Ritenuto in fatto
1. - Con i quattro ricorsi indicati in epigrafe le Regioni
Friuli-Venezia Giulia e Veneto e le Province autonome di Trento e di
Bolzano hanno prospettato numerose questioni di legittimità
costituzionale riguardanti la legge 18 maggio 1989, n. 183 (Norme per
il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo).
In via generale, la Regione Veneto e la Provincia di Trento
osservano che l'intera legge sulla difesa del suolo, soprattutto
laddove determina l'organizzazione e i poteri relativi ai bacini
idrografici d'interesse nazionale, individua una serie di
attribuzioni statali che, in parte, si sovraordinerebbero a quelle
proprie delle regioni (e province autonome) espropriandole delle loro
competenze o assoggettandole a indirizzi e misure di coordinamento di
carattere cogente e, per altra parte, sarebbero disciplinate in
assoluto spregio del principio di "cooperazione" tra Stato e regioni
(o province autonome). In ragione di tali considerazioni la Regione
Veneto contesta la legittimità costituzionale dell'intera legge, in
quanto globalmente diretta a porre una "orditura prevaricatrice" nei
confronti delle autonomie regionali avente effetti "devastanti"
sull'assetto istituzionale di queste ultime (considerato che i nove
decimi del territorio regionale sarebbero ricompresi in bacini
d'interesse nazionale). Su basi analoghe, la Regione Friuli-Venezia
Giulia contesta la medesima legge, oltreché nelle parti che poi
saranno precisamente indicate, "in ogni altra parte in cui non viene
attribuito alla Regione Friuli-Venezia Giulia il ruolo che
costituzionalmente le compete sugli oggetti in detta legge
disciplinati".
Tutte le ricorrenti contestano l'art. 1, quinto comma, il quale
prevede che "le disposizioni della presente legge costituiscono norme
fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica nonché
principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione". A
loro avviso, sarebbe incostituzionale una doppia qualificazione delle
stesse disposizioni come quella ora ricordata e, soprattutto, lo
sarebbe l'estensione della qualificazione di riforma
economico-sociale a tutte le norme contenute nella legge, comprese
quelle di dettaglio, tanto più alla luce della giurisprudenza di
questa Corte inaugurata dalla sentenza n. 219 del 1984.
La Regione Veneto e la Provincia di Bolzano contestano la
legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, in quanto,
subordinando le competenze legislative regionali o provinciali a
"criteri, metodi, standards, nonché modalità di coordinamento e di
collaborazione" stabiliti con atti amministrativi, violerebbe le
norme cui è vincolato l'esercizio della funzione governativa di
indirizzo e coordinamento. In particolare, poi, la Provincia di
Bolzano prospetta dubbi analoghi in ordine all'art. 4, primo comma,
in quanto, a suo avviso, attribuirebbe al Presidente del Consiglio
dei ministri la funzione di indirizzo e coordinamento senza prevedere
la deliberazione del Consiglio dei ministri o la delega di
quest'ultimo al Presidente stesso (art. 3, secondo comma, l. n. 382
del 1975) e senza rispettare il principio di legalità. Per le
medesime ragioni, la Provincia di Bolzano ritiene che sia illegittimo
pure l'art. 9, ottavo comma, che conferisce al Consiglio dei
direttori dei servizi tecnici nazionali un potere di coordinamento
anche nei confronti dei servizi tecnici provinciali. Infine, la
Provincia di Bolzano lamenta l'invasione della competenza legislativa
esclusiva in materia di ordinamento dei propri uffici (art. 8, n. 1,
dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige) da parte dell'art. 9,
nono comma, lett. a e b, che, prevedendo la riorganizzazione dei
servizi tecnici nazionali su base territoriale, avrebbe ad oggetto
anche gli uffici tecnici trasferiti alle province autonome,
sottoponendoli a indirizzi e misure di coordinamento disposti da
istanze statali di natura amministrativa.
Un gruppo consistente di articoli sono impugnati perché
ripartirebbero fra Stato e regioni le competenze in materia di difesa
dei suoli violando le norme costituzionali e quelle di attuazione
relative al regime dei suoli stessi. La Regione Veneto e le Province
Autonome di Trento e di Bolzano contestano la legittimità dell'art.
12 nel suo complesso, in quanto, istituendo una nuova figura
soggettiva statale (l'autorità dei bacini di rilievo nazionale)
avente il compito di adottare il piano di bacino e di assicurare il
coordinamento dei piani di risanamento a tutela delle acque di cui
alla legge 10 maggio 1976, n. 319, demanderebbe a un ufficio statale
l'esercizio di funzioni amministrative spettanti alla regione o alla
provincia. La sola Regione Veneto manifesta dubbi di legittimità
costituzionale anche sugli artt. 13, primo e secondo comma, e 14, i
quali, nel modificare il riparto di competenze fra Stato e regioni
previsto agli artt. 89 e 91 del d.P.R. n. 616 del 1977, mirerebbero
ad abrogare una disciplina emanata in diretta attuazione di un
preciso dovere costituzionale e, pertanto, dotata di un rango
superiore alle leggi organizzative dello Stato. Ancora la Regione
Veneto impugna gli artt. 17 e 18, i quali, nel sovraordinare i piani
di bacino a ogni altra funzione, anche di programmazione, spettante
alle regioni, violerebbero le competenze di queste ultime in materia
di assetto del territorio, di opere di difesa, di utilizzo delle
risorse idriche, nonché di disciplina dell'estrazione di materiali.
Anche le Province di Trento e di Bolzano ritengono che le loro
potestà legislative e amministrative siano lese dall'art. 17, tanto
nella parte che riguarda la disciplina dei contenuti dei piani di
bacino (comma terzo), quanto nella parte in cui è attribuito al
piano di bacino valore di piano territoriale di settore (comma
primo), coordinandolo con i programmi di uso del suolo e
attribuendogli un carattere immediatamente vincolante per le
amministrazioni e gli enti provinciali (commi quarto, quinto e
sesto). La Provincia di Trento impugna, inoltre, l'art. 22, sesto
comma, laddove si prevede che l'approvazione del programma triennale
d'intervento "produce gli effetti di cui all'art. 81 del d.P.R. 24
luglio 1977 n. 616, con riferimento all'accertamento di conformità e
alle intese di cui al citato art. 81", ritenendo tale disposizione in
contrasto con le norme statutarie e di attuazione che le
attribuiscono competenze legislative e amministrative in materia
urbanistica. La stessa Provincia individua, inoltre, un ulteriore
profilo di incostituzionalità nelle norme appena citate unite in
combinato disposito con gli artt. 25 e 31, in quanto le ritiene
lesive della propria autonomia finanziaria in relazione ai vincoli
che ne conseguono sulla spesa pubblica. Infine, la Regione Veneto
impugna l'art. 35, il quale, in relazione a quanto già previsto
nell'art. 17, prevede che nei piani di bacino "possono essere
individuati ambiti territoriali ottimali per la gestione mediante
consorzio obbligatorio dei servizi pubblici di acquedotto, fognatura,
collettamento e depurazione delle acque usate": questo articolo, per
la Regione Veneto, comporterebbe un sovvertimento dei poteri
regionali relativi alla definizione degli ambiti territoriali e alla
costituzione dei consorzi per la gestione dei servizi pubblici.
La Regione Friuli-Venezia Giulia contesta la legittimità
costituzionale degli artt. 14, terzo comma, 15, secondo comma, e 16,
secondo comma, in quanto prevedono il trasferimento (anche futuro ed
eventuale) o la delega di funzioni amministrative di cui la regione
ricorrente sarebbe già titolare. L'art. 14, terzo comma, è
impugnato anche dalla Regione Veneto, la quale prospetta il dubbio se
sia legittimo sottoporre la regione a decisioni del Ministero dei
lavori pubblici in ordine a competenze amministrative concernenti
corsi d'acqua compresi nel suo territorio.
