Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 30 aprile 2019 (reg. ord. n. 163 del 2019) il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza, ha sollevato, in riferimento agli artt. 5, 117 e 120 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche) e dell’art. 3 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219 (Attuazione della delega di cui all’articolo 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, per il riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura).
1.1.– Il giudice rimettente premette in narrativa che la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Massa Carrara ha impugnato il decreto del Ministro dello sviluppo economico 16 febbraio 2018 (Riduzione del numero delle camere di commercio mediante accorpamento, razionalizzazione delle sedi e del personale) nella parte in cui, in attuazione dell’art. 3 del d.lgs. n. 219 del 2016, recependo la proposta avanzata da Unione Italiana delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (d’ora in avanti: Unioncamere), di cui alla delibera del 30 maggio 2017, ha disposto l’accorpamento delle Camere di commercio di Massa Carrara, di Lucca e di Pisa, individuando in Viareggio la sede del nuovo ente. Nel giudizio principale sono stati altresì impugnati gli atti presupposti e conseguenziali, ed in particolare le determinazioni del Commissario ad acta, numeri da 1 a 7 del 2018 e la deliberazione del Consiglio dei ministri dell’8 febbraio 2018.
1.2.– Il giudice rimettente specifica che il decreto ministeriale impugnato è identico al decreto del Ministro dello sviluppo economico 8 agosto 2017 (Rideterminazione delle circoscrizioni territoriali, istituzione di nuove camere di commercio, e determinazioni in materia di razionalizzazione delle sedi e del personale), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana (serie generale) n. 219 del 19 settembre 2017, e sostituito a seguito della pronuncia della Corte costituzionale (sentenza n. 261 del 2017) che ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219 (Attuazione della delega di cui all’articolo 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, per il riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura), nella parte in cui stabilisce che il decreto del Ministro dello sviluppo economico dallo stesso previsto deve essere adottato “sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano”, anziché previa intesa con detta Conferenza». Nello specifico, a seguito di questa pronuncia il ministero sottoponeva alla Conferenza Stato-Regioni un nuovo schema di decreto, di contenuto analogo al precedente, ai fini del raggiungimento dell’intesa. La citata Conferenza esaminava il testo nella seduta dell’11 gennaio 2018 e, poiché varie Regioni formulavano obiezioni sul testo, il verbale di tale seduta recava l’indicazione della «mancata intesa». A seguito di tale evento, il Consiglio dei ministri, nella seduta dell’8 febbraio 2018, ai sensi dell’art. 3, comma 3, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato - città ed autonomie locali), autorizzava il Ministro dello sviluppo economico ad adottare il citato decreto ministeriale.
1.3.– Il d.lgs. n. 219 del 2016 è stato emanato in virtù della delega conferita al Governo dall’art. 10 della legge n. 124 del 2015, per la riforma dell’organizzazione, delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, anche mediante la modifica della legge 29 dicembre 1993, n. 580 (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura). La delega ha previsto che il legislatore delegato procedesse alla «ridefinizione delle circoscrizioni territoriali, con riduzione del numero dalle attuali 105 a non più di 60 mediante accorpamento di due o più camere di commercio». La stessa legge di delega ha altresì stabilito la «possibilità di mantenere la singola camera di commercio non accorpata sulla base di una soglia dimensionale minima di 75.000 imprese e unità locali iscritte o annotate nel registro delle imprese, salvaguardando la presenza di almeno una camera di commercio in ogni regione, prevedendo che possa essere istituita una camera di commercio in ogni provincia autonoma e città metropolitana e, nei casi di comprovata rispondenza a indicatori di efficienza e di equilibrio economico, tenendo conto delle specificità geo-economiche dei territori e delle circoscrizioni territoriali di confine, nonché definizione delle condizioni in presenza delle quali possono essere istituite le unioni regionali o interregionali». In particolare, il comma 2 della citata disposizione prevedeva che l’esercizio della delega sarebbe dovuto avvenire con l’adozione di un decreto legislativo su proposta del Ministro dello sviluppo economico «previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281».
1.4.– Il giudice a quo riporta che, nel corso del giudizio, la Camera di commercio ha contestato la legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge n. 124 del 2015 e, conseguentemente, del d.lgs. n. 219 del 2016 nella sua interezza, per violazione del principio di leale collaborazione (artt. 5 e 120 Cost.). La legge di delega non ha previsto, infatti, l’intesa con la Conferenza unificata e/o con la Conferenza Stato-Regioni.
1.5.– Il giudice rimettente ritiene le questioni rilevanti per il fatto che il d.m. 16 febbraio 2018, oggetto di gravame, è stato adottato in diretta applicazione dell’art. 3 del d.lgs. n. 219 del 2016, a sua volta emanato in ragione della delega contenuta nell’art. 10 della legge n. 124 del 2015. Pertanto, osserva che, costituendo l’illegittimità del d.m. impugnato l’oggetto del petitum del giudizio a quo, la risoluzione della questione di costituzionalità relativa alla normativa primaria (cioè il decreto legislativo e la legge delega), sulla base della quale è stato adottato l’atto impugnato, è presupposto necessario per la pronuncia definitiva.
1.6.– Il giudice rimettente non ha parimenti ritenuto di accogliere l’eccezione mossa da Unioncamere, resistente nel giudizio a quo, secondo la quale la questione sarebbe irrilevante poiché la Camera di commercio ricorrente non avrebbe interesse a far valere il lamentato vizio costituzionale, trattandosi di questioni che potrebbero essere fatte valere solo dalla Regione, unico ente che avrebbe siffatto interesse. Al contrario – afferma il giudice a quo – «la Camera di commercio ricorrente ha interesse a dedurre il prospettato vizio di costituzionalità [...] proprio perché, all’esito di un’eventuale pronuncia di incostituzionalità, cadrebbe tutto il decreto legislativo delegato e, con esso, il censurato accorpamento tra Camere di commercio».
1.7.– Quanto poi alle ragioni a sostegno della non manifesta infondatezza delle censure il rimettente osserva quanto segue.
1.7.1.– Preliminarmente, questi rileva che la Corte costituzionale, in un giudizio instaurato in via principale, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 219 del 2016 (è citata la sentenza n. 261 del 2017), poiché tale norma disponeva che il d.m. di riordino delle camere di commercio fosse emanato previa acquisizione del parere della Conferenza Stato-Regioni, anziché previa intesa con la stessa, in violazione del principio di leale collaborazione. Proprio in tale sede veniva sollevata anche la questione di legittimità costituzionale della norma della legge di delega ora censurata; tale questione veniva, tuttavia, dichiarata inammissibile per tardività, essendo decorso il termine perentorio di cui all’art. 127, secondo comma, Cost.
1.8.– In questa sede, al contrario, trattandosi di giudizio in via incidentale, il giudice a quo ritiene di poter riproporre la medesima questione proprio alla luce della su citata pronuncia, e in generale della giurisprudenza costituzionale sul principio di leale collaborazione.
In particolare, viene richiamata la sentenza n. 251 del 2016. Difatti, il collegio rimettente, basandosi su tale precedente, rileva che «[l]a giurisprudenza costituzionale ha [...] già ritenuto ammissibile l’impugnazione della norma di delega, allo scopo di censurare le modalità di attuazione della leale collaborazione tra Stato e regioni ed al fine di ottenere che il decreto delegato sia emanato previa intesa anziché previo parere in sede di Conferenza». Pertanto, per il giudice a quo le censure di incostituzionalità possono rivolgersi sia alle disposizioni di delega che, per illegittimità derivata, alla legislazione delegata.
1.9.– Vi sarebbero i presupposti per far valere, inoltre, il principio di leale collaborazione, trattandosi di una riforma ordinamentale. Invero, sarebbe stata la stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 261 del 2017 a ritenere che il riassetto generale della disciplina delle camere di commercio sia materia ripartita tra prerogative statali e regionali, in quanto – prosegue l’ordinanza di rimessione – «il catalogo dei compiti svolti da questi enti è riconducibile a competenze sia esclusive dello Stato, sia concorrenti e residuali delle regioni; in questo settore le competenze di ciascun soggetto appaiono inestricabilmente intrecciate». Inoltre, viene osservato che «l’attività delle Camere di commercio appare riconducibile alla nozione di “sviluppo economico”, nozione che costituisce una espressione di sintesi che comprende e rinvia ad una pluralità di materie attribuite ex art. 117 Cost. “sia alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, sia a quella concorrente, sia a quella residuale”» (è citata la sentenza n. 165 del 2007). Pertanto, pure in presenza di esigenze di carattere unitario che giustificherebbero l’avocazione allo Stato della potestà normativa per la disciplina di tali enti, resterebbe ferma la necessità del rispetto del principio della leale collaborazione attraverso il modulo procedimentale dell’intesa (vengono citate le sentenze n. 251 del 2016, n. 165 del 2007 e n. 214 del 2006). Come ritenuto dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 251 del 2016, ad avviso del collegio rimettente, quindi, «quando il legislatore delegato intende riformare istituti ed enti che incidono su competenze statali e regionali, inestricabilmente connesse, sorge la necessità del ricorso all’intesa tra Stato e autonomie».
