordinanza n. 530 del 2000 - doveva essere effettuata a cura
della ricorrente: sicché si potrebbe dubitare che il ricorso sia
stato formalmente instaurato dalla Sezione disciplinare del Consiglio
superiore della magistratura.
Quanto alla ammissibilità del conflitto, il Senato sostiene
l'assenza della legittimazione soggettiva dell'organo ricorrente a
essere parte nel conflitto di attribuzione tra poteri. La Sezione
disciplinare, infatti, sul piano oggettivo, contesta la menomazione,
da parte della delibera del Senato, del potere di adottare
provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati. Ma tale
potere sarebbe attribuito dall'art. 105 della Costituzione al
Consiglio superiore della magistratura nel suo complesso, e non alla
Sezione disciplinare.
Il riconoscimento dei caratteri giurisdizionali del procedimento
disciplinare, effettuato dal legislatore e dalla giurisprudenza
costituzionale, non implicherebbe la spettanza alla sola Sezione
disciplinare della formale titolarità del potere né della
legittimazione processuale a far valere la titolarità del potere in
sede di conflitto di attribuzione davanti alla Corte: tale
riconoscimento, infatti, sarebbe stato effettuato ai soli fini della
garanzia dell'interesse pubblico al corretto e regolare svolgimento
delle funzioni giurisdizionali, del prestigio dell'ordine giudiziario
nonché della tutela del diritto di difesa della persona incolpata.
L'assimilazione del procedimento disciplinare ad un procedimento di
tipo giurisdizionale sarebbe stata effettuata dalla Corte "ai
limitati fini" della legittimazione a sollevare il giudizio in via
incidentale sulla legittimità costituzionale delle norme che la
Sezione disciplinare è tenuta ad applicare nel corso del
procedimento. Le norme che attribuiscono carattere giurisdizionale al
procedimento disciplinare non configurerebbero una violazione delle
norme costituzionali relative al divieto di istituzione di giudici
speciali, proprio perché non introdurrebbero con legge ordinaria un
organo ad hoc, ma si limiterebbero a trasferire al Consiglio
superiore della magistratura lo svolgimento di un'attività già
prevista con dettagliata disciplina dall'ordinamento giudiziario
previgente alla norma costituzionale.
In definitiva, il riconoscimento della legittimazione a proporre
conflitto di attribuzione alla Sezione disciplinare implicherebbe
l'individuazione, accanto al plenum del Consiglio superiore della
magistratura, di un ulteriore organo autonomo, che invece i
Costituenti non hanno introdotto ed al quale non hanno espressamente
attribuito la competenza.
Il difetto di legittimazione soggettiva della Sezione
disciplinare si manifesterebbe in particolare sul piano processuale:
nel caso, la decisione di proporre il conflitto sarebbe spettata al
collegio, e questo avrebbe dovuto essere rappresentato, nel processo
costituzionale, dal suo Presidente che quale espressione di unità
dell'organo avrebbe dovuto presentare, in tale veste, anche
formalmente, il ricorso.
Quanto al merito del conflitto, il Senato nota che la
deliberazione dell'Assemblea ha recepito in modo completo e senza
alcuna voce di dissenso la proposta della Giunta delle elezioni e
delle immunità parlamentari. La dichiarazione di insindacabilità si
collegherebbe in modo implicito, ma chiaramente ricavabile dalla
relazione della Giunta, alla tutela della posizione di indipendenza
che il parlamentare deve acquisire rispetto agli organi con i quali,
prima dell'assunzione delle funzioni di parlamentare, ha stabilito e
mantenuto un rapporto di servizio. Nel caso di specie la
dichiarazione di insindacabilità implicherebbe il riconoscimento di
un diritto del parlamentare, strettamente connesso con il suo status
e cioè quello di interpretare liberamente il suo ruolo di
rappresentante del corpo elettorale, scindendo in modo totale questa
sua attività - in applicazione del principio di libertà del mandato
di cui all'art. 67 della Costituzione ed in attuazione del diritto di
cui all'art. 51, terzo comma, della Costituzione - dal permanere
formale dell'appartenenza all'ordine giudiziario ed all'ufficio
rispetto al quale si è verificata la situazione di aspettativa.
L'interpretazione della irresponsabilità parlamentare dovrebbe
essere in altri termini estesa - nel caso di specie - alla tutela
della posizione del parlamentare e dei suoi comportamenti, come
espressione dell'autonomia delle Camere nei confronti dei poteri o
degli organi dai quali eventualmente il parlamentare possa dipendere.
