Reg. Ric. n. 32 del 2025 n° parte 1
pubbl. su G.U. del 24/09/2025 n. 39

Ricorrente:Presidente del Consiglio dei ministri

Resistenti: Regione Toscana



Oggetto:

Appalti pubblici – Procedure di affidamento – Norme della Regione Toscana – Modifiche alla legge regionale n. 18 del 2019 – Disposizioni in materia di tutela dei lavoratori nei contratti pubblici di appalto di competenza regionale – Previsione che i bandi di gara delle procedure ad evidenza pubblica in cui la Regione Toscana, i suoi enti e organismi strumentali, incluse le aziende sanitarie locali e le società in house, siano stazioni appaltanti o enti concedenti, con particolare riguardo agli affidamenti ad alta intensità di manodopera basati sul criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, prevedono quale criterio qualitativo premiale l'applicazione di un trattamento economico minimo orario non inferiore a nove euro lordi – Ricorso del Governo – Denunciata incidenza sui criteri di scelta degli operatori economici mediante l’imposizione di un criterio premiale vincolante per le stazioni appaltanti e gli enti concedenti regionali – Introduzione di criteri premiali ulteriori rispetto a quelli previsti dal codice dei contratti pubblici – Pregiudizio del principio di separazione tra offerta tecnica e offerta economica – Contrasto con l’esigenza di assicurare procedure di evidenza pubblica uniformi su tutto il territorio nazionale, in applicazione dei principi di libera concorrenza e di non discriminazione – Violazione della competenza legislativa esclusiva statale nella materia della tutela della concorrenza.


Norme impugnate:

legge della Regione Toscana  del 18/06/2025  Num. 30  Art. 1



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art. 117   Co.




Testo dell'ricorso

                        N. 32 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 13 agosto 2025

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 13 agosto  2025  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Appalti pubblici - Procedure di affidamento  -  Norme  della  Regione
  Toscana  -  Modifiche  alla  legge  regionale  n.  18  del  2019  -
  Disposizioni in materia di  tutela  dei  lavoratori  nei  contratti
  pubblici di appalto di competenza  regionale  -  Previsione  che  i
  bandi di gara delle  procedure  ad  evidenza  pubblica  in  cui  la
  Regione Toscana, i suoi enti e organismi  strumentali,  incluse  le
  aziende sanitarie locali e le societa'  in  house,  siano  stazioni
  appaltanti  o  enti  concedenti,  con  particolare  riguardo   agli
  affidamenti ad alta intensita' di manodopera basati sul criterio di
  aggiudicazione  dell'offerta   economicamente   piu'   vantaggiosa,
  prevedono quale criterio qualitativo premiale l'applicazione di  un
  trattamento economico minimo  orario  non  inferiore  a  nove  euro
  lordi. 
- Legge della Regione Toscana 18 giugno 2025, n. 30 (Disposizioni  in
  materia di tutela dei lavoratori nei contratti pubblici di  appalto
  di competenza regionale. Modifiche alla l.r. 18/2019), art. 1. 


(GU n. 39 del 24-09-2025)

    Per il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato  presso  i  cui
uffici e' domiciliato in Roma  alla  via  dei  Portoghesi,  12  (pec:
ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it) 
    Contro la Regione Toscana, in persona del Presidente della Giunta
regionale in carica (pec: regionetoscana@postacert.toscana.it) per la
dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1  della
legge regionale della Toscana del 18 giugno 2025, n.  30,  pubblicata
nel Bollettino Ufficiale della Regione Toscana n. 38  del  27  giugno
2025, recante «Disposizioni in materia di tutela dei  lavoratori  nei
contratti pubblici di appalto di competenza regionale. Modifiche alla
l.r. 18/2019», in relazione al suo art. 1. 
    Il Consiglio regionale della  Regione  Toscana  ha  approvato  la
legge n. 30 del 18 giugno 2025 recante «Disposizioni  in  materia  di
tutela dei lavoratori nei contratti pubblici di appalto di competenza
regionale. Modifiche alla l.r. 18/2019» con il dichiarato  intento  -
espressamente enunciato nel preambolo - di  contrastare  il  fenomeno
del «dumping» nei  contratti  di  appalto  di  competenza  regionale,
mediante la fissazione di livelli retribuitivi minimi da garantire al
personale dipendente delle imprese esecutrici come elemento  premiale
nella valutazione delle offerte nelle gare pubbliche. 
    Come in altre occasioni di esercizio della  potesta'  legislativa
regionale (anche per  questo  sindacate  dalla  giurisprudenza  della
Corte costituzionale) il legislatore regionale intende sostituirsi al
legislatore statale  «nelle  more  dell'approvazione  di  un'adeguata
normativa nazionale in tale ambito». 
    Nella seduta del 4 agosto 2025,  il  Consiglio  dei  ministri  ha
deliberato di impugnare la legge regionale della Toscana  n.  30  del
2025, in relazione al suo art. 1, in quanto ritenuta violativa  delle
competenze dello Stato e quindi  contraria  al  riparto  di  potesta'
legislativa fissato dall'art. 117 della Costituzione. 
    A tanto si provvede con il presente ricorso, affidato al seguente 
 