1.10.– Conclude il collegio rimettente che «stante la natura delle materie incise dalle disposizioni censurate [...] la norma di delega [...] avrebbe dovuto prevedere – come presupposto per l’esercizio della delega – l’intesa in sede di Conferenza Stato-regioni», essendo questo l’istituto cardine della leale collaborazione «anche quando l’attuazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale è rimessa ai decreti legislativi delegati, adottati dal Governo sulla base dell’art. 76 Cost.» (è citata la sentenza n. 251 del 2016).
1.11.– Pertanto, secondo il TAR Lazio, la disposizione di delega violerebbe il principio della leale collaborazione nella funzione legislativa di cui agli artt. 5, 117 e 120 Cost., poiché prevede che l’esercizio delegato della potestà legislativa sia condotto all’esito di un procedimento nel quale l’interlocuzione fra Stato e Regioni si realizzi nella forma inadeguata del parere e non già attraverso l’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni.
1.12.– Infine, l’illegittimità della disposizione delegante si ripercuoterebbe in via immediata e derivata anche sulla illegittimità costituzionale della norma delegata (art. 3 del d.lgs. n. 219 del 2016) in forza del quale è stato adottato il d.m. oggetto del giudizio a quo.
2.– Il 31 ottobre 2019 si è costituita nel giudizio di fronte alla Corte costituzionale la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Massa Carrara, ricorrente nel giudizio principale.
2.1.– La parte insiste per la dichiarazione dell’illegittimità costituzionale degli artt. 10 della legge n. 124 del 2015 e 3 del d.lgs. n. 219 del 2016, per violazione del principio di leale collaborazione e segnatamente degli artt. 5, 117 e 120 Cost.
Si sottolinea che la norma di delega censurata e l’attuativo decreto legislativo sono stati già esaminati dalla Corte costituzionale, ma nei limiti delle censure promosse dalle Regioni con ricorsi diretti, formulate o tardivamente rispetto ai termini di decadenza previsti dal giudizio in via d’azione o in modo sommario e generico. Pertanto, sono state dichiarate tutte inammissibili o manifestamente infondate, salvo che per l’art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 219 del 2016, di cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale nella parte in cui prevedeva l’adozione del d.m. di riordino delle camere di commercio “sentita” la Conferenza Stato-Regioni e non “previa intesa” con quest’ultima. Proprio questo precedente avrebbe stabilito che «l’intesa (e non il semplice parere) da raggiungere in sede di Conferenza Stato-Regioni è un passaggio procedurale essenziale, nel caso in cui una determinata disciplina statale impatti anche su materie di competenza regionale, anche quando la normativa statale deve essere attuata con decreti legislativi delegati ex art. 76 Cost. Se così non fosse, infatti, non sarebbe garantito adeguatamente il rispetto del riparto costituzionale di competenze» e della leale collaborazione, che richiede l’intesa, quale «procedura che consenta lo svolgimento di genuine trattative e garantisca un reale coinvolgimento» (viene citata la sentenza n. 261 del 2017).
2.2.– Ad avviso della Camera di commercio, il necessario raggiungimento dell’intesa per l’adozione del decreto ministeriale attuativo del decreto legislativo imporrebbe, a fortiori, l’intesa «a monte, per l’adozione del decreto legislativo attuativo della legge delega, che pure impatta sulle medesime materie». Pertanto, «acquisito, anche a seguito della sent. n. 261/2017, che le funzioni delle Camere di commercio impattano anche sulle competenze regionali, e considerato che quando questo si verifica c’è bisogno dell’intesa [...] anche rispetto all’adozione di un decreto legislativo» – come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 251 del 2016 – l’art. 10 della legge n. 124 del 2015 dovrebbe essere ritenuto parimenti incostituzionale laddove prevede il semplice parere anziché l’intesa. Nella sentenza n. 251 del 2016, continua la parte privata, la Corte costituzionale avrebbe evidenziato un sospetto di incostituzionalità dei decreti delegati, pretendendo «l’adozione da parte del Governo di “soluzioni correttive”, idonee ad assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione». Invero, nel caso di specie, tale circostanza non si sarebbe verificata per il d.lgs. n. 219 del 2016, non essendosi proceduto né all’intesa né a successive misure o soluzioni correttive volte a realizzare il principio di leale collaborazione. Con ciò si sarebbe impedito un adeguato coinvolgimento delle Regioni, determinando un ulteriore e autonomo vizio di illegittimità costituzionale.
3.– Il 5 novembre 2019 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni vengano dichiarate inammissibili o manifestamente infondate.
3.1.– Preliminarmente, l’Avvocatura generale rammenta che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 2, della legge n. 124 del 2015, per violazione del principio di leale collaborazione, è stata già stata esaminata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 261 del 2017. Allo stesso modo, la Corte costituzionale si sarebbe pronunciata riguardo l’art. 3 del d.lgs. n. 219 del 2016, dichiarandone l’illegittimità nella parte in cui si stabiliva che il d.m. dovesse essere adottato “sentita la Conferenza Stato-Regioni” anziché “previa intesa”.
3.2.– L’Avvocatura generale specifica che, a seguito della citata sentenza n. 251 del 2016, l’amministrazione ha acquisito il parere del Consiglio di Stato in merito ai possibili correttivi da adottare affinché «fosse consentita l’attuazione della delega nel rispetto del principio di leale collaborazione». Nel parere del 17 gennaio 2017, n. 83, il Consiglio di Stato ha precisato che la decisione della Corte costituzionale avrebbe già fornito una lettura adeguatrice della legge che prevede l’intesa e non il parere e sarebbe, così, riscritta in conformità al dettato costituzionale. Da questo parere ricorrerebbe per il Governo la possibilità «di attuare correttamente il principio di leale collaborazione ricorrendo all’intesa con le Regioni in sede di attuazione della delega, poiché la dichiarazione di illegittimità della legge delega [...] non si estende immediatamente anche ai medesimi [decreti legislativi], per i quali, in caso di impugnazione, andrà comunque accertata anche una effettiva lesione delle competenze regionali».
3.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ricorda poi che il Governo ha adottato il d.m., attuativo del decreto legislativo, a seguito dell’esperimento del tentativo di intesa con le Regioni in sede di Conferenza Stato-Regioni; in tale modo, avrebbe adottato «interventi correttivi di tipo procedurale, sollecitati dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 251 del 2016 e n. 261 del 2017 al fine di assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione». Invero, la previsione dell’art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 281 del 1997, secondo cui «[q]uando un’intesa espressamente prevista dalla legge non è raggiunta entro trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza Stato-regioni […] il Consiglio dei Ministri provvede con deliberazione motivata», appare conforme «ai principi elaborati dalla Corte costituzionale in materia, dai quali si ricava che in tale sede la Conferenza non opera come collegio deliberante, ma come sede di concertazione e di confronto, anzitutto politico, fra Governo e Regioni al fine di raggiungere, ove possibile, una posizione comune». In aggiunta, sarebbe la realizzazione delle trattative, e non dell’intesa (da ricercare, comunque, mediante trattative volte a superare le divergenze), ad assurgere a «condizione di legittimità dell’intervenuto intervento statale unilaterale».
3.4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, inoltre, afferma che l’ordinanza di rimessione non «affronta e non esamina affatto i problemi riguardanti i rapporti Stato e Regioni, anche con particolare rifermento all’ipotesi di mancata intesa, e non considera minimamente importante principi di carattere generale riguardanti il tema della sussidiarietà».
Tale lacuna comporterebbe profili di inammissibilità sia con riguardo alla rilevanza sia alla non manifesta infondatezza, anche alla luce della sentenza n. 261 del 2017 della Corte costituzionale. Nello specifico, la previsione dell’intesa, imposta dal principio di leale collaborazione, implicherebbe «che non sia legittima una norma contenente una “drastica previsione” della decisività della volontà di una sola parte, in caso di dissenso, ma che siano necessarie procedure idonee per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze» (vengono citate le sentenze n. 121 del 2010, n. 24 del 2007 e n. 339 del 2005). Tuttavia, nel caso di esito negativo delle procedure mirate all’accordo, potrebbe essere rimessa al Governo una decisione unilaterale (sono richiamate le sentenze n. 33 e n. 165 del 2011), senza che il mancato raggiungimento dell’intesa possa giustificare una paralisi decisionale. La giurisprudenza della Corte costituzionale avrebbe, in questo senso, fatto riferimento alla categoria delle “intese a valle”, che atterrebbe alla fase applicativa della legge statale. Pertanto, non risulterebbe necessaria «in applicazione del principio di sussidiarietà [...] una partecipazione collaborativa “a monte”, che determini la necessità della partecipazione della Regione al procedimento formativo della legge statale utilizzando lo schema delle conferenze, comunque coinvolte nella fase di approvazione degli atti a carattere generale e programmatici».
