Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 12 dicembre 2018, il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 64 della legge della Regione Veneto 30 dicembre 2016, n. 30 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2017), in riferimento agli artt. 3, 5, 114, secondo comma, 117, commi secondo, lettera l), e sesto, e 118 della Costituzione.
1.1.– Per quanto espone l’ordinanza di rimessione, il giudizio principale trae origine dalla denuncia di inizio attività presentata il 1° dicembre 2016 da V. C. e altri, titolari di diritti reali su un immobile residenziale nel Comune di Altavilla Vicentina, per l’ampliamento e la ristrutturazione dell’edificio con i benefici della legge della Regione Veneto 8 luglio 2009, n. 14 (Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche), anche nota come legge veneta per il “piano casa”.
La denuncia di inizio attività prospettava l’ampliamento dell’abitazione tramite fruizione del bonus edificatorio del 20 per cento e la contestuale ristrutturazione di un manufatto condonato, consistente in una baracca metallica, a ridosso del confine, onde dotare l’immobile di un’autorimessa più adatta alle condizioni di una dei titolari, anziana e invalida.
La relazione tecnica allegata alla denuncia evidenziava che l’intervento avrebbe derogato alla distanza minima di cinque metri dal confine stabilita dalle norme tecniche operative del Piano degli interventi, deroga che appariva tuttavia legittima sulla scorta della corrente giurisprudenza amministrativa.
Quest’ultima, infatti, nell’interpretare l’art. 9, comma 8, della legge reg. Veneto n. 14 del 2009, a tenore del quale «[s]ono fatte salve le disposizioni in materia di distanze previste dalla normativa statale vigente», considerava inderogabili le sole distanze previste da disposizioni statali, non anche quelle stabilite da strumenti urbanistici e regolamenti comunali.
In ragione del mutamento intervenuto medio tempore nella giurisprudenza amministrativa, infine orientatasi a qualificare come inderogabili anche le distanze di matrice locale, il Comune di Altavilla Vicentina aveva inibito i lavori esposti in denuncia, e l’inibitoria si era consolidata per mancata impugnazione.
Era quindi sopravvenuta la legge reg. Veneto n. 30 del 2016, che, all’art. 64, aveva fornito l’interpretazione autentica del suddetto divieto di deroga, riferendolo esclusivamente alle distanze stabilite da disposizioni statali, nel contempo prevedendo l’obbligo di riesame dei provvedimenti comunali emessi sulla base dell’interpretazione opposta.
L’istanza di riesame avanzata da V. C. e altri è stata però respinta dal Comune di Altavilla Vicentina, e l’impugnazione di questo rigetto costituisce l’oggetto del giudizio a quo.
2.– Il TAR Veneto sospetta che l’art. 64 della legge reg. Veneto n. 30 del 2016 violi gli artt. 3, 5, 114, secondo comma, 117, commi secondo, lettera l), e sesto, e 118 Cost., «nella parte in cui dispone (recte: consente) la deroga della distanza dai confini prevista dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti dei Comuni».
2.1.– In punto di rilevanza delle questioni, il giudice a quo osserva che l’impugnato diniego di riesame dell’inibitoria è stato motivato dal Comune di Altavilla Vicentina con esclusivo riferimento all’inderogabilità della distanza prevista dalle disposizioni locali, sicché, qualora la norma regionale di interpretazione autentica fosse dichiarata incostituzionale, l’impugnazione del diniego andrebbe respinta, trovando conferma il presupposto dell’inderogabilità della distanza; viceversa, qualora detta norma fosse giudicata costituzionalmente legittima, l’impugnazione del diniego andrebbe accolta e il Comune sarebbe obbligato a riesaminare le proprie determinazioni.
2.2.– In punto di non manifesta infondatezza delle questioni, il rimettente assume che, consentendo la deroga delle distanze dai confini previste da strumenti urbanistici e regolamenti comunali, il legislatore regionale abbia inciso la materia dell’ordinamento civile, riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., atteso che le norme edilizie locali, le quali prescrivono maggiori distanze dal confine rispetto alla distanza nelle costruzioni stabilita dall’art. 873 del codice civile, hanno carattere integrativo per gli effetti dell’art. 872, secondo comma, del medesimo codice; né la norma regionale impugnata potrebbe essere ricondotta al governo del territorio, materia di legislazione concorrente ex art. 117, terzo comma, Cost., per non essere la deroga, che quella norma consente, inserita in uno strumento di conformazione dell’assetto complessivo e unitario di una determinata zona territoriale.
Per altro verso, la censurata norma regionale violerebbe l’autonomia dei Comuni, affermata dagli artt. 5, 114, secondo comma, 117, sesto comma, e 118 Cost., «avendo esautorato i Comuni dal disciplinare in conformità con le specifiche esigenze di un ordinato sviluppo del proprio territorio ed in modo equo i rapporti tra i proprietari confinanti per una intera categoria di interventi edilizi […]».
