Ritenuto in fatto:
L'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di
cassazione, ha esaminato, in applicazione della legge 25 maggio 1970,
n. 352, e successive modificazioni, la richiesta di referendum
popolare, presentata il 26 giugno 1980 da Rippa Giuseppe, Cherubini
Laura, Passeri Maria Grazia, Pergameno Silvio e Vigevano Paolo, sul
seguente quesito: "Volete voi l'abrogazione degli articoli 12, comma
primo, n. 1, lettera f): "f): i tetraidrocannabinoli e i loro
analoghi;", nonché numero 2): "2) nella tabella II devono essere
indicate: a) la cannabis indica, i prodotti da essa ottenuti, le
sostanze ottenibili per sintesi o semisintesi che siano ad essi
riconducibili per struttura chimica o per effetto farmacologico, ad
eccezione di quelle previste nella lettera f) della tabella I; b) le
preparazioni contenenti le sostanze di cui alla lettera precedente;";
26, primo comma, limitatamente alle parole: "di piante di canapa
indiana - ", e 54, comma terzo, limitatamente alle parole: "per la
resina di canape" nonché alle parole: "per la canapa indiana", della
legge 22 dicembre 1975, n. 685 "Disciplina degli stupefacenti e
sostanze psicotrope. Prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi
stati di tossicodipendenza?".
Con ordinanza del 2 dicembre 1980, depositata in pari data,
l'Ufficio centrale ha dato atto che la richiesta è stata preceduta
dall'attività di promozione conforme ai requisiti di legge, che è
stata presentata da soggetti che vi erano legittimati, che il deposito
è avvenuto nel termine di tre mesi dalla data di vidimazione dei
fogli, che la richiesta di abrogazione delle su indicate norme è
stata regolarmente formulata e trascritta nella facciata contenente le
firme di ciascun foglio, che il numero definitivo delle sottoscrizioni
regolari supera quello di 500.000 voluto dalla Costituzione; e
considerato che è indubbio il carattere legislativo dell'atto
normativo sottoposto a referendum, e che al riguardo non sono
intervenuti atti di abrogazione, né pronunce di illegittimità
costituzionale, ha dichiarato legittima la richiesta anzidetta.
Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa
Corte ha fissato per la conseguente deliberazione il giorno 14 gennaio
1981, dandone a sua volta comunicazione ai presentatori della
richiesta ed al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi
dell'art. 33, comma secondo, della legge n. 352 del 1970.
In data 10 gennaio 1981, il Comitato promotore del referendum in
esame ha presentato una memoria. A suo avviso nessuna questione
potrebbe nel caso sorgere circa l'ammissibilità della richiesta. Se
è vero - osserva - che esistono trattati internazionali, stipulati
anche dal nostro Paese, nella materia delle sostanze stupefacenti, in
nessun caso la legge 22 dicembre 1975, n. 685, potrebbe considerarsi,
sia dal punto di vista formale sia dal punto di vista sostanziale, come
una legge di ratifica di un trattato internazionale. Secondo il
Comitato promotore, peraltro, nei trattati internazionali in materia
non si prescrive affatto l'assoggettamento dei derivati della canapa
allo specifico trattamento legislativo attuato con le norme in
questione.
Nessuna memoria è stata presentata da parte dell'Avvocatura dello
Stato.
Considerato in diritto:
La richiesta di referendum abrogativo, dichiarata legittima con
ordinanza del 2 dicembre 1980 dall'Ufficio centrale presso la Corte di
cassazione, e sulla cui ammissibilità la Corte è ora chiamata a
pronunciarsi, investe, come si rileva dal quesito, alcune parti degli
artt. 12, 26 e 54 della legge 22 dicembre 1975, n. 685 (Disciplina
degli stupefacenti e sostanze psicotrope. Prevenzione, cura e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza). L'art. 12
detta i criteri per la formazione delle tabelle delle sostanze
stupefacenti o psicotrope soggette a controllo. Si propone la
eliminazione dal primo comma delle disposizioni che fanno obbligo di
indicare nella tabella I tetraidrocannabinoli e i loro analoghi, e
nella tabella II la cannabis indica, i prodotti da essa ottenuti, le
sostanze ottenibili per sintesi o semisintesi che siano ad essi
riconducibili per struttura chimica o per effetto farmacologico (ad
eccezione dei tetraidrocannabinoli e dei loro analoghi), e le
preparazioni contenenti tali sostanze. Dall'art. 26, primo comma, si
propone di eliminare il riferimento alle piante di canapa indiana, che
verrebbero così sottratte al divieto di coltivazione nel territorio
dello Stato. Infine l'art. 54 prevede il prelevamento di campioni nel
caso di importazione di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese
nelle tabelle indicate dall'art. 12; si propone di eliminare, nel
terzo comma, il riferimento alla resina di canape ed alla canapa
indiana. Il referendum persegue dunque, come si desume anche dalla
memoria presentata dal Comitato promotore, lo scopo di liberalizzare
la coltivazione, il commercio, la detenzione, l'uso della canapa
indiana e dei suoi derivati (hashish e marijuana).
