Reg. Ric. n. 27 del 2025 n° parte 1
pubbl. su G.U. del 10/09/2025 n. 37

Ricorrente:Presidente del Consiglio dei ministri

Resistenti: Regione Siciliana



Oggetto:

Sanità pubblica – Impiego pubblico – Norme della Regione siciliana – Istituzione di aree funzionali per l'interruzione volontaria di gravidanza – Previsione che le aziende sanitarie e ospedaliere, nell'ambito delle ordinarie procedure selettive di reclutamento, dotano tali aree funzionali di idoneo personale non obiettore di coscienza – Previsione che qualora le aziende sanitarie e ospedaliere, per effetto della cessazione dei rapporti di lavoro o di successiva obiezione da parte del personale reclutato, rimangano prive di personale non obiettore, le stesse avviano procedure idonee a reintegrare le aree funzionali del personale non obiettore, nei limiti delle disponibilità delle piante organiche, entro 120 giorni dalla data della presentazione della dichiarazione di obiezione o della cessazione del rapporto di lavoro – Ricorso del Governo – Denunciata previsione di future procedure concorsuali riservate al personale non obiettore di coscienza – Esorbitanza dalle competenze statutarie – Contrasto con la normativa statale di riferimento – Violazione della competenza legislativa esclusiva statale nella materia dell’ordinamento civile – Violazione del principio di uguaglianza – Violazione del principio della parità di trattamento nell’accesso agli uffici pubblici, a fronte della esclusione discriminatoria dei candidati obiettori – Violazione del principio del pubblico concorso – Lesione del principio di ragionevolezza e di proporzionalità – Lesione del diritto inviolabile di obiezione di coscienza.

Norme impugnate:

legge della Regione siciliana  del 05/06/2025  Num. 23  Art. 2  Co. 3



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 19   Co.  

Costituzione  Art. 21   Co.  

Costituzione  Art. 51   Co.

Costituzione  Art. 97   Co.  

Costituzione  Art. 117   Co.

decreto legislativo  Art. 35   Co.

decreto del Presidente della Repubblica  Art.  Co.

legge  Art.  Co.  

Statuto della Regione Siciliana  Art. 17   Co.  




Testo dell'ricorso

                        N. 27 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 07 agosto 2025

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 7  agosto  2025  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Sanita' pubblica - Impiego pubblico - Norme della Regione siciliana -
  Istituzione di aree funzionali  per  l'interruzione  volontaria  di
  gravidanza - Previsione che le  aziende  sanitarie  e  ospedaliere,
  nell'ambito delle ordinarie procedure  selettive  di  reclutamento,
  dotano tali aree funzionali di idoneo personale  non  obiettore  di
  coscienza  -  Previsione  che  qualora  le  aziende   sanitarie   e
  ospedaliere, per effetto della cessazione dei rapporti di lavoro  o
  di successiva obiezione da parte del personale reclutato, rimangano
  prive di personale  non  obiettore,  le  stesse  avviano  procedure
  idonee  a  reintegrare  le  aree  funzionali  del   personale   non
  obiettore, nei limiti delle disponibilita' delle piante  organiche,
  entro 120 giorni dalla data della presentazione della dichiarazione
  di obiezione o della cessazione del rapporto di lavoro. 
- Legge della Regione siciliana  5  giugno  2025,  n.  23  (Norme  in
  materia di sanita'), art. 2, comma 3. 


(GU n. 37 del 10-09-2025)