Sarebbe infine violato l’art. 3 Cost., per irragionevolezza e disparità di trattamento, in quanto la derogabilità della distanza di cinque metri dal confine favorirebbe in modo sproporzionato il costruttore in prevenzione, imponendo al prevenuto di costruire in arretramento per osservare la distanza di dieci metri tra pareti finestrate prescritta dall’art. 9 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765); nonostante la sua posizione abbia la medesima natura di diritto soggettivo, il confinante avrebbe «una diversa tutela a fronte di uno stesso intervento edilizio», a seconda che questo sia stato realizzato in forza della norma regionale derogatoria anziché nel rispetto delle ordinarie norme di piano.
3.– Con atti depositati l’11 luglio 2019, sono intervenute ad opponendum l’Anci Veneto-Associazione regionale dei Comuni del Veneto e l’Ance Veneto-Associazione regionale dei costruttori edili del Veneto, la prima quale rappresentante dei Comuni del Veneto nelle sedi istituzionali, la seconda quale ente esponenziale della categoria di riferimento, entrambe assumendosi portatrici di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio.
3.1.– Le intervenienti oppositive hanno chiesto dichiararsi le questioni manifestamente infondate, poiché la norma che ne costituisce oggetto pur sempre afferisce al governo del territorio, materia di competenza legislativa concorrente, l’esercizio della quale non avrebbe in alcun modo conculcato l’autonomia comunale; del tutto coerente con la disciplina generale delle distanze sarebbe poi l’effetto della prevenzione edificatoria nella relazione tra i proprietari frontisti; in subordine, le intervenienti hanno chiesto che gli effetti di un’eventuale declaratoria di incostituzionalità decorrano solo ex nunc, a salvaguardia dell’affidamento riposto da cittadini, enti ed operatori nella legittimità degli interventi edilizi operati in deroga.
4.– Con atto depositato il 16 luglio 2019, è intervenuto ad adiuvandum M. B. P., attore in un diverso giudizio, ora pendente in grado di appello, nel quale egli ha lamentato la violazione in proprio danno della distanza dei cinque metri in regime di deroga ex art. 64 della legge reg. Veneto n. 30 del 2016.
4.1.– L’interveniente adesivo ha chiesto dichiararsi la fondatezza delle questioni come sollevate, o quantomeno emettersi una pronuncia interpretativa che estenda il divieto di deroga alle distanze di fonte comunale.
5.– Con atto depositato il 16 luglio 2019, è intervenuto il Presidente della Giunta regionale del Veneto, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate, e, in subordine, che gli effetti di un’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale siano limitati al futuro.
5.1.– Ad avviso di quest’ultimo interveniente, le questioni sarebbero inammissibili perché la norma censurata non è stata in realtà applicata dal Comune di Altavilla Vicentina, che anzi, sospettandone l’incostituzionalità, l’ha deliberatamente disapplicata, negando il riesame della pregressa inibitoria, sicché il giudizio principale avrebbe ad oggetto unicamente la questione di legittimità costituzionale, onde un difetto di incidentalità.
Le questioni sarebbero comunque infondate, per la riferibilità della norma censurata alla materia di competenza concorrente del governo del territorio e per il carattere limitato delle deroghe consentite, incapaci di alterare tanto l’esercizio delle funzioni comunali di pianificazione territoriale, quanto la relazione edificatoria dei proprietari frontisti.
Ove le questioni fossero accolte, gli effetti della declaratoria di incostituzionalità dovrebbero essere limitati al futuro, per non tradire l’affidamento riposto da migliaia di cittadini in titoli edilizi apparentemente legittimi.
6.– In prossimità della camera di consiglio, M. B. P. ha depositato memoria illustrativa, tornando a sostenere le ragioni di incostituzionalità della norma censurata ed opponendosi ad una limitazione temporale degli effetti della relativa declaratoria.
7.– Anche il Presidente della Giunta regionale del Veneto ha depositato memoria illustrativa, insistendo nell’eccezione di inammissibilità delle questioni per difetto di incidentalità e ribadendone l’infondatezza nel merito, salva la modulazione temporale degli effetti di un’eventuale declaratoria di incostituzionalità.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 64 della legge della Regione Veneto 30 dicembre 2016, n. 30 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2017), in riferimento agli artt. 3, 5, 114, secondo comma, 117, commi secondo, lettera l), e sesto, e 118 della Costituzione.
1.1.– La norma censurata violerebbe gli evocati parametri, in quanto, nel fornire l’interpretazione autentica dell’art. 9, comma 8, della legge della Regione Veneto 8 luglio 2009, n. 14 (Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche), consente la deroga delle distanze dal confine fissate dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti comunali, in tal modo ledendo, da un lato, l’esclusiva potestà legislativa dello Stato nella materia dell’ordinamento civile, dall’altro, l’autonomia dei Comuni nella pianificazione del loro territorio e, infine, la parità di trattamento dei proprietari frontisti nell’esercizio dello ius aedificandi.