Il quesito non offre adito a censure sotto il profilo della sua
"omogeneità". Occorre perciò verificare se sussista alcuna delle
altre ragioni di inammissibilità enunciate dalla Corte nella sentenza
n. 16 del 1978.
In proposito la Corte considera che la legge 5 giugno 1974, n.
412, ha autorizzato la ratifica della "Convenzione unica sugli
stupefacenti", adottata a New York il 30 marzo 1961, e del Protocollo
di emendamento della Convenzione medesima, adottato a Ginevra il 25
marzo 1972, dando ad essi piena ed intera esecuzione. Gli strumenti di
ratifica, senza alcuna riserva, di entrambi gli atti da parte dello
Stato italiano, sono stati depositati presso il Segretariato generale
delle Nazioni Unite il 14 aprile 1975. La Convenzione è entrata in
vigore per l'Italia il 14 maggio 1975, ed il Protocollo l'8 agosto
1975. Nel Preambolo alla Convenzione, le Parti danno atto che "per
essere efficaci le misure prese contro l'abuso degli stupefacenti
devono essere coordinate ed universali" e che "un'azione universale
di questo genere richiede una cooperazione internazionale guidata
dagli stessi principi e mirante a fini comuni"; riconoscono "la
competenza dell'Organizzazione delle Nazioni Unite in materia di
controllo degli stupefacenti"; e dichiarano di voler stabilire, con la
conclusione di una Convenzione unica, "una costante cooperazione
internazionale per rendere operanti tali principi e raggiungere tali
fini".
La Convenzione, tra l'altro, prevede (art. 2) che le sostanze
stupefacenti, distribuite nominativamente in Tabelle allegate alla
Convenzione medesima, vengano sottoposte a specifiche misure di
controllo, la cui natura, il cui ambito e le cui modalità di
applicazione variano a seconda delle tabelle anzidette. Il
procedimento per le "modifiche del campo di applicazione del
controllo", che può essere instaurato nella competente sede
internazionale su iniziativa di una Parte o dell'Organizzazione
mondiale della sanità, è minuziosamente disciplinato dal successivo
art. 3. Le Parti, con l'art. 4, si sono obbligate ad adottare le
misure legislative e amministrative necessarie per dare attuazione nei
rispettivi territori alle disposizioni della Convenzione, e per
limitare esclusivamente a fini medici e scientifici la produzione, la
fabbricazione, l'esportazione, l'importazione, la distribuzione, il
commercio, l'uso e la detenzione di stupefacenti; e con l'art. 36
(come emendato dall'art. 14 del Protocollo) si sono altresì
obbligate ad adottare, compatibilmente con le proprie norme
costituzionali, le misure necessarie per la punibilità della
coltivazione e produzione, fabbricazione, estrazione, preparazione,
detenzione, offerta, messa in vendita, distribuzione, acquisto,
vendita, consegna, mediazione, invio, spedizione in transito,
trasporto, importazione ed esportazione di stupefacenti non conformi
alle disposizioni della Convenzione. Nell'ipotesi che gli scopi della
Convenzione siano seriamente compromessi dal fatto che una Parte non
ne attui le disposizioni, è previsto (art. 14 come emendato dall'art.
6 del Protocollo) che l'Organo internazionale di controllo degli
stupefacenti, in seno all'Organizzazione delle Nazioni Unite, adotti o
raccomandi alle Parti l'adozione di specifiche misure nei confronti del
Paese inadempiente.