Un cospicuo numero di contestazioni riguarda il complesso di norme
che disciplinano le forme di cooperazione fra Stato e regioni (o
province autonome) in relazione al settore della difesa del suolo. Le
Regioni Veneto e Friuli-Venezia Giulia impugnano l'art. 4 in quanto
prevede una serie di competenze e di attività imputate allo Stato
che, pur incidendo sull'assetto del territorio delle rispettive
regioni, non prefigurano alcuna forma di cooperazione con le regioni
stesse. In particolare, la Regione Friuli- Venezia Giulia contesta la
previsione (primo comma, lett. b) dell'approvazione da parte del
Consiglio dei ministri degli atti relativi alla delimitazione dei
bacini di rilievo nazionale e interregionale senza precisare che,
quando questi atti incidano sull'idrografia del territorio veneto, si
rende necessaria la partecipazione al predetto Consiglio del
Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia ex art. 4, lett. a),
del d.P.R. 15 gennaio 1987, n. 469. La stessa ricorrente, poi,
lamenta la mancata previsione dell'intesa fra lo Stato e la regione
medesima in relazione: a) all'approvazione dei piani di bacino di
rilievo nazionale incidenti nel suo territorio (primo comma, lett.
c), con affermata violazione dell'art. 23 del d.P.R. 26 agosto 1985,
n. 1116, che demanda al Presidente della Regione l'approvazione dei
piani territoriali di coordinamento; b) all'approvazione del
programma nazionale di intervento, relativamente alle opere di
competenza regionale da realizzare nel suo territorio. Per motivi
analoghi, legati alla supposta interferenza con attribuzioni
regionali o provinciali, la Regione Veneto e la Provincia autonoma di
Bolzano impugnano l'art. 22, primo comma, che stabilisce la
competenza dei Comitati istituzionali ivi previsti riguardo
all'adozione dei programmi di intervento nei bacini di rilievo
nazionale senza prevedere il parere della regione o della provincia
interessata quando quei programmi incidano sul territorio delle
stesse. Ancora per violazione dei principi di cooperazione, la
Regione Friuli-Venezia Giulia contesta la legittimità costituzionale
dell'art. 25 avendo riguardo tanto al quarto che al quinto comma: in
relazione al primo, contesta la mancata intesa con la regione in
riferimento all'approvazione del programma nazionale d'intervento,
articolato per bacini, e della ripartizione degli stanziamenti; in
relazione all'altro comma, la contestazione è legata al rilievo che
questo, prevedendo il parere obbligatorio del Consiglio superiore dei
lavori pubblici su opere di competenza regionale, verrebbe a ledere
manifestamente le attribuzioni della ricorrente. Infine la Provincia
di Bolzano ritiene leso il principio di leale cooperazione da parte
dell'art. 28, il quale disciplina il distacco presso le segreterie
dei comitati per la difesa del suolo di dipendenti delle regioni e
delle province autonome senza prevedere l'intesa con queste ultime.
Un altro gruppo di questioni concerne i poteri di controllo
regolati in varie norme della legge impugnata. La Regione
Friuli-Venezia Giulia contesta la legittimità dell'art. 4, primo
comma, lett. a) ed e) e terzo comma, in quanto, presupponendo poteri
di verifica e di controllo, anche sostitutivo, ovvero poteri di
verifica sull'attuazione dei programmi di intervento delle regioni,
violerebbe, l'art. 58 dello Statuto speciale per il Friuli-Venezia
Giulia, il quale prevede, in relazione agli atti amministrativi
regionali, soltanto il controllo della Corte dei conti. La Regione
Veneto lamenta, invece, la violazione del sistema dei controlli
previsti dall'art. 125 della Costituzione da parte dell'art. 21,
terzo comma, il quale facoltizza le regioni a realizzare
autonomamente opere e interventi previsti dai piani di bacino di
rilievo nazionale, ma sotto il controllo del Comitato di bacino.
Le Province autonome di Trento e di Bolzano contestano, poi,
alcune disposizioni che prevedono poteri sostitutivi, ritenendole non
conformi ai requisiti costituzionali più volte indicati da questa
Corte e, in particolare, a quello della previa deliberazione del
Consiglio dei ministri (art. 2, terzo comma, lett. f, l. n. 400 del
1988). Tale sarebbe il caso dell'art. 4, primo comma, lett. e), il
quale demanda al Presidente del Consiglio dei ministri gli atti
vo'lti a provvedere in via sostitutiva in relazione all'adempimento
delle funzioni previste dalla legge impugnata, nonché dell'art. 18,
comma secondo, che prevede atti sostitutivi deliberati dallo stesso
Presidente del Consiglio in ordine agli adempimenti regionali
relativi alla formazione dei piani di bacino. Per gli stessi motivi,
la sola Provincia di Trento impugna l'art. 15, quarto comma e l'art.
20, commi secondo, terzo e quarto. Tali disposizioni si riferiscono a
bacini diversi da quelli di rilievo nazionale ma comprendenti il
territorio di più regioni e prevedono interventi sostitutivi del
Presidente del Consiglio dei ministri, in caso di inerzia o di
mancata intesa fra le regioni interessate, che sarebbero privi dei
requisiti costituzionali sopradetti.
Sempre le Province di Bolzano e di Trento lamentano la lesione di
principi costituzionali coinvolgenti profili particolari delle loro
autonomie. La prima contesta la violazione dei principi del
bilinguismo e della proporzionale etnica (artt. 89 e 100 dello
Statuto del Trentino-Alto Adige e relative norme di attuazione) da
parte degli artt. 9, nono comma, lett. c) e commi successivi, 12
(ultima parte) e 24, primo comma, i quali, disciplinando
rispettivamente i ruoli e il trattamento del personale dei servizi
tecnici nazionali, nonché gli uffici periferici dell'autorità di
bacino e le dotazioni organiche, non farebbero salvi i predetti
principi. La stessa Provincia di Bolzano impugna anche gli artt. 32,
primo comma, e 35, in quanto non farebbero salve le competenze
assegnate dallo Statuto alla ricorrente, limitando, l'uno, tale
salvezza, alle materie della utilizzazione delle acque pubbliche e
delle opere idrauliche e non menzionandola affatto, l'altro, pur
interferendo con competenze provinciali. Analoga censura è mossa
alle stesse disposizioni dalla Provincia di Trento, sempreché la
predetta clausola di salvezza non dovesse esser interpretata come
comprensiva del piano provinciale generale per l'utilizzazione delle
acque pubbliche, di cui all'art. 8 del d.P.R. n. 381 del 1974. Il
comma successivo dello stesso art. 32 è impugnato, sempre dalla
Provincia di Trento, in quanto, nel prevedere che i riferimenti ai
presidenti e ai funzionari regionali debbano intendersi come fatti ai
presidenti e ai funzionari provinciali, estenderebbe tale normativa
soltanto alle autorità del bacino dell'Adige e non anche a quelle
dei bacini del Po e del Brenta-Bacchiglione. La Provincia di Bolzano
contesta, poi, la violazione della riserva a favore delle norme di
attuazione, di cui all'art. 107 dello Statuto del Trentino-Alto
Adige, da parte degli artt. 10 e 24, primo comma, che prevederebbero
un'incidenza sulla ripartizione delle competenze fra Stato e
provincia attraverso atti inidonei, quali la stessa legge (ordinaria)
e il regolamento. E, infine, la medesima provincia dubita della
legittimità dell'art. 10, quinto comma, il quale riserva allo Stato
la normativa tecnica, mentre nessuna limitazione sarebbe prevista in
proposito dallo Statuto e dalle relative norme di attuazione (art.
19, del d.P.R. n. 381 del 1974).
2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito in
tutti i giudizi per chiedere il rigetto dei quattro ricorsi indicati
in epigrafe.
In linea generale, il resistente osserva che non può convenirsi
con le ricorrenti nel ritenere che la legge impugnata colpisca o,
addirittura, stravolga le competenze regionali (o provinciali). In
proposito, ricorda che tale legge si proporrebbe di "dare le gambe"
alla funzione che l'art. 81 del d.P.R. n. 616 del 1977 ha riservato
allo Stato in relazione alla identificazione delle linee fondamentali
dell'assetto del territorio e, in particolare, alla difesa del suolo.
In altre parole, con la predetta legge si sarebbe attuata quella
competenza al fine di garantire omogeneità di condizioni nella
salvaguardia della vita umana e del territorio (art. 3, secondo
comma). E nel far ciò non sarebbero state sottratte competenze
amministrative alle regioni, ma, anzi, sarebbero state aumentate,
prevedendo in sostanza la legge impugnata un intervento analogo a
quello realizzato con la legge n. 431 del 1985, già ritenuto non
incompatibile con la Costituzione da parte delle sentt. nn. 151 e 153
del 1986.
In particolare, poi, non violerebbe le competenze assegnate dalla
Costituzione alle regioni (o alle province autonome) la previsione di
bacini di rilievo nazionale, in quanto questa previsione manterrebbe
ferme le attuali funzioni amministrative o, addirittura, ne
prevederebbe di maggiori per le regioni (o le province autonome)
ricomprese nei bacini, essendo queste ultime chiamate a far parte
degli organi delle autorità di bacino, talora (come nel comitato
tecnico) paritariamente.
3. - In prossimità dell'udienza hanno presentato memorie la
Regione Veneto e le Province autonome di Trento e di Bolzano, le
quali, oltre a ribadire argomenti già svolti, ne aggiungono di
nuovi, soprattutto in replica alle affermazioni contenute negli
scritti difensivi dell'Avvocatura dello Stato.
In particolare, la Regione Veneto ritiene che sia inconferente il
richiamo dell'Avvocatura alla sent. n. 151 del 1986, in quanto la
legge allora in questione avrebbe avuto riguardo soltanto a
interventi del Ministro competente in presenza di un'inerzia
regionale. Nello stesso tempo, il richiamo al d.P.R. n. 616 del 1977
avrebbe dovuto essere accompagnato dall'osservazione che la legge
impugnata sovvertirebbe completamente il regime delle opere
idrauliche stabilito dall'art. 89 dello stesso decreto, il quale, fra
l'altro, già prevedeva l'intesa fra Stato e regioni.