2.– In via preliminare, deve essere dichiarata l’inammissibilità degli interventi ad opponendum spiegati dall’Anci Veneto-Associazione regionale dei Comuni del Veneto e dall’Ance Veneto-Associazione regionale dei costruttori edili del Veneto, come anche dell’intervento ad adiuvandum spiegato da M. B. P.
2.1.– Per costante giurisprudenza di questa Corte, sono ammessi ad intervenire nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale, in base all’art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), e all’art. 3 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale del 7 ottobre 2008, i soggetti che erano parti del giudizio a quo al momento dell’ordinanza di rimessione, oltre che il Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, il Presidente della Giunta regionale, mentre l’intervento di altri soggetti, estranei al giudizio principale, a norma dell’art. 4, comma 3, delle Norme integrative (nel testo applicabile ratione temporis), è ammissibile soltanto per i terzi titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto ed immediato al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma oggetto di censura (ex plurimis, sentenze n. 30 del 2020, con allegata ordinanza letta all’udienza del 15 gennaio 2020, n. 206 del 2019, con allegata ordinanza letta all’udienza del 4 giugno 2019 e n. 120 del 2018, con allegata ordinanza letta all’udienza del 10 aprile 2018).
D’altra parte, nel testo sostituito dall’art. 1 della delibera 8 gennaio 2020 della Corte, e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 17 del 22 gennaio 2020, l’art. 4 delle Norme integrative dispone ora, al comma 7, che «[n]ei giudizi in via incidentale possono intervenire i titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto in giudizio».
Pertanto, poiché l’Anci Veneto-Associazione regionale dei Comuni del Veneto, l’Ance Veneto-Associazione regionale dei costruttori edili del Veneto e M. B. P. non sono parti del giudizio a quo, né titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto ivi dedotto, che ne possa legittimare l’intervento, questo va dichiarato inammissibile.
3.– Il Presidente della Giunta regionale del Veneto ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per difetto di incidentalità.
3.1.– L’eccezione è infondata.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, l’incidentalità della questione è assicurata dalla diversità tra l’oggetto del giudizio a quo e l’oggetto del giudizio di costituzionalità, per essere cioè separati e distinti i rispettivi petita (ex multis, sentenze n. 217 del 2019, n. 191 del 2015, n. 162 del 2014 e n. 242 del 2011).
Il giudizio instaurato dai ricorrenti innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Veneto ha ad oggetto l’impugnazione del diniego di riesame dell’inibitoria opposto dal Comune di Altavilla Vicentina, sicché la questione di legittimità costituzionale della norma regionale che prescrive detto riesame non esaurisce il petitum del giudizio principale, ma si limita ad inciderne una premessa.
4.– Nel merito, le questioni sono infondate, in riferimento a tutti i parametri evocati.
4.1.– L’art. 64 della legge reg. Veneto n. 30 del 2016, oggetto di censura, stabilisce al comma 1: «[l]e norme di deroga alle previsioni dei regolamenti comunali e degli strumenti urbanistici e territoriali comunali, provinciali e regionali di cui all’articolo 2, comma 1, e di prevalenza sulle norme dei regolamenti degli enti locali e sulle norme tecniche dei piani e regolamenti urbanistici di cui all’articolo 6, comma 1, della legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 “Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche” e successive modificazioni, devono intendersi nel senso che esse consentono di derogare ai parametri edilizi di superficie, volume, altezza e distanza, anche dai confini, previsti dai regolamenti e dalle norme tecniche di attuazione di strumenti urbanistici e territoriali, fermo restando quanto previsto all’articolo 9, comma 8, della medesima legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 con esclusivo riferimento a disposizioni di emanazione statale».
Per effetto di questa interpretazione autentica, la clausola di inderogabilità delle distanze, posta dall’art. 9, comma 8, della legge reg. Veneto n. 14 del 2009, secondo la quale «[s]ono fatte salve le disposizioni in materia di distanze previste dalla normativa statale vigente», è stata ristretta alla sua dizione letterale, precludendo l’interpretazione, infine affermatasi presso la giurisprudenza amministrativa, che ne aveva esteso la portata alle distanze di fonte comunale, in ragione del loro carattere integrativo rispetto alla disciplina del codice civile.
4.1.1.– La legge reg. Veneto n. 14 del 2009 costituisce attuazione dell’intesa «sull’atto concernente misure per il rilancio dell’economia attraverso l’attività edilizia» (cosiddetto “piano casa”), sancita tra Stato, Regioni ed enti locali in sede di Conferenza unificata il 1° aprile 2009.