3.5.– Inoltre, l’Avvocatura generale fa presente che la Corte costituzionale avrebbe indicato strumenti di deroga o attuazione del riparto di competenze giustificandoli con la «dimensione unitaria dell’interesse pubblico perseguito». Il giudice delle leggi, di recente, con la sentenza n. 225 del 2019, avrebbe ribadito la natura “anfibia” delle camere di commercio, per un lato «organi di rappresentanza delle categorie mercantili» e, per un altro, «strumenti per il perseguimento di politiche pubbliche».
La particolare natura degli enti camerali esigerebbe una disciplina omogenea sul territorio nazionale. Solo in alcune particolari ipotesi si sarebbe affidato a una regione la potestà normativa sull’organizzazione e sul funzionamento delle camere di commercio, come nel caso della Regione autonoma Trentino-Alto Adige. Inoltre, la riorganizzazione delle camere di commercio, attuata dal Governo su delega del Parlamento non avrebbe determinato in alcun modo una lesione delle preesistenti competenze delle Regioni in materia. Poiché alla camera di commercio sono attribuiti compiti che devono essere disciplinati in modo omogeneo a livello nazionale, ne conseguirebbe la prevalenza della competenza statale. Proprio per questa ragione, anche gli artt. 3 e 4 del d.lgs. n. 219 del 2016 dovrebbero essere considerati riconducibili nell’alveo della competenza statale, attenendo ad aspetti che devono essere disciplinati in modo omogeneo a livello statale.
3.6.– In conclusione, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che il Governo abbia adottato, con diligenza e collaborazione, attraverso confronti in sede tecnica e politica, «tutte le necessarie azioni […] al fine di dare completa attuazione al principio di leale collaborazione con le Regioni per la specifica materia che disciplinava la ridefinizione delle circoscrizioni territoriali delle camere di commercio e la razionalizzazione organizzativa delle medesime».
3.7.– Nelle more dell’udienza pubblica dell’8 aprile 2020, rispettivamente il 16 e il 17 marzo 2020, hanno depositato memoria illustrativa sia la parte privata sia il Presidente del Consiglio dei ministri, reiterando gli argomenti portati dai precedenti atti difensivi. La prima insiste sull’ammissibilità delle questioni e, nel merito, sulla loro fondatezza.
3.8.– In particolare, la Camera di commercio di Massa Carrara ritiene l’eccezione di inammissibilità per difetto di rilevanza, avanzata dall’Avvocatura generale dello Stato, priva di chiarezza e di «specifica motivazione», ribadendo che dalla illegittimità costituzionale della legge delega deriverebbe, a cascata, l’incostituzionalità del decreto delegato e del decreto ministeriale.
Quanto al merito, la parte non considera sufficiente, ai fini del soddisfacimento del principio cooperativo, il procedimento di intesa “a valle”, per l’adozione del decreto ministeriale. Tale sequenza procedimentale non può considerarsi un adeguato «correttivo» che scongiuri l’incostituzionalità del decreto legislativo, nel senso auspicato dalla sentenza n. 251 del 2016. L’intreccio di competenze, che la riforma del sistema camerale implica, avrebbe richiesto l’adozione del d.lgs. n. 219 del 2016 previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni.
3.9.– Nella sua memoria illustrativa, il Presidente del Consiglio dei ministri insiste sull’inammissibilità e, in subordine, sulla non fondatezza delle questioni.
In primo luogo, le questioni sarebbero irrilevanti perché ipotetiche, non risultando chiaro il rapporto di pregiudizialità intercorrente tra le questioni sollevate e la norma da applicare al giudizio principale. I giudici a quibus non avrebbero evidenziato come i criteri indicati dal decreto legislativo, viziati per il mancato rispetto del principio di leale collaborazione, condizionerebbero il successivo decreto ministeriale.
Il difetto di rilevanza emergerebbe anche dal confronto tra l’art. 10 della legge delega e l’art. 3 del d.lgs. n. 219 del 2016, che riporterebbero criteri identici per l’accorpamento e il riordino del sistema camerale. In tal senso, anche se fosse stato adottato previa intesa, il decreto legislativo non avrebbe potuto alterare il numero delle camere di commercio, stabilito direttamente dalla legge n. 124 del 2015.
3.10.– Nel merito, l’Avvocatura generale insiste per una declaratoria di manifesta infondatezza delle questioni. Lo Stato infatti avrebbe in gran parte accolto le richieste provenienti dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome in data 29 settembre 2016, recepite in sede di Conferenza unificata, salvo alcuni aspetti marginali comunque non attinenti alla riduzione del numero delle camere di commercio. In ogni caso, se avessero voluto contestare i criteri, le Regioni avrebbero dovuto censurare, su questo specifico punto, la legge delega, ipotesi che non si è concretamente realizzata, a testimonianza di una generale soddisfazione regionale circa i principi adottati dal delegante.
La manifesta infondatezza si trae anche dal recupero della leale collaborazione attraverso il tentativo di esperire l’intesa “a valle” sul decreto ministeriale, a seguito della citata sentenza n. 261 del 2017. In effetti, dalle riunioni della Conferenza Stato-Regioni del 21 dicembre 2017 e dell’11 gennaio 2018 emergerebbe come lo Stato abbia tentato sino all’ultimo di tenere aperto il dialogo con le autonomie regionali.
La difesa del Presidente del Consiglio dei ministri contesta inoltre il richiamo alla sentenza di questa Corte n. 251 del 2016. Tale decisione non avrebbe avuto successivi sviluppi nella giurisprudenza costituzionale, costante nel ritenere non applicabili le procedure cooperative alla funzione legislativa (sono citate le sentenze n. 192 del 2017 e n. 280 del 2016). Le intese che precedono l’adozione di un atto legislativo sono da considerare, in Costituzione, un numerus clausus, espressamente previste solo nell’ipotesi della legge che regola i rapporti con le confessioni religiose diverse dalla cattolica (art. 8, secondo comma, Cost.) oppure di quella che assegna alle Regioni forme particolari di autonomia (art. 116, terzo comma, Cost.).
Infine, l’Avvocatura si sofferma sugli effetti che una declaratoria di incostituzionalità avrebbe sull’attuale processo di riordino che verrebbe travolto da una pronuncia di accoglimento. Salve le cinque camere di commercio accorpate e già operative, si porrebbe il problema del trattamento giuridico dei rapporti non esauriti, sia per ciò concerne gli enti da accorpare, in difficoltà finanziarie, sia per ciò che attiene ai rapporti con il personale.
3.11.– In virtù del rinvio a nuovo ruolo, deciso sulla base dell’art. 2, lettera c), del decreto della Presidente della Corte costituzionale del 24 marzo 2020, sia la Camera di commercio sia la difesa statale hanno depositato brevi note, ai sensi dell’art. 1, lettera c), del decreto della Presidente della Corte costituzionale 20 aprile 2020, ribadendo quanto già affermato nelle memorie pregresse, in punto di rilevanza e non manifesta infondatezza.
4.– Con ordinanza del 27 marzo 2019 (reg. ord. n. 164 del 2019) il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza, ha sollevato, in riferimento agli artt. 5, 117 e 120 Cost., questioni di legittimità costituzionale degli artt. 10 della legge n. 124 del 2015 e 3 del d.lgs. n. 219 del 2016.
4.1.– Il giudice rimettente premette che la Regione Piemonte ha impugnato innanzi al TAR Lazio il d.m. 16 febbraio 2018, nella parte in cui, in attuazione dell’art. 3 del d.lgs. n. 219 del 2016, recependo la proposta avanzata da Unioncamere, ha disposto l’accorpamento delle Camere di commercio del Verbano Cusio Ossola con quelle di Biella, Vercelli e Novara.
Il giudice a quo specifica che il d.m. 16 febbraio 2018, impugnato nel giudizio principale, è identico a quello dell’8 agosto 2017, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 19 settembre 2017, poi sostituito a seguito della sentenza n. 261 del 2017 di questa Corte, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 219 del 2016, nella parte in cui stabiliva che il decreto del Ministro dello sviluppo economico fosse adottato «sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano», anziché previa intesa con detta Conferenza. Nello specifico, a seguito di questa pronuncia, il ministero sottoponeva alla Conferenza Stato-Regioni un nuovo schema di decreto, di contenuto analogo al precedente, ai fini del raggiungimento dell’intesa. La citata Conferenza esaminava il testo nella seduta dell’11 gennaio 2018 e, poiché varie Regioni formulavano obiezioni sul testo, il verbale di tale seduta recava l’indicazione della “mancata intesa”. A seguito di tale evento, il Consiglio dei ministri, nella seduta dell’8 febbraio 2018, ai sensi dell’art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 281 del 1997, autorizzava il Ministro dello sviluppo economico ad adottare il decreto impugnato.
