Ritenuto in fatto
1.− Con ordinanza del 5 ottobre 2018, iscritta al n. 120 reg. ord. 2019, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 112 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui non prevede la possibilità di revoca del decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in caso di «acclarata mancanza della veste di persona offesa» dei reati di cui all’art. 76, comma 4-ter, del d.P.R. n. 115 del 2002.
2.− Ad avviso del rimettente la disposizione censurata violerebbe l’art. 3 Cost. nella parte in cui non prevede che il giudice revochi il decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel «caso limite» in cui il soggetto beneficiato abbia commesso reato di calunnia incolpando un soggetto, che sa innocente, dei reati relativamente ai quali essa ha assunto la veste di persona offesa.
Il giudice a quo premette che, con decreto del 29 marzo 2017, C. D. è stata ammessa al beneficio in parola ex art. 76, comma 4-ter, del d.P.R. n. 115 del 2002, in quanto persona offesa del reato di cui all’art. 609-bis del codice penale, avendo ella denunciato di essere stata oggetto di violenze sessuali da parte di tale C. G. In data 7 luglio 2017 il giudice per le indagini preliminari disponeva, su richiesta del pubblico ministero, l’archiviazione del procedimento a carico di C. G. e disponeva altresì la trasmissione degli atti alla Procura nei confronti della donna per il reato di calunnia. In data 15 marzo 2018, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Torre Annunziata pronunciava sentenza ai sensi degli artt. 444 e seguenti del codice di procedura penale per il reato di cui agli artt. 81 cpv. e 368 cod. pen., applicando alla C. D. la pena di anni due e mesi quattro di reclusione.
2.1.− In punto di rilevanza, il rimettente espone che è stata avanzata istanza di liquidazione della attività prestata dal legale della C. D. e che tale istanza, in assenza della possibilità di revoca con efficacia retroattiva del decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, deve essere liquidata pur se dalla complessiva disamina della vicenda emerge con certezza l’insussistenza del reato di cui il soggetto beneficiato era stata reputato persona offesa, ovverosia la veste che giustifica l’ammissione beneficio.
2.2.− Quanto al profilo della non manifesta infondatezza, viene sostenuto che, se pure appare scelta legislativa non censurabile quella per cui i soggetti che debbano, quantomeno a una prima sommaria valutazione, ritenersi persone offese abbiano il diritto di avvalersi del beneficio in esame (comportante chiaramente un onere economico per lo Stato e di riflesso per tutta la collettività) per sostenere le loro ragioni nel procedimento, ciò non può comportare che gli stessi possano avvalersene anche ove, successivamente, emergano elementi che non solo facciano sorgere dubbi sulla esistenza di tale veste, ma addirittura rivelino la calunniosità della iniziale denuncia sulla cui base tale veste è stata presunta. Ed invero – sostiene il giudice a quo – se di certo un’archiviazione o una sentenza di proscioglimento non debbono comportare la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in quanto innegabilmente questa evenienza produrrebbe un inaccettabile effetto deterrente rispetto all’esercizio del diritto di difesa della persona offesa, per il conseguente timore che una pronuncia a lei sfavorevole potrebbe comportare la necessità di sostenere le spese legali della difesa nelle more espletata a suo favore, a diverse conclusioni dovrebbe giungersi nel «caso limite» in cui non solo, semplicemente, non sia stata adeguatamente provata la commissione del reato o la sua attribuibilità al soggetto al quale è ascritto ma sia stata accertata la calunniosità della accusa mossa dalla presunta persona offesa. In tale ipotesi, infatti, lo Stato dovrebbe sostenere la spesa della assistenza legale di colui che dapprima commette il reato di calunnia – incolpando di un delitto un soggetto che sa innocente – e poi addossa alla collettività i costi della sua scelta di perseverare nel proposito illecito, avvalendosi di un difensore in ausilio delle proprie (inesistenti) ragioni nel relativo procedimento a carico del soggetto indagato.
3.− Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio.
Considerato in diritto
1.− Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 112 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui non prevede la possibilità di revoca del decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in caso di «acclarata mancanza della veste di persona offesa» dei reati di cui all’art. 76, comma 4-ter, del d.P.R. n. 115 del 2002.
In particolare, viene reputato «contrastante con fondamentali criteri di logica e razionalità» la mancata previsione, tra le ipotesi di revoca, di quella rappresentata dal «caso limite» di intervenuta sentenza di condanna per calunnia del beneficiato per avere incolpato un soggetto, sapendolo innocente, dei reati relativamente ai quali egli ha assunto la veste di persona offesa.
2.− La questione di legittimità costituzionale in esame concerne, dunque, la revoca del decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel processo penale. Le ipotesi in cui essa viene disposta sono elencate dal censurato art. 112 del d.P.R. n. 115 del 2002 e sono legate alla mancanza (originaria o sopravvenuta) delle condizioni reddituali richieste per l’ammissione al beneficio in parola ovvero all’inosservanza dei termini entro cui devono essere effettuate determinate comunicazioni di variazione dei limiti di reddito o depositati specifici documenti. Ulteriore ipotesi di revoca è, poi, prevista dall’art. 95 del medesimo d.P.R., in caso di condanna per il reato di falsità e/o omissioni nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, nelle dichiarazioni, nelle indicazioni e nelle comunicazioni disciplinate dal precedente art. 79, comma 1, lettere b), c) e d).
3.− Questa Corte ha più volte ribadito la pacifica riconducibilità dell’istituto del patrocinio a spese dello Stato alla disciplina processuale nella cui conformazione il legislatore gode di ampia discrezionalità, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte adottate (da ultimo, sentenze n. 97 del 2019 e n. 81 del 2017; ordinanza n. 3 del 2020).