In coerenza con gli obiettivi dell’intesa, la legge regionale veneta per il “piano casa” persegue finalità generali di pubblico interesse, quali preservare, mantenere, ricostituire e rivitalizzare il patrimonio edilizio esistente, favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e delle fonti di energia rinnovabili, incentivare l’adeguamento sismico e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici esistenti, incentivare la demolizione e ricostruzione in area idonea di edifici esistenti che ricadono in aree dichiarate ad alta pericolosità idraulica, favorire la rimozione e lo smaltimento della copertura in cemento amianto di edifici esistenti (art. 1, comma 1, della legge reg. Veneto n. 14 del 2009).
Gli interventi edilizi di ampliamento in deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti comunali sono consentiti solo in zona territoriale omogenea propria ed entro precisi limiti di volume e superficie rapportati all’esistente (art. 2); gli interventi di demolizione e ricostruzione, sempre contenuti in zona territoriale omogenea propria, sono funzionali all’adeguamento del patrimonio edilizio esistente agli attuali standard qualitativi, architettonici, energetici, tecnologici e di sicurezza (art. 3, comma 1); la prevalenza sulle norme dei regolamenti degli enti locali e sulle norme tecniche dei piani e regolamenti urbanistici è riferita al carattere straordinario delle disposizioni incentivanti della legge regionale (art. 6, comma 1).
In ultimo, queste sono state abrogate dall’art. 19 della legge della Regione Veneto 4 aprile 2019, n. 14 (Veneto 2050: politiche per la riqualificazione urbana e la rinaturalizzazione del territorio e modifiche alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”), ferma la loro perdurante applicazione, fatta salva dall’art. 17, comma 1, in riferimento agli interventi per i quali la segnalazione certificata di inizio lavori o la richiesta del permesso di costruire siano state presentate entro il 31 marzo 2019.
4.1.2.– L’impostazione originaria della legge reg. Veneto n. 14 del 2009 non aveva connotati rigidamente verticali, in quanto l’art. 9, comma 5, rimetteva ai Comuni di deliberare, «sulla base di specifiche valutazioni di carattere urbanistico, edilizio, paesaggistico ed ambientale, se o con quali ulteriori limiti e modalità» applicare le norme attuative del “piano casa”; ad ogni Comune era data, quindi, un’opzionale “riserva di tutela”, che ad esso consentiva di rendere inderogabili le proprie determinazioni regolamentari.
In occasione delle proroghe delle norme attuative del “piano casa”, questo regime opzionale è stato dapprima ristretto, con l’introduzione di una procedura simile a quella, operante tra pubblica amministrazione e privati, del silenzio-assenso (art. 8, commi 4 e 5, della legge della Regione Veneto 8 luglio 2011, n. 13, recante «Modifiche alla legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 “Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche” e successive modificazioni, alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio” e successive modificazioni e disposizioni in materia di autorizzazioni di impianti solari e fotovoltaici»), ed infine abrogato (art. 10, comma 9, della legge della Regione Veneto 29 novembre 2013, n. 32, recante «Nuove disposizioni per il sostegno e la riqualificazione del settore edilizio e modifica di leggi regionali in materia urbanistica ed edilizia»).
Le delibere comunali di attivazione della “riserva di tutela” assunte a norma dell’art. 9, comma 5, della legge reg. Veneto n. 14 del 2009 hanno perduto effetto per previsione dell’art. 8, comma 2, della legge reg. Veneto n. 13 del 2011; successivamente, per previsione dell’art. 14, comma 2, della legge reg. Veneto n. 32 del 2013, hanno perduto effetto anche le delibere comunali di attivazione della “riserva di tutela” assunte a norma dell’art. 8, comma 4, della legge reg. Veneto n. 13 del 2011.
4.2.– Le deroghe alle distanze minime di fonte locale, consentite dalla norma regionale di interpretazione autentica oggetto di censura, attengono ad interventi di ampliamento e adeguamento di edifici già esistenti, situati in zona territoriale omogenea propria (artt. 2 e 3 della legge reg. Veneto n. 14 del 2009).
In tempi recenti, anche l’ordinamento statale, perseguendo obiettivi di riduzione del consumo di suolo e di rigenerazione del patrimonio edilizio esistente, ha differenziato il grado di cogenza delle distanze minime in base alla densità edificatoria della zona omogenea.
In particolare, l’art. 5, comma 1, lettera b-bis), del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 (Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici), convertito, con modificazioni, nella legge 14 giugno 2019, n. 55, ha stabilito che «[l]e disposizioni di cui all’articolo 9, commi secondo e terzo, del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, si interpretano nel senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti esclusivamente alle zone di cui al primo comma, numero 3), dello stesso articolo 9», e quindi alle sole zone omogenee destinate a nuova edificazione («zone C»), non anche alle zone totalmente o parzialmente edificate («zone B»).