La Provincia di Bolzano contesta all'Avvocatura la fondatezza del
collegamento tra la legge impugnata e l'art. 81, lett. a, del d.P.R.
n. 616 del 1977, in quanto la legge impugnata, per un verso, non si
manterrebbe in alcun modo entro i confini dell'urbanistica e, per
altro, non si limiterebbe a fissare indirizzi o misure di
coordinamento per l'ulteriore sviluppo delle competenze regionali o
provinciali. In secondo luogo, la stessa provincia nega che il
richiamo all'interesse nazionale sia di per sé sufficiente a
consentire immediate incisioni delle competenze regionali o
provinciali, essendo invece necessario il collegamento a valori
"forti" della Costituzione, quali la tutela della persona umana. Nel
caso, invece, tale legame sarebbe solo indiretto e troppo tenue per
giustificare le limitazioni oggetto del presente giudizio. La
provincia contesta, inoltre, che la legge impugnata possa essere
qualificata nella sua interezza come norma fondamentale di riforma
economico-sociale, dal momento che non lascerebbe alcuno spazio alle
competenze legislative delle regioni e delle province autonome.
Venendo alle questioni più particolari, la stessa ricorrente nega
ogni parallelismo con il precedente costituito dalla sent. n. 151 del
1986, in quanto nel caso non si tratterebbe di materie delegate e
ricorrerebbero poteri sostitutivi diversi, non rispettosi dei
requisiti allora affermati e, in particolare, di quello della previa
consultazione. La provincia afferma, inoltre, che la previsione della
partecipazione di rappresentanti provinciali al Comitato tecnico e a
quello istituzionale violerebbe l'art. 14, terzo comma, dello Statuto
e le relative norme di attuazione, che prevedono l'intesa in
relazione al piano generale per l'utilizzazione delle acque
pubbliche. Tanto più ciò varrebbe, secondo la ricorrente, per la
partecipazione provinciale al Comitato istituzionale, laddove,
essendo la Provincia in posizione minoritaria, si permetterebbe ad
essa soltanto di manifestare pubblicamente il proprio dissenso.
Inoltre, la provincia sottolinea che le limitazioni stabilite dalle
disposizioni sulla normativa tecnica non sarebbero conformi all'art.
88, n. 11, del d.P.R. n. 616 del 1977, che le prevede solo per le
regioni a statuto ordinario, e non già per le province autonome. La
Provincia di Bolzano, infine, premesso che il Consiglio provinciale
in sede di ratifica della delibera della Giunta di proposizione del
presente ricorso ha esteso l'impugnativa ad ulteriori articoli della
legge n. 183 del 1989 (artt. 2, secondo comma; 5, secondo comma; 14,
primo comma; 16; 20; 25 e 31), ne chiede la dichiarazione di
incostituzionalità in base all'art. 27 della legge n. 87 del 1953 in
quanto, afferma, tali disposizioni o diventerebbero inoperanti a
seguito della caducazione di quelle già impugnate, o sarebbero
applicative delle medesime o con quella farebbero sistema, onde
cadendo le prime dovrebbero necessariamente cadere anche le seconde.
In una breve memoria la Provincia di Trento ricorda che
recentemente questa Corte ha escluso che la ricorrenza dell'interesse
nazionale riguardo all'istituzione e alla gestione dei parchi
nazionali possa comportare l'esclusione delle competenze regionali o
provinciali.
Considerato in diritto
1. - I quattro ricorsi indicati in epigrafe concernono tutti la
legge 18 maggio 1989, n. 183, intitolata "Norme per il riassetto
organizzativo e funzionale della difesa del suolo", sollevando, in
riferimento a molteplici parametri, numerose questioni di
legittimità costituzionale fra loro oggettivamente connesse. È,
pertanto, opportuno riunire i relativi giudizi per deciderli con
un'unica sentenza.
2. - Se pure con argomenti e formulazioni di carattere non sempre
identico, le Regioni Veneto e Friuli-Venezia Giulia, nonché la
Provincia autonoma di Trento, contestano l'intera legge n. 183 del
1989, sostenendo che quest'ultima porrebbe in essere un insieme di
discipline, di istituzioni e di procedure d'intervento che
sconvolgerebbe l'assetto organizzativo delle regioni (o delle
province autonome) e produrrebbe una grave compressione delle
autonomie regionali (o provinciali).
La questione, così com'è posta, non è ammissibile.
Questa Corte ha più volte affermato (sentt. nn. 517 del 1989,
1111 del 1988 e 459 del 1989) che ogni questione di costituzionalità
sollevata nei ricorsi in via principale deve essere adeguatamente
motivata al fine di "consentire alla Corte il vaglio in limine litis,
attraverso l'esame della motivazione e del suo contenuto, della
sussistenza in concreto dello specifico interesse a ricorrere in
relazione alle singole disposizioni impugnate", oltreché al fine "di
determinare inequivocabilmente l'oggetto della questione sottoposta
al giudizio di costituzionalità" e di verificare l'eventuale
arbitrarietà, pretestuosità o astrattezza dei dubbi di legittimità
prospettati. Dal momento che le censure adeguatamente motivate
riguardano soltanto singole disposizioni della legge n. 183 del 1989,
le quali non sono logicamente così collegate con tutte le altre
contenute nel medesimo atto legislativo da indurre ragionevolmente a
pensare che la loro proposizione debba necessariamente estendersi a
tutta la legge e dal momento che l'indicazione delle restanti censure
è affatto generica e, nel caso del ricorso della Regione
Friuli-Venezia Giulia, addirittura imprecisa, non resta che
dichiarare l'inammissibilità della relativa questione.
3. - L'art. 1, quinto comma, il quale prevede che "le disposizioni
della presente legge costituiscono norme fondamentali di riforma
economico-sociale, nonché principi fondamentali ai sensi dell'art.
117 della Costituzione", è oggetto di impugnazione da parte di tutte
le ricorrenti. A loro avviso, infatti, non potrebbe ammettersi una
duplice e diversa qualificazione delle stesse disposizioni e, in ogni
caso, tali qualificazioni non potrebbero essere indiscriminatamente
estese a tutte le norme contenute nella legge, comprese quelle di
dettaglio.
Nei termini appresso indicati la questione non è fondata.
È affermazione costante di questa Corte (sentt. nn. 219 del 1984,
192 del 1987 e 1002 del 1988) che la qualificazione di una legge o di
alcune sue disposizioni come principi fondamentali della legislazione
statale o come norme fondamentali di riforma economico-sociale non
può discendere soltanto da apodittiche affermazioni del legislatore
stesso, ma deve avere una puntuale rispondenza nella natura effettiva
delle disposizioni interessate, quale si desume dal loro contenuto
normativo, dal loro oggetto, dal loro scopo e dalla loro incidenza
nei confronti di altre norme dell'ordinamento o dei rapporti sociali
disciplinati. Se, dunque, l'autoqualificazione di per sé non è
determinante, appare conseguentemente irrilevante anche la duplice e
divergente autodefinizione contenuta nell'articolo impugnato, tanto
più che, riferita a tutta la legge, una di esse potrebbe riguardare
alcune disposizioni e la seconda altre distinte disposizioni.
4. - La Regione Veneto e la Provincia autonoma di Bolzano
contestano la legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma,
il quale stabilisce che le attività di pianificazione, di
programmazione e di attuazione, previste dallo stesso articolo e
deliberate ai sensi del successivo art. 4, primo comma, "sono svolte
(...) secondo criteri, metodi e standards, nonché modalità di
coordinamento e di collaborazione tra i soggetti pubblici comunque
competenti al fine, fra l'altro, di garantire omogeneità di: a)
condizioni di salvaguardia della vita umana e del territorio, ivi
compresi gli abitati e i beni; b) modalità di utilizzazione delle
risorse e dei beni, e di gestione dei servizi connessi". Secondo le
ricorrenti, tali disposizioni contravverrebbero ai requisiti minimi
costituzionalmente posti in ordine allo svolgimento della funzione
governativa di indirizzo e coordinamento.
La questione non è fondata.
La legge n. 183 del 1989 predispone un'articolata disciplina
vòlta al raggiungimento degli obiettivi della difesa del suolo, del
risanamento delle acque, della fruizione e della gestione del
patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e
sociale, nonché della tutela degli aspetti ambientali ad essa
connessi (art. 1, comma primo). Si tratta, in sostanza, di una legge
che, come riconoscono l'Avvocatura dello Stato e alcune delle
ricorrenti, non si propone in via principale di stabilire una nuova
ripartizione di materie e di competenze fra Stato e regioni (o
province autonome), ma fissa piuttosto un obiettivo - la difesa del
suolo - da raggiungere attraverso una complessa pianificazione dei
settori materiali coinvolti. In altre parole, la legge contestata
pone molteplici obiettivi imperniati sulla difesa del suolo, per il
perseguimento dei quali, fermo restando nella sostanza il quadro
generale di ripartizione delle competenze fra Stato e regioni (o
province autonome) stabilito da vari articoli del d.P.R. n. 616 del
1977 (o delle norme di attuazione), si prevede un'articolata
pianificazione degli interventi (piani di bacino), una programmazione
dei finanziamenti (programmi triennali d'intervento), la creazione di
nuove istituzioni (centrali e periferiche) di supporto per i predetti
interventi (Comitato di ministri; Comitato nazionale per la difesa
del suolo e autorità di bacino), la previsione di forme di
collaborazione e di atti di indirizzo e coordinamento, la
predisposizione di controlli e di atti sostitutivi in ordine agli
adempimenti connessi alle attività di pianificazione e di
programmazione e, infine, l'accollamento allo Stato di tutti i
conseguenti oneri finanziari.