4.2.– Il giudice rimettente ripropone le identiche censure evidenziate nella precedente ordinanza di rimessione, riportando che, nel corso del giudizio principale, la Regione Piemonte ha sostenuto l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, della legge n. 124 del 2015 e, a cascata, del d.lgs. n. 219 del 2016 nella sua interezza, per violazione del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. La legge di delega non ha previsto, infatti, l’intesa con la Conferenza unificata e/o con la Conferenza Stato-Regioni.
5.– Non si è costituita in giudizio la Regione Piemonte; il 5 novembre 2019 è intervenuto invece il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni vengano dichiarate inammissibili o manifestamente infondate. La difesa dello Stato ripropone i medesimi argomenti indicati con riferimento alla precedente ordinanza di rimessione.
5.1.– Nelle more del giudizio, il 16 marzo 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria illustrativa; successivamente, a seguito del rinvio a nuovo ruolo, la difesa statale ha depositato anche brevi note, ai sensi dell’art. 1, lettera c), del decreto della Presidente della Corte costituzionale 20 aprile 2020, ribadendo quanto già affermato, in punto di rilevanza e non manifesta infondatezza, nell’atto di intervento.
6.– Con ordinanza del 15 marzo 2019 (reg. ord. n. 165 del 2019) il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza, ha sollevato, in riferimento agli artt. 5, 117 e 120 Cost., questioni di legittimità costituzionale degli artt. 10 della legge n. 124 del 2015 e 3 del d.lgs. n. 219 del 2016.
6.1.– Il giudizio principale è stato instaurato a seguito del ricorso promosso dalla Camera di commercio, industria artigianato e agricoltura di Pavia, la quale ha impugnato innanzi al TAR Lazio il d.m. 16 febbraio 2018, nella parte in cui, in attuazione dell’art. 3 del d.lgs. n. 219 del 2016, ha disposto l’accorpamento delle Camere di commercio di Pavia, Cremona e Mantova, individuando in Mantova, anziché in Pavia, la sede del nuovo ente. Nel giudizio principale sono stati impugnati altresì gli atti presupposti e conseguenziali, ed in particolare le determinazioni del Commissario ad acta e la deliberazione del Consiglio dei ministri dell’8 febbraio 2018.
6.2.– Il giudice rimettente ripropone le identiche censure evidenziate nei precedenti atti di promovimento, e ricorda come, nel corso del giudizio, la Camera di commercio abbia contestato la legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge n. 124 del 2015 e, conseguentemente, del d.lgs. n. 219 del 2016 nella sua interezza, per violazione del principio di leale collaborazione (artt. 5 e 120 Cost.). La legge di delega non ha previsto, infatti, l’intesa con la Conferenza unificata e/o con la Conferenza Stato-Regioni.
7.– Il 25 ottobre 2019 si è costituita nel giudizio di fronte alla Corte costituzionale la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Pavia, ricorrente del giudizio principale.
7.1.– La parte insiste per la dichiarazione dell’illegittimità costituzionale degli artt. 10 della legge n. 124 del 2015 e 3 del d.lgs. n. 219 del 2016, per violazione del principio di leale collaborazione e, segnatamente, degli artt. 5, 117 e 120 Cost. Si ribadisce che la questione sarebbe certamente rilevante. Difatti, il decreto ministeriale impugnato nel giudizio a quo è stato «emanato in applicazione dell’art. 3 del d.lgs. 25 novembre 2016, n. 219, e tale decreto [...] fu emanato in base a delega conferita al Governo dall’art. 3 della l. 124/2015».
7.2.– La Camera di commercio ricorda che l’art. 3 del d.lgs. n. 219 del 2016 è già stato dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 261 del 2017. Per i ricorrenti il vizio riscontrato in tale sentenza sarebbe presente già nella legge di delega, essendo questa Corte «già intervenuta su altre disposizioni della legge n. 124/2015, ravvisando proprio il medesimo vizio» (è citata la sentenza 251 del 2016).
7.3.– Inoltre, viene ricordato che analoga censura rispetto a quella sollevata nell’ordinanza di rimessione rispetto alla medesima disposizione della legge delega non fu esaminata nel merito dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 261 del 2017, «solo perché risultò essere stata formulata tardivamente dalle Regioni».
7.4.– Il 5 novembre 2019 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni vengano dichiarate inammissibili o manifestamente infondate. La difesa dello Stato reitera i medesimi argomenti indicati con riferimento ai precedenti atti di promovimento.
8.– Nelle more dell’udienza pubblica dell’8 aprile 2020, il 16 marzo 2020, hanno depositato memoria illustrativa sia la parte, sia il Presidente del Consiglio dei ministri, riproducendo gli argomenti portati nei precedenti atti difensivi. La Camera di commercio di Pavia, in particolare, ribadisce la rilevanza della prospettata questione di legittimità costituzionale, posto che il d.m. impugnato nel giudizio principale troverebbe fondamento specifico proprio nell’art. 3 del d.lgs. n. 219 del 2016, a sua volta adottato sulla base dell’art. 10 della legge n. 124 del 2015. La questione dunque sarebbe diversa per l’oggetto (la legge di delega) e per gli effetti (in ordine alla «titolarità stessa della potestà legislativa, che verrebbe a risultare priva di fondamento») rispetto a quanto deciso dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 261 del 2017. Non inciderebbe sulla rilevanza neanche l’intervenuto procedimento di intesa richiesto dalla Corte costituzionale in tale ultima decisione, che avrebbe riguardato le sole modalità di adozione di un atto amministrativo, quale è il d.m. 16 febbraio 2018.
Quanto al merito, la parte privata insiste sull’accoglimento della censura: l’adozione del decreto legislativo, previa intesa con le autonome regionali, avrebbe infatti consentito di introdurre criteri di accorpamento «più consoni alle situazioni locali».
8.1.– In virtù del rinvio a nuovo ruolo, deciso sulla base dell’art. 2, lettera c), del decreto della Presidente della Corte costituzionale del 24 marzo 2020, sia la Camera di commercio sia la difesa statale hanno depositato brevi note, ai sensi dell’art. 1, lettera c), del decreto della Presidente della Corte costituzionale 20 aprile 2020, ribadendo quanto già affermato nelle memorie pregresse, in punto di rilevanza e non manifesta infondatezza.
9.– Con ordinanza del 30 aprile 2019 (reg. ord. n. 166 del 2019) il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza, ha sollevato, in riferimento agli artt. 5, 117 e 120 Cost., questioni di legittimità costituzionale degli artt. 10 della legge n. 124 del 2015 e 3 del d.lgs. n. 219 del 2016.
9.1.– Il giudice rimettente ricorda in premessa che la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Rieti ha impugnato il d.m. 16 febbraio 2018, nella parte in cui, in attuazione dell’art. 3 del d.lgs. n. 219 del 2016, ha disposto l’accorpamento delle Camere di commercio di Rieti e Viterbo, individuando in Viterbo, piuttosto che in Rieti, la sede del nuovo ente. Nel giudizio principale sono stati altresì impugnati gli atti presupposti e conseguenziali, e, in particolare, la determinazione del Commissario ad acta e la nota del Ministero dello sviluppo economico emessa in data 1° marzo 2018. L’ordinanza di rimessione presenta un identico tenore argomentativo rispetto ai già riportati atti di promovimento.
9.2.– Il giudice a quo, in aggiunta, si sofferma sui motivi che l’hanno portato a ritenere di non accogliere l’eccezione mossa da Unioncamere, resistente nel giudizio principale, secondo la quale la questione sarebbe irrilevante poiché la Camera di commercio ricorrente non avrebbe interesse a far valere il lamentato vizio di legittimità, trattandosi di questioni che presentano come unico soggetto interessato a sollevare un’ipotetica questione di legittimità costituzionale proprio la Regione. Al contrario – afferma il giudice a quo – «la Camera di commercio ricorrente ha interesse a dedurre il prospettato vizio di costituzionalità [...] proprio perché, all’esito di un’eventuale pronuncia di incostituzionalità, cadrebbe tutto il decreto legislativo delegato e, con esso, il censurato accorpamento tra Camere di commercio».
10.– Il 4 novembre 2019 si è costituita nel giudizio la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Rieti, ricorrente del giudizio principale.
10.1.– La parte insiste per la dichiarazione d’illegittimità costituzionale degli artt. 10 della legge n. 124 del 2015 e 3 del d.lgs. n. 219 del 2016, per violazione del principio di leale collaborazione e, segnatamente, degli artt. 5, 117 e 120 Cost.