                               Motivo 
 
1. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1  della  legge  regionale
Toscana 18 giugno 2025, n. 30 per  violazione  dell'art.  117,  comma
secondo, lettera e) della Costituzione, violazione  della  competenza
esclusiva dello Stato in materia di «tutela della concorrenza» 
    Come rilevato, la norma qui  censurata,  intitolata  «Tutela  dei
lavoratori  nei  contratti  pubblici   di   appalto   di   competenza
regionale», modifica l'art. 6 della  precedente  legge  regionale  16
aprile 2019, n. 18, introducendo il seguente art. 6.1: 
        «1. I bandi di gara delle procedure ad evidenza  pubblica  in
cui la Regione Toscana, i suoi enti e organismi strumentali,  incluse
le aziende sanitarie locali e le societa' "in house", siano  stazioni
appaltanti  o  enti  concedenti,  con   particolare   riguardo   agli
affidamenti ad alta intensita' di manodopera basati sul  criterio  di
aggiudicazione   dell'offerta   economicamente   piu'    vantaggiosa,
prevedono quale criterio qualitativo premiale  l'applicazione  di  un
trattamento economico minimo orario non inferiore a nove euro lordi». 
    La disposizione in questione  si  dovrebbe  applicare  alle  gare
bandite dalla stessa Regione  Toscana,  dai  suoi  enti  e  organismi
(incluse le Aziende sanitarie locali) e dalle sue societa'  in  house
ed introduce un criterio qualitativo premiale da inserire nei bandi e
da considerare in sede di valutazione  delle  offerte  economicamente
piu' vantaggiose per l'aggiudicazione dei contratti di  appalto,  con
particolare riguardo a quelli ad alta intensita' di manodopera. 
    Il meccanismo  di  tutela  elaborato  dal  legislatore  regionale
prevede  appunto  che,  in  quelle  gare,  sia   premiata   l'offerta
presentata dall'operatore economico che applichi ai  suoi  lavoratori
dipendenti un trattamento economico minimo orario  non  inferiore  ai
valori ivi fissati. 
    Orbene, questa disposizione  presenta  evidentissimi  profili  di
illegittimita' costituzionale per violazione dell'art.  117,  secondo
comma,  lettera  e)  della  Costituzione,  in  quanto  incide   sulle
dinamiche concorrenziali operanti nel mercato degli appalti  pubblici
e,  quindi,  incide  in  un  ambito  -  quello  della  tutela   della
concorrenza  -  che   appartiene   esclusivamente   alla   competenza
legislativa dello Stato. 
    Benche' la disciplina della contrattualistica  pubblica  non  sia
espressamente elencata tra le materie  riguardanti  la  tutela  della
concorrenza, in quanto per molteplicita' degli interessi perseguiti e
degli oggetti implicati essa non e' riferibile  ad  un  unico  ambito
materiale (Corte costituzionale, 23  novembre  2007,  n.  401;  Corte
costituzionale, 1° ottobre 2003, n. 303), per  costante  orientamento
giurisprudenziale rientra nella competenza esclusiva dello  Stato  ai
sensi dell'art. 117, comma 2, lettera e), Cost. tanto la tutela della
concorrenza «nel mercato» quanto la promozione della concorrenza «per
il  mercato»  (Corte  costituzionale  n.  4/2022,  che  espressamente
richiama:  Corte  costituzionale,  27  giugno  2018,  n.  137;  Corte
costituzionale, 20 aprile  2018,  n.  83;  Corte  costituzionale,  19
dicembre 2012, n. 299; Corte costituzionale,  19  dicembre  2012,  n.
291;  Corte  costituzionale,  20   luglio   2012,   n.   200;   Corte
costituzionale, 12 febbraio 2010,  n.  45;  Corte  costituzionale  n.
401/2007). Di conseguenza, non puo' non ricondursi a tale  competenza
anche la disciplina delle procedure di  gara  e  delle  modalita'  di
selezione del contraente,  nel  rispetto  dei  principi  unionali  di
libera circolazione delle  merci,  libera  prestazione  dei  servizi,
liberta' di  stabilimento,  trasparenza  e  parita'  di  trattamento,
consentendosi in tal modo la piena apertura del mercato  nel  settore
degli appalti pubblici (Corte costituzionale n. 4/2022). 
    La   giurisprudenza   costituzionale    e'    infatti    costante
nell'affermare che la nozione di  «concorrenza»  di  cui  al  secondo
comma, lettera e), dell'art. 117 della  Costituzione  «non  puo'  non