    Ricorso ai sensi dell'art. 127 Cost. del Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, nei cui uffici domicilia in Roma, via  dei  Portoghesi,  12  -
pec: roma@mailcert.avvocaturastato.it contro la Regione Siciliana, in
persona   del   Presidente    della    Regione    in    carica    per
l'impugnazionedella legge della Regione Siciliana 5 giugno  2025,  n.
23, pubblicata sul Supplemento ordinario n. 1 alla Gazzetta ufficiale
della Regione Siciliana n. 26 del 13 giugno 2025, rubricata «Norme in
materia di sanita'», in relazione al suo articolo 2, comma terzo. 
La disposizione impugnata. 
    Nella seduta del 4 agosto 2025,  il  Consiglio  dei  ministri  ha
deliberato di impugnare la legge regionale della Sicilia  n.  23  del
2025, in relazione al suo articolo 2, comma terzo. 
    La legge regionale siciliana n. 23  del  2025  reca  disposizioni
varie in materia di sanita'. 
    L'articolo 2 della legge regionale,  rubricato  «Aree  funzionali
per l'interruzione volontaria di gravidanza»,  stabilisce,  al  comma
primo, che, ai fini dell'applicazione della legge 22 maggio 1978,  n.
194 e successive modificazioni, le aziende  sanitarie  e  ospedaliere
del Servizio sanitario regionale istituiscano, laddove non siano gia'
presenti, le aree funzionali dedicate all'interruzione volontaria  di
gravidanza  («IVG»)  in  seno  alle  Unita'  operative  complesse  di
ginecologia e ostetricia. 
    Il  comma  secondo  di  tale  articolo  dispone  che  l'assessore
regionale  per  la  salute,   con   proprio   decreto   da   emanarsi
entro novanta giorni dalla data di  entrata  in  vigore  della  legge
regionale,  definisca  gli  indirizzi  relativi  al  funzionamento  e
all'organizzazione delle aree funzionali dedicate all'IVG. 
    Nel primo periodo del comma terzo, il medesimo articolo  2  della
legge regionale prevede che «[l]e Aziende  sanitarie  e  ospedaliere,
nell'ambito delle ordinarie procedure selettive di reclutamento  gia'
previste nei piani triennali dei fabbisogni di personale,  dotano  le
aree funzionali di cui al comma 1 di idoneo personale  non  obiettore
di coscienza». 
    Nel periodo successivo, ultimo di tale comma terzo, l'articolo  2
della legge regionale stabilisce, infine, quanto segue: 
      «Qualora le Aziende sanitarie e ospedaliere, per effetto  della
cessazione dei rapporti di lavoro o di successiva obiezione da  parte
del personale reclutato ai sensi del presente comma, rimangano  prive
di personale non obiettore, le  stesse  avviano  procedure  idonee  a
reintegrare le aree  funzionali  del  personale  non  obiettore,  nei
limiti delle disponibilita' delle piante organiche,  entro centoventi
giorni  dalla  data  della  presentazione  della   dichiarazione   di
obiezione o della cessazione del rapporto di lavoro». 
Il quadro normativo di riferimento. 
    La norma impugnata interferisce con ambiti materiali  che,  oltre
ad   essere   evidentemente   presidiati   da   precetti   di   rango
costituzionale,   sono   regolati   dalla    legislazione    statale,
nell'esercizio della competenza esclusiva in materia  di  ordinamento
civile, quali l'organizzazione dei servizi sanitari - nella misura in
cui   questi   siano   chiamati   a    garantire    gli    interventi
dell'interruzione volontaria della gravidanza nei casi previsti dalla
legge, alla luce del  riconoscimento  del  diritto  all'obiezione  di
coscienza  -  e  la  disciplina  dell'accesso  agli  impieghi   nelle
pubbliche amministrazioni. 
    Con riferimento al primo di tali settori,  viene  in  rilievo  la
legge 22 maggio 1978, n. 194, recante «Norme per  la  tutela  sociale
della maternita' e sull'interruzione volontaria della gravidanza». 
    L'art. 9, comma primo, di tale legge stabilisce che il  personale
sanitario ed esercente  le  attivita'  ausiliarie  non  e'  tenuto  a