3.1.− Nell’opera di bilanciamento degli interessi in gioco, la giurisprudenza costituzionale ha, di frequente, valorizzato l’obbiettivo di limitare le spese giudiziali (da ultimo, sentenza n. 178 del 2017) e, in particolare, anche di recente, ha sottolineato che, in tema di patrocinio a spese dello Stato, è cruciale l’individuazione di un punto di equilibrio tra garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e necessità di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia (sentenza n. 16 del 2018).
4.− In questa prospettiva si spiega che per tutti i processi diversi da quello penale (civile, amministrativo, contabile, tributario e di volontaria giurisdizione) per il riconoscimento del beneficio è richiesto, dal comma 2 dell’art. 74 del d.P.R. n. 115 del 2002, che le ragioni di chi agisce o resiste «risultino non manifestamente infondate», e, in maniera speculare, è previsto che venga disposta la revoca dell’ammissione al patrocinio provvisoriamente disposta dal consiglio dell’ordine degli avvocati se l’interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave.
La finalità perseguita è evidentemente quella di non incoraggiare iniziative temerarie che, da un lato, aggraverebbero il carico dei processi, e, dall’altro, esporrebbero la controparte (abbiente, e quindi con spese a suo carico, o non abbiente, e quindi con ingiustificato aggravio per lo Stato) ad azioni temerarie, con il rischio di determinare una “discriminazione a rovescio”, inducendo i non abbienti a intentare cause palesemente infondate senza dover tener conto del loro peso economico, peso che invece devono sopportare coloro che non rientrano nella platea dei beneficiari.
In sostanza, la previsione di un filtro legato alla non manifesta infondatezza delle ragioni dell’aspirante beneficiario deve ritenersi giustificata, anzi, opportuna, alla luce degli altri interessi di rilievo costituzionale in campo.
Come ha affermato questa Corte, tutto ciò non vale per il processo penale, del quale il legislatore ha inteso sempre privilegiare le specificità: da un lato, l’essere frutto di un’azione dell’organo pubblico che viene “subita” dal soggetto che aspira al beneficio in parola; dall’altro, avere, come posta in gioco, il bene supremo della libertà personale (sentenza n. 237 del 2015). Appare giustificato, dunque, che, pur in un sistema a risorse economiche limitate, venga assicurata in questo caso una più intensa protezione, sganciando l’ammissione al beneficio de quo da qualsiasi filtro di non manifesta infondatezza delle ragioni del soggetto interessato.
4.1.− Va peraltro osservato che queste considerazioni si attagliano al solo indagato o imputato, che, appunto, “subisce” l’azione dell’organo pubblico e vede messa in gioco la propria libertà personale, meno invece si addicono alla persona offesa, che è solo un soggetto eventuale del procedimento penale, nel quale, comunque, non è coinvolta la sfera della sua libertà personale (ordinanze n. 254 del 2011 e n. 339 del 2008).
Ed infatti, con riferimento alla figura della persona offesa, nell’ambito di una prospettiva più legata alle sue peculiarità, questa Corte ha osservato che l’opzione legislativa in esame è giustificata da due elementi: la necessità di garantirle l’effettività del diritto di difesa, rimuovendo gli ostacoli di ordine economico all’esercizio delle prerogative difensive con l’assistenza tecnica di un difensore, e la specificità del ruolo ad essa riconosciuto (particolarmente valorizzato proprio nello stadio delle indagini preliminari), che si sostanzia in «un’attività di supporto e di controllo» dell’operato del pubblico ministero tesa a realizzare una sorta di contributo all’esercizio dell’azione penale (sentenze n. 23 del 2015 e n. 353 del 1991; ordinanza n. 3 del 2020).
4.2.− Ebbene, entrambi questi valori, di ben diversa e più limitata portata, non parrebbero giustificare l’attribuzione del beneficio ad un soggetto rispetto al quale la veste di persona offesa è stata attribuita dal pubblico ministero sulla base di elementi esposti dalla medesima nella denuncia-querela avente ad oggetto fatti in ordine ai quali ella ha poi riportato condanna per calunnia.
A fronte di una condotta calunniosa, infatti, non solo viene meno ogni esigenza di tutela del diritto di difesa, ma è addirittura “tradito” il ruolo di supporto e controllo tradizionalmente riconosciutole, posto che, in una sorta di eterogenesi dei fini, la presunta persona offesa, invece di coadiuvare il pubblico ministero, ne intralcia l’operato e lo trae in inganno, accusando un terzo di un reato nella piena consapevolezza della sua innocenza.
5.− Ciò tuttavia non si può tradurre in una pronuncia di accoglimento.
Il petitum, infatti, è fortemente manipolativo, in quanto non solo mira ad introdurre una nuova ipotesi di revoca del decreto di ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, ma implica anche una scelta comunque distonica rispetto a quella effettuata dal legislatore di non operare alcuna distinzione tra i soggetti del processo penale.
Di fronte a materie, come quella processuale, nel cui ambito è riconosciuta l’ampia discrezionalità del legislatore, è costante l’orientamento di questa Corte di ritenere inammissibili questioni rispetto alle quali si chiede una pronuncia connotata da un cospicuo tasso di manipolatività (sentenze n. 219 del 2019, n. 23 del 2016 e n. 277 del 2014; ordinanze n. 254 e n. 122 del 2016).
6.− La questione proposta deve, pertanto, essere dichiarata inammissibile.