riflettere quella operante in ambito  europeo  (sentenze  n.  83  del
2018, n. 291 e n. 200 del 2012, n.  45  del  2010).  Essa  comprende,
pertanto, sia le misure  legislative  di  tutela  in  senso  proprio,
intese a contrastare gli atti e i  comportamenti  delle  imprese  che
incidono negativamente sull'assetto concorrenziale dei  mercati,  sia
le misure legislative di  promozione,  volte  a  eliminare  limiti  e
vincoli alla libera esplicazione della  capacita'  imprenditoriale  e
della competizione tra imprese (concorrenza «nel mercato»), ovvero  a
prefigurare procedure concorsuali di garanzia che assicurino la  piu'
ampia  apertura  del  mercato  a  tutti   gli   operatori   economici
(concorrenza  «per  il  mercato»).  In  questa   seconda   accezione,
attraverso  la  «tutela  della   concorrenza»,   vengono   perseguite
finalita' di ampliamento dell'area di libera scelta dei  cittadini  e
delle imprese, queste ultime anche quali fruitrici, a loro volta,  di
beni e di servizi (sentenze n. 299 del  2012  e  n.  401  del  2007)»
(sentenza n. 137 del 2018). 
    Proprio sulla scorta della nozione di  tutela  della  concorrenza
«per il mercato», la  giurisprudenza  costituzionale  ha  piu'  volte
ribadito  che  «la   disciplina   delle   procedure   di   gara,   la
regolamentazione della qualificazione e  selezione  dei  concorrenti,
delle procedure di affidamento e dei criteri di aggiudicazione  [...]
mirano a garantire che le medesime si  svolgano  nel  rispetto  delle
regole  concorrenziali  e  dei  principi  comunitari   della   libera
circolazione delle merci, della libera prestazione dei servizi, della
liberta' di stabilimento,  nonche'  dei  principi  costituzionali  di
trasparenza e parita' di trattamento (sentenze n.  431,  n.  401  del
2007, n. 411 del 2008), sicche' tali discipline, in  quanto  volte  a
consentire la piena apertura del mercato nel settore  degli  appalti,
sono riconducibili all'ambito  della  tutela  della  concorrenza,  di
esclusiva competenza del legislatore statale  (sentenze  n.  401  del
2007, n. 345 del 2004) (sentenza n. 186 del 2010; nello stesso senso,
sentenze n. 2 del  2014,  n.  259  del  2013  e  n.  339  del  2011),
costituendo  esse  uno  strumento  indispensabile  per   tutelare   e
promuovere la concorrenza in  modo  uniforme  sull'intero  territorio
nazionale (sentenze n. 39 del 2020, n. 28 del 2014, n. 339 del  2011,
n. 1 del 2008 e n. 401 del 2007)» (Corte costituzionale, sentenza  n.
4 del 14 gennaio 2022). 
    Pronunciandosi in relazione a norme regionali affini a quella qui
in esame, la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato  che  e'
«pacifico [...] che le disposizioni del codice dei contratti pubblici
regolanti le procedure di gara  [siano]  riconducibili  alla  materia
della tutela della concorrenza" (cfr.,  fra  le  molte,  sentenza  n.
166/2019). In particolare, "le procedure di selezione dei concorrenti
e i criteri di aggiudicazione degli appalti pubblici sono ascrivibili
alla materia della «tutela della concorrenza" di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera  e),  Cost.  -  che  riflette  la  definizione
operante in ambito comunitario - nella specie alla  concorrenza  «per
il mercato"» (ex multis, sentenze n. 4 del 2022, n. 166 del 2019,  n.
137 del 2018, n. 209 del 2013, n. 52 del 2012, n. 339, n. 184 e n. 43
del 2011 e n. 401 del 2007). 
    La detta  disciplina,  dunque,  costituisce  espressione  di  una
competenza esclusiva statale  in  ragione  della  necessita'  persino
ovvia di tutelare e promuovere la concorrenza in  modo  uniforme  sul
territorio nazionale (Corte cost. n. 4/2022, nonche' Corte cost.,  28
gennaio  2022,  n.  23;  Corte  costituzionale  n.   39/2020;   Corte
costituzionale, 9 luglio  2019,  n.  166;  Corte  costituzionale,  25
febbraio 2014, n. 28.), trovando altresi' fondamento nel principio di
imparzialita' (art. 97 Cost.). 
    Si e'  pure  affermato  che  il  codice  dei  contratti  pubblici
presenta,   nel   suo   complesso,   i   tratti   di   una    riforma