prendere parte agli interventi per l'interruzione  della  gravidanza,
oltre  che  alle  procedure  ad  essa  preliminari,  quando   sollevi
obiezione  di   coscienza,   con   preventiva   dichiarazione.   Tale
dichiarazione deve essere comunicata entro un mese dal  conseguimento
dell'abilitazione o dall'assunzione presso un ente tenuto  a  fornire
prestazioni  dirette  alla  interruzione  della  gravidanza  o  dalla
stipulazione di una convenzione con enti previdenziali  che  comporti
l'esecuzione di tali prestazioni. 
    Il successivo comma secondo prevede,  tuttavia,  che  l'obiezione
puo' sempre essere revocata o venire proposta anche al di  fuori  dei
termini di cui al precedente comma, ancorche' con efficacia temporale
differita. 
    In base  a  un'opinione  comunemente  condivisa,  al  diritto  di
obiezione di coscienza deve attribuirsi rango  costituzionale,  sulla
scorta di quanto affermato nella sentenza  n.  467  del  1991,  nella
quale la Corte - in quel caso, con riguardo al servizio militare - ne
ha riconosciuto la natura di diritto inviolabile dell'uomo, che trova
fondamento nella liberta' di coscienza  (1)  e,  segnatamente,  negli
articoli 2, 19 e 21 della Costituzione. (2) 
    In  ragione  del  riconoscimento  del  diritto  all'obiezione  di
coscienza, il comma  quarto  dell'articolo  9  in  esame  stabilisce,
quindi, che «[g]li enti ospedalieri e le  case  di  cura  autorizzate
sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure
previste  dall'art.  7  e   l'effettuazione   degli   interventi   di
interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalita' previste
dagli articoli 5, 7  e  8.  La  regione  ne  controlla  e  garantisce
l'attuazione anche attraverso la mobilita' del personale». 
    Venendo  al  tema  dell'accesso  agli  impieghi  nella   pubblica
amministrazione,  occorre  prendere  le   mosse   dalla   consolidata
giurisprudenza della Corte che, sul fondamento degli  artt.  97,  51,
comma primo e  3  della  Costituzione,  ha  escluso  la  legittimita'
costituzionale di procedure  selettive  riservate,  che  escludano  o
riducano irragionevolmente la possibilita' di  accesso  dall'esterno,
violando il carattere pubblico del concorso (si veda la  sentenza  n.
227 del 2013 e le sentenze n. 293 del 2009 e nn. 100 e 225 del  2010,
ivi richiamate) e che si  risolvano  in  un  privilegio  indebito  in
favore delle persone appartenenti alla  categoria  cui  e'  riservato
l'accesso all'impego pubblico in questione (si veda la sentenza n. 62
del 2012). 
    In continuita' con tale consolidato orientamento si veda, tra  le
piu'  recenti,  la  sentenza  n.  227  del  2021,  che  ha   ritenuto
incostituzionale,  in  base  ai  parametri  sopra   richiamati,   una
disposizione di una legge regionale della  Sardegna  che,  prevedendo
un'ingiustificata deroga al  principio  costituzionale  del  pubblico
concorso,  vincolava  un'amministrazione  regionale  a  bandire   una
procedura concorsuale secondo modalita' tali  da  risolversi  in  una
riserva integrale dei posti messi a concorso  a  favore  di  soggetti
determinati (nella circostanza, i dipendenti di un ente privato). 
    La Corte ha, ben vero, ammesso che  eventuali  restrizioni  della
platea dei soggetti legittimati a  partecipare  al  concorso  possano
eccezionalmente considerarsi ragionevoli in presenza di  «particolari
situazioni, che possano giustificarle per una migliore  garanzia  del
buon andamento dell'amministrazione» (cfr., per tutte, la sentenza n.
373 del 2002). 
    Ogni eventuale, eccezionale, restrizione deve, tuttavia, superare
un vaglio di ragionevolezza e proporzionalita', il quale implica  che
la restrizione medesima deve essere idonea a  realizzare  l'obiettivo