4. - Nell'imminenza dell'udienza pubblica del 9 aprile 2002, la
ricorrente Sezione disciplinare ha presentato una memoria
illustrativa, depositando alcuni documenti e insistendo per
l'accoglimento delle conclusioni formulate nell'ordinanza-ricorso
introduttiva del conflitto.
In rito, la memoria sottolinea, da una parte, la configurabilità
della Sezione disciplinare come organo giurisdizionale a tutti gli
effetti (preesistendo tale organo alla Costituzione ed essendo stato
sottoposto a revisione dalla legge n. 195 del 1958), e la conseguente
spettanza ad esso del potere di difendere le proprie attribuzioni in
sede di conflitto tra poteri dello Stato; dall'altra, la
legittimazione processuale della stessa Sezione a proporre ricorso
per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato.
Nel merito, la memoria afferma la sindacabilità in sede
disciplinare dei comportamenti del senatore Giorgianni oggetto della
delibera di insindacabilità, in quanto non sarebbero opinioni
espresse nell'esercizio di funzioni parlamentari quelli che, in fatto
e in diritto, sono soltanto inadempimenti di elementari doveri di un
magistrato che il collocamento in aspettativa (prima, ma anche dopo
l'elezione) non fa venire meno.
Infatti, tali comportamenti commissivi ed omissivi sarebbero
stati posti in essere dal dott. Giorgianni prima della sua elezione a
senatore della Repubblica; ed anche quando fossero stati posti in
essere in epoca posteriore, ad essi non si applicherebbe comunque
l'art. 68, primo comma, della Costituzione, poiché il collocamento
in aspettativa del magistrato non recide il legame con
l'amministrazione di appartenenza, né fa venire meno l'obbligo di
informare i colleghi succeduti nell'incarico e di consegnare loro
tutti i files contenenti documenti istruttori. Inoltre, secondo la
recente giurisprudenza costituzionale, ai fini dell'affermazione
dell'insindacabilità parlamentare non sarebbe sufficiente che i
fatti contestati costituiscano genericamente "attività politica", e
quindi cadrebbero, anche sotto questo profilo, gli argomenti del
Senato.
5. - Ha depositato memoria anche il Senato della Repubblica,
insistendo affinché la Corte dichiari inammissibile il ricorso e
comunque accerti che spetta al Senato dichiarare che le opinioni
espresse dal senatore Giorgianni, oggetto del procedimento
disciplinare, sono assistite dalla garanzia dell'insindacabilità.
In punto di ammissibilità del conflitto, secondo il resistente
non si può ritenere né che la Sezione disciplinare sia assimilabile
ad un organo giurisdizionale, anche alla luce della pregressa
giurisprudenza costituzionale; né che la stessa sia configurabile
come articolazione funzionalmente autonoma del Consiglio superiore
della magistratura, titolare dell'attribuzione costituzionale
relativa all'adozione dei provvedimenti disciplinari, a causa del
profilo unitario e complessivo dell'organo, che solo in quanto tale
potrebbe porsi in diretta relazione con gli altri organi previsti o
presupposti dalla Costituzione; né, infine, che la Sezione sia in
grado di rappresentare il Consiglio superiore nel giudizio
costituzionale.
Nel merito, il Senato nota che la teoria del "nesso funzionale"
non escluderebbe aprioristicamente né che si possa prescindere dalla
"sede" parlamentare, né che le funzioni del parlamentare possano
essere valutate nel complesso del sistema
democratico-rappresentativo. I comportamenti del senatore Giorgianni,
di chiaro significato politico, in definitiva, sarebbero espressione
di una puntuale e legittima opinione sul rapporto che sussiste tra
mandato parlamentare, da un lato, e aspettativa dal servizio di
magistrato, dall'altro.
Considerato in diritto
1. - La Sezione disciplinare del Consiglio superiore della
magistratura, investita di un procedimento disciplinare nei confronti
di un magistrato della Procura della Repubblica di Messina, all'epoca
in aspettativa perché candidato e poi eletto al Parlamento, ha
sollevato conflitto di attribuzioni nei confronti del Senato della
Repubblica chiedendo l'annullamento della deliberazione del 29 luglio
1999 con la quale l'assemblea ha dichiarato che i fatti, oggetto di
alcuni dei capi di incolpazione a carico di detto magistrato,
concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento
nell'esercizio delle sue funzioni, e ricadono pertanto nell'ambito
della insindacabilità di cui all'art. 68, primo comma, della
Costituzione.