4.3.– Come questa Corte ha avuto modo di chiarire, la disciplina delle distanze, che ha la sua collocazione anzitutto nella Sezione VI del Capo II del Titolo II del Libro III del codice civile, attiene in via primaria e diretta ai rapporti tra proprietari di fondi finitimi, sicché non si può dubitare che tale disciplina, per quanto concerne i rapporti suindicati, rientri nella materia dell’ordinamento civile, di competenza legislativa esclusiva dello Stato (sentenze n. 41 del 2017, n. 6 del 2013 e n. 232 del 2005). Nondimeno, si è altresì sottolineato che, poiché i fabbricati insistono su di un territorio che può avere, rispetto ad altri – per ragioni naturali e storiche –, specifiche caratteristiche, la disciplina che li riguarda – e in particolare quella dei loro rapporti nel territorio stesso – esorbita dai limiti propri dei rapporti interprivati e tocca anche interessi pubblici, la cui cura deve ritenersi affidata anche alle Regioni, perché attratta all’ambito di competenza concorrente del governo del territorio (sentenze n. 41 del 2017, n. 134 del 2014, n. 6 del 2013 e n. 232 del 2005).
4.4.– Pertanto, nel determinare il punto di equilibrio tra la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile ex art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. e la potestà legislativa concorrente della Regione in materia di governo del territorio ex art. 117, terzo comma, Cost., questa Corte ha messo in luce come alle Regioni non sia precluso fissare distanze in deroga a quelle stabilite nelle normative statali, purché la deroga sia giustificata dal perseguimento di interessi pubblici ancorati all’esigenza di omogenea conformazione dell’assetto urbanistico di una determinata zona, non potendo la deroga stessa riguardare singole costruzioni, individualmente ed isolatamente considerate (ex plurimis, sentenze n. 13 del 2020, n. 50 e n. 41 del 2017, n. 134 del 2014 e n. 6 del 2013). E tale delimitazione è stata recepita dal legislatore statale, il quale, con l’introduzione dell’art. 2-bis del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), da parte dell’art. 30, comma 1, lettera 0a), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, ha sancito i principi fondamentali della vincolatività, anche per le Regioni e le Province autonome, delle distanze legali stabilite dal d.m. n. 1444 del 1968 e dell’ammissibilità delle deroghe, solo a condizione che siano inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio (ex multis, sentenze n. 50 e n. 41 del 2017, n. 231, n. 185 e n. 178 del 2016, e n. 134 del 2014).
4.5.– La deroga alla disciplina delle distanze realizzata dagli strumenti urbanistici è stata, in conclusione, ritenuta legittima sempre che faccia riferimento ad una pluralità di fabbricati (“gruppi di edifici”) e sia fondata su previsioni planovolumetriche, che evidenzino una capacità progettuale tale da definire i rapporti spazio-dimensionali e architettonici delle varie costruzioni considerate come fossero un edificio unitario, ai sensi dell’art. 9, ultimo comma, del d.m. n. 1444 del 1968, disposizione, quest’ultima, che rappresenta la sintesi normativa del punto di equilibrio tra la competenza statale in materia di ordinamento civile e quella regionale in materia di governo del territorio (tra le tante, sentenze n. 13 del 2020, n. 50 e n. 41 del 2017, n. 185 e n. 178 del 2016, n. 134 del 2014 e n. 6 del 2013).
5.– Orbene, nel ribadirsi il richiamato orientamento, deve sottolinearsi come la previsione di una competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile (art. 117, comma secondo, lettera l, Cost.) in tanto si giustifica in quanto con la stessa si intende assicurare che i rapporti interprivati siano disciplinati nell’intero territorio della Repubblica secondo criteri di identità. Una simile esigenza, se è ravvisabile con riguardo alla disciplina delle distanze quale stabilita nelle norme statali (codice civile, d.m. n. 1444 del 1968 e d.P.R. n. 380 del 2001), certamente non può essere invocata con riferimento alle discipline locali, che, per quanto integrative del codice civile, sono destinate ad operare in ristretti ambiti territoriali. In effetti, esse trovano il loro fondamento proprio nell’autonomia degli enti locali in un contesto normativo nel quale ancora non erano state introdotte, con la Costituzione repubblicana, le autonomie regionali.
Una volta riconosciuta alle Regioni la competenza concorrente in materia di governo del territorio, deve infatti escludersi che esse incontrino il limite dell’ordinamento civile tutte le volte in cui, ferma la disciplina statale delle distanze, ad essere modificate per effetto di leggi regionali siano le disposizioni dei regolamenti comunali o delle norme tecniche, la cui finalità è proprio quella di adattare la disciplina a specifiche esigenze territoriali, ma certamente non quella, propria delle norme di ordinamento civile, di stabilire criteri uniformi sull’intero territorio nazionale nei rapporti tra privati. Ne consegue che non può opporsi alla competenza regionale il limite dell’ordinamento civile quando oggetto di deroga siano – come per effetto della norma regionale ora in scrutinio – non le disposizioni statali sulle distanze, ma le norme integrative dei regolamenti locali.