di interesse pubblico perseguito  e  non  deve  andare  oltre  quanto
necessario per garantirlo. 
    Nel nostro caso, come si vedra' piu' diffusamente infra, la norma
regionale impugnata non riesce a superare il test di ragionevolezza e
proporzionalita', in entrambe le descritte direzioni. La disposizione
non e' sufficiente a garantire lo scopo  che  si  propone.  Ed  essa,
nondimeno, va oltre  quanto  necessario  per  ottenerlo,  poiche'  le
finalita' che si propone possono essere  conseguite  con  mezzi  meno
lesivi di altri valori  costituzionali  o  di  situazioni  giuridiche
individuali riconosciute dalla Costituzione. 
    Nel giudizio sulla ragionevolezza e proporzionalita' della norma,
poi, deve necessariamente inserirsi anche il  bilanciamento  tra  gli
interessi  che  vengono  in  gioco  e,  in  questo  contesto,  dovra'
necessariamente tenersi conto del fatto che i principi costituzionali
sacrificati dalla norma regionale non sono esclusivamente quelli  che
fondano la regola del pubblico concorso, ma anche - come si e'  visto
- quelli che presiedono al riconoscimento dell'obiezione di coscienza
quale diritto inviolabile dell'uomo. 
    Trascorrendo agli elementi di diritto positivo rinvenibili  nella
legislazione  statale,  il  principio  del  pubblico  concorso  trova
riscontro nel decreto legislativo 30  marzo  2001,  n.  165,  recante
«Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle  dipendenze  delle
amministrazioni pubbliche», e, in particolare, nell'art. 35, comma 3,
il quale stabilisce quanto segue: 
      «3.   Le   procedure   di    reclutamento    nelle    pubbliche
amministrazioni si conformano ai seguenti principi: 
        a)  adeguata  pubblicita'  della  selezione  e  modalita'  di
svolgimento   che   garantiscano   l'imparzialita'    e    assicurino
economicita'  e  celerita'  di  espletamento,  ricorrendo,   ove   e'
opportuno, all'ausilio di  sistemi  automatizzati,  diretti  anche  a
realizzare forme di preselezione; 
        b) adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti,  idonei  a
verificare il possesso dei  requisiti  attitudinali  e  professionali
richiesti in relazione alla posizione da ricoprire; 
        c) - e-bis) (...)». 
    Il disfavore per i  pubblici  concorsi  interamente  riservati  a
particolari categorie e'  ribadito  dal  «Regolamento  recante  norme
sull'accesso agli  impieghi  nelle  pubbliche  amministrazioni  e  le
modalita' di svolgimento dei concorsi, dei  concorsi  unici  e  delle
altre  forme  di  assunzione  nei  pubblici  impieghi»  (decreto  del
Presidente della Repubblica 24 agosto 1994, n. 497), che all'art.  5,
comma 1, stabilisce che «[n]ei pubblici concorsi, le riserve di posti
in favore di particolari categorie di cittadini, comunque denominate,
non possono complessivamente superare la  meta'  dei  posti  messi  a
concorso». Benche' tale regolamento non sia direttamente  applicabile
al reclutamento del personale del Servizio  sanitario  nazionale,  e'
evidente che il comma  teste'  trascritto  recepisce  ed  enuncia  un
principio   fondamentale   della   materia,   che   permea   l'intera
legislazione statale. 
    La  Corte  ha,  del  resto,   ripetutamente   chiarito   che   le
disposizioni contenute nell'art. 35 del decreto  legislativo  n.  165
del 2001 e del Regolamento sull'accesso agli impieghi  «esprimono  il
carattere indefettibile del  pubblico  concorso,  che  ritrova  nella
natura aperta della procedura selettiva, in piu'  occasioni  ribadita
[dalla] Corte (ex plurimis, sentenze n. 95 del 2021, n. 227 del 2013,
n. 299 del 2011, n. 225 del 2010 e n. 293 del 2009), un suo  elemento
essenziale» (cosi' la sentenza n.  140  del  2023,  punto  7.1  della
motivazione in diritto). 
    La disposizione della legge regionale  impugnata  e'  illegittima
per i seguenti. 
 