10.2.– Preliminarmente, la parte esamina il quadro di attribuzioni spettanti alle camere di commercio, al fine di evidenziarne il nesso con le competenze regionali. In primo luogo, si sottolinea la doppia natura di tali enti «per un verso organi di rappresentanza degli interessi mercantili e per l’altro strumenti per il perseguimento di politiche pubbliche» (è citata la sentenza di questa Corte n. 86 del 2017). Inoltre, se ne evidenzia il ruolo nell’ambito del sistema degli enti locali, che farebbero entrare tale ente «a pieno titolo [...] nel sistema dei poteri locali secondo lo schema dell’art. 118 della Costituzione, diventando anche potenziale destinatario di deleghe dello Stato e della Regione» (sono citate le sentenze n. 29 del 2016 e n. 477 del 2000). Pertanto, il ricorrente ritiene che «le funzioni spettanti alla Camera di commercio la collocano in una dimensione che è, allo stesso tempo, locale per quanto riguarda l’ambito di incidenza e nazionale per quanto riguarda il tipo di funzioni che ad essa possono essere assegnate»; ciò determinerebbe «l’intimo rapporto tra il sistema camerale e l’ente regionale in generale» (sono citate le sentenze n. 225 del 2019 e n. 65 del 1982).
10.3.– La Camera di commercio ricorrente nel giudizio a quo ricorda che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 2, della legge n. 124 del 2015, era già stata posta, in via diretta, da alcune Regioni, ma che è stata dichiarata inammissibile, in quanto tardiva, dalla Corte costituzionale. Tuttavia, gli ostacoli che hanno impedito allora di pronunciarsi sul merito della questione, non sarebbero presenti nel caso attuale; difatti, la natura incidentale del giudizio permetterebbe di riproporre la questione (è citata la sentenza n. 261 del 2017).
10.4.– Nel merito, la parte riporta anzitutto le argomentazioni esposte nell’ordinanza di rimessione, per quanto riguarda la violazione da parte del citato art. 10 del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5, 117 e 120 Cost.
La ricorrente del giudizio principale richiama la seduta della Conferenza unificata del 29 settembre 2016, che avrebbe espresso parere condizionato all’adozione dello schema di decreto legislativo, subordinandolo all’accoglimento delle proposte emendative indicate in tale sede.
Tali proposte miravano a sostituire l’inciso «ove a ciò delegate su base legale o convenzionale» con l’espressione «attraverso specifiche convenzioni delle amministrazioni competenti con Unioncamere»; a riscrivere la prima parte dell’art. 4, comma 6, secondo la seguente formulazione: «Tutti gli enti che in base alle vigenti leggi sono titolari di procedimenti amministrativi concernenti attività di impresa, anche non riconducibili all’ambito di applicazione di cui all’art. 2 del D.P.R. 7 settembre 2010, n. 160, hanno l’obbligo di comunicarne […]»; a inserire in calce al suddetto comma il periodo qui di seguito: «i SUAP hanno accesso consultivo senza oneri aggiuntivi al fascicolo elettronico di impresa per lo svolgimento delle attività di controllo di propria competenza».
Il legislatore delegato non ha accolto le menzionate indicazioni; avrebbe perciò tenuto un comportamento «unilaterale» e «contrario al principio di leale collaborazione». Ad avviso della Camera di commercio, «[s]e fosse stata prevista l’intesa, il prodotto normativo sarebbe stato evidentemente differente».
11.– Il 5 novembre 2019 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni vengano dichiarate inammissibili o manifestamente infondate. La difesa statale reitera i medesimi argomenti spesi con riferimento alle precedenti ordinanze di rimessione.
11.1.– Nelle more dell’udienza pubblica dell’8 aprile 2020, rispettivamente il 17 e il 18 marzo 2020, hanno depositato memoria illustrativa sia il Presidente del Consiglio dei ministri sia la parte e, successivamente al rinvio a nuovo ruolo, deciso sulla base dell’art. 2, lettera c), del decreto della Presidente della Corte costituzionale del 24 marzo 2020, sia la Camera di commercio sia la difesa statale hanno depositato brevi note, ai sensi dell’art. 1, lettera c), del decreto della Presidente della Corte costituzionale 20 aprile 2020, ribadendo quanto già affermato nelle memorie pregresse in punto di rilevanza e non manifesta infondatezza. In particolare, nella memoria illustrativa, la Camera di commercio di Rieti ribadisce la rilevanza e la fondatezza delle questioni. La dichiarazione di illegittimità dell’art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 219 del 2016, ad opera della sentenza di questa Corte n. 261 del 2017, non avrebbe rimosso i profili di incostituzionalità della disposizione censurata, posto che le odierne questioni presenterebbero un perimetro più ampio, avente ad oggetto il presupposto stesso dell’adozione del decreto legislativo, ossia la norma di delega contenuta nella legge n. 124 del 2015. In tal senso, la censura non solo sarebbe rilevante, ma anche evidentemente fondata, non essendo sufficiente a garantire il principio cooperativo la previsione dell’intesa “a valle” per l’adozione del d.m. introdotta dalla sentenza n. 261 del 2017.
12.– Con ordinanza del 27 marzo 2019 (reg. ord. n. 184 del 2019), il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 5, 117 e 120 Cost., degli artt. 10 della legge n. 124 del 2015 e 3 del d.lgs. n. 219 del 2016.
12.1.– Il giudice rimettente premette in narrativa che la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Terni ha impugnato il d.m. 16 febbraio 2018, che ha previsto l’accorpamento delle Camere di commercio di Terni e Perugia, e impugnato altresì gli atti esecutivi e conseguenti, tra cui le determinazioni del Commissario ad acta. Per il resto, l’ordinanza di rimessione presenta le medesime argomentazioni spese, in punto di rilevanza e di non manifesta infondatezza, dai già citati atti di promovimento.
13.– Il 25 novembre 2019 si è costituito nel giudizio di fronte alla Corte costituzionale la Camera di commercio di Terni, ricorrente nel giudizio principale. La parte ricorda che, in sede di appello cautelare, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso in attesa di una definizione nel merito del giudizio, anche per la prospettazione «di una possibile illegittimità costituzionale di alcune delle norme del riordino normativo».
13.1.– La Camera di commercio insiste poi per la dichiarazione dell’illegittimità costituzionale degli artt. 10 della legge n. 124 del 2015 e 3 del d.lgs. n. 219 del 2016, per violazione del principio di leale collaborazione e, segnatamente, degli artt. 5, 117 e 120 Cost., riportandosi alle motivazioni addotte dal TAR Lazio nell’ordinanza di rimessione.
14.– Il 22 novembre 2019 si è costituita in giudizio Unioncamere, resistente del giudizio principale, chiedendo che la Corte costituzionale dichiari inammissibili, improcedibili o, comunque, infondate le questioni di legittimità costituzionale, riservandosi di esporre ulteriori deduzioni nei successivi scritti difensivi.
15.– Il 19 novembre 2019 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate, riproponendo gli argomenti già spesi nei precedenti atti di intervento.
15.1.– Nelle more dell’udienza pubblica dell’8 aprile 2020, hanno depositato memorie illustrative, rispettivamente in data 16 e 17 marzo 2020, sia il Presidente del Consiglio dei ministri, sia la parte resistente nel giudizio principale e, successivamente al rinvio a nuovo ruolo, deciso sulla base dell’art. 2, lettera c), del decreto della Presidente della Corte costituzionale del 24 marzo 2020, entrambi hanno depositato brevi note, ai sensi dell’art. 1, lettera c), del decreto della Presidente della Corte costituzionale 20 aprile 2020, ribadendo quanto già affermato, in punto di rilevanza e non manifesta infondatezza, nelle memorie pregresse.
15.2.– Nella memoria illustrativa, Unioncamere ha eccepito in particolare la manifesta inammissibilità delle questioni e, in subordine, la loro infondatezza.
Unioncamere premette, in punto di fatto, che il processo di riforma inaugurato con l’art. 10 della legge n. 124 del 2015 è stato per la gran parte attuato: in base ad esso, sono state accorpate 40 camere di commercio, le quali hanno dato vita a 17 nuovi enti; sono stati rinnovati gli organi con un ridotto numero di componenti da parte delle 18 (su 28) camere di commercio non soggette ad accorpamento ed avviate le procedure per un accorpamento di ulteriori 35 camere di commercio; sono state accorpate, infine, diverse aziende speciali, ridotte da 131 a 86; liquidate 8 unioni regionali, che da 19 sono divenute 11.
La riforma avrebbe garantito una maggiore efficienza degli organi camerali esistenti, con un evidente risparmio economico (viene allegata una stima di 50 milioni di euro annui) e un migliore svolgimento delle funzioni camerali (è riportata una indagine condotta presso le camere di commercio accorpate).
15.3.– In punto di diritto, Unioncamere ritiene le questioni inammissibili per difetto di rilevanza. In primo luogo, i giudici a quibus non avrebbero tenuto in considerazione quanto affermato dalla citata sentenza n. 251 del 2016, la quale ha dichiarato che l’illegittimità costituzionale della legge di delega, per mancata previsione dell’intesa sui decreti legislativi, «sono circoscritte alle disposizioni di delegazione», non estendendosi ai decreti delegati.