La deliberazione del Senato si riferisce a tre dei capi di
incolpazione a carico del magistrato, concernenti, rispettivamente,
l'addebito di avere omesso di informare i colleghi che lo avrebbero
sostituito nella conduzione di un processo sullo stato del
procedimento medesimo e di avere disposto la cancellazione dai
computer di dati relativi a detto processo; l'addebito di avere
frequentato con carattere di continuità una persona da ritenersi di
dubbia fama in considerazione dei suoi precedenti penali e
giudiziari; e quello di avere reso alla Commissione parlamentare
antimafia, in sede di inchiesta relativa ai predetti rapporti,
dichiarazioni non corrispondenti alla effettiva realtà.
La Sezione ritiene che il nesso funzionale fra l'attività
oggetto del giudizio disciplinare e l'esercizio del mandato
parlamentare sussista solo per il terzo dei ricordati addebiti
(dichiarazioni alla Commissione antimafia) e non sussista invece
riguardo ai fatti oggetto degli altri due addebiti, affermando che
spetta all'organo disciplinare stabilire se il magistrato incolpato
non avesse alcun obbligo di collaborazione con i colleghi
dell'ufficio prima della sua elezione a senatore, e se egli abbia
ostacolato di fatto il normale svolgimento delle indagini, come pure
accertare se sia censurabile la ipotizzata frequentazione, risalente
ad epoca anteriore all'elezione in Parlamento, di un personaggio
definito "di dubbia fama". Essa dunque solleva conflitto di
attribuzioni impugnando la deliberazione del Senato limitatamente ai
due capi concernenti tali addebiti.
2. - Deve essere in primo luogo esaminata l'eccezione di
inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa del Senato per
carenza di legittimazione attiva della Sezione ricorrente: eccezione
basata sull'assunto che, spettando il potere disciplinare sui
magistrati al Consiglio superiore della magistratura, il ricorso per
conflitto avrebbe dovuto essere deliberato non dalla Sezione
disciplinare, ma dal plenum del Consiglio, e avrebbe dovuto essere
sottoscritto dal Presidente, o per sua delega dal vice presidente di
questo, anziché dal presidente della Sezione.
L'eccezione non merita accoglimento.
L'art. 105 della Costituzione attribuisce i provvedimenti
disciplinari nei riguardi dei magistrati alla competenza del
Consiglio superiore della magistratura, ed è quindi effettivamente
in capo a questo organo che si colloca l'attribuzione in
contestazione.
Questa Corte ha però da tempo affermato che la Costituzione,
regolando solo parzialmente la composizione del Consiglio superiore
della magistratura (di cui indica i tre membri di diritto, mentre per
i membri elettivi si limita a stabilire la proporzione fra componenti
"togati" e "laici": art. 104, secondo, terzo e quarto comma) ed il
suo funzionamento (a cui riguardo prevede solo l'elezione di un
vicepresidente fra i componenti eletti dal Parlamento: art. 104,
quinto comma), lascia al legislatore ordinario ampi spazi di
discrezionalità nella disciplina dell'organizzazione interna del
Consiglio, e non esclude che esso possa operare, nell'esercizio delle
attribuzioni disciplinari, anziché in assemblea plenaria, in una
composizione più ristretta, pur sempre rispettosa dei criteri e
degli equilibri sanciti dall'art. 104 (sentenza n. 12 del 1971; e
cfr. anche sentenza n. 52 del 1998).
La legge dunque, nel prevedere la Sezione disciplinare e nel
regolarne la composizione ed il funzionamento (artt. 4, 5 e 6 della
legge 24 marzo 1958, n. 195, e successive modificazioni), non ha dato
vita ad un organo autonomo dal Consiglio superiore della
magistratura, né ha frazionato il "potere" di cui il Consiglio è
titolare ed espressione, ma si è limitata a disciplinarne
l'organizzazione interna, ferma restando l'unicità del potere
medesimo.
L'esercizio della potestà disciplinare attribuita al Consiglio
superiore è stato poi configurato per le ragioni più volte messe in
luce da questa stessa Corte (cfr. sentenze n. 145 del 1976, n. 289
del 1992, n. 71 del 1995 e n. 497 del 2000) con caratteri formalmente
giurisdizionali, il che si riflette, fra l'altro, sulle modalità di
funzionamento della Sezione disciplinare (composizione fissa, con
sostituzione dei componenti assenti o impediti ad opera dei
supplenti: articolo 6, primo, secondo, terzo e quarto comma, della
legge n. 195 del 1958 e succ. modif.), e sui caratteri ed il regime
delle relative decisioni (qualificate come sentenze, impugnabili
davanti alle sezioni unite della Corte di cassazione: art. 37 del
r.d.lgs. n. 511 del 1946 e art. 17, terzo comma, della legge n. 195
del 1958).