In questo quadro, l'art. 3, mentre determina, al primo comma, le
attività che dovranno essere oggetto delle misure pianificatorie
previste nella legge stessa (sistemazione, conservazione e recupero
del suolo nei bacini idrografici; difesa, sistemazione e regolazione
dei corsi d'acqua; moderazione delle piene; limiti alle attività
estrattive ai fini della tutela del suolo; etc.), stabilisce nel
secondo comma - e cioè nel comma la cui contestazione è ora in
discussione - che le predette programmazioni dovranno essere adottate
con le procedure di cui al successivo art. 4 e secondo criteri,
metodi, standards, modalità di coordinamento e di collaborazione,
tendenti al fine di garantire l'omogeneità riguardo alle condizioni
di salvaguardia della vita umana e del territorio e riguardo ai modi
di utilizzazione delle risorse e dei beni, oltreché di gestione dei
servizi connessi. In sé considerata, quest'ultima disposizione non
contiene alcuna lesione della sfera di autonomia costituzionalmente
garantita alle ricorrenti, né comporta alcuna violazione dei
principi
costituzionali in ordine alla funzione governativa di indirizzo e
di coordinamento, dal momento che si limita a stabilire un potere di
programmazione, giustificato dall'esigenza di perseguire
uniformemente determinati obiettivi, senza toccare minimamente il
problema della ripartizione delle relative competenze pianificatorie
fra i vari "soggetti pubblici comunque competenti" e senza porre
norme particolari sullo svolgimento della funzione governativa di
indirizzo e coordinamento al di là del semplice rinvio al successivo
art. 4 (sul quale si veda il punto seguente). In sintesi, la mera
previsione di programmi e di piani, finalizzati all'obiettivo della
difesa del suolo e dei beni umani e naturali a ciò connessi, non
può comportare, di per sé, alcuna forma di illegittimità
costituzionale.
5. - La Provincia autonoma di Bolzano dubita della legittimità
costituzionale dell'art. 4, primo comma, in quanto quest'ultimo
prevedrebbe poteri di indirizzo e coordinamento non rispettosi del
principio di legalità e delle procedure stabilite per il loro
esercizio.
La questione non è fondata.
Va premesso, innanzitutto, che, a norma delle disposizioni
impugnate, determinati atti, conseguenti all'esercizio di talune
funzioni connesse alla disciplina della difesa del suolo, sono
sottoposti all'approvazione del Presidente del Consiglio dei ministri
(che li adotta con proprio decreto), previa deliberazione del
Consiglio dei ministri e su proposta del Ministro dei lavori pubblici
o del Comitato dei ministri previsto nel comma secondo dello stesso
articolo. Molti di tali atti - e precisamente quelli indicati nelle
lettere a) , c) e d) - consistono in piani e programmi nazionali,
nonché in deliberazioni di metodi e di criteri per lo svolgimento
degli stessi e delle connesse attività conoscitive e di controllo.
Si tratta, in altre parole, di atti più comprensivi e più complessi
di quelli di indirizzo e coordinamento, soprattutto perché non
interessano soltanto materie riservate alla competenza regionale (o
provinciale) e non hanno, quindi, come propri destinatari soltanto le
regioni o le province autonome, ma sono diretti all'insieme dei
soggetti statali e regionali (o provinciali) coinvolti nella
complessa opera finalizzata alla difesa del suolo (v. anche sentt.
nn. 389 e 452 del 1989). Allo stesso modo non ricadono oggettivamente
nell'ambito delle censure prospettate dalla ricorrente anche altre
disposizioni - come quelle alle lettere b) ed e) - che si riferiscono
ad atti non riconducibili alla funzione di indirizzo e coordinamento:
tali sono gli atti relativi alla delimitazione dei bacini di rilievo
nazionale e interregionale, i quali rimandano a una competenza già
attribuita al Governo dall'art. 89 del d.P.R. n. 616 del 1977,
nonché gli atti di sostituzione in caso di inerzia persistente dei
vari soggetti coinvolti nei processi pianificatori delineati dalla
legge impugnata. Solo la lettera f) è rilevante ai fini della
censura ora esaminata, in quanto sottopone all'approvazione del
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa
deliberazione del Consiglio dei ministri, "ogni altro atto di
indirizzo e coordinamento nel settore disciplinato dalla presente
legge".
Tuttavia, contrariamente a quanto suppone la
ricorrente, quest'ultima disposizione non disciplina una determinata
funzione di indirizzo e coordinamento, tanto che non stabilisce
criteri o principi direttivi in relazione a una particolare materia o
funzione, non prevede procedure, non fissa obiettivi o finalità
particolari. Essa è, più semplicemente, una disposizione analoga a
quella contenuta nell'art. 2, terzo comma, lett. d), della legge 23
agosto 1988, n. 400, volta a precisare, in funzione prevalentemente
ricognitiva, che anche gli atti governativi di indirizzo e
coordinamento occorrenti nel settore della difesa del suolo devono
essere deliberati dal Consiglio dei ministri ed emanati con decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri. Sicché non resta a questa
Corte che pervenire sul punto alla medesima conclusione raggiunta
nella sentenza n. 242 del 1989 e ribadire, in particolare, la
peculiare posizione dell'autonomia costituzionale riconosciuta alla
Provincia di Bolzano nei confronti della funzione di indirizzo e
coordinamento (v. punto 8.2 della medesima pronunzia).
6. - La Regione Veneto e le Province autonome di Trento e Bolzano
contestano la legittimità costituzionale dell'art. 12 - che
istituisce le autorità di bacino di rilievo nazionale, ne determina
le competenze e ne stabilisce la formazione -, ritenendolo
illegittimo in quanto creerebbe nuove istituzioni statali in luogo di
quelle regionali (o provinciali) attributarie delle medesime
competenze.
La questione non è fondata.
Come si è precedentemente accennato, la legge n. 183 del 1989 è
essenzialmente una legge di obiettivi, poiché la difesa del suolo è
una finalità il cui raggiungimento coinvolge funzioni e materie
assegnate tanto alla competenza statale quanto a quella regionale (o
provinciale). Essendo, dunque, un obiettivo comune allo Stato e alle
regioni, la difesa del suolo può essere perseguita soltanto
attraverso la via della cooperazione fra l'uno e gli altri soggetti.
Naturalmente le forme della cooperazione possono essere svariate,
poiché oscillano dalla concorrenza (paritaria o non) delle due parti
nella produzione del medesimo atto (intese, pareri, etc.) al
coordinamento dell'esercizio delle rispettive funzioni, dalla
possibilità di utilizzazione di organi dell'altra parte alla
creazione di "organi misti" in cui siano rappresentate,
paritariamente o non, le due parti. Nel caso dell'impugnato art. 12,
quest'ultima è la soluzione prescelta, dal momento che il governo
dei bacini idrografici di rilievo nazionale è affidato ad
"autorità" appositamente costituite, alla cui composizione
concorrono sia rappresentanti statali che regionali (o provinciali).
Di per sé, pertanto, l'istituzione di tali "organi misti" non può
considerarsi costituzionalmente illegittima, dal momento che rientra
fra le possibilità che il legislatore ha di conformare la
cooperazione fra Stato e regioni in relazione al perseguimento di
obiettivi comportanti numerosi punti di interferenza e di intreccio
tra competenze statali e competenze regionali. Né può dirsi che la
creazione delle suddette istituzioni sia di per sé irragionevole,
poiché, anzi, quando ricorrono ipotesi di discipline funzionalmente
e materialmente complesse e di reti pianificatorie particolarmente
articolate, appare tutt'altro che arbitrario prevedere istituzioni a
composizione mista dirette a fungere da supporto di organizzazione e
di direzione unitaria del complesso governo del settore.