Nel caso in esame, pertanto, la valutazione di legittimità dell’intervento legislativo regionale non va compiuta in riferimento al limite dell’ordinamento civile, in quanto si sposta, come si vedrà, sul piano del rapporto tra potestà legislativa regionale concorrente in materia di governo del territorio e autonomia degli enti locali.
6.– Tanto premesso, deve ritenersi che le previsioni in tema di distanze contenute nella disposizione censurata non ledano la materia di riserva statale: tale disposizione, infatti, nel fornire l’interpretazione autentica dell’art. 9, comma 8, della legge reg. Veneto n. 14 del 2009, si è limitata, in ragione della forte oscillazione giurisprudenziale, a chiarire i margini di derogabilità delle distanze disposte dagli enti locali, in funzione degli interventi straordinari di rigenerazione del territorio edificato, senza tuttavia incidere sulle distanze di fonte statale.
La disposizione censurata, riferendosi alle misure previste dalla legge reg. Veneto n. 14 del 2009, mira a consentire, secondo l’impianto originale della legge stessa, gli interventi di rivitalizzazione del patrimonio edilizio esistente, e cioè a realizzare un obiettivo generale di interesse pubblico, perseguito con disposizioni incentivanti di carattere straordinario, limitate nel tempo e operanti per zone territoriali omogenee.
D’altra parte, come già rilevato, anche nella legislazione statale si è registrato un allentamento del regime delle distanze nelle zone omogenee totalmente o parzialmente edificate, al medesimo fine di perseguire obiettivi di rigenerazione del patrimonio edilizio esistente, fattore primario in una strategia di riduzione del consumo di suolo.
In raffronto a siffatta evoluzione dell’ordinamento statale, la norma regionale di interpretazione autentica qui censurata si rivela ancor più conservativa, poiché tiene per assolutamente cogenti le distanze minime di fonte statale – quindi i tre metri tra costruzioni ex art. 873 cod. civ. e i dieci metri tra pareti finestrate ex art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 –, mentre consente la deroga unicamente per le eventuali maggiori distanze di fonte comunale (nella specie, i cinque metri dal confine prescritti dalle norme tecniche del Comune di Altavilla Vicentina).
Nella normativa regionale autenticamente interpretata, che attiene alla materia del governo del territorio, non è dato riscontrare alcuna violazione della competenza statale in materia di ordinamento civile, e quindi alcuna violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
7.– La correlazione alla materia del governo del territorio, come legittima la norma regionale di deroga alle distanze nel rapporto con la competenza esclusiva statale nella materia dell’ordinamento civile, così la legittima nel rapporto con le funzioni comunali di pianificazione territoriale.
Oltre a non violare l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. riguardo all’esclusiva potestà legislativa dello Stato in materia civilistica, l’art. 64 della legge reg. Veneto n. 30 del 2016 pertanto neppure viola gli artt. 5, 114, secondo comma, 117, sesto comma, e 118 Cost. riguardo all’autonomia regolamentare dei Comuni in materia pianificatoria.
7.1.– Nel nostro ordinamento, la funzione di pianificazione urbanistica è tradizionalmente rimessa all’autonomia dei Comuni, fin dalla legge 25 giugno 1865, n. 2359 (Espropriazioni per causa di utilità pubblica), né lo sviluppo dell’ordinamento regionale ordinario e la necessità di una pianificazione territoriale sovracomunale hanno travolto questo impianto fondamentale, pur tuttavia assoggettandolo a ineludibili esigenze di coordinamento tra differenti livelli ed istanze.
Nell’attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione, il punto di sintesi è stato fissato dal legislatore statale tramite la disposizione per cui «sono funzioni fondamentali dei Comuni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione: […] d) la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonché la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale», ma «[f]erme restando le funzioni di programmazione e di coordinamento delle regioni, loro spettanti nelle materie di cui all’articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, e le funzioni esercitate ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione» (art. 14, comma 27, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, come sostituito dall’art. 19, comma 1, lettera a), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135).
Il “sistema della pianificazione”, che assegna in modo preminente ai Comuni, quali enti locali più vicini al territorio, la valutazione generale degli interessi coinvolti nell’attività urbanistica ed edilizia, non assurge, dunque, a principio così assoluto e stringente da impedire alla legge regionale – fonte normativa primaria, sovraordinata agli strumenti urbanistici locali – di prevedere interventi in deroga quantitativamente, qualitativamente e temporalmente circoscritti (sentenze n. 245 del 2018 e n. 46 del 2014).
Ciò non può non valere anche in tema di distanze degli edifici, nei limiti in cui la disciplina regionale delle stesse possa rientrare nella materia di legislazione concorrente del governo del territorio ex art. 117, terzo comma, Cost., in quanto una differente interpretazione equivarrebbe a cristallizzare l’art. 873 cod. civ. ad una fase pre-costituzionale.
