Considerato in diritto
1.– Il Tribunale ordinario di Trieste, in composizione monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 148 (recte: art. 148, comma 3) del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», in riferimento agli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione, nella parte in cui non prevede, al comma 3, che il compenso del curatore dell’eredità giacente venga anticipato dallo Stato «quale soggetto finale nel cui interesse è svolto il procedimento», ove questo, attivato d’ufficio, si sia concluso senza eredi accettanti e con eredità incapiente.
La mancanza di accettazione ereditaria e l’insufficienza del patrimonio relitto impedirebbero al curatore di percepire l’onorario pur essendo tali fattori indipendenti dalla sua opera, sicché l’omessa previsione dell’anticipazione erariale sarebbe intrinsecamente irragionevole, priverebbe di tutela una forma di lavoro e lederebbe il diritto alla giusta retribuzione.
1.1.– Sebbene le censure siano indirizzate dal rimettente all’art. 148 del d.P.R. n. 115 del 2002 nella sua interezza, esse, poiché relative all’omessa previsione di un’anticipazione erariale, devono intendersi riferite specificamente al comma 3 della disposizione, che riguarda appunto le spese anticipate dall’erario nella procedura dell’eredità giacente attivata d’ufficio.
2.– La questione sollevata in riferimento agli artt. 35 e 36 Cost. non è fondata.
Essa postula una sostanziale assimilazione dell’opera professionale dell’ausiliario del giudice al lavoro subordinato e il conseguente accostamento dell’onorario alla retribuzione, mentre, per costante giurisprudenza di questa Corte, la natura occasionale della prestazione dell’ausiliario del magistrato o del difensore d’ufficio impedisce di ricostruirne l’incidenza sulla formazione del reddito complessivo del singolo prestatore e quindi non consente neppure di impostare la valutazione del relativo compenso nei termini della retribuzione adeguata e sufficiente (ex plurimis, sentenze n. 90 del 2019, n. 13 del 2016, n. 192 del 2015, n. 41 del 1996 e n. 88 del 1970).
3.– È invece fondata la questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.
4.– Distribuita tra il codice civile e il codice di procedura civile, la disciplina della figura del curatore ne delinea l’essenzialità per la procedura di giacenza ereditaria, quale sistema di amministrazione interinale ed eventuale liquidazione del patrimonio in successione.
4.1.– Il curatore dell’eredità giacente è nominato dal tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, «su istanza delle persone interessate o anche d’ufficio», quando il chiamato non ha accettato l’eredità e non è nel possesso di beni ereditari (art. 528, primo comma, del codice civile).
Già la previsione della nomina officiosa evidenzia che l’attività del curatore, lungi dall’esaurirsi nella dimensione privatistica del trapasso successorio, corrisponde all’interesse pubblico che questo si svolga in modo ordinato e senza dispersione di valore.
In tale prospettiva, la nomina del curatore produce immediati effetti sostanziali, in particolare impedisce l’iscrizione di ipoteche giudiziali sui beni ereditari, quand’anche in base a sentenze pronunziate anteriormente alla morte del debitore (art. 2830 cod. civ.).
Gli obblighi del curatore dell’eredità giacente, elencati dall’art. 529 cod. civ., descrivono un’attività molteplice, talora complessa, poiché egli deve procedere all’inventario dell’eredità, esercitarne e promuoverne le ragioni, rispondere alle istanze proposte contro la medesima, amministrarla, depositare presso le casse postali o un istituto di credito designato dal tribunale il denaro che si trova nell’eredità o si ritrae dalla vendita dei mobili o degli immobili, e, da ultimo, rendere il conto della propria amministrazione.
Il curatore esercita altresì una funzione – seppur eventuale – di tipo liquidatorio, poiché egli può provvedere al pagamento dei debiti ereditari e dei legati, previa autorizzazione del tribunale (art. 530, primo comma, cod. civ.), ma, se alcuno dei creditori o dei legatari fa opposizione, deve provvedere alla liquidazione dell’eredità secondo le norme dell’eredità accettata col beneficio d’inventario (art. 530, secondo comma, cod. civ.).
Il curatore amministra l’eredità «sotto la vigilanza del giudice» (art. 782, primo comma, del codice di procedura civile) e deve vendere i beni mobili che ne fanno parte, nonché i beni immobili ove il tribunale autorizzi di questi ultimi l’alienazione nei casi di necessità o utilità evidente (art. 783 cod. proc. civ.).
Ai sensi dell’art. 193 del regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368 (Disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie), il curatore dell’eredità giacente, prima d’iniziare l’esercizio delle sue funzioni, deve prestare giuramento davanti al giudice di custodire e amministrare fedelmente i beni dell’eredità.