Secondo le ricorrenti, un ulteriore motivo di illegittimità
costituzionale deriverebbe dal rilievo che in tali "organi misti" la
rappresentanza regionale sarebbe sistematicamente minoritaria. Questa
affermazione è, in realtà, espressamente contraddetta dallo stesso
art. 12, comma quinto, per quanto riguarda il Comitato tecnico, nel
quale si raccolgono rappresentanti statali e rappresentanti regionali
"in numero complessivamente paritetico" al fine di operare come
organo di consulenza del Comitato istituzionale e, soprattutto, di
provvedere all'elaborazione del piano di bacino. La tesi
interpretativa prospettata dalle ricorrenti non può valere neppure
per quanto riguarda il Comitato istituzionale, in relazione al quale,
proprio perché si tratta dell'organo che, oltre a stabilire i
principi direttivi e i criteri per l'elaborazione dei piani
interessanti gli specifici bacini idrografici, provvede alla loro
approvazione e determina quali componenti del piano costituiscano
interesse esclusivo delle singole regioni, si segue un criterio di
composizione non meramente numerico o per quote, ma dipendente dalle
competenze e dagli interessi incidenti sull'area considerata. È per
tale motivo che il Comitato istituzionale è formato, oltreché dai
quattro ministri competenti, dai presidenti delle regioni
maggiormente interessate. Si tratta, in altre parole, di una
composizione che non prestabilisce quale "componente" sia
maggioritaria e quale no (come dimostra anche l'attuazione della
legge che vede le regioni in "minoranza" solo in tre delle sei
Autorità dei bacini di rilievo nazionale), per il semplice fatto che
ciò è irrilevante o, quantomeno, secondario rispetto al criterio di
composizione non irragionevolmente prescelto dal legislatore.
7. - Numerose censure proposte dalle ricorrenti prospettano la
presunta violazione del principio costituzionale di cooperazione fra
Stato e regioni.
7.1. - In relazione all'art. 4, primo comma, lett. a), la Regione
Veneto solleva il dubbio se sia costituzionalmente legittimo che il
Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del
Consiglio dei ministri, stabilisca i metodi e i criteri, anche
tecnici, per lo svolgimento delle attività conoscitive e
pianificatorie di cui agli artt. 2 e 3 della stessa legge, nonché
per la verifica e il controllo dei piani ivi indicati, senza
prevedere alcuna forma di collaborazione con le regioni.
La questione non è fondata.
La disposizione impugnata concerne il potere governativo di
deliberare le linee essenziali relative ai metodi e ai criteri, anche
tecnici, che devono essere seguiti nell'esercizio delle attività
conoscitive, pianificatorie e di attuazione indicate, in via
generale, dagli artt. 2 e 3 della stessa legge. Sull'esercizio di
tale competenza statale le regioni possono influire attraverso il
Comitato nazionale per la difesa del suolo - cioè attraverso un
"organo misto", fra i cui componenti vi sono anche membri prescelti
da ciascuna regione o provincia autonoma -, il quale ha un potere
generale di proposta nei confronti del Ministero dei lavori pubblici
(art. 6, settimo comma) cui spetta portare gli atti all'esame del
Consiglio dei Ministri (art. 4, primo comma). Se si considera che, da
un lato, per gli atti di indirizzo e coordinamento, i quali
perseguono finalità non lontane da quelle degli atti in esame, non
sussiste una previsione generale di una qualche forma di cooperazione
con le regioni interessate, e che, dall'altro lato, lo svolgimento
della competenza in questione ha ad oggetto le linee direttive più
generali, che dovranno poi essere determinate nei piani elaborati
dagli "organi misti" indicati nel numero precedente (ai quali, come
si è già ricordato, partecipano le regioni interessate) la scelta
del legislatore non può essere considerata irragionevole.
7.2. - La Regione Friuli-Venezia Giulia impugna l'art. 4, primo
comma, lett. c) e d), argomentando che le predette disposizioni
prevedono l'approvazione di programmi nazionali o di rilievo
nazionale da parte del Presidente del Consiglio senza stabilire la
necessità dell'intesa con la regione stessa in relazione alle
attività interferenti con quelle di competenza regionale, come
invece sarebbe richiesto dall'art. 23 del d.P.R. 26 agosto 1965, n.
1116 (Norme integrative di attuazione dello Statuto speciale della
regione Friuli-Venezia Giulia). Analoghe censure sono mosse dalla
Regione Veneto e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano in
relazione all'art. 22, primo comma, che prevede l'adozione dei
programmi di intervento da parte dei Comitati istituzionali senza
esigere un parere della singola regione o provincia interessata.
Le questioni non sono fondate.
In realtà, né la norma di attuazione invocata dalla Regione
Friuli-Venezia Giulia né altre prevedono alcuna intesa o parere
delle singole regioni (o province) interessate. Ed, in verità, non
è irragionevole che così sia, in quanto i piani e i programmi
considerati dalle disposizioni impugnate comportano interventi, anche
statali, comunque incidenti nel territorio di più regioni. Pertanto,
non è arbitrario che la legge n. 183 del 1989 preveda per quei piani
forme di cooperazione quali gli "organi misti" di cui al punto n. 6,
che permettono un confronto anche fra le varie regioni interessate.
7.3. - La stessa Regione Friuli-Venezia Giulia contesta la
legittimità costituzionale degli artt. 4, primo comma, lett. b) e
25, quarto comma, in quanto prevedono l'approvazione da parte del
Presidente del Consiglio dei ministri dei piani di bacino di rilievo
nazionale e interregionale, nonché dei programmi nazionali
d'intervento, senza che sia prevista la partecipazione o il consenso
del Presidente della regione alle relative deliberazioni.
La questione non è fondata nei sensi di cui in motivazione.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare (v. sentt. nn. 625
del 1988, 242 e 544 del 1989) che, quando ricorrano ipotesi per le
quali gli Statuti speciali o le norme di attuazione degli stessi
impongano la partecipazione del Presidente regionale alla relativa
deliberazione, la mancata previsione della stessa partecipazione
nelle disposizioni impugnate non può costituire motivo di
illegittimità costituzionale delle medesime, in quanto il silenzio
sul punto non può essere interpretato come espressione di una
volontà contrastante con quelle norme di rango superiore, ma
dev'essere inteso come riconoscimento della diretta applicabilità di
queste ultime.
7.4. - La Provincia di Bolzano dubita della legittimità
costituzionale dell'art. 28, che, nel prevedere la possibilità del
distacco di personale dipendente dalla Provincia stessa presso la
segreteria del Comitato nazionale per la difesa del suolo e presso le
segreterie tecnico-operative dei comitati tecnici di bacino, non
esigerebbe l'intesa con la ricorrente.
La questione non è fondata.
La disposizione impugnata si limita a prevedere la possibilità
del distacco del personale regionale e provinciale presso le suddette
segreterie senza stabilire regole derogatorie alla generale
disciplina del distacco stesso, la quale esige che questo avvenga
sempreché vi sia l'assenso dell'amministrazione di provenienza. Per
tale motivo il dubbio prospettato dalla Provincia di Bolzano non ha
alcun fondamento.
8. - La Regione Veneto e le Province autonome di Trento e di
Bolzano contestano la legittimità costituzionale degli artt. 17 e
18, i quali, nel prevedere i piani di bacino e nel sovraordinarli a
ogni altra funzione regionale (o provinciale), violerebbero le
competenze che le ricorrenti posseggono in materia di assetto del
territorio, di opere di difesa, di utilizzo delle risorse idriche e
di disciplina dell'estrazione di materiali. Per la sola Provincia di
Trento le disposizioni appena citate, in combinato disposto con
quelle contenute negli artt. 25 e 31, sarebbero altresì lesive
dell'autonomia finanziaria della provincia stessa, in quanto
porrebbero vincoli alle spese in materie di competenza provinciale.
Nei termini di seguito indicati, la questione è infondata.
Le censure delle ricorrenti nascono dalla imprecisa formulazione
dell'art. 17, che, al primo comma, assegna ai piani di bacino il
valore di piano territoriale di settore e, al secondo comma, li
definisce come atti di indirizzo e di coordinamento ai sensi
dell'art. 81, primo comma, lett. a), del d.P.R. n. 616 del 1977. In
realtà, né l'una né l'altra qualificazione rispondono
perfettamente all'effettiva natura dei predetti piani, quale si
desume dalla disciplina delineata dalla legge n. 183 del 1989. Come
si è già precisato, la complessiva natura dei piani di bacino non
può essere ridotta a quella degli atti di indirizzo e coordinamento,
in quanto si tratta di atti che interessano anche competenze statali
(ad esempio, le opere idrauliche di seconda categoria) e che, quindi,
si dirigono anche ad uffici ed enti dello Stato. Più in particolare,
si tratta di piani esclusivamente finalizzati alla "difesa del
suolo", e cioè, come risulta dai lavori delle varie commissioni di
studio ministeriali e parlamentari preparatorie della legge
impugnata, finalizzati alla conservazione dinamica del suolo
attraverso l'imposizione di vincoli e di opere di carattere
idraulico, idraulico-agrario e forestale. In altre parole, i piani di
bacino contengono varie prescrizioni dirette alla preservazione e
alla salvaguardia del suolo e dell'attitudine di questo ad essere
utilizzato a fini produttivi e civili rispetto alle cause di
aggressione dovute alle acque meteoriche, fluviali e marine o a
qualsiasi altro fattore meteorico. Come tali, essi non si svolgono
attraverso misure e opere inerenti alle competenze urbanistiche o a
quelle della protezione civile ovvero a quelle attinenti ad altre
competenze regionali o provinciali, quali le cave e miniere,
l'agricoltura o la tutela del paesaggio e dell'ambiente, anche se
indubbiamente incidono o interferiscono nei confronti di ciascuna di
queste attribuzioni.