In tal senso, quindi, l’eventuale sentenza di accoglimento non sprigionerebbe effetti sui processi principali, con conseguente irrilevanza delle questioni sollevate.
Inoltre, le questioni sarebbero irrilevanti perché la leale collaborazione è stata comunque garantita “a valle”, grazie alla sentenza di questa Corte n. 261 del 2017, che ha dichiarato illegittimo l’art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 219 del 2016, nella parte in cui non prevedeva che il decreto ministeriale di attuazione della riforma fosse adottato attraverso intesa.
In ogni caso, le questioni sottoposte alla Corte costituzionale sarebbero comunque ipotetiche, non avendo i rimettenti chiarito il rapporto di pregiudizialità intercorrente tra le questioni sollevate e il giudizio pendente. Dalle ordinanze di rimessione non emergerebbero i criteri, contenuti nella legge di delega e nel successivo decreto legislativo, idonei a condizionare il successivo d.m., oggetto di impugnazione davanti al TAR.
Nel merito, le questioni sarebbero comunque infondate, perché dall’agosto del 2016, quando il Ministro dello sviluppo economico ha presentato la prima versione dello schema del decreto legislativo, fino alla adozione nel febbraio del 2018 del d.m., vi è stata una continua interlocuzione tra lo Stato e le autonomie territoriali.
16.– Con ordinanza del 30 aprile 2019 (reg. ord. n. 185 del 2019) il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza, ha sollevato, in riferimento agli artt. 5, 117 e 120 Cost., questioni di legittimità costituzionale degli artt. 10 della legge n. 124 del 2015 e 3 del d.lgs. n. 219 del 2016.
16.1.– Il giudice rimettente espone in premessa che la Camera di commercio, industria artigianato e agricoltura di Brindisi ha impugnato innanzi al TAR Lazio il d.m. 16 febbraio 2018, nella parte in cui, in attuazione dell’art. 3 del d.lgs. n. 219 del 2016, ha disposto l’accorpamento delle Camere di commercio di Brindisi e Taranto, individuando in Taranto, anziché in Brindisi, la sede del nuovo ente, impugnando altresì gli atti esecutivi e conseguenti, tra cui le determinazioni del Commissario ad acta. Il giudice a quo prosegue riportando gli stessi argomenti, illustrati nei procedenti atti di promovimento, in punto di rilevanza e non manifesta infondatezza.
17.– Il 21 novembre 2019 si è costituita in giudizio di fronte alla Corte costituzionale la Camera di commercio di Brindisi, ricorrente nel giudizio principale.
17.1.– La parte insiste per la dichiarazione d’illegittimità costituzionale degli artt. 10 della legge n. 124 del 2015 e 3 del d.lgs. n. 219 del 2016, per violazione del principio di leale collaborazione e, segnatamente, degli artt. 5, 117 e 120 Cost., riportandosi sostanzialmente alle motivazioni addotte dal TAR Lazio nell’ordinanza di rimessione.
18.– Il 22 novembre 2019 si è costituita in giudizio Unioncamere, parte resistente del giudizio principale, chiedendo che la Corte costituzionale dichiari inammissibili, improcedibili o comunque infondate le questioni di legittimità costituzionale, riservandosi di esporre ulteriori deduzioni nei successivi scritti difensivi.
19.– Il 26 novembre 2019 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate, con argomentazioni identiche a quelle riportate nei precedenti atti di intervento.
20.– Nelle more dell’udienza pubblica dell’8 aprile 2020, rispettivamente il 16 e il 17 marzo 2020, hanno depositato memoria illustrativa sia il Presidente del Consiglio dei ministri, sia la parte resistente nel giudizio a quo e, successivamente al rinvio a nuovo ruolo, deciso sulla base dell’art. 2, lettera c), del decreto della Presidente della Corte costituzionale del 24 marzo 2020, entrambi hanno depositato brevi note, ai sensi dell’art. 1, lettera c), del decreto della Presidente della Corte costituzionale 20 aprile 2020, ribadendo quanto già affermato, in punto di rilevanza e non manifesta infondatezza, nelle memorie pregresse.
21.– Nella memoria illustrativa, Unioncamere ha reiterato le eccezioni di inammissibilità delle questioni già avanzate nel giudizio concernente il ricorso promosso dalla Camera di commercio di Terni, ribadendo, nel merito, la loro infondatezza.
22.– Con ordinanza del 27 marzo 2019 (reg. ord. n. 196 del 2019), il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza, ha sollevato, in riferimento agli artt. 5, 117 e 120 Cost., questioni di legittimità costituzionale degli artt. 10 della legge n. 124 del 2015 e 3 del d.lgs. n. 219 del 2016.
22.1.– Il giudice rimettente premette in narrativa che Confindustria Pavia, Associazione commercianti della Provincia di Pavia (ASCOM), Federazione provinciale Coldiretti Pavia, Industria Laterizi Vogherese Srl, Albergo Moderno Srl, hanno impugnato il d.m. 16 febbraio 2018, nella parte in cui, in attuazione dell’art. 3 del d.lgs. n. 219 del 2016, ha disposto l’accorpamento delle Camere di commercio di Pavia, di Mantova e di Cremona, impugnando altresì gli atti esecutivi e conseguenti, tra cui le determinazioni del Commissario ad acta. Quanto al merito, il giudice a quo sviluppa le medesime censure già riportate dalle precedenti ordinanze di rimessione.
23.– Il 22 novembre 2019 si è costituita nel giudizio Unioncamere, parte resistente del giudizio principale, chiedendo che la Corte costituzionale dichiari inammissibili, improcedibili o, comunque, infondate le questioni di legittimità costituzionale, riservandosi di esporre ulteriori deduzioni nei successivi scritti difensivi.
24.– Il 19 novembre 2019 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate, riproponendo quanto già argomentato nei precedenti atti di intervento.
25.– Nelle more dell’udienza pubblica dell’8 aprile 2020, il 16 e il 17 marzo 2020, hanno depositato memoria illustrativa sia il Presidente del Consiglio dei ministri, sia Unioncamere e, successivamente al rinvio a nuovo ruolo, deciso sulla base dell’art. 2, lettera c), del decreto della Presidente della Corte costituzionale del 24 marzo 2020, la difesa statale ha trasmesso brevi note, ai sensi dell’art. 1, lettera c), del decreto della Presidente della Corte costituzionale 20 aprile 2020, ribadendo quanto già affermato, in punto di rilevanza e non manifesta infondatezza, nell’atto di intervento. Nella sua memoria illustrativa, Unioncamere insiste sulla ipoteticità delle censure e, dunque, sull’irrilevanza delle questioni e, nel merito, sulla loro infondatezza.
Considerato in diritto
1.– Con sette ordinanze di rimessione (reg. ord. numeri 163, 164, 165, 166, 184, 185 e 196 del 2019), dall’analogo tenore argomentativo, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza, ha sollevato, in riferimento agli artt. 5, 117 e 120 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche) e dell’art. 3 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219 (Attuazione della delega di cui all’articolo 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, per il riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura).
1.1.– Ad avviso dei giudici a quibus, la citata legge di delegazione sarebbe illegittima per violazione del principio di leale collaborazione, non avendo previsto un adeguato coinvolgimento delle Regioni nella fase di approvazione del decreto legislativo concernente la riforma delle camere di commercio: la norma di legge ha previsto infatti un mero parere, da parte degli enti regionali, e non l’intesa tra Stato e Regioni sullo schema dell’atto legislativo. Dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma di delegazione deriverebbe «in via derivata» la caducazione dell’intero art. 3 del d.lgs. n. 219 del 2016, il quale offre, a sua volta, fondamento al decreto del Ministro dello sviluppo economico 16 febbraio 2018 (Riduzione del numero delle camere di commercio mediante accorpamento, razionalizzazione delle sedi e del personale), impugnato nei giudizi principali.
2.– Va preliminarmente rilevato che le sette ordinanze di rimessione pongono questioni identiche in relazione alle medesime norme censurate e ai medesimi parametri costituzionali evocati; pertanto, i giudizi vanno riuniti per essere congiuntamente esaminati e decisi con unica pronuncia.
2.1.– Sempre in via preliminare, questa Corte è chiamata a pronunciarsi sulle plurime eccezioni di inammissibilità per difetto di rilevanza avanzate dal Presidente del Consiglio dei ministri e dall’Unione Italiana delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (d’ora in avanti: Unioncamere).
2.2.– Le censure sarebbero irrilevanti in quanto ipotetiche: i rimettenti non avrebbero chiarito in quale misura i criteri del decreto legislativo, in ipotesi viziato dal mancato rispetto del principio di leale collaborazione, condizionerebbero il successivo decreto ministeriale impugnato nei giudizi principali.
La difesa statale sottolinea che il decreto legislativo non avrebbe comunque potuto alterare il numero degli enti camerali, stabilito in «non più di 60 mediante accorpamento di due o più camere di commercio» (art. 10, comma 1, lettera b, legge n. 124 del 2015).