Dell’amministrazione dei beni ereditari il curatore risponde in modo pieno, quindi anche per colpa lieve, poiché l’art. 531 cod. civ. non gli estende la limitazione di responsabilità concessa dall’art. 491 cod. civ. all’erede con beneficio d’inventario, che viceversa risponde solo per colpa grave.
Sebbene possa chiudersi in tempi brevi in ragione della sopravvenienza dell’accettazione del chiamato – evento che determina la cessazione delle funzioni del curatore (art. 532 cod. civ.) –, la curatela dell’eredità giacente può tuttavia implicare anche un’attività di lungo corso, fino a sfociare, in mancanza di altri successibili, nella successione necessaria dello Stato, a norma dell’art. 586 cod. civ.
Sempre in funzione dell’ordinato svolgimento della vicenda successoria, al curatore dell’eredità giacente l’art. 28, comma 2, del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni), attribuisce l’obbligo di presentare la dichiarazione di successione, e il successivo art. 36, comma 4, prevede che la sua nomina possa essere chiesta anche dall’ufficio del registro.
4.2.– Per diritto vivente, il curatore dell’eredità giacente è un ausiliario del giudice.
Su incarico e sotto la vigilanza del giudice, egli persegue gli obiettivi tipici della procedura giudiziale, rientrando quindi nella «categoria aperta» degli ausiliari, riferita dall’art. 68, primo comma, cod. proc. civ. ad ogni persona che assiste il giudice perché «idonea al compimento di atti che non è in grado di compiere da sé solo» (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 21 novembre 1997, n. 11619).
Anche dopo l’entrata in vigore del d.P.R. n. 115 del 2002 – che all’art. 3, comma 1, lettera n), definisce l’ausiliario come «qualunque […] soggetto competente, in una determinata arte o professione o comunque idoneo al compimento di atti, che il magistrato o il funzionario addetto all’ufficio può nominare a norma di legge» –, la giurisprudenza di legittimità annovera il curatore dell’eredità giacente tra gli ausiliari del giudice (Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 2 settembre 2020, n. 18239, e sezione seconda civile, ordinanza 5 maggio 2009, n. 10328).
Ciò implica, tra l’altro, un più severo inquadramento penalistico dell’eventuale condotta distrattiva del curatore, in passato considerata reato comune di appropriazione indebita, e oggi invece qualificata, appunto perché tenuta da un ausiliario del giudice, come reato proprio di peculato (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 23 settembre 2010, n. 34335), ovvero truffa aggravata dall’abuso di pubblica funzione (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 31 marzo 2015, n. 13800).
5.– Premesso, al comma 1, che «[n]ella procedura dell’eredità giacente attivata d’ufficio alcune spese sono prenotate a debito, altre sono anticipate dall’erario», l’art. 148 del d.P.R. n. 115 del 2002 non menziona l’onorario del curatore, né tra le prime, né tra le seconde, e anzi tace dell’onorario di qualunque ausiliario del magistrato.
Per la procedura fallimentare, invece, con riguardo all’ipotesi in cui tra i beni del fallimento non vi sia denaro sufficiente, l’art. 146, comma 3, lettera c), del d.P.R. n. 115 del 2002 stabilisce che l’onorario degli ausiliari del magistrato è anticipato dall’erario.
5.1.– Con la sentenza n. 174 del 2006, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 146, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui non ricomprende tra le spese anticipate dall’erario le spese e l’onorario del curatore fallimentare.
Precisato che il curatore, quale «organo normale e necessario del procedimento fallimentare», è un «ausiliare della giustizia», piuttosto che un «ausiliare del giudice», e tratta la conseguenza che l’anticipazione erariale prevista dall’art. 146, comma 3, lettera c), del d.P.R. n. 115 del 2002 non potesse essere estesa per via interpretativa al curatore fallimentare, tale sentenza ha colto la violazione dell’art. 3 Cost. nell’essere l’anticipazione dell’onorario esclusa per il solo curatore.
Sono stati così superati i precedenti relativi all’art. 91 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa) – medio tempore abrogato dall’art. 299, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002 –, nei quali la mancata previsione dell’anticipazione erariale dell’onorario del curatore di un fallimento senza attivo era stata giustificata con gli argomenti della possibile gratuità dell’ufficio in ragione della sua volontarietà, dell’impossibilità di assimilare il curatore fallimentare a un lavoratore subordinato e del compenso indiretto che anche una curatela non retribuita pur sempre garantisce in termini di affinamento professionale (sentenza n. 302 del 1985; ordinanze n. 368 del 1994 e n. 488 del 1993).