Per ritenere sussistente la legittimazione a proporre conflitto
di attribuzione, è dunque sufficiente constatare, da un lato, che
l'attribuzione che si suppone lesa dalla delibera del Senato è una
di quelle spettanti al Consiglio superiore della magistratura in base
all'art. 105 della Costituzione; e, dall'altro lato, che la Sezione
disciplinare è competente a "dichiarare definitivamente la volontà"
del potere cui appartiene - vale a dire del Consiglio superiore - in
quanto le sue determinazioni in materia disciplinare sono
insuscettibili di qualsiasi revisione o avocazione da parte del
plenum e costituiscono piena e definitiva espressione della potestà
disciplinare attribuita dalla Costituzione.
Né può porsi un problema di legittimazione a sottoscrivere il
ricorso, posto che, nella specie, questo è sottoscritto da chi,
nello stesso tempo, era vicepresidente del Consiglio superiore della
magistratura e presidente del collegio giudicante che ha deliberato
di sollevare il conflitto.
3. - Nel merito, il ricorso è fondato.
I comportamenti addebitati al magistrato incolpato, e oggetto del
conflitto, non sono qualificabili come "opinioni" (né tanto meno
come "voti") espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari, e
non possono dunque essere ricondotti in alcun modo alla sfera della
insindacabilità garantita dall'art. 68, primo comma, della
Costituzione.
Ciò vale, anzitutto, per le condotte omissive e commissive
descritte nel capo 2, lett. a) e b) dell'incolpazione, consistenti
rispettivamente nell'avere omesso di informare i colleghi, chiamati a
sostituire il magistrato incolpato nella conduzione di un
procedimento, sullo stato del procedimento medesimo, e nell'avere
disposto la cancellazione di dati da computer utilizzati dal
magistrato e dai suoi collaboratori, creando così un oggettivo danno
alla futura conduzione di detto procedimento.
Stabilire se e in che limiti la cessazione dell'attività,
conseguente al collocamento del magistrato in aspettativa, prima in
vista della presentazione della candidatura al Parlamento, poi a
seguito dell'elezione, e il conseguente dovere di astensione da ogni
interferenza del candidato e dell'eletto nelle attività giudiziarie
dell'ufficio di provenienza, possano condurre ad escludere in
concreto la violazione di un dovere di diligenza e di collaborazione,
è questione di merito da risolversi nell'ambito del procedimento
disciplinare.
Quale che fosse l'eventuale convinzione del magistrato eletto in
Parlamento circa la sussistenza o i limiti di tale dovere di
collaborazione, e quindi quali che fossero le ragioni che hanno
determinato le condotte a lui addebitate in sede disciplinare, queste
ultime sono, in ipotesi, contrarie ad un dovere di collaborazione
collegato esclusivamente allo status di magistrato, sia pure in
aspettativa, e non potrebbero certo qualificarsi come esercizio, in
forma di espressione di opinione, della funzione parlamentare. Tanto
meno ciò potrebbe dirsi per condotte tenute dal magistrato - come,
almeno in parte, si ipotizza nella specie - prima dell'elezione, sia
pure nel periodo in cui egli era collocato in aspettativa per la
candidatura all'elezione parlamentare, e quindi quando non rivestiva
ancora lo status di parlamentare.
4. - Alla medesima conclusione deve giungersi anche con riguardo
all'altro addebito in contestazione, relativo alla frequentazione non
occasionale - risalente, secondo la Sezione ricorrente e secondo il
capo di incolpazione, ad epoca anteriore alla elezione del magistrato
al Senato della Repubblica - di persona da ritenersi di dubbia fama
in considerazione dei suoi precedenti penali e giudiziari. Si tratta,
ancora una volta, di condotta - già di per sé non agevolmente
qualificabile come espressione di un'opinione - addebitata e
addebitabile esclusivamente in relazione allo status di magistrato e
ai connessi doveri, e in nessun modo riconducibile, invece, alle
funzioni di membro del Parlamento successivamente assunte dal
magistrato medesimo.
Non viene nemmeno qui in considerazione il quesito, se in capo al
magistrato eletto in Parlamento possa ipotizzarsi la permanenza di
qualcuno dei doveri collegati allo status di magistrato tuttora
rivestito: nella specie, infatti, ciò di cui si discute è l'ipotesi
di una violazione di tali doveri nel periodo in cui l'interessato non
aveva ancora assunto la qualità di membro del Parlamento.
In ogni caso, dunque, sia per i caratteri materiali della
condotta addebitata, sia - decisivamente - per la sua inerenza ad un
periodo anteriore all'assunzione dello status di parlamentare, essa
non può ricondursi all'ambito della insindacabilità garantita
dall'art. 68, primo comma, della Costituzione.