Unioncamere ribadisce che l’incostituzionalità della legge delega per mancato rispetto della leale collaborazione non si estenderebbe ai decreti delegati, secondo quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 251 del 2016. In tal senso, l’eventuale accoglimento della questione non avrebbe alcun effetto sui procedimenti principali, con conseguente irrilevanza delle questioni sollevate sulla legge di delega e sul decreto delegato.
Infine, le ordinanze di rimessione non avrebbero tenuto in adeguata considerazione la sentenza di questa Corte n. 261 del 2017, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il comma 4 dell’art. 3 del d.lgs. n. 219 del 2016 (oggetto dell’attuale giudizio), per avere previsto l’adozione del d.m. di riordino delle camere di commercio previo parere della Conferenza Stato-Regioni, anziché previa intesa. Questa decisione avrebbe dato attuazione al principio di leale collaborazione “a valle” del procedimento legislativo; in ogni caso, il mancato raggiungimento dell’intesa sul d.m. non osterebbe a una decisione unilaterale del Governo, laddove i plurimi tentativi di addivenire a un accordo con le autonomie regionali non siano andati a buon fine. La mancata considerazione di tali profili si tradurrebbe in un difetto di rilevanza, con conseguente inammissibilità delle questioni sollevate dal TAR Lazio.
2.3.– Le eccezioni di inammissibilità non sono fondate.
In merito alla asserita trasmissione del vizio di legittimità dalla legge di delega al decreto delegato, contrariamente a quanto argomentato da Unioncamere, l’assunto dei rimettenti non è di per sé implausibile, ben potendo in ipotesi configurarsi una illegittimità derivata del decreto delegato che trova nella legge delega, fonte interposta ai sensi dell’art. 76 Cost., la misura della propria legittimità.
Per ciò che concerne il difetto di applicabilità ai giudizi principali dell’art. 10 della legge n. 124 del 2015 deve ritenersi sufficiente, ai fini della rilevanza, l’influenza del presupposto normativo, e cioè della legge di delega, sull’art. 3 del d.lgs. n. 219 del 2016, norma da applicarsi ai giudizi a quibus. È sufficiente osservare che il vizio procedimentale asserito dai rimettenti, se accertato da questa Corte, potrebbe riverberarsi sul decreto legislativo, così travolgendo lo stesso d.m. impugnato nei giudizi principali.
Infine, le ordinanze di rimessione si soffermano adeguatamente sulla sentenza n. 261 del 2017, ritenendo non sufficiente, ai fini del rispetto del principio di leale collaborazione, i tentativi di intesa “a valle” sul d.m. di attuazione.
3.– Prima di affrontare il merito delle questioni di legittimità costituzionale, questa Corte ritiene necessario ripercorrere la propria giurisprudenza sul processo di riforma del sistema camerale innescato dagli artt. 10 della legge n. 124 del 2015 e 3 del d.lgs. n. 219 del 2016.
3.1.– Come noto, infatti, il comma 4 dell’art. 3 d.lgs. n. 219 del 2016 ha demandato a un decreto del Ministro dello sviluppo economico, adottato su proposta di Unioncamere e previo parere della Conferenza Stato-Regioni, l’attuazione del processo di riordino e di accorpamento delle camere di commercio, disposto dal menzionato decreto legislativo.
Su tale previsione è intervenuta questa Corte, dichiarandola illegittima nella parte in cui prevedeva che il decreto ministeriale fosse adottato sentito il parere della Conferenza Stato-Regioni anziché previa intesa con la stessa (sentenza n. 261 del 2017).
3.1.1.– In detta pronuncia, questa Corte ha chiarito che le camere di commercio presentano una natura anfibia, per un verso «organi di rappresentanza delle categorie mercantili», per un altro «strumenti per il perseguimento di politiche pubbliche». Dalla loro vocazione pubblicistica discende, dagli inizi dello scorso secolo, l’attribuzione a tali soggetti della qualifica di «enti di diritto pubblico, dotati di personalità giuridica».
3.1.2.– I compiti assegnati a detti enti dal d.lgs. n. 219 del 2016 non solo hanno ribadito questa duplice natura, ma ne hanno anche confermato la collocazione al crocevia di distinti livelli di governo: per un verso, infatti, le camere di commercio esercitano funzioni evidentemente riconducibili alla competenza esclusiva dello Stato (ad esempio in materia di pubblicità legale mediante la tenuta del registro delle imprese; tutela del consumatore e della fede pubblica; vigilanza e controllo sulla sicurezza e conformità dei prodotti; disciplina della metrologia legale in collaborazione con gli uffici metrici statali; rilevazione dei prezzi e delle tariffe); per un altro, svolgono compiti che riflettono competenze regionali (in materia, ad esempio, di sviluppo e promozione del turismo, di supporto alle imprese, di orientamento al lavoro ed alle professioni).
Le competenze regionali coinvolte, pertanto, sono, in alcuni ambiti, inestricabilmente intrecciate con quelle dello Stato; in altri sono invece suscettibili di essere precisamente identificate e distintamente considerate, in riferimento ai singoli compiti svolti (sentenza n. 261 del 2017).
3.2.– Le funzioni esercitate dal sistema camerale esigono, dunque, «una disciplina omogenea in ambito nazionale», posto che le camere di commercio non sono «un arcipelago di entità isolate, ma costituiscono i terminali di un sistema unico di dimensioni nazionali che giustifica l’intervento dello Stato»; d’altro canto, proprio il coinvolgimento di competenze regionali implica che la disciplina statale sia posta nel «rispetto del principio di leale collaborazione, indispensabile in questo caso a guidare i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie», rendendosi necessario un coinvolgimento regionale che non può arrestarsi al mero parere espresso in Conferenza Stato-Regioni, ma deve essere identificato «nell’intesa, contraddistinta da una procedura che consenta lo svolgimento di genuine trattative e garantisca un reale coinvolgimento [regionale]» (sentenza n. 261 del 2017).
3.3.– A seguito di tale pronuncia, il Ministro dello sviluppo economico ha sottoposto un nuovo schema di decreto ministeriale alla Conferenza Stato-Regioni, riunitasi il 21 dicembre 2017. Nonostante plurimi confronti con il sistema delle autonomie regionali, queste non hanno ritenuto di sottoscrivere l’intesa. L’8 febbraio 2018 il Consiglio dei ministri ha quindi deliberato di superare lo stallo procedimentale, in applicazione dell’art. 3, comma 3, del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato - città ed autonomie locali), autorizzando il Ministro dello sviluppo economico ad adottare il decreto ministeriale che, nel relativo preambolo, dà atto del recepimento di alcune istanze regionali.
3.4.– Il decreto ministeriale è stato poi impugnato di fronte a questa Corte per conflitto intersoggettivo dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e dichiarato parzialmente illegittimo nella parte in cui si riferiva alla Camera valdostana delle imprese e delle professioni (sentenza n. 225 del 2019).
Con tale decisione, la Corte costituzionale ha declinato, rispetto alle autonomie speciali, gli argomenti spesi nella sentenza n. 261 del 2017. È stato così chiarito che la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste è direttamente titolare, in virtù dello statuto e della relativa normativa di attuazione, delle funzioni svolte, sul resto del territorio nazionale, dal sistema camerale: «[n]el territorio valdostano, tutte le funzioni tradizionalmente svolte dalle Camere di commercio appartengono alla Regione, che può discrezionalmente scegliere le forme organizzative ritenute più opportune per il loro esercizio» (sentenza n. 225 del 2019). Per tale ragione, allo Stato non spettava includere, nella disciplina di riordino e razionalizzazione, l’organizzazione della Camera valdostana.
4.– Alla luce di tali premesse, non può dirsi errato il presupposto da cui muovono i rimettenti, secondo i quali la legge delega è intervenuta in ambiti che vedono intrecciarsi competenze statali e regionali.
Come ha affermato la sentenza n. 261 del 2017, infatti, la disciplina del sistema camerale si colloca al crocevia di distinti livelli di governo, richiedendo, dunque, un adeguato coinvolgimento delle autonomie regionali. Il ricorso al principio di leale collaborazione, in quanto “metodo” cui adeguare la legislazione alle esigenze delle autonomie nel quadro dell’unità della Repubblica (artt. 5 e 120 Cost.), è infatti frequentemente richiamato nella giurisprudenza di questa Corte per la disciplina delle materie in cui si intrecciano strettamente competenze statali e competenze regionali (ex plurimis, sentenze n. 72 del 2019, n. 56 del 2019, n. 71 del 2018 e n. 1 del 2016).
5.– Ciò nonostante, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 10 della legge n. 124 del 2015 e 3 del d.lgs. n. 219 del 2016 non sono fondate.