A tali argomenti la sentenza n. 174 del 2006, da un lato, ha opposto che «[l]a volontarietà e non obbligatorietà dell’incarico e la non assimilabilità della posizione del curatore a quella del lavoratore non escludono il diritto del curatore al compenso, né giustificano la non ricomprensione delle spese e degli onorari al curatore fra quelle che, come le spese e gli onorari agli ausiliari del giudice, sono anticipate dallo Stato, in caso di chiusura del fallimento per mancanza di attivo»; dall’altro lato, circa la tesi della ricompensa indiretta della curatela dei fallimenti “negativi”, ha osservato che «l’affinamento professionale non giustifica la negazione del relativo compenso».
5.2.– Nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui prevede che, in caso di eredità giacente avviata su istanza dell’interessato e cessata per carenza di attivo, le spese e l’onorario del curatore siano posti a carico dell’istante, anziché dell’erario, questa Corte, con l’ordinanza n. 446 del 2007, ha ritenuto che la sentenza n. 174 del 2006 non potesse essere estesa a detta ulteriore questione, sia per la «disomogeneità» della posizione del curatore fallimentare rispetto a quella del curatore dell’eredità giacente, sia per la peculiarità della fattispecie concreta, nella quale la nomina del curatore dell’eredità giacente era avvenuta ad istanza di parte.
6.– Intervenuto in giudizio per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri ha richiamato proprio l’ordinanza n. 446 del 2007 per sostenere la manifesta infondatezza delle odierne questioni.
Tuttavia, il richiamato precedente non si attaglia alla fattispecie ora in esame, poiché questa riguarda la giacenza ereditaria attivata d’ufficio, mentre quello concerne la giacenza ereditaria attivata ad istanza di parte, differenza di ovvia rilevanza, giacché la presenza di un soggetto istante implica l’esistenza di un centro di imputazione degli oneri della procedura.
6.1.– Non è persuasivo neppure l’argomento dell’Avvocatura generale circa la maggiore complessità dell’attività del curatore fallimentare rispetto a quella del curatore dell’eredità giacente, di natura anche contenziosa l’una, solo di volontaria giurisdizione l’altra.
Una maggiore complessità dell’attività del curatore fallimentare può ammettersi solo in via tendenziale, poiché la giacenza ereditaria cessa con l’accettazione del chiamato, e può in questo caso risolversi in un’attività gestoria di modesta portata.
Tuttavia, specie in difetto di una sopravvenuta accettazione, l’opera del curatore dell’eredità giacente può avere anche una lunga durata, includere la liquidazione dei beni ereditari e la formazione dello stato di graduazione dei creditori e legatari, rispetto alla quale ultima possono anche darsi incidenti contenziosi.
La «disomogeneità» tra curatore fallimentare e curatore dell’eredità giacente – sottolineata dall’ordinanza n. 446 del 2007 con richiamo alla giurisprudenza di legittimità, «la quale ha sempre ritenuto che le disposizioni dettate per la liquidazione del compenso al curatore del fallimento non sono applicabili, neppure per analogia, al curatore dell’eredità giacente» – può incidere dunque sul quantum del compenso, non anche sull’an.
E infatti, come emerge proprio dalla costante giurisprudenza di legittimità, l’onorario spetta anche al curatore dell’eredità giacente, sebbene alla relativa quantificazione il giudice debba provvedere senza poter ricorrere alla tariffa dei curatori fallimentari, «neppure a titolo orientativo, stante l’evidente disomogeneità delle prestazioni», ma «col suo prudente criterio» (Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 28 novembre 1991, n. 12767), cioè con una valutazione equitativa correlata alla professione prevalente spesa dal curatore nell’espletamento dell’incarico (Corte di cassazione, sezione seconda civile, ordinanza 25 agosto 2020, n. 17735).
6.2.– Circa gli ulteriori argomenti dell’Avvocatura riferiti al carattere volontario dell’incarico di curatore dell’eredità giacente e ai vantaggi professionali che esso comporta pur in difetto della percezione di un onorario, vale ripetere quanto già osservato nella sentenza n. 174 del 2006, cioè che la non obbligatorietà dell’incarico non ne implica la gratuità e che il giovamento professionale indotto dallo svolgimento di un’opera non assorbe il diritto al compenso per averla resa.
Né la destinazione prioritaria delle risorse statali alla tutela giurisdizionale dei non abbienti – enfatizzata dall’interveniente – è di per sé in grado di privare il curatore di un’eredità incapiente del diritto all’onorario per l’attività svolta nel pubblico interesse, come non è in grado di privare del medesimo diritto il curatore di un fallimento senza attivo.
7.– Ai sensi dell’art. 49, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002, l’onorario spetta «[a]gli ausiliari del magistrato», insieme alle indennità di viaggio e di soggiorno, alle spese di viaggio e al rimborso delle spese sostenute per l’adempimento dell’incarico.
Per la sua portata generale, questa disposizione concerne tutti gli ausiliari del magistrato, quindi anche il curatore dell’eredità giacente, che, come si è visto, per diritto vivente, fa parte di tale categoria.