economico-sociale,  attuativa  anche  di   «obblighi   internazionali
nascenti  dalla  partecipazione   dell'Italia   all'Unione   europea»
(sentenza n. 114 del 2011), sicche' la disciplina  della  concorrenza
segnala, al suo interno,  istanze  fondamentali  di  uniformita'  che
limitano la competenza primaria di  tutte  le  regioni,  anche  se  a
statuto speciale, e delle province autonome. 
    Sono  state  dunque  individuate,  quali  norme  fondamentali  di
riforma  economico-sociale  nell'ambito  del  codice  dei   contratti
pubblici,  quelle  «che  attengono,  da  un  lato,  alla  scelta  del
contraente (alle procedure di affidamento) e, dall'altro  [lato],  al
perfezionamento  del  vincolo  negoziale   e   alla   correlata   sua
esecuzione» (sentenza n. 45 del 2010, il cui  percorso  argomentativo
e' stato ribadito, ex multis, dalle sentenze n. 166 del 2019, n.  263
del 2016, n. 36 del 2013, n. 74 del 2012, n. 328, n. 184 e n. 114 del
2011 e n. 221 del 2010). 
    La concorrenza, che  in  generale  rinviene  nell'uniformita'  di
disciplina «un valore in se' perche' differenti  normative  regionali
sono suscettibili di creare dislivelli di regolazione, produttivi  di
barriere territoriali» (sentenza n. 283 del 2009),  a  fortiori,  non
tollera regole differenziate a livello  locale  nelle  procedure  che
danno accesso alla stipula dei contratti pubblici (cosi', da  ultimo,
Corte  costituzionale  n.  174/2024).   La   previsione   di   regimi
differenziati  per  le  procedure  di  aggiudicazione  dei  contratti
pubblici genera, di per se', effetti  distorsivi  della  concorrenza.
Garantire l'uniformita' di tale disciplina e', dunque,  un  obiettivo
delle norme statali che tutelano e promuovono la concorrenza. 
    In tale contesto, l'eventuale disciplina regionale  di  dettaglio
non potrebbe giammai porsi in contrasto con le  norme  fissate  dalla
disciplina statale adottata nel rispetto delle direttive  europee  e,
pertanto, non potrebbe mai avere ad oggetto diretto e  principale  la
tutela  della  concorrenza.  Invero,  «nella  regolamentazione  delle
procedure di aggiudicazione non sussistono, pertanto,  le  condizioni
che consentono a  norme  regionali  o  provinciali,  riconducibili  a
competenze primarie,  di  produrre  "effetti  proconcorrenziali".  Le
conseguenze di una diversificazione a livello territoriale, in questo
ambito, sono tali da evidenziare  un  "contrasto  con  gli  obiettivi
posti dalle norme statali che tutelano e promuovono  la  concorrenza"
([...] sentenza n. 160  del  2009,  che  riprende,  testualmente,  le
affermazioni della sentenza n. 431 del  2007)  (sentenza  n.  45  del
2010)». (Corte cost. n. 23/2022). 
    Ne'  puo'  indurre  a  diversa  conclusione  l'espressa  funzione
temporaneamente vicaria che il legislatore regionale si e'  arrogato,
affermando di  agire  nelle  more  e  nell'attesa  di  un  «adeguato»
intervento legislativo statale in materia. 
    In realta'  il  legislatore  toscano  indulge  spesso  in  questa
tentazione «sostitutiva», nella quale ricade  piu'  volte,  come  nel
recentissimo caso  della  legge  in  tema  di  concessioni  demaniali
marittime, laddove  pure  aveva  tentato  di  legiferare  in  materia
statale sul presupposto di una vacanza di quest'ultimo; ma  anche  in
questa ultima occasione la Corte costituzionale (sentenza n. 89/2025)
ha  ribadito  il  principio  per  cui  l'intervento  del  legislatore
regionale in ambito non proprio non puo' essere consentito nemmeno in
presenza di una  lamentata  situazione  di  inerzia  del  legislatore
statale (sentenze n. 222/2020). 
    Peraltro, in questa materia il legislatore statale e'  tutt'altro
che assente o distratto, ove si considerino i  meccanismi  di  tutela
del personale dell'operatore economico offerente, previsti dal codice
dei Contratti sia in sede di redazione del progetto (art.  41,  comma
13), sia in sede di dichiarazioni di impegno  del  concorrente  (art.
102), sia ancora nei vincoli posti al costo del  lavoro  in  sede  di
valutazione dell'offerta (articoli 109 e 110). 