5.1.– Non è venuto meno, infatti, in tutto il procedimento che ha portato alla riforma del sistema delle camere di commercio, il confronto del Governo con le autonomie territoriali. A questo risultato ha contribuito la sentenza di questa Corte n. 261 del 2017 che, come dianzi ricordato, dichiarando la illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 216 del 2019, su ricorso di diverse Regioni, ha stabilito che il decreto ministeriale fosse adottato non previo parere bensì previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni.
Avviato il processo di riordino delle Camere di commercio in forza del citato d.m., i giudici rimettenti, su istanza delle menzionate Camere di commercio e di altri soggetti – tutti ricorrenti dinanzi al TAR Lazio avverso detto provvedimento – sollevano in via incidentale questioni di legittimità costituzionale, avente ad oggetto gli artt. 10 della legge n. 124 del 2015 e 3 del d.lgs. n. 219 del 2016. Quest’ultimo, in particolare, non più per i suoi contenuti, ma per il modo stesso in cui è stato approvato in forza della legge di delega, previo parere ma senza intesa con la Conferenza Stato-Regioni. A tal fine sposano una lettura non condivisibile dei principi espressi da questa Corte nella sentenza n. 251 del 2016 adottata l’anno precedente.
Detta sentenza ha dichiarato illegittime talune disposizioni della legge delega n. 124 del 2015 (nella parte concernente i principi e criteri direttivi in materia di dirigenza pubblica, di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, di partecipazione azionaria delle p.a. e di disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico generale), laddove subordinavano l’adozione dei decreti delegati ivi previsti al previo «parere», anziché alla previa «intesa» in Conferenza (unificata o Stato-Regioni, a seconda degli ambiti interessati).
5.2.– Tale pronuncia, pur rilevando che la giurisprudenza costituzionale ha più volte sancito (e recentemente ribadito: da ultimo, sentenze n. 44 del 2018, n. 237 e n. 192 del 2017; con riferimento alla decretazione di urgenza, sentenze n. 194 del 2019, n. 137 e n. 17 del 2018) che il principio di leale collaborazione non si impone, di norma, al procedimento legislativo, ha invero affermato che l’intesa fra Stato e Regioni «si impone […] quale cardine della leale collaborazione anche quando l’attuazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale è rimessa a decreti legislativi delegati, adottati dal Governo sulla base dell’art. 76 Cost.». E ciò «nell’evenienza […] di uno stretto intreccio fra materie e competenze». Tali decreti, sottoposti a limiti temporali e qualitativi, «finiscono, infatti, con l’essere attratti nelle procedure di leale collaborazione, in vista del pieno rispetto del riparto costituzionale delle competenze» (sentenza n. 251 del 2016).
Tuttavia la medesima sentenza ha precisato che, «[n]el seguire le cadenze temporali entro cui esercita la delega, […] il Governo può fare ricorso a tutti gli strumenti che reputa, di volta in volta, idonei al raggiungimento dell’obiettivo finale. Tale obiettivo consiste nel vagliare la coerenza dell’intero procedimento di attuazione della delega, senza sottrarlo alla collaborazione con le Regioni» (sentenza n. 251 del 2016).
L’adeguatezza del coinvolgimento regionale, dunque, lungi dall’imporre un rigido automatismo, abbraccia necessariamente un orizzonte ampio, offerto dall’intero procedimento innescato dal legislatore delegante, da valutarsi alla luce dei meccanismi di raccordo complessivamente predisposti dallo Stato. Per queste ragioni, la medesima decisione ha escluso la immediata estensione del vizio di illegittimità costituzionale ai decreti delegati (punto 9 del Considerato in diritto), chiarendo come la sua eventuale trasmissione debba di volta in volta accertarsi «alla luce delle soluzioni correttive che il Governo riterrà di apprestare al fine di assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione».
Il riferimento alle «soluzione correttive» che il Governo avrebbe potuto adottare nell’esercizio della sua discrezionalità politica implica, quindi, al fine del necessario coinvolgimento delle autonomie regionali, una ampia congerie di strumenti idonei a soddisfare l’esigenza di un leale confronto con le istituzioni territoriali.
In questa direzione si muove, peraltro, il parere reso dal Consiglio di Stato all’indomani di detta pronuncia, ove si è affermato, per un verso, la perdurante validità dei decreti delegati adottati sulla scorta delle disposizioni della legge delega dichiarate incostituzionali, e per un altro, come fosse «preferibile» – e quindi non sempre costituzionalmente necessitata – l’adozione dei decreti correttivi a seguito di intesa (Consiglio di Stato, commissione speciale, parere 17 gennaio 2017, n. 83).
5.3.– La leale collaborazione, dunque, richiama un metodo procedimentale che permea le relazioni dei livelli di governo, la cui estensione dipende dalle concrete modalità di esercizio delle competenze in un determinato ambito materiale.
Nel caso in esame, particolarmente rilevante è stata l’attivazione delle procedure per addivenire a un’intesa sul d.m. di attuazione, sulla scorta di quanto richiesto da questa Corte nella più volte citata sentenza n. 261 del 2017 che aveva ritenuto non legittimo il semplice ricorso al “parere” anziché “all’intesa” nell’approvazione dello stesso.
A seguito di tale pronuncia, l’atto ministeriale inizialmente adottato è stato ritirato e sostituito con altro atto su cui il Governo ha, a più riprese, tentato di raggiungere un accordo con le Regioni, come testimonia l’andamento delle riunioni della Conferenza Stato-Regioni del 21 dicembre del 2017 e dell’11 gennaio 2018, e come si evince dalle numerose riunioni tecniche che si sono tenute a latere della Conferenza stessa e di cui viene dato atto nei relativi verbali. Solo a seguito di queste reiterate interlocuzioni il Consiglio dei ministri ha deliberato, l’8 febbraio del 2018, di superare l’impasse, autorizzando il Ministro dello sviluppo economico ad adottare il decreto ministeriale (emanato il successivo 16 febbraio).
Alla luce di tale sequenza, non può essere sottovalutato che la eventuale dichiarazione di illegittimità derivata dell’art. 3 del d.lgs. n. 216 del 2019 porterebbe a sindacare la medesima disposizione normativa due volte per violazione del medesimo principio: “a valle” perché non ha previsto, nella attuazione tramite decreto ministeriale, un adeguato coinvolgimento delle autonomie regionali, “a monte” perché non concertata con le Regioni prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo.
È ben vero che, sul piano formale, l’oggetto normativo (attinente all’intero art. 3 d.lgs. n. 219 del 2016 e non al solo comma 4, relativo al procedimento di adozione del decreto ministeriale), è più ampio rispetto alla disposizione già dichiarata incostituzionale. Se si considera però il profilo complessivo dell’asserito vizio di legittimità costituzionale, non sfugge il pericolo che questa Corte arriverebbe a sindacare per due volte il medesimo procedimento legislativo per violazione dello stesso principio.
Nonostante sia diverso il quando, il momento della violazione o – se si vuole – la singola scansione del procedimento colpita dall’incostituzionalità, non muta la sostanza della lesione, già accertata da questa Corte con la dichiarazione di illegittimità costituzionale disposta dalla sentenza n. 261 del 2017.
Non può dunque sostenersi, come pure impropriamente ritengono i rimettenti evocando la sentenza n. 251 del 2016, che il procedimento innescato dall’art. 10 della legge n. 124 del 2015 sia stato condotto senza rispettare i canoni della leale collaborazione.
5.4.– Non rileva, a questo proposito, la mancata intesa sul testo del d.m. (risultato peraltro difficile da raggiungere, visto che – come sottolineato anche dalla difesa di Unioncamere – il numero complessivo delle camere di commercio – contestato in Conferenza da alcune Regioni durante la discussione sullo schema del d.m.– è stato fissato direttamente dalla legge delega).
5.5.– Deve infatti ricordarsi che, per costante giurisprudenza di questa Corte, l’intesa non pone un obbligo di risultati ma solo di mezzi: infatti, «[s]e, da un lato, il superamento del dissenso deve essere reso possibile, anche col prevalere della volontà di uno dei soggetti coinvolti, per evitare che l’inerzia di una delle parti determini un blocco procedimentale, impedendo ogni deliberazione; dall’altro, il principio di leale collaborazione non consente che l’assunzione unilaterale dell’atto da parte dell’autorità centrale sia mera conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell’intesa entro un determinato periodo di tempo (ex plurimis, sentenze n. 239 del 2013, n. 179 del 2012 e n. 165 del 2011) […] o dell’urgenza del provvedere. Il principio di leale collaborazione esige che le procedure volte a raggiungere l’intesa siano configurate in modo tale da consentire l’adeguato sviluppo delle trattative al fine di superare le divergenze» (sentenza n. 1 del 2016, ma nello stesso senso, più recentemente, sentenze n. 161 del 2019, n. 261 del 2017, n. 142 del 2016 e n. 88 del 2014).
Di qui, dunque, la non fondatezza delle questioni prospettate.