Ritenuto in fatto
1.– Con sentenza non definitiva del 19 dicembre 2022 (reg. ord. n. 3 del 2023), il Tribunale amministrativo regionale per le Marche, sezione prima, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20-quater, comma 1, lettera a-bis), della legge della Regione Marche 16 dicembre 2005, n. 36 (Riordino del sistema regionale delle politiche abitative), in riferimento ai principi di eguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3, primo comma, della Costituzione, e al principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, secondo comma, Cost.
1.1.– Il giudice amministrativo è investito di un ricorso, promosso da A. Z. contro il Comune di Ascoli Piceno per l’annullamento, previa sospensione: a) del verbale n. 22 della Commissione assegnazione alloggi di edilizia residenziale pubblica del Comune di Ascoli Piceno dell’8 giugno 2022, depositato il 9 giugno 2022, che ha confermato la determinazione dirigenziale n. 296 del 31 gennaio 2022 del Servizio politiche abitative del medesimo Comune riguardante la formazione della graduatoria provvisoria di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica; b) dell’elenco definitivo dei non ammessi, nella parte in cui include A. Z.; c) della comunicazione con cui l’esclusione dall’assegnazione degli alloggi è stata notificata al ricorrente.
In punto di fatto, il giudice a quo riferisce che A. Z., cittadino straniero regolarmente soggiornante sul territorio nazionale e titolare di permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo, risiede nel territorio della Regione Marche da vari anni. In particolare, precisa che A. Z. ha risieduto dal 17 settembre 2004 al 12 novembre 2005 ad Ascoli Piceno, dal 12 novembre 2005 al 15 aprile 2015 a Castel di Lama, dal 14 aprile 2016 al 13 luglio 2017 a Castorano, e dal 13 luglio 2017 alla data dell’ordinanza di rimessione di nuovo ad Ascoli Piceno.
A. Z. ha presentato domanda a quest’ultimo Comune per vedersi assegnato un alloggio di edilizia residenziale pubblica (d’ora in avanti: ERP), in relazione al bando pubblicato dallo stesso Comune il 28 ottobre 2020. Il 13 aprile 2021 gli è stata però preannunciata l’esclusione dalla graduatoria e gli sono stati chiesti chiarimenti, che il giudice a quo riferisce essere stati «prontamente forniti». Il 31 gennaio 2022 sono stati approvati la graduatoria provvisoria degli aspiranti all’assegnazione degli alloggi e l’elenco definitivo dei non ammessi, fra i quali è stato inserito anche A. Z., in quanto non in possesso del requisito della «residenza […] nell’ambito territoriale regionale da almeno cinque anni consecutivi», previsto dalla censurata lettera a-bis) del comma 1 dell’art. 20-quater della legge reg. Marche n. 36 del 2005, aggiunta dall’art. 13, comma 2, della legge della Regione Marche 27 dicembre 2018, n. 49 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 16 dicembre 2005, n. 36 “Riordino del sistema regionale delle politiche abitative” e alla legge regionale 27 dicembre 2006, n. 22 «Modificazioni ed integrazioni alla legge regionale 16 dicembre 2005, n. 36 “Riordino del sistema regionale delle politiche abitative”»).
A. Z. ha impugnato quindi il provvedimento di esclusione dinanzi al TAR rimettente, che ha accolto la domanda cautelare, ordinando al Comune di Ascoli Piceno di riesaminare la domanda. Il 9 giugno 2022, il Comune ha depositato nel giudizio a quo il verbale della seduta della Commissione assegnazione alloggi di edilizia residenziale pubblica, dal quale si evince che, a seguito di rinnovata istruttoria, è stata confermata l’esclusione.
A questo punto, il ricorrente ha impugnato con ricorso autonomo il provvedimento confermativo dell’esclusione, precisando di non poter notificare il gravame ad almeno un controinteressato, poiché i dati identificativi dei concorrenti erano stati resi anonimi nella graduatoria pubblicata, e chiedendo di essere ammesso all’integrazione del contraddittorio per pubblici proclami.
Il rimettente riferisce, altresì, che nel giudizio si è costituito il Comune di Ascoli Piceno, eccependo l’inammissibilità del ricorso e chiedendone, in ogni caso, il rigetto nel merito. Dopo aver dato conto dell’intervenuta integrazione del contraddittorio per pubblici proclami, lo stesso TAR ha confermato alle parti, nella camera di consiglio del 6 dicembre 2022, fissata per la prosecuzione del giudizio, la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 60 dell’Allegato 1 (codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo) – già prospettata nell’ordinanza di integrazione del contraddittorio – e la possibilità di definire il giudizio con sentenza resa in forma immediata, non riscontrando opposizioni o riserve.