La questione si sposta, pertanto, dalla titolarità del diritto al compenso alle condizioni della sua effettività, atteso che – nella giacenza attivata d’ufficio, conclusasi senza accettazione del chiamato e con eredità insufficiente – il diritto del curatore all’onorario esiste attualmente solo in termini virtuali.
7.1.– L’art. 8, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002 stabilisce che «[c]iascuna parte provvede alle spese degli atti processuali che compie e di quelli che chiede» (salvi gli effetti dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, cui fa riferimento il comma 2).
Con specifico riguardo all’eredità giacente attivata d’ufficio, l’art. 148, comma 4, del d.P.R. n. 115 del 2002 dispone che «[i]l magistrato pone le spese della procedura a carico dell’erede, in caso di accettazione successiva; a carico del curatore, nella qualità, se la procedura si conclude senza che intervenga accettazione».
Nella giacenza attivata su istanza di parte, quindi, come nella fattispecie di cui all’ordinanza n. 446 del 2007, l’onorario del curatore grava sul soggetto istante in base all’art. 8, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002 (salvi gli effetti dell’eventuale ammissione dell’istante al patrocinio a spese dello Stato).
Nell’eredità giacente attivata d’ufficio e cessata per sopravvenuta accettazione, l’onorario del curatore grava sull’erede accettante, a norma dell’art. 148, comma 4, primo periodo, del d.P.R. n. 115 del 2002, e in aderenza alla retroattività dell’accettazione ereditaria (art. 459 cod. civ.).
In quella, infine, attivata d’ufficio e cessata per devoluzione allo Stato di un’eredità capiente, l’onorario del curatore grava sullo Stato stesso quale erede ultimo ovvero – come recita l’art. 148, comma 4, secondo periodo, del d.P.R. n. 115 del 2002 – resta «a carico del curatore, nella qualità», e ciò perché la capienza dell’asse tiene salvo il principio per cui lo Stato, quale erede necessario, «non risponde dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni acquistati» (art. 586, secondo comma, cod. civ.).
Nella fattispecie oggetto della questione in scrutinio, viceversa, il diritto al compenso, poiché non assistito dal meccanismo dell’anticipazione erariale, resta privo di effettività. Trattandosi, infatti, di eredità giacente attivata d’ufficio, non accettata dal chiamato e rivelatasi incapiente, l’onorario del curatore non può essere imputato ad alcuno.
Quando la giacenza attivata d’ufficio si conclude con la devoluzione allo Stato di un’eredità incapiente, l’anticipazione erariale dell’onorario corrisponde all’esigenza di garantire l’effettività del diritto al compenso spettante al curatore al pari di ogni altro ausiliario del giudice (in disparte se possa predicarsene la qualità di «ausiliare della giustizia», riferita al curatore fallimentare dalla sentenza n. 174 del 2006); l’impegno erariale riflette, d’altro canto, l’interesse pubblico all’ordinato svolgimento della vicenda successoria, che trascende l’interesse patrimoniale dello Stato-erede e costituisce la ratio stessa della nomina officiosa del curatore dell’eredità giacente.
Nell’ipotesi data, quindi, l’omessa previsione dell’anticipazione erariale determina un’irragionevole disparità di trattamento in danno del curatore dell’eredità giacente ed evidenzia un’irragionevolezza intrinseca della norma in rapporto alla sua stessa finalità: tutto ciò integra una lesione del parametro di cui all’art. 3 Cost.
7.2.– Attesa la distinzione tra «prenotazione a debito» e «anticipazione» sancita dalle lettere s) e t) del comma 1 dell’art. 3 del d.P.R. n. 115 del 2002, l’una definita come «l’annotazione a futura memoria di una voce di spesa, per la quale non vi è pagamento, ai fini dell’eventuale successivo recupero», l’altra come «il pagamento di una voce di spesa che, ricorrendo i presupposti previsti dalla legge, è recuperabile», lo strumento necessario a garantire l’effettività del diritto all’onorario del curatore dell’eredità incapiente va individuato nell’anticipazione erariale, al pari di quanto deciso con la sentenza n. 174 del 2006 per il curatore del fallimento senza attivo.
Invero, come pure sottolineato nella sentenza n. 217 del 2019, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale per irragionevolezza dell’art. 131, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002, riguardo alla prenotazione a debito dell’onorario dell’ausiliario del magistrato in caso di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, l’anticipazione erariale assicura l’effettività del pagamento del compenso, sottraendolo all’alea dell’annotazione a futura memoria, condizionata all’eventualità del recupero della somma.
8.– Per tutto quanto esposto, deve dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 148, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002, per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede tra le «spese anticipate dall’erario» l’onorario del curatore con riguardo al caso in cui la procedura di giacenza si sia conclusa senza accettazione successiva e con incapienza del patrimonio ereditario.