In base a questa loro natura, i piani di bacino vengono equiparati
ai piani territoriali di settore, non già per significare che si
tratta di strumenti inerenti alla disciplina urbanistica (di
competenza regionale o provinciale), ma semplicemente al fine -
esplicitato dall'art. 17, comma quinto -, di stabilire che i vincoli
posti dal predetto piano obbligano immediatamente le amministrazioni
e gli enti pubblici (statali e regionali), i quali sono tenuti ad
osservarli e ad operare in conseguenza. Allo stesso modo, la loro
contemporanea qualifica come atti di indirizzo e di coordinamento sta
semplicemente a significare che, quando i vincoli posti dai predetti
piani incidono su materie di competenza regionale o provinciale,
questi devono mantenersi entro i limiti imposti alla funzione di
indirizzo e coordinamento e, in particolare, a quella prevista
dall'art. 81, primo comma, lett. a), del d.P.R. n. 616 del 1977.
Questa interpretazione appare più in armonia con la natura
complessa del piano di bacino e con la sua efficacia diversificata in
relazione alle prescrizioni di interesse regionale (v. spec. artt.
12, quarto comma, lett. c) e 18, primo comma, lett. b). Nello stesso
tempo, il carattere vincolante delle prescrizioni idrogeologiche o,
comunque, finalizzate alla difesa del suolo è legato all'esigenza
logica che il fine conservativo dei piani di bacino sia pregiudiziale
e condizionante rispetto agli usi del territorio a fini urbanistici,
civili, di sfruttamento dei materiali e di produzione. L'indubbia
interferenza che si realizza tra i piani di bacino e questi ultimi
usi, rientranti nell'ambito di competenze regionali o provinciali,
dava luogo nel d.P.R. n. 616 del 1977 a forme cooperative imperniate
sull'intesa fra Stato e regioni (o province autonome) (v. artt. 81 e
89). La legge n. 183 del 1989, come si è già detto, ha invece non
arbitrariamente prescelto forme cooperative diverse, più adeguate
alla complessità della rete pianificatoria in essa prevista.
Considerazioni analoghe a quelle svolte in relazione al richiamo
all'art. 81 del d.P.R. n. 616 del 1977 valgono anche nei confronti
della censura promossa dalla Provincia autonoma di Trento in
relazione all'efficacia dei programmi triennali prevista dall'art.
22, comma sesto.
Una volta riconosciuta come costituzionalmente non illegittima una
programmazione degli interventi per piani di bacino, i vincoli che ne
derivano sul piano della spesa provinciale sono una conseguenza
necessaria di quella programmazione, in quanto non avrebbe alcun
senso consentire alla provincia di spendere liberamente somme che
sono state ripartite tra le Amministrazioni dello Stato e le province
autonome (o regioni) tenendo conto delle priorità indicate nei
singoli programmi (art. 25, terzo comma).
9. - Non fondata è, inoltre, la censura prospettata dalla Regione
Veneto nei confronti all'art. 35, il quale, in relazione a quanto
previsto dall'art. 17, comma terzo, lett. e), stabilisce che i piani
di bacino possono individuare "gli ambiti territoriali ottimali per
la gestione mediante consorzio obbligatorio dei servizi pubblici di
acquedotto, fognatura, collettamento e depurazione delle acque
usate". Da questa disposizione, infatti, non può derivare alcuno
sconvolgimento delle competenze regionali in ordine alla definizione
degli ambiti territoriali e alla costituzione di consorzi per la
gestione di servizi pubblici, per il fatto che essa si limita a
prevedere la possibilità per il piano di bacino di prefigurare gli
ambiti territoriali ottimali per la gestione dei servizi anzidetti
senza stabilire alcuna ripartizione di competenza e senza imporne
l'attuazione alle regioni o alle province autonome. Di per sé,
dunque, l'art. 35 non può esser considerato lesivo di competenze
regionali.
Priva di qualsiasi fondamento è anche la censura proposta contro
l'art. 25, quinto comma, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, per la
quale la previsione del parere obbligatorio del Consiglio superiore
dei lavori pubblici in relazione ad opere rientranti nelle competenze
regionali lederebbe la sfera di autonomia costituzionalmente
garantita alle regioni medesime. In realtà, la previsione di un
parere obbligatorio, ma non vincolante, che deve essere prestato da
un organo statale di natura tecnica in ordine a opere che le regioni
dovranno realizzare nell'esercizio delle loro competenze, ma che
rivestono anche "grande rilevanza tecnico-idraulica per la modifica
del reticolo idrografico principale e del demanio idrico", non può
essere considerato un onere irragionevolmente connesso all'esercizio
delle proprie competenze. Per tale motivo, la sfera di autonomia
costituzionalmente attribuita alla Regione Friuli-Venezia Giulia non
può considerarsi lesa dall'art. 25, quinto comma.
10. - Non fondate sono le questioni proposte contro gli artt. 13,
14, terzo comma, 15, secondo comma, e 16, secondo comma.
La Regione Veneto e la Provincia autonoma di Trento contestano la
legittimità costituzionale dell'art. 13 sulla classificazione dei
bacini idrografici e sulla loro delimitazione assumendo che la legge
n. 183 del 1989, nel modificare il d.P.R. n. 616 del 1977, si
porrebbe in contrasto con norme di rango superiore in quanto adottate
in attuazione di un preciso dovere costituzionale. Questa
interpretazione non può essere condivisa, poiché, anche se il
d.P.R. n. 616 del 1977 deve essere considerato un atto legislativo
adottato in immediata attuazione della Costituzione, non può per
ciò stesso ritenersi che sia dotato di una forza o di un valore di
legge peculiare o superiore a quello delle leggi ordinarie (v. spec.
sent. n. 188 del 1984). Ed in effetti, se il rapporto di immediata
attuazione con la Costituzione può portare a considerare le
disposizioni del d.P.R. n. 616 del 1977 come norme interposte
suscettibili di integrare il significato dei parametri
costituzionali, esso non può avere alcuna influenza sulla
determinazione del rango o del valore formale delle stesse
disposizioni, tanto che queste ultime, come questa Corte ha avuto
modo di affermare in altre occasioni (v., ad es., sent. n. 101 del
1989), non possono fungere da autonomo parametro nei giudizi di
legittimità costituzionale. Da ciò consegue che leggi ordinarie
successive ben possono modificare disposizioni contenute nel d.P.R.
n. 616 del 1977 e ripartire diversamente le competenze assegnate o
delegate alle regioni con quel decreto.
Per le considerazioni ora fatte, che valgono a maggior ragione
quando le nuove disposizioni di legge mantengono ferme le competenze
già assegnate alle regioni o ne trasferiscono (o promettono di
trasferirne) di nuove, vanno rigettate anche le censure prospettate
dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e dalla Provincia autonoma di
Trento contro l'art. 14, comma terzo, nonché dalla sola Regione
Friuli-Venezia Giulia contro gli artt. 15, comma secondo, e 16, comma
secondo.
Parimenti non fondata è la questione proposta dalla Regione
Veneto nei confronti dell'art. 14, terzo comma, laddove si sottopone
la regione a decisioni del Ministro dei lavori pubblici in merito a
competenze amministrative da esercitare in materia di opere
idrauliche o di polizia idraulica in ordine ai corsi d'acqua compresi
nel proprio territorio. Non si può, infatti, condividere
l'interpretazione proposta dalla ricorrente, secondo la quale l'art.
14, terzo comma, sarebbe un segno della riduzione della regione a
puro organo esecutivo della pianificazione statale, dal momento che
la disposizione impugnata, riprendendo valutazioni già svolte dalla
c.d. Commissione Giannini, appare rivolta a superare i preesistenti
criteri di ripartizione delle competenze tra Stato e regioni in
materia di opere idrauliche, basati sulla categoria delle opere
stesse.
11. - Le Province autonome di Trento e di Bolzano contestano la
legittimità costituzionale dell' art. 9, ottavo comma, lett. a), in
quanto quest'ultimo costituirebbe un illegittimo esercizio della
funzione di indirizzo e coordinamento allorché affida al Consiglio
dei direttori il coordinamento dei servizi tecnici provinciali.
La questione non è fondata.
Nell'affidare al Consiglio dei direttori, istituito nel comma
precedente, il coordinamento dell'attività svolta dai singoli
servizi tecnici, compresi quelli trasferiti alle province autonome,
l'art. 9, ottavo comma, lett. a), imputa a quell'organo tecnico una
funzione che non può essere ricondotta all'indirizzo e coordinamento
politico-amministrativo, ma che va collegata al distinto concetto di
coordinamento tecnico. Si tratta di una nozione che, come questa
Corte ha altre volte affermato (v. sentt. nn. 924 del 1988 e 242 del
1989), non è disciplinata dalle regole proprie della funzione di
indirizzo e coordinamento politico-amministrativo e, in particolare,
non esige il rispetto delle norme procedurali attinenti allo
svolgimento della predetta funzione.