    Quindi, a parere di questa Avvocatura, nessun bisogno c'era di un
intervento legislativo regionale vicario in questo  ambito,  che  non
sarebbe ammesso comunque a titolo di cedevolezza  invertita,  poiche'
l'intervento del legislatore regionale in via  di  anticipazione  del
legislatore statale e' consentito solo  nelle  materie  a  competenza
legislativa concorrente (sentenza  n.  1/2009).  Caso  che  di  tutta
evidenza qui non ricorre. 
    Si puo' ad abundantiam ricordare anche che,  in  una  fattispecie
sostanzialmente sovrapponibile  a  quella  qui  in  esame,  la  Corte
costituzionale ha statuito che «La possibilita' di introdurre,  anche
in via transitoria, criteri premiali  di  valutazione  delle  offerte
(...) e'  dunque  riservata  allo  Stato,  cui  spetta  in  generale,
nell'esercizio della sua competenza esclusiva in  materia  di  tutela
della concorrenza, definire il punto di  equilibrio  tra  essa  e  la
tutela di altri interessi pubblici con esso interferenti (...),  come
quelli sottesi al raggiungimento di  obiettivi  di  politica  sociale
[...], di tutela dei  lavoratori,  di  sostegno  al  reddito  e  alle
imprese» (Corte cost., sentenza n. 4 del 14 gennaio 2022). 
    Cio' premesso,  alla  luce  dei  principi  sopra  richiamati,  la
disposizione qui censurata, incidendo sui  criteri  di  scelta  degli
operatori economici, mediante l'imposizione di un  criterio  premiale
vincolante  per  le  stazioni  appaltanti  e  gli   enti   concedenti
regionali,  incide  direttamente  sulla  concorrenzialita'   per   il
mercato, invadendo la competenza esclusiva statale  di  cui  all'art.
117, comma secondo, lettera e) Cost., ed introducendo, peraltro,  una
regolamentazione distonica rispetto a quella nazionale. 
    Come si e' precedentemente rilevato, il  decreto  legislativo  n.
36/2023 (come tutti i  codici  dei  Contratti  pubblici  che  l'hanno
preceduto) reca una compiuta disciplina dei criteri di aggiudicazione
degli appalti di lavori, servizi e forniture, nei quali il tema della
tutela dei livelli salariali minimi e'  abbondantemente  trattato  in
maniera «chiusa» con riferimento al costo del lavoro sin  dalla  fase
della progettazione. 
    La norma regionale in  esame,  per  contro,  introduce  un  nuovo
criterio premiale, avulso da quelli  contemplati  dalla  legislazione
statale  e  del  tutto  asistematico,  peraltro   vincolante,   cosi'
espropriando la stazione appaltante anche di quella valutazione -  da
condursi necessariamente  in  concreto  -  circa  l'opportunita',  la
proporzionalita' e la stretta  funzionalita'  del  criterio  premiale
rispetto allo specifico oggetto del contratto, alla sua  tipologia  e
alla  natura  dell'affidamento.  La  disposizione  regionale   opera,
dunque, una cristallizzazione ex ante  della  valutazione  in  ordine
all'adozione di  criteri  premiali  che,  viceversa,  il  codice  dei
Contratti  pubblici,  nel  quadro  generale  delle  premialita'   ivi
prefigurate (cfr. art. 108, comma 7), rimette  alla  discrezionalita'
dell'amministrazione,  in  aderenza  al  principio  secondo  cui   la
garanzia di un confronto  concorrenziale  effettivo  necessita  della
autonomia delle stazioni appaltanti nella valutazione caso  per  caso
della  migliore  offerta  (cfr.  Corte  costituzionale  n.  174/2024)
nonche'  nella  predisposizione  a  monte  dei  criteri  maggiormente
idonei, in concreto, ad assicurare una  ponderata  valutazione  delle
offerte. 
    In aggiunta, la  disposizione  regionale  introduce  un  criterio
premiale apparentemente definito «qualitativo», ma che, a ben vedere,
non pare involgere componenti propriamente qualitative  dell'offerta,
bensi' profili schiettamente economici, in quanto inerenti  ai  costi
della manodopera («l'applicazione di un trattamento economico  minimo
orario non inferiore a nove  euro  lordi»),  che  dovrebbero  percio'
essere indicati nell'offerta economica (comma 9 dell'art. 108 cit.). 
    Il  citato  criterio  premiale  in  esame  rischia   percio'   di
pregiudicare anche il principio di separazione tra offerta tecnica ed