Nella esecuzione della menzionata Convenzione internazionale e
nell'attuazione degl'impegni e degli obblighi con essa assunti è,
dunque, strettamente circoscritta la discrezionalità normativa degli
Stati contraenti, e quindi dello Stato italiano, che non può comunque
- senza divenir passibile delle previste misure e senza incorrere in
responsabilità d'ordine internazionale - spingersi addirittura fino
alla radicale ed unilaterale "liberalizzazione" della coltivazione,
del commercio, della detenzione e dell'uso di una sostanza
espressamente contemplata come stupefacente nella Convenzione. Di
ciò è significativa conferma il disposto del comma 3 dell'art. 1
della citata legge n. 685 del 1975, cui appartengono, come già detto,
i tre articoli (12, 26 e 54) oggetto della richiesta referendaria in
esame; con esso si demanda al Ministero della sanità "il compito di
curare i rapporti, sul piano internazionale, con la Commissione degli
stupefacenti del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite,
con l'Organo internazionale di controllo sugli stupefacenti
dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e con qualsiasi altra
organizzazione avente competenza in materia di sostanze stupefacenti o
psicotrope, nonché di eseguire tempestivamente tutti gli adempimenti
previsti dalle convenzioni ratificate dall'Italia nella stessa
materia". Inoltre, sempre nella stessa legge n. 685 del 1975, l'art.
11 espressamente prevede che le Tabelle (alla cui formazione presiedono
gli analitici criteri dettati proprio dall'art. 12 parzialmente
investito dal proposto referendum) "devono contenere l'elenco di tutte
le sostanze e dei preparati indicati nelle convenzioni e negli accordi
internazionali, e sono aggiornate tempestivamente anche in base a
quanto previsto dalle convenzioni e accordi medesimi".
Per quanto in particolare concerne la canapa indiana e i suoi
derivati, la Convenzione internazionale di New York se ne occupa
diffusamente. Già l'art. 1, nello stabilire il significato dei
termini più usati nel linguaggio ufficiale degli stupefacenti,
precisa, fra l'altro, al paragrafo 1, che "il termine cannabis indica
le sommità fiorite o fruttifere della pianta di cannabis (esclusi i
semi e le foglie che non siano uniti agli apici), la cui resina non
sia stata estratta, qualunque sia la loro applicazione" (lett. b);
"l'espressione pianta di cannabis indica qualsiasi pianta del tipo
cannabis" (lett. c); "l'espressione resina di cannabis indica la
resina separata, grezza o raffinata, ottenuta dalla pianta di
cannabis" (lett. d); "il termine coltura indica la coltura del
papavero da oppio, della pianta di coca e della pianta di cannabis"
(lett. i); "il termine produzione indica l'operazione che consiste nel
raccogliere "l'oppio, la foglia di coca, il cannabis e la resina di
cannabis dalle piante che li forniscono" (lett. t). L'art. 2 (come
emendato dall'art. 1 del Protocollo di Ginevra), poi, dispone che gli
stupefacenti inseriti nella tabella sono sottoposti a tutte le misure
di controllo applicabili agli stupefacenti dalla Convenzione, ed in
particolare alle misure previste dagli artt. 4 (paragrafo c), 19, 20,
21, 29, 30, 31, 32, 33, 34 e 37; e che gli stupefacenti di cui alla
tabella IV sono egualmente inclusi nella tabella e sottoposti a tutte
le misure di controllo applicabili agli stupefacenti di tale ultima
tabella, dovendo, in aggiunta, le Parti adottare tutte le misure
speciali di controllo che riterranno necessarie a causa di proprietà
particolarmente dannose degli stupefacenti anzidetti. Orbene, nella
tabella I allegata alla Convenzione figurano, tra gli altri
stupefacenti, il cannabis, la resina di cannabis, gli estratti e le
tinture di cannabis, e nella tabella IV, tra gli altri, il cannabis e
la resina di cannabis. Ma v'ha di più: lo stesso art. 2, al paragrafo
6, sottopone il cannabis, oltre che alle cennate misure di controllo,
alle disposizioni dell'art. 28, estendendo ad esso il regime di
controllo del papavero da oppio, nella ipotesi che una Parte autorizzi
la coltivazione della pianta di cannabis per la produzione di
cannabis o della resina di cannabis; ed al paragrafo 7 sottopone ad
ulteriori misure di controllo la pianta di cannabis e le foglie di
cannabis. In altri termini, e senza necessità di compiutezza nelle
citazioni delle varie disposizioni, può concludersi che dalla
Convenzione di New York derivi per lo Stato italiano l'obbligo di
assoggettare alle misure di controllo ivi indicate la coltivazione, il
commercio, la detenzione e l'uso della canapa indiana e dei suoi
derivati; e che all'adempimento di siffatto obbligo siano preordinate
le disposizioni dettate dalla legge n. 685 del 1975, investite dal
proposto referendum. Non osta a siffatta conclusione la circostanza
che con la medesima legge lo Stato italiano abbia inteso definire il
regime di controllo non soltanto sugli stupefacenti, ma anche sulle
sostanze psicotrope, per quest'ultima parte sostanzialmente
adeguandosi alle prescrizioni della Convenzione internazionale sulle
sostanze psicotrope stipulata a Vienna il 21 febbraio 1971 e non
ancora ratificata dall'Italia, così apprestando una disciplina
unitaria che solo per gli stupefacenti sarebbe "vincolata" da accordi
internazionali. Né rileva, ai fini della stessa conclusione, la
possibile obiezione che i tetraidrocannabinoli e loro analoghi,
indicati dal legislatore italiano, non trovano corrispondente
classificazione nella Convenzione di New York (che fa menzione del
cannabis, della resina di cannabis e degli estratti e tinture di
cannabis), venendo, invece, espressamente inclusi nella tabella
allegata alla Convenzione di Vienna, atteso l'indiscriminato
riferimento che alle une ed alle altre sostanze fa la richiesta
referendaria, allorché propone la parziale abrogazione degli artt.