12. - L'art. 9, comma nono, lett. a) e b) è impugnato dalla
Provincia di Bolzano, in quanto, prevedendo la delega per la
riorganizzazione dei servizi tecnici nazionali ivi indicati (lett. a)
e per la fissazione dei criteri generali per il coordinamento
dell'attività dei servizi tecnici stessi (lett. b), lederebbe le
competenze in materia di ordinamento dei propri uffici che la
ricorrente possiede riguardo ai servizi tecnici del medesimo tipo ad
essa trasferiti.
La questione non è fondata.
Mentre la disposizione ricompresa nella lett. b) concerne
attività di coordinamento tecnico che, per le ragioni esposte nel
punto precedente, non possono non esser ricondotte al Governo e alla
sua potestà regolamentare, la disposizione di cui alla lett. a)
riguarda espressamente il riordinamento dei servizi tecnici
nazionali, tanto centrali che periferici, e, pertanto, non si vede
come i futuri regolamenti possano riguardare uffici della Provincia
di Bolzano.
13. - La Regione Friuli-Venezia Giulia contesta la legittimità
costituzionale dell'art. 4, primo comma, lettere a) ed e), nonché
terzo comma, in quanto contrasterebbe, con l'art. 58 dello Statuto
speciale, che, a suo giudizio, con la previsione del solo controllo
di legittimità sugli atti amministrativi regionali da parte della
Corte dei conti, escluderebbe la ammissibilità di qualsiasi altro
controllo.
La questione non è fondata.
L'interpretazione che la ricorrente dà dell'art. 58 dello Statuto
friulano non può essere accolta, poiché la previsione di una
determinata forma di controllo di legittimità su singoli atti non
può essere minimamente considerata come preclusiva di altri tipi di
controllo, come quelli previsti dalla disposizione impugnata.
Per analoghi motivi va rigettata la questione prospettata dalla
Regione Veneto in ordine alla pretesa violazione dell'art. 125 della
Costituzione da parte dell'art. 21, comma terzo, il quale, nel
prevedere che le regioni, previo parere del comitato di bacino,
possano provvedere con propri stanziamenti alla realizzazione di
opere e di interventi previsti dai piani di bacino di rilievo
nazionale, sottopone il loro operato al controllo del predetto
comitato.
Quest'ultima disposizione è impugnata anche dalle Province di
Trento e di Bolzano sul presupposto dell'illegittimità di qualsiasi
controllo di organi statali su attività provinciali svolte
nell'esercizio della propria competenza e a carico delle proprie
finanze.
La questione non è fondata.
La disposizione impugnata prevede che anche sulle opere eseguite
dalle regioni o dalle province autonome in attuazione dei piani di
bacino di rilievo nazionale si estenda la vigilanza del Comitato
istituzionale, al fine evidente di venire a conoscenza se il piano
sia correttamente attuato e di acquisire informazioni circa la
redazione dei piani futuri, la cui adozione, come si è già detto,
spetta al suddetto Comitato. Si tratta, dunque, di controlli
strettamente strumentali al potere di pianificazione degli organi
delle Autorità di bacino di rilievo nazionale di cui è stata già
esclusa la illegittimità costituzionale (v. supra n. 8).
14. - Le Province autonome di Trento e di Bolzano contestano la
legittimità costituzionale dell'art. 4, primo comma, lett. e),
osservando che il potere sostitutivo ivi previsto non risponderebbe
ai requisiti costituzionali più volte indicati da questa Corte.
La questione non è fondata.
La disposizione impugnata stabilisce semplicemente quali siano gli
organi competenti a deliberare sui vari atti sostitutivi previsti
nella legge n. 183 del 1989, individuandoli nel Consiglio dei
ministri quale organo decisionale e nel Presidente del Consiglio dei
ministri quale organo di emanazione. Essa, tuttavia, non istituisce
un particolare potere di sostituzione, tanto che non indica le
ipotesi specifiche in cui quello deve essere esercitato, né
disciplina l'intero procedimento per l'adozione dei relativi atti, ma
si limita, piuttosto, a prevedere in via generale un potere di
sostituzione da esercitare ogni volta che vi sia una persistente
inattività dei vari soggetti coinvolti nella complessiva rete
pianificatoria delineata dalla legge impugnata (regioni, province,
comuni, comunità montane, consorzi di bonifica ed irrigazione e di
bacino imbrifero montano) in relazione a funzioni o attività da
svolgere entro termini essenziali o per loro natura
improcrastinabili. In riferimento agli aspetti disciplinati dalla
fattispecie legislativa considerata (deliberazione governativa,
presupposto della persistente inerzia dell'organo competente,
inserimento in procedimenti pianificatori, improcrastinabilità
dell'adempimento), il potere sostitutivo previsto è pienamente
conforme ai requisiti costituzionali più volte indicati da questa
Corte (v. sentt. nn. 153 e 294 del 1986, 177 del 1988, 101 del 1989).
Sicché non hanno ragion d'essere le censure proposte dalle
ricorrenti.
15. - La Regione Veneto e le Province autonome di Trento e di
Bolzano contestano la legittimità costituzionale dell'art. 18,
secondo comma, per il quale, in caso di inerzia in ordine agli
adempimenti regionali, il Presidente del Consiglio, sentito il
Comitato istituzionale di bacino, assume i provvedimenti necessari
per garantire comunque lo svolgimento delle procedure e l'adozione
degli atti necessari per la formazione dei piani di bacino di rilievo
nazionale, ivi compresa la nomina di commissari ad acta. Secondo le
ricorrenti tale potere di sostituzione non sarebbe conforme ai
principi costituzionali vigenti in materia e più volte affermati da
questa Corte e, in particolare, non rispetterebbe il requisito della
necessaria previa deliberazione del Consiglio dei ministri,
prescritta dall'art. 2, terzo comma, lettera f) della legge n. 400
del 1988.
Le questioni non sono fondate nei sensi di cui in motivazione.
Come si è ricordato nel punto precedente, questa Corte ha più
volte affermato che, in materia di sostituzione di organi statali a
quelli regionali in relazione al compimento di particolari
adempimenti, il relativo potere deve avere una base legale, deve
essere strumentale all'adempimento di obblighi o al perseguimento di
interessi tutelati costituzionalmente come limiti all'autonomia
regionale, dev'essere esercitato da un'autorità di governo, deve
essere assistito da garanzie ispirate al principio della "leale
cooperazione" e, infine, deve riguardare attività sottoposte a
termini perentori o la cui mancanza metterebbe in serio pericolo la
cura di interessi affidati alla responsabilità finale dello Stato.
Nei casi disciplinati dalle disposizioni impugnate ricorrono tutti i
predetti requisiti, compreso quello del termine per il compimento
dell'attività, che è implicato dal primo comma, lett. a), del
medesimo articolo, il quale prevede che il Comitato istituzionale,
insieme alla proposta del piano di bacino, approvi una deliberazione
contenente la fissazione dei termini alla regione per l'adozione dei
provvedimenti di sua competenza. Per quanto riguarda, poi, la pretesa
mancata deliberazione del Consiglio dei ministri in ordine alle
sostituzioni previste, è sufficiente ricordare che tutti gli atti
sostitutivi previsti dalla legge n. 183 del 1989 devono essere
adottati in base alla procedura stabilita dall'art. 4, primo comma,
della stessa legge, che prevede, fra l'altro, la predetta
deliberazione. Infine, per quanto riguarda le garanzie procedurali di
"leale cooperazione", occorre precisare che l'art. 18, secondo comma,
stabilisce che il Presidente del Consiglio deve previamente sentire
il Comitato istituzionale, di cui fa parte il Presidente della
regione (o provincia autonoma) interessata.
16. - La Provincia autonoma di Trento dubita della legittimità
costituzionale: a) dell'art. 15, quarto comma, che, nel caso di
mancata intesa, entro un anno, fra le regioni (o province autonome)
interessate ad un bacino di rilievo interregionale, prevede
l'istituzione degli organi di bacino da parte del Presidente del
Consiglio dei ministri; b) dell'art. 20, commi secondo, terzo e
quarto, il quale prevede, per i bacini di rilievo regionale che
possono interessare più regioni, un potere sostitutivo del
Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Comitato nazionale
per la difesa del suolo.
Le questioni vanno parzialmente accolte.
Anche se per i motivi addotti nel punto precedente il potere
sostitutivo oggetto dell'attuale impugnazione risponde a tutti gli
altri elementi costituzionalmente richiesti, non v'è traccia nelle
disposizioni impugnate del requisito delle garanzie procedurali
ispirate al principio della leale cooperazione. Mentre nell'art. 15,
quarto comma, manca del tutto qualsiasi preavviso alle regioni (o
province autonome) inadempienti, nell'art. 20, quarto comma, invece,
esso è venuto meno a seguito di una modifica legislativa introdotta
successivamente all'entrata in vigore della legge n. 183 del 1989.