1.2.– Nella sentenza non definitiva con cui è sollevata la presente questione di legittimità costituzionale, il TAR rimettente si sofferma preliminarmente, per respingerle, sulle eccezioni proposte dalla difesa comunale sull’ammissibilità del ricorso «per omessa tempestiva impugnazione del bando di concorso e, quantomeno, per omessa impugnazione della lex specialis».
Innanzitutto, il rimettente sostiene che, sebbene il ricorrente non abbia utilizzato la formula comprensiva di «“[…] tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti”», si dovrebbe ritenere oggetto di gravame anche il bando, il quale si limita a riprodurre la norma di legge censurata nel ricorso. Al riguardo, lo stesso rimettente fa riferimento all’orientamento giurisprudenziale secondo cui nel processo amministrativo la proposizione di «una questione di legittimità costituzionale “secca”» è inammissibile, gravando sul ricorrente l’onere di «impugnare un qualsiasi atto che faccia in qualche modo applicazione della norma sospetta di incostituzionalità e, in quella sede, dedurre la questione di costituzionalità». Nel caso di specie – precisa il TAR Marche – A. Z. ha seguito questo percorso, impugnando un provvedimento applicativo della norma regionale oggetto dell’odierno giudizio.
In secondo luogo, il giudice a quo osserva che, se il ricorso dovesse essere ritenuto fondato, in accoglimento delle censure attinenti all’effettivo possesso, da parte del ricorrente, del requisito della stabile residenza almeno quinquennale nel territorio regionale, la questione relativa alla legittimità della clausola del bando e della presupposta norma regionale diverrebbe irrilevante. Per questo non vi sarebbe stata necessità di impugnare tempestivamente il bando, giacché la sua lesività si sarebbe manifestata solo a seguito della accertata insussistenza del requisito in parola.
Infine, il giudice a quo ritiene che il ricorrente avrebbe interesse ad agire non solo nei confronti del bando applicato nella specie, ma anche di quelli che lo stesso Comune emanerà in futuro, stante che – in base all’art. 14 del regolamento per le assegnazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e per gli interventi connessi a situazioni di emergenza abitativa, approvato dal Consiglio comunale di Ascoli Piceno con deliberazione 29 settembre 2020, n. 45 – la «presenza continuativa nelle graduatorie» determina l’attribuzione di un punteggio da 0,5 a 5 punti. Anche se non gli venisse assegnato un alloggio sulla base del bando in questione, A. Z. avrebbe quindi interesse a essere inserito nella graduatoria, per poter fruire del relativo punteggio nelle future selezioni.
1.3.– Risolte le questioni preliminari, il TAR Marche ha deciso il motivo di ricorso attinente alla lamentata sussistenza, in capo al ricorrente, del requisito della residenza quinquennale consecutiva, giudicandolo infondato e, sulla base di una dettagliata ricostruzione delle valutazioni compiute dalla Commissione assegnazione alloggi di edilizia residenziale pubblica del Comune di Ascoli Piceno, ha rigettato il ricorso in parte qua.
Quanto, invece, alla censura dedotta in via logicamente subordinata, che si incentra sulla legittimità costituzionale della previsione del requisito stesso, il rimettente ritiene di non poter prescindere dalla decisione sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 20-quater, comma 1, lettera a-bis), della legge reg. Marche n. 36 del 2005. La disposizione prevede che «[p]er conseguire l’assegnazione di un alloggio di ERP sovvenzionata sono richiesti i seguenti requisiti: […]; a-bis) avere la residenza o prestare attività lavorativa nell’ambito territoriale regionale da almeno cinque anni consecutivi», aggiungendo, inoltre, che «[n]ell’ipotesi in cui il numero delle domande di assegnazione pervenute sia inferiore rispetto al numero degli alloggi disponibili, il Comune, al fine di assegnare gli alloggi residui, può ridurre il suddetto periodo sino ad un massimo di due anni previa autorizzazione regionale; […]».