offerta economica, che, secondo la giurisprudenza amministrativa  (ex
multis Consiglio di Stato, sez. V, 1/03/2024, n. 2005),  preclude  di
norma ai concorrenti l'inserimento di elementi economico-quantitativi
all'interno    della    documentazione    che    compone    l'offerta
tecnica-qualitativa. In questi termini, e' consolidato  il  principio
secondo  cui  la  mera  possibilita'   di   conoscenza   dell'entita'
dell'offerta  economica  prima  di  quella  tecnica   e'   idonea   a
compromettere la garanzia di imparzialita' della  valutazione  (Cons.
Stato, V, 24 gennaio 2019,  n.  612).  Anche  sotto  questo  profilo,
pertanto,  la   diposizione   regionale   censurata,   invadendo   le
prerogative normative statali, altera l'uniforme  applicazione  delle
regole  concorrenziali  nella  materia  de  qua,  producendo  effetti
potenzialmente distorsivi. 
    Del  resto,  le  stesse  esigenze  di  contrastare  il  «dumping»
salariale, di assicurare la stabilita'  occupazionale  nei  contratti
pubblici, nonche' di «promuovere misure idonee a garantire un livello
retributivo adeguato ed attuale ai lavoratori dipendenti del soggetto
aggiudicatario e contrastare i fenomeni di concorrenza sleale», che -
come si evince dal preambolo della legge  regionale  in  esame  -  la
disposizione  censurata  vorrebbe   soddisfare,   sono   state   gia'
considerate dal legislatore statale.  Il  che  vale  ulteriormente  a
smentire lo stesso presupposto in fatto che ha  originato  l'adozione
della legge regionale in esame, ovvero «garantire il perseguimento di
tali obiettivi, nelle more dell'approvazione di un'adeguata normativa
nazionale in tale ambito» (cosi'  sempre  il  preambolo  della  legge
regionale). 
    L'art. 11 del codice dei Contratti pubblici  introduce,  infatti,
il  principio  generale  di  applicazione  dei  contratti  collettivi
nazionali di settore, prevedendo, a tal fine, che: «1.  Al  personale
impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici
e concessioni  e'  applicato  il  contratto  collettivo  nazionale  e
territoriale in vigore per il settore e per la zona  nella  quale  si
eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle  associazioni  dei
datori   e   dei   prestatori   di   lavoro   comparativamente   piu'
rappresentative sul  piano  nazionale  e  quello  il  cui  ambito  di
applicazione  sia  strettamente  connesso  con  l'attivita'   oggetto
dell'appalto o della concessione svolta dall'impresa anche in maniera
prevalente». 
    La Relazione di accompagnamento al codice dei Contratti  pubblici
evidenzia  come,  imponendo  l'individuazione  ab  origine  del  CCNL
«leader» di settore, la norma de qua,  in  linea  con  la  previsione
posta dall'art. 1, comma 2, lettera h), n. 2, della legge  delega  21
giugno 2022, n. 78, ha «abbandonato l'idea di una funzione  meramente
promozionale e incentivante, nei confronti degli operatori economici,
delle norme sulle clausole sociali  nella  disciplina  dei  contratti
pubblici, mirando a conseguire un effettivo risultato applicativo con
norme maggiormente pregnanti e vincolanti (...) restringendo anche le
ipotesi in  cui,  per  la  frammentazione  dei  contratti  collettivi
nell'ambito del medesimo settore, l'operatore economico  finisca  con
l'optare per un CCNL che non garantisce  al  lavoratore  le  migliori
tutele sotto il profilo normativo ed economico». 
    Il terzo comma dell'art. 11 consente  solo  eccezionalmente  agli
offerenti di indicare, nell'osservanza delle regole procedimentali di
cui al successivo quarto comma, «il differente  contratto  collettivo
da essi applicato, purche' garantisca ai dipendenti le stesse  tutele
di quello indicato dalla stazione appaltante o dall'ente concedente».
A quest'ultimo riguardo, il legislatore statale ha pure elaborato  un
nuovo allegato I.01 al codice dei Contratti pubblici (introdotto  dal
decreto  legislativo  31   dicembre   2024,   n.   209),   contenente
disposizioni per orientare l'operato delle  stazioni  appaltanti  sia
rispetto  al  contratto  collettivo  da  individuare,  tenuto   conto