L'art. 20, quarto comma, dispone, infatti, che per l'adozione
dell'atto di sostituzione ivi previsto il Presidente del Consiglio
debba previamente sentire il Comitato nazionale per la difesa del
suolo, di cui facevano parte i presidenti di tutte le regioni e
province autonome. Tuttavia, a seguito dell'entrata in vigore
dell'art. 5 del Decreto Legislativo 16 dicembre 1989, n. 418, la
partecipazione dei suddetti presidenti in organi del tipo del citato
Comitato è sostituita con quella di un pari numero di esperti
scelti, di norma, fra i funzionari delle regioni e delle province
autonome. Da qui consegue che la previa audizione dell'anzidetto
Comitato non può più fungere da preavviso nei confronti della
regione (o provincia autonoma) interessata. Va, pertanto, dichiarata
l'illegittimità costituzionale dell'art. 15, quarto comma nonché
dell'art. 20, comma quarto, nella parte in cui non prevedono un
congruo preavviso alla regione (o provincia autonoma) interessate in
ordine all'adozione degli atti sostitutivi ivi previsti.
17. - La Provincia autonoma di Bolzano dubita della legittimità
costituzionale degli artt. 9, nono comma, lettera e) e commi
successivi, 12, comma 5 e seguenti e 24, primo comma, in quanto, nel
disciplinare, rispettivamente, i ruoli e il trattamento del personale
dei servizi tecnici, nonché gli uffici periferici delle autorità di
bacino e la rideterminazione delle dotazioni organiche, violerebbero,
per la parte in cui si riferiscono alle competenze trasferite alla
provincia stessa, le speciali norme sul bilinguismo e sulla
proporzionale etnica nel pubblico impiego.
Le questioni non sono fondate nei sensi di cui in motivazione.
Questa Corte ha già affermato (v. sent. n. 571 del 1988, nonché
anche n. 1145 del 1988) che non è necessario che ogni legge la quale
disciplini in generale problemi di personale o di accesso nei
pubblici uffici richiami espressamente, laddove si riferisca
all'ordinamento della Provincia di Bolzano, le norme statutarie sul
bilinguismo e sulla proporzionale etnica, le quali trovano
applicazione indipendentemente dai predetti richiami. Tanto più ciò
è vero quando si è in presenza, come nel caso, di una legge che
contiene una disciplina generale, la quale, lungi dal voler
restringere le più ampie competenze delle regioni a statuto speciale
o delle province autonome, tende a modellare le proprie norme, per
ragioni di brevità, sulle competenze proprie delle regioni a statuto
ordinario.
Analoga argomentazione e analoga conclusione debbono farsi in
ordine ad altre censure mosse dalla Provincia autonoma di Bolzano nei
confronti degli artt. 10, 24, primo comma, 35, e 32, primo comma
(quest'ultimo è impugnato pure dalla Provincia di Trento), che,
secondo la ricorrente, pretenderebbero di disciplinare materie le
quali sono (parzialmente) trasferite alla provincia stessa in base a
norme di attuazione dello Statuto non espressamente richiamate dalle
disposizioni impugnate. Anche in tali casi, infatti, la mancanza di
un'espressa clausola di salvezza delle più ampie competenze
riservate in materia alle regioni speciali e alle province autonome
non può significare che si sia tentato, illegittimamente, di
ridurre, o comunque modificare, le competenze stesse, quando, come
nelle ipotesi considerate, non si riscontra un puntuale contrasto con
le disposizioni poste dalle norme di attuazione in base alla loro
separata e riservata competenza (v. sentt. nn. 180 del 1980, 237 del
1983, 451 del 1988).
18. - La Provincia autonoma di Trento esprime un dubbio di
legittimità costituzionale in ordine all'art. 32, comma secondo, nel
caso in cui questa disposizione dovesse limitare al solo bacino
dell'Adige la possibilità di estendere ai presidenti e ai funzionari
delle Province autonome i riferimenti normativi relativi ai
presidenti e ai funzionari regionali.
La questione non è fondata nei sensi di cui in motivazione.
Non si può basare sull'imprecisa formulazione della disposizione
impugnata un'interpretazione che contraddice la chiara intenzione in
essa espressa dal legislatore. Il senso della norma contestata è,
infatti, quello di affermare che ogni riferimento fatto dalla legge
n. 183 del 1989 ai presidenti e ai funzionari delle regioni deve
intendersi esteso ai presidenti e ai funzionari delle province
autonome ogni volta che venga in questione un bacino al quale le
province stesse siano interessate. La limitazione letterale
dell'ambito di applicazione della disposizione impugnata al solo
bacino dell'Adige è probabilmente dettata dal fatto che a questo
bacino sono interessate ambedue le province autonome. Ma, poiché
tale limitazione ha soltanto un significato esemplificativo, la
disposizione impugnata deve essere interpretata come riferentesi a
qualsiasi bacino cui sia interessata l'una o l'altra delle province
autonome e, quindi, anche ai bacini del Po e del Brenta-Bacchiglione,
nei quali è coinvolta la sola Provincia di Trento.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi:
1) dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 15,
quarto comma e, a decorrere dall'entrata in vigore del decreto
legislativo 16 dicembre 1989, n. 418 (17 gennaio 1990), dell'art. 20,
quarto comma della legge 18 maggio 1989, n. 183 (Norme per il
riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo) nella
parte in cui non prevedono un congruo preavviso alla regione (o
provincia autonoma) interessata all'adozione degli atti sostitutivi
ivi previsti;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale proposta nei confronti dell'intera legge 18 maggio
1989, n. 183 sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe:
a) dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, in riferimento agli
artt. 4 (nn. 2, 9, 12, 13) e 5 (n. 14) del proprio statuto (legge
cost.le 13 gennaio 1963, n. 1);
b) dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 117 e 118
Cost., così come attuati dal d.P.R. n. 616 del 1977 e dalle numerose
e varie leggi statali di trasferimento di competenze alle regioni;
c) dalla Provincia autonoma di Trento, in riferimento agli
artt. 8, 9, 14, 16 del proprio statuto (d.P.R. 31 agosto 1972, n.
670), nonché al suo titolo sesto e relative norme di attuazione;
3) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, in
riferimento:
per la Regione Friuli-Venezia Giulia, agli artt. 4 (nn. 2, 9,
12, 13), 5 (n. 14) e 58 del suo Statuto e relative norme di
attuazione;
per la Regione Veneto, agli artt. 117, 118 e 125 Cost., come
attuati dagli artt. 4; 66; 69, quarto comma; 71; 73; 79; 80; 81; 82;
87; 88; 89; 90; 91 e 101 del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616;
per la Provincia autonoma di Bolzano, agli artt. 8, primo comma
(nn. 1, 5, 6, 11, 13, 14, 16, 17, 18, 21, 24); 9, primo comma (nn. 9
e 10); 12, primo comma; 14; 16, primo comma; 68; 89; 100, 107 e 111
del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige) e relative norme di attuazione;
per la Provincia autonoma di Trento, agli artt. 8 (nn. 3, 5, 6,
13, 14, 16, 17, 21, 24); 9 (nn. 9 e 10); 14, secondo e terzo comma;
16, nonché al titolo sesto del cit. d.P.R. n. 670 del 1972 e
relative norme di attuazione, le questioni di legittimità
costituzionale proposte avverso le seguenti disposizioni della legge
18 maggio 1989, n. 183:
a) art. 1, quinto comma (questione proposta da tutte le
ricorrenti);
b) art. 4, primo comma, lett. b) e 25, quarto comma
(Friuli-Venezia Giulia);
c) artt. 17 e 18 (Veneto, Trento e Bolzano);
d) art. 22, sesto comma (Trento);
e) art. 18, secondo comma (Veneto, Trento e Bolzano);
f) art. 9, nono comma, lettera c) e commi successivi; 12,
comma quinto e seguenti; 24, primo comma (Bolzano);
g) artt. 10; 24, primo comma; 35 (Bolzano); 32, primo comma
(Bolzano e Trento);
h) art. 32, secondo comma (Trento);
4) dichiara non fondate, in riferimento alle norme parametro
indicate al precedente n. 3 del dispositivo, le questioni di
legittimità costituzionale prospettate avverso le seguenti
disposizioni della legge 18 maggio 1989, n. 183:
a) art. 3, secondo comma (Veneto e Bolzano);
b) art. 4, primo comma (Bolzano);
c) art. 12 (Veneto, Trento e Bolzano);
d) art. 4, primo comma, lettera a) (Veneto);
e) art. 4, primo comma, lettere c) e d) (Friuli-Venezia
Giulia);
f) art. 22, primo comma (Veneto, Trento e Bolzano);
g) art. 28 (Bolzano);
h) artt. 25 e 31 (Trento);
i) art. 35 (Veneto);
l) art. 25, quinto comma (Friuli-Venezia Giulia);
m) artt. 13; 14, terzo comma; 15, secondo comma; 16, secondo
comma (Veneto, Trento, Friuli-Venezia Giulia);
n) art. 9, ottavo comma, lett. a) (Trento e Bolzano);
o) art. 9, nono comma, lett. a) e b) (Bolzano);
p) art. 4, primo comma, lett. a) ed e), nonché terzo comma
(Friuli-Venezia Giulia);
q) art. 21, terzo comma (Veneto, Trento e Bolzano);
r) art. 4, primo comma, lett. e) (Trento e Bolzano).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 1990.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: BALDASSARRE
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 26 febbraio 1990.
Il direttore della cancelleria: MINELLI