Sulla non manifesta infondatezza, il rimettente richiama alcune decisioni di questa Corte (in particolare, la sentenza n. 44 del 2020) relative a norme di altre regioni, nelle quali la previsione di requisiti analoghi (la residenza nel territorio regionale negli ultimi cinque anni), al fine di accedere alle procedure di assegnazione degli alloggi ERP, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, in quanto irragionevole.
Il TAR Marche precisa che considerazioni analoghe valgono, secondo la giurisprudenza di questa Corte, anche per il requisito, previsto in alternativa dalla norma oggetto dell’odierno giudizio, ossia per lo svolgimento di attività lavorativa nel territorio regionale per almeno cinque anni consecutivi. Nella specie, peraltro, quest’ultimo requisito non rileverebbe nel giudizio a quo, in considerazione dello stato di invalidità al cento per cento del ricorrente.
2.– Il Presidente della Regione Marche non è intervenuto in giudizio.
Considerato in diritto
1.– Il TAR Marche, sezione prima, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20-quater, comma 1, lettera a-bis), della legge reg. Marche n. 36 del 2005, in riferimento ai principi di eguaglianza e ragionevolezza, di cui all’art. 3, primo comma, Cost., e al principio di eguaglianza sostanziale, di cui all’art. 3, secondo comma, Cost.
2.– L’art. 20-quater, comma 1, elenca una serie di requisiti per ottenere l’assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata; tra questi, la disposizione censurata (lettera a-bis) – aggiunta dall’art. 13, comma 2, della legge reg. Marche n. 49 del 2018 – prevede il seguente: «avere la residenza o prestare attività lavorativa nell’ambito territoriale regionale da almeno cinque anni consecutivi. Nell’ipotesi in cui il numero delle domande di assegnazione pervenute sia inferiore rispetto al numero degli alloggi disponibili, il Comune, al fine di assegnare gli alloggi residui, può ridurre il suddetto periodo sino ad un massimo di due anni previa autorizzazione regionale».
Il rimettente riferisce di essere investito di un ricorso avverso il provvedimento del Comune di Ascoli Piceno con il quale il ricorrente, cittadino straniero regolarmente soggiornante sul territorio nazionale e titolare di permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo, è stato inserito nell’elenco dei non ammessi all’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica.
In particolare, il TAR Marche, dopo aver escluso che il ricorrente, al momento della domanda, fosse in possesso del requisito della residenza nell’ambito territoriale regionale «da almeno cinque anni consecutivi», e dopo avere di conseguenza rigettato il solo motivo di ricorso basato sull’asserita ricorrenza del suddetto requisito, solleva le odierne questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto la disposizione regionale che richiede la residenza quinquennale consecutiva.
Il giudice a quo precisa altresì che, pur potendosi prospettare analoghi dubbi di legittimità costituzionale rispetto al requisito della prestazione di attività lavorativa, nell’ambito regionale, da almeno cinque anni consecutivi (previsto dalla medesima disposizione censurata), quest’ultimo «non viene in rilievo» nel caso di specie perché il ricorrente si trova in uno stato di invalidità al cento per cento, tale da impedirgli di svolgere attività lavorativa.
3.– Il rimettente ha dunque dimostrato di dover applicare la disposizione censurata e ha dato conto, in modo non implausibile, delle ragioni per le quali ha ritenuto infondate le eccezioni di inammissibilità proposte nel giudizio a quo dalla difesa del Comune resistente.
Ciò è sufficiente al fine di ritenere ammissibile la questione, tenuto conto che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, essa è chiamata a effettuare unicamente un «controllo esterno» sulle motivazioni contenute nell’ordinanza di rimessione quanto alla rilevanza delle questioni sollevate (ex plurimis, sentenze n. 113, n. 94, n. 45, n. 42 e n. 25 del 2023).
4.– Prima di esaminare il merito, occorre delimitare il thema decidendum, anche in considerazione di quanto riferito dal giudice a quo.
L’art. 20-quater, comma 1, lettera a-bis), della legge reg. Marche n. 36 del 2005 reca, infatti, all’interno della medesima disposizione, due diversi e alternativi requisiti, accomunati dal medesimo riferimento all’ambito territoriale e alla durata, e riguardanti, rispettivamente, la residenza e la prestazione di attività lavorativa nella Regione Marche da almeno cinque anni consecutivi.