dell'oggetto del contratto da aggiudicare, sia rispetto alla verifica
di equipollenza dei contratti. In particolare, sono stati  introdotti
meccanismi automatici  per  la  valutazione  di  equipollenza  tra  i
contratti sottoscritti dalle  organizzazioni  sindacali  maggiormente
rappresentative,  alla  luce  dei  principali  indici  normativi   ed
economici  rivelatori   di   tale   sostanziale   equivalenza.   Tale
valutazione  di  equivalenza  tra  CCNL  si  impernia  anzitutto  sul
rispetto del «valore economico» minimo del  complesso  di  componenti
fisse della retribuzione globale, analiticamente individuate ex lege,
quale derivante dall'applicazione del CCNL  indicato  dalla  stazione
appaltante (articoli 2 e 4 del nuovo all. I.01). 
    Alla  luce  di  tale  quadro  normativo,  il   ribasso   inserito
nell'offerta  non  potra'  essere  giammai  ottenuto  in  danno   dei
lavoratori mediante l'applicazione di un CCNL che, essendo incoerente
rispetto  alle  lavorazioni,  comporti  minori  tutele  economiche  e
normative. 
    Al contempo, l'introduzione dell'obbligo, in capo  alle  stazioni
appaltanti,  di  indicare  il   contratto   collettivo   applicabile,
assumendo come parametro non piu' l'attivita'  prevalente  esercitata
dall'impresa, bensi' le prestazioni strettamente connesse all'oggetto
dell'appalto da eseguire, restringe i margini di autonomia del datore
di lavoro nella scelta  del  CCNL  proprio  al  fine  di  contrastare
pratiche  di  concorrenza  sleale  ed  incentivare  la  tutela  della
«concorrenza per il mercato». 
    In coerenza con tale disciplina, il comma  13  dell'art.  41  del
codice dei Contratti  pubblici,  nel  disciplinare  le  modalita'  di
determinazione della voce relativa al costo del personale, fa  rinvio
alle tabelle  ministeriali  che,  sulla  base  dei  valori  economici
definiti dalla contrattazione collettiva di settore,  individuano  il
costo medio del lavoro. Analogamente, il comma 5  dell'art.  110  del
codice, nel  regolare  le  offerte  anormalmente  basse,  ne  prevede
l'esclusione se «il  costo  del  personale  e'  inferiore  ai  minimi
salariali retributivi indicati nelle apposite tabelle di cui all'art.
41, comma 13». 
    Pare opportuno rammentare che limiti ancora piu' stringenti  sono
previsti in  materia  di  subappalto.  In  coerenza  con  i  principi
generali dettati dall'art. 11 cit., il cui comma 5 prevede, altresi',
che: «Le stazioni appaltanti e gli  enti  concedenti  assicurano,  in
tutti i casi, che le medesime tutele normative  ed  economiche  siano
garantite ai lavoratori in subappalto», l'art.  119,  comma  12,  del
codice dei Contratti pubblici dispone che: «Il subappaltatore, per le
prestazioni  affidate  in  subappalto,  deve  garantire  gli   stessi
standard  qualitativi  e  prestazionali  previsti  nel  contratto  di
appalto e  riconoscere  ai  lavoratori  un  trattamento  economico  e
normativo non inferiore a quello che avrebbe garantito il  contraente
principale». 
    Tale disposizione rende  la  parita'  di  trattamento  la  regola
generale, applicabile a prescindere dalla coincidenza delle attivita'
in subappalto con quelle caratterizzanti l'appalto  principale.  Essa
prosegue prevedendo l'obbligo per il subappaltatore di  «applicare  i
medesimi contratti collettivi  nazionali  di  lavoro  del  contraente
principale, qualora le attivita' oggetto di subappalto coincidano con
quelle caratterizzanti l'oggetto dell'appalto  oppure  riguardino  le
lavorazioni  relative  alle  categorie  prevalenti  e  siano  incluse
nell'oggetto sociale del contraente principale». 
    Dunque, qualora le attivita' in subappalto coincidano con  quelle
caratterizzanti l'oggetto dell'appalto principale, l'art. 119,  comma
12,  secondo  periodo,  cit.  impone  al  subappaltatore  l'ulteriore
obbligo di applicare i medesimi contratti collettivi  del  contraente
principale e non solo di garantire le medesime tutele. 
    Il fondamento degli obblighi derivanti da simili clausole sociali
di trattamento minimo e' stato ravvisato da codesta Corte (sin  dalla