Nell’articolazione dei vari livelli, dunque, il giudizio di costituzionalità della legge regionale «non riguarda […], in via astratta, la legittimità dell’intervento del legislatore, ma, piuttosto, la verifica dell’esistenza di esigenze generali che possano ragionevolmente giustificare le disposizioni legislative limitative delle funzioni già assegnate agli enti locali» (sentenza n. 286 del 1997).
La dialettica istituzionale sottesa al principio di sussidiarietà verticale, come sancito nell’art. 118 Cost., induce pertanto questa Corte a valutare, nell’ambito della funzione pianificatoria riconosciuta come funzione fondamentale dei Comuni, «quanto la legge regionale toglie all’autonomia comunale e quanto di questa residua, in nome di quali interessi sovracomunali attua questa sottrazione, quali compensazioni procedurali essa prevede e per quale periodo temporale la dispone», inteso che «[i]l giudizio di proporzionalità deve perciò svolgersi, dapprima, in astratto sulla legittimità dello scopo perseguito dal legislatore regionale e quindi in concreto con riguardo alla necessità, alla adeguatezza e al corretto bilanciamento degli interessi coinvolti» (sentenza n. 179 del 2019). Proprio tale giudizio, così dinamicamente inteso, consente di verificare se, per effetto di una normativa regionale rientrante nella materia del governo del territorio, come quella sub iudice, non venga menomato il nucleo delle funzioni fondamentali attribuite ai Comuni all’interno del “sistema della pianificazione”, così da salvaguardarne la portata anche rispetto al principio autonomistico ricavabile dall’art. 5 Cost.
7.2.– In questo senso, assume rilievo la circostanza che le deroghe alle distanze di fonte comunale siano rapportate dalla norma regionale, come autenticamente interpretata, a interventi quantitativamente, qualitativamente e temporalmente circoscritti, poiché, come già visto, gli interventi agevolati dalla legge veneta per il “piano casa” possono svolgersi unicamente con precisi limiti oggettivi, soltanto sugli edifici esistenti e nell’arco della durata del “piano” (peraltro ormai esaurita alla data del 31 marzo 2019 per effetto dell’abrogazione disposta dalla legge reg. Veneto n. 14 del 2019).
In particolare, giova ribadire che la legge reg. Veneto n. 14 del 2009 aveva le seguenti finalità, enunciate all’art. 1: «miglioramento della qualità abitativa per preservare, mantenere, ricostituire e rivitalizzare il patrimonio edilizio esistente» nonché «favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e delle fonti di energia rinnovabili» (lettera a); «incentivare l’adeguamento sismico e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici esistenti» (lettera b); «incentivare la demolizione e ricostruzione in area idonea di edifici esistenti che ricadono in aree dichiarate ad alta pericolosità idraulica» (lettera c); «favorire la rimozione e lo smaltimento della copertura in cemento amianto di edifici esistenti» (lettera d).
Oggetto del “piano casa” erano, dunque, solo gli edifici esistenti, e gli interventi ampliativi sono stati consentiti solo «nei limiti del 20 per cento del volume o della superficie» (art. 2, comma 1, della legge reg. Veneto n. 14 del 2009). Nessuna deroga è stata quindi consentita per le nuove costruzioni, in relazione alle quali, dunque, le distanze stabilite dai regolamenti locali hanno continuato a trovare applicazione.
Rilevano, inoltre, le ipotesi oggettive di esclusione degli interventi in deroga. L’art. 9, comma 1, della legge reg. Veneto n. 14 del 2009 non consentiva, o consentiva solo a condizioni ed entro limiti ancora più stringenti, gli interventi in deroga per gli edifici ricadenti nei centri storici, soggetti a vincolo o a tutela urbanistica, ricadenti nelle aree di inedificabilità assoluta, anche solo parzialmente abusivi; per gli edifici commerciali, l’intervento sui quali fosse volto ad eludere o derogare le disposizioni regionali in materia di commercio; nonché per gli immobili inedificabili perché ricadenti in aree dichiarate ad alta pericolosità idraulica.
Né è senza significato il fatto, sopra evidenziato, che la disposizione qui censurata rechi l’interpretazione autentica di una norma regionale la quale, nella versione originaria, riconosceva ad ogni Comune una “riserva di tutela”, attivabile mediante una delibera di sottrazione, per an o per quomodo, all’applicazione della normativa derogatoria sul “piano-casa”; da ciò discende che, ove mai una spoliazione di autonomia vi fosse stata in danno dei Comuni, essa non sarebbe stata prodotta dalla norma di interpretazione autentica oggi denunciata, ma semmai dalle norme che hanno abrogato il regime opzionale e privato di effetto le pregresse delibere comunali di attivazione della “riserva di tutela” (rispettivamente, art. 10, comma 9, ed art. 14, comma 2, della legge reg. Veneto n. 32 del 2013), norme viceversa non censurate. Peraltro, è appena il caso di osservare che l’ordinanza di rimessione è del tutto silente circa le scelte compiute dal Comune di Altavilla Vicentina a fronte della possibilità di attivare la “riserva di tutela”, originariamente prevista dall’art. 9, comma 5, della legge reg. Veneto n. 14 del 2009, poi modificata dall’art. 8, commi 4 e 5, della legge reg. Veneto n. 13 del 2011, e infine abrogata dall’art. 10, comma 9, della legge reg. Veneto n. 32 del 2013.