12, 26 e 54 nei termini dianzi indicati.
Quanto si è fin qui esposto conduce la Corte ad una pronuncia di
inammissibilità. Va all'uopo ricordato che nella citata sentenza n.
16 del 1978 la Corte annoverò tra le ragioni di inammissibilità
l'appartenenza delle norme investite da referendum abrogativo alla
categoria delle leggi indicate dal secondo comma dell'art. 75 della
Costituzione, facendo in tale ambito rientrare, per effetto di
interpretazione logico - sistematica, anche "le disposizioni
produttive di effetti collegati in modo così stretto all'ambito di
operatività" delle leggi anzidette "che la preclusione debba
ritenersi sottintesa". Il ricorso a siffatto canone ermeneutico fa sì
che debbano venir preclusi i referendum che investano non soltanto le
leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, ma
anche quelle strettamente collegate all'esecuzione dei trattati
medesimi. Restano dunque sottratte all'abrogazione referendaria non
tutte le norme che lo Stato italiano può emanare, operando delle
scelte, per dare attuazione nei modi considerati più idonei
agl'impegni assunti sul piano internazionale, ma soltanto quelle
norme, la cui emanazione è, per così dire, imposta dagl'impegni
medesimi: per le quali, dunque. non vi sia margine di discrezionalità
quanto alla loro esistenza e al loro contenuto, ma solo l'alternativa
tra il dare esecuzione all'obbligo assunto sul piano internazionale
ed il violarlo, non emanando la norma o abrogandola dopo averla
emanata. Chiara, del resto, è la ratio che accomuna, sotto questo
profilo, le leggi di esecuzione dei trattati internazionali con quelle
produttive di effetti strettamente collegati all'ambito di
operatività dei trattati medesimi: la responsabilità che lo Stato
italiano assumerebbe verso gli altri contraenti a cagione della
"disapplicazione" dell'accordo, conseguente all'abrogazione delle
norme apprestate per l'attuazione degli assunti impegni.
Responsabilità che la Costituzione ha voluto riservare alla
valutazione politica del Parlamento, sottraendo le norme in questione
alla consultazione popolare, alla quale si rivolge il referendum
abrogativo previsto dall'art. 75 della Costituzione.
Non appare dubbio, per le ragioni dianzi esposte, che la
abrogazione delle norme oggetto del quesito referendario in esame, con
il sottrarre ai previsti controlli la coltivazione, il commercio, la
detenzione e l'uso della canapa indiana e dei suoi derivati,
concreterebbe una esplicita ed inequivocabile violazione degli
obblighi al riguardo assunti dallo Stato italiano con l'adesione senza
riserve alla Convenzione unica sugli stupefacenti, adottata a New York
il 30 marzo 1961, ed al Protocollo di emendamento adottato a Ginevra
il 25 marzo 1972, esponendo lo Stato medesimo alle misure in detti
accordi contemplate ed alle responsabilità verso le altre Parti
contraenti e verso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, competente in
materia di controllo internazionale degli stupefacenti. Le norme
medesime rientrano, pertanto, fra quelle, per le quali è precluso il
ricorso al referendum abrogativo, la cui richiesta in esame va in
conseguenza dichiarata inammissibile.