nota sentenza 19 giugno 1998 n. 226) nella  finalita'  di  assicurare
uno standard minimo di protezione sociale in base al principio  della
migliore realizzazione dell'interesse pubblico, «secondo  i  principi
della  concorrenza  tra  imprenditori  (per  ottenere   la   pubblica
amministrazione le condizioni piu' favorevoli)  e  della  parita'  di
trattamento dei concorrenti nella gara  (per  assicurare  il  miglior
risultato  della  procedura   concorsuale   senza   alterazioni   e/o
turbative)». Su questo presupposto le  norme  di  protezione  sociale
trovano la loro giustificazione nell'interesse pubblico al migliore e
piu' efficiente esercizio dell'attivita'  imprenditoriale  svolta  in
regime   di   affidamento   pubblico,    sicche'    esse    risultano
intrinsecamente afferenti a profili di «tutela della concorrenza». 
    In  definitiva,  il  legislatore  statale,  sulla  scorta   della
disciplina sopra ricordata, ha gia' definito un sistema  uniforme  di
tutele  non  negoziabili  spettanti  ai  lavoratori   impiegati   nei
contratti pubblici di appalto e di concessione. Tale sistema attua un
bilanciamento tra la liberta' negoziale dell'impresa e l'esigenza  di
tutela delle condizioni di lavoro, nella prospettiva di una piena  ed
uniforme applicazione delle regole pro-concorrenziali in  materia  di
scelta del contraente, rientranti nella  competenza  esclusiva  dello
Stato. 
    L'esistenza di una disciplina generale ed uniforme  sulla  scelta
del contraente, direttamente afferente alla tutela della concorrenza,
finalizzata ad assicurare l'aggiudicazione  in  favore  del  «miglior
offerente» e a contrastare altresi' fenomeni di concorrenza sleale  e
di dumping salariale,  non  puo'  dunque  essere  derogata,  innovata
ovvero sostanzialmente disattesa a livello regionale. 
    La  disposizione  impugnata  -  introducendo  un  nuovo  criterio
premiale - e' invece idonea a  produrre  effetti  diretti  sull'esito
delle gare e, indirettamente, sulla scelta degli operatori  economici
in ordine alla partecipazione alle stesse, incidendo in  questo  modo
sulla concorrenzialita' per il mercato.  Dall'introduzione  di  detto
criterio premiale, infatti, possono derivare conseguenze sulla minore
o maggiore possibilita' di accesso delle imprese al mercato regionale
dei contratti pubblici. 
    La disposizione regionale impugnata si pone percio' in  contrasto
con l'esigenza di assicurare procedure di evidenza pubblica  uniformi
su tutto il territorio nazionale, in  applicazione  dei  principi  di
libera concorrenza e di non discriminazione. 
    Si impone percio' la  riaffermazione,  anche  nella  specie,  del
consolidato principio  secondo  cui  la  possibilita'  di  introdurre
criteri premiali di  valutazione  delle  offerte  e'  riservata  allo
Stato, cui spetta in generale, nell'esercizio  della  sua  competenza
esclusiva in materia di tutela della concorrenza, definire  il  punto
di equilibrio tra essa e la tutela di altri  interessi  pubblici  con
esso interferenti (ex plurimis, sentenze n. 56 del 2020 e n.  30  del
2016, nonche' sentenza n. 4 del 14 gennaio 2022). 

 
                               P.Q.M. 
 
    Il  Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,   come   sopra
rappresentato e difeso conclude; 
    Voglia la Corte costituzionale accogliere il presente  ricorso  e
per l'effetto dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art.  1
della legge regionale della Toscana del 18 giugno 2025, n. 30. 
    Con l'originale notificato del ricorso si depositera': 
        1) l'estratto della delibera del Consiglio dei ministri del 4
agosto 2025 con relativa relazione; 
        2) la legge regionale della Toscana del 18  giugno  2025,  n.
30, pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana  n.  38
del 27 giugno 2025, recante «Disposizioni in materia  di  tutela  dei
lavoratori nei contratti pubblici di appalti di competenza regionale.
Modifiche alla l.r. 18/2019». 
          Roma, 13 agosto 2025 
 
                L'Avvocato generale aggiunto: Corsini 
 
 
                    L'avvocato dello Stato: Manzo