Del pari significativa è la circostanza che la stessa legge reg. Veneto n. 30 del 2016, con l’art. 63, comma 1, abbia aggiunto l’art. 11-ter della legge reg. Veneto n. 11 del 2004, ove è previsto il ricorso a una conferenza di servizi tra gli enti interessati per il coordinamento degli strumenti di pianificazione incidenti sul governo del territorio.
Si può quindi affermare che, nel consentire interventi in deroga agli strumenti urbanistici o ai regolamenti locali, il legislatore regionale veneto, in attuazione dell’intesa sancita tra Stato, Regioni ed enti locali in sede di Conferenza unificata il 1° aprile 2009, ha compiuto una ponderazione degli interessi pubblici coinvolti, attraverso sia la limitazione dell’entità degli interventi ammessi, sia l’esclusione di alcune componenti del patrimonio edilizio dall’ambito di operatività della legge regionale censurata e delle disposizioni di deroga. E ciò ha fatto consentendo, altresì, ai Comuni, nella sua prima applicazione, di sottrarre i propri strumenti urbanistici e i propri regolamenti all’operatività delle deroghe ammesse dalla medesima legge regionale. Resta, invece, priva di rilievo nel presente giudizio la vicenda normativa che ha portato al venir meno della “riserva di tutela” concessa ai Comuni veneti, sia perché tale vicenda non è stata censurata dal rimettente, sia e soprattutto perché il medesimo rimettente ha omesso di precisare quale sia stata la specifica posizione tenuta al riguardo dal Comune di Altavilla Vicentina.
Nelle delicate verifiche di funzionamento del principio di sussidiarietà verticale tra l’autonomia comunale e quella regionale, il giudizio di proporzionalità deve traguardare i singoli assetti normativi, nel loro peculiare e mutevole equilibrio, sicché non appare difforme dall’odierna conclusione quanto da questa Corte deciso con la sentenza n. 179 del 2019, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale di un divieto regionale di ius variandi in relazione ai contenuti edificatori del documento di piano, divieto la cui durata indefinita, carenza di profili interlocutivi e assolutezza finanche contraddittoria con gli obiettivi posti in sede regionale evidenziavano – a differenza della fattispecie ora in esame – un sacrificio sproporzionato della potestà comunale.
7.3.– La norma regionale oggi in scrutinio – e si intende l’interpretazione autentica da essa recata – supera, dunque, la verifica di proporzionalità, in aderenza col principio di sussidiarietà verticale, poiché gli interventi in deroga che la norma stessa consente, da un lato, soddisfano interessi pubblici di dimensione sovracomunale e, dall’altro, per i già segnalati limiti quantitativi, qualitativi e temporali, non comprimono l’autonomia comunale oltre la soglia dell’adeguatezza e della necessità.
8.– La denuncia di violazione dell’art. 3 Cost., infine, non esprime reali margini di autonomia e si dimostra piuttosto “ancillare” rispetto alle altre censure, sì da condividerne la sorte di dichiarata infondatezza (sentenze n. 212 del 2019 e n. 46 del 2014).
8.1.– Premesso che non è oggetto di specifica censura la scelta del legislatore regionale di intervenire con una norma di interpretazione autentica – il che esime questa Corte dalla necessità di ripercorrere i propri orientamenti sulle leggi regionali di interpretazione autentica –, e ricordato che la disposta interpretazione trovava comunque giustificazione nel succedersi di indirizzi giurisprudenziali contrastanti, la natura “ancillare” della denuncia ex art. 3 Cost. è palesata dalla sua circolarità col tema del fondamento normativo dell’intervento edilizio in deroga, poiché, una volta che tale intervento sia risultato provvisto di valida base normativa, gli effetti della prevenzione, raffigurati dal rimettente come irragionevoli e discriminatori, si rivelano fisiologica conseguenza della priorità temporale della costruzione, criterio al quale si informa, con i necessari temperamenti, il sistema del codice civile sui distacchi tra i fabbricati.
Peraltro, lo stesso richiamo all’istituto della prevenzione da parte del giudice a quo non è del tutto pertinente, atteso che quello della priorità temporale è un criterio dinamico regolativo dell’attività di nuova edificazione, mentre gli interventi ai quali si riferisce la norma oggi censurata riguardano soltanto – come più volte notato – edifici già esistenti.
9.– Previa declaratoria di inammissibilità degli interventi indicati al punto 2, alla luce delle considerazioni che precedono, le questioni devono essere dichiarate non fondate in riferimento a tutti i parametri evocati.