Peraltro, questa previsione, introdotta – come si è detto – solo nel 2018, si affianca (e in parte si sovrappone) a quella contenuta nella successiva lettera b) dello stesso art. 20-quater, comma 1, in base alla quale occorre «avere la residenza o prestare attività lavorativa nel Comune in cui si concorre per l’assegnazione, salva la possibilità per il Comune di estendere la partecipazione al bando anche a cittadini di altri Comuni della regione».
Il giudice a quo precisa correttamente che, nel caso di specie, della disposizione censurata (lettera a-bis) viene in rilievo solo la parte riguardante il requisito della residenza da almeno cinque anni consecutivi e non anche l’altra, concernente l’alternativo requisito della prestazione di attività lavorativa.
Il thema decidendum va pertanto delimitato alla sola previsione della residenza nel territorio della Regione Marche da almeno cinque anni consecutivi e, dunque, alle parole «avere la residenza o».
Va comunque precisato che, anche in caso di accoglimento delle sollevate questioni di legittimità costituzionale, resterebbe comunque fermo l’ulteriore requisito previsto dalla citata lettera b), secondo cui il richiedente dev’essere, al momento della domanda, residente nel comune in cui si concorre per l’assegnazione o deve prestare attività lavorativa nel comune stesso (e quindi, a fortiori, nella Regione Marche), fatta salva la possibile deroga ivi disposta.
5.– Nel merito, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal TAR Marche in riferimento ai principi di eguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3, primo comma, Cost. e al principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, secondo comma, Cost. sono fondate.
Nell’atto introduttivo del presente giudizio il rimettente richiama numerosi passaggi argomentativi della sentenza n. 44 del 2020 di questa Corte, sottolineando la sostanziale sovrapponibilità delle odierne questioni con quelle promosse o sollevate nei confronti di altre leggi regionali.
L’assunto deve essere condiviso. In effetti, in numerose occasioni questa Corte è stata chiamata a giudicare sulla legittimità costituzionale di norme regionali di analogo contenuto (tra le tante, sentenze n. 77 del 2023, n. 199 del 2022, n. 9 e n. 7 del 2021, n. 281 e n. 44 del 2020, n. 166, n. 107 e n. 106 del 2018, n. 168 del 2014, n. 222, n. 172, n. 133, n. 4 e n. 2 del 2013, n. 61 e n. 40 del 2011; ordinanza n. 76 del 2010).
Nella citata sentenza n. 44 del 2020, in particolare, si afferma che il diritto all’abitazione «“rientra fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione” ed è compito dello Stato garantirlo, contribuendo così “a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana” (sentenza n. 217 del 1988; nello stesso senso sentenze n. 106 del 2018, n. 168 del 2014, n. 209 del 2009 e n. 404 del 1988). Benché non espressamente previsto dalla Costituzione, tale diritto deve dunque ritenersi incluso nel catalogo dei diritti inviolabili (fra le altre, sentenze n. 161 del 2013, n. 61 del 2011 e n. 404 del 1988 e ordinanza n. 76 del 2010) e il suo oggetto, l’abitazione, deve considerarsi “bene di primaria importanza” (sentenza n. 166 del 2018; si vedano anche le sentenze n. 38 del 2016, n. 168 del 2014 e n. 209 del 2009). L’edilizia residenziale pubblica è [quindi] diretta ad assicurare in concreto il soddisfacimento di questo bisogno primario» (punto 3 del Considerato in diritto).
Sempre nella sentenza n. 44 del 2020 questa Corte ha ribadito che «i criteri adottati dal legislatore per la selezione dei beneficiari dei servizi sociali devono presentare un collegamento con la funzione del servizio» e che «[i]l giudizio sulla sussistenza e sull’adeguatezza di tale collegamento – fra finalità del servizio da erogare e caratteristiche soggettive richieste ai suoi potenziali beneficiari – è operato da questa Corte secondo la struttura tipica del sindacato svolto ai sensi dell’art. 3, primo comma, Cost., che muove dall’identificazione della ratio della norma di riferimento e passa poi alla verifica della coerenza con tale ratio del filtro selettivo introdotto».
All’esito di questa verifica, è stata rilevata l’«irragionevolezza del requisito della residenza ultraquinquennale previsto dalla norma censurata come condizione di accesso al beneficio dell’alloggio ERP. Se infatti non vi è dubbio che la ratio del servizio è il soddisfacimento del bisogno abitativo, è agevole constatare che la condizione di previa residenza protratta dei suoi destinatari non presenta con esso alcuna ragionevole connessione (sentenze n. 166 del 2018 e n. 168 del 2014). Parallelamente, l’esclusione di coloro che non soddisfano il requisito della previa residenza quinquennale nella regione determina conseguenze incoerenti con quella stessa funzione».
Di conseguenza, il requisito della residenza quinquennale «si risolve […] semplicemente in una soglia rigida che porta a negare l’accesso all’ERP a prescindere da qualsiasi valutazione attinente alla situazione di bisogno o di disagio del richiedente (quali ad esempio condizioni economiche, presenza di disabili o di anziani nel nucleo familiare, numero dei figli). Ciò è incompatibile con il concetto stesso di servizio sociale, come servizio destinato prioritariamente ai soggetti economicamente deboli (sentenza n. 107 del 2018, che cita l’art. 2, comma 3, della legge n. 328 del 2000)».
Sempre nella medesima sentenza n. 44 del 2020, ma così anche in altre successive, questa Corte ha precisato che il requisito della residenza protratta per cinque anni o più «non è di per sé indice di un’elevata probabilità di permanenza in un determinato ambito territoriale, mentre a tali fini risulterebbero ben più significativi altri elementi sui quali si può ragionevolmente fondare una prognosi di stanzialità. In altri termini, la rilevanza conferita a una condizione del passato, quale è la residenza nei cinque anni precedenti, non sarebbe comunque oggettivamente idonea a evitare il “rischio di instabilità” del beneficiario dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica, obiettivo che dovrebbe invece essere perseguito avendo riguardo agli indici di probabilità di permanenza per il futuro».
Preminente rilievo va in ogni caso assegnato allo stato di bisogno dei richiedenti, con la conseguenza che «[l]a prospettiva della stabilità può rientrare tra gli elementi da valutare in sede di formazione della graduatoria […] ma non può costituire una condizione di generalizzata esclusione dall’accesso al servizio, giacché ne risulterebbe negata in radice la funzione sociale dell’edilizia residenziale pubblica».
Particolarmente rilevante è poi l’ulteriore affermazione, recata nella sentenza n. 107 del 2018 e ripresa nella sentenza n. 44 del 2020, secondo cui «a differenza del requisito della residenza tout court (che serve a identificare l’ente pubblico competente a erogare una certa prestazione ed è un requisito che ciascun soggetto può soddisfare in ogni momento), quello della residenza protratta integra una condizione che può precludere in concreto a un determinato soggetto l’accesso alle prestazioni pubbliche sia nella regione di attuale residenza sia in quella di provenienza (nella quale non è più residente)». Di qui la necessità che le norme che introducono requisiti di questo tipo siano «vagliate con particolare attenzione, in quanto implicano il rischio di privare certi soggetti dell’accesso alle prestazioni pubbliche solo per il fatto di aver esercitato il proprio diritto di circolazione o di aver dovuto mutare regione di residenza».
Per tali ragioni questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma regionale lombarda «nella parte in cui fissa[va] il requisito della residenza (o dell’occupazione) ultraquinquennale in regione come condizione di accesso al beneficio dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica», in quanto in contrasto «sia con i principi di eguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3, primo comma, Cost., perché produce una irragionevole disparità di trattamento a danno di chi, cittadino o straniero, non ne sia in possesso, sia con il principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, secondo comma, Cost., perché tale requisito contraddice la funzione sociale dell’edilizia residenziale pubblica» (sentenza n. 44 del 2020, punto 3.3. del Considerato in diritto).
In ragione dell’assoluta sovrapponibilità della fattispecie normativa oggetto del richiamato giudizio a quella qui in esame, le stesse riferite argomentazioni possono essere estese alle odierne questioni.
Di qui la fondatezza delle questioni sollevate, limitatamente alle parole «avere la residenza o».
6.– All’esito della dichiarata illegittimità costituzionale parziale della disposizione censurata, residua la previsione del requisito della prestazione di attività lavorativa in ambito regionale da almeno cinque anni. In ragione delle operata delimitazione del thema decidendum, infatti, il requisito connesso all’attività lavorativa – oggetto invece anch’esso della più volte citata sentenza n. 44 del 2020, con cui questa Corte, investita di un’analoga questione su entrambi i requisiti di cui qui si discute, ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale sul presupposto della comune idoneità lesiva – non può essere oggetto della presente pronuncia.