                               Motivi 
 
1) In relazione  all'art.  117,  comma  secondo,  lettera  l),  Cost.
violazione della potesta' legislativa  esclusiva  dello  Stato  nella
materia dell'«ordinamento  civile».  Violazione  dell'art.  17  della
legge  costituzionale   n.  2  del  1948  («Statuto   della   Regione
Siciliana»). 
    Si e' visto che l'art. 2, comma  3,  della  legge  della  Regione
Siciliana  n.  23  del  2025  prescrive  alle  aziende  sanitarie   e
ospedaliere di dotare le aree dedicate all'interruzione volontaria di
gravidanza di personale non obiettore di coscienza e che tali enti  -
al ricorrere delle condizioni previste dal medesimo comma  -  debbano
avviano procedure idonee a reintegrare le aree funzionali di medici e
altro personale sanitarie non obiettore. 
    In altri  termini  -  e  cosi'  evidentemente  esorbitando  dalle
competenze statutarie della Regione Siciliana -  la  norma  censurata
finisce per prefigurare future  procedure  concorsuali  riservate  al
personale  non  obiettore  di  coscienza,   interferendo,   in   modo
costituzionalmente non consentito,  sui  requisiti  di  accesso  agli
impieghi pubblici. 
    Ne risulta, conseguentemente, violato l'art. 117, secondo  comma,
lettera l),  della  Costituzione,  che  attribuisce  alla  competenza
legislativa  esclusiva  dello  Stato  la  disciplina  della   materia
dell'ordinamento  civile,  cui  appartiene   la   definizione   delle
procedure e dei requisiti di accesso  agli  impieghi  della  pubblica
amministrazione (si confronti, al riguardo, la sentenza  n.  255  del
2022), al pari dell'art. 17 dello Statuto  della  Regione  Siciliana,
che richiama «i limiti dei principi  ed  interessi  generali  cui  si
informa la legislazione dello Stato». 
    La  norma  viola,  in  particolare,   il   parametro   interposto
dell'articolo 35, comma 3, lett. b), del decreto legislativo  n.  165
del 2001, nonche' quello dell'articolo 5, comma 1,  del  decreto  del
Presidente della Republica 9 maggio 1994, n. 487, in tema di  riserve
nei concorsi, nella misura in cui, come gia'  condiviso  dalla  Corte
nella citata sentenza n. 140 del  2023  e  nella  giurisprudenza  ivi
richiamata, questo codifica un principio fondamentale  della  materia
dell'accesso ai pubblici impieghi (e  delle  disposizioni  settoriali
per l'accesso alle professioni sanitarie). 
    Parimenti violato e' il parametro interposto costituito dall'art.
9 della legge n. 194 del 1978, visto che questo non prevede eccezioni
ai descritti principi generali in materia di  accesso  agli  impieghi
pubblici, tanto meno l'indizione di concorsi riservati  al  personale
non obiettore,  quale  mezzo  per  assicurare  l'effettuazione  degli
interventi di interruzione della gravidanza e le  procedure  ad  essi
preliminari, ma rinvia a modalita' diverse,  quali  le  procedure  di
mobilita' del personale. 
    Si e' visto, infatti, che il plesso normativo statale non  impone
alle regioni di garantire la presenza nei ruoli sanitari di personale
non obiettore,  ma  l'obbligo  «di  assicurare  l'espletamento  degli
interventi interruttivi richiesti». 
    Tale obbligo puo' essere assolto anche attraverso  diverse  forme
di  rapporto  con  la  pubblica  amministrazione,  che  vanno   dalla
mobilita' temporanea, all'utilizzo di forme di lavoro flessibile. 
    In ogni  caso,  anche  nella  denegata  ipotesi  in  cui  volesse
immaginarsi per un attimo - la necessita'  di  derogare  ai  principi
suddetti mediante una  limitazione  nell'accesso  ai  concorsi,  tale
restrizione dovrebbe trovare la propria fonte giustificatrice in  una
norma di legge statale, che solo potrebbe giustificare le limitazioni
de quibus purche' ricollegabili a esigenze obiettive e comunque volte
a escludere trattamenti  differenziati  (il  diritto  vivente  appare
consolidato in tale senso, fin da  Tar  Liguria,  sentenza  3  luglio
1980, 396). 
    Non v'e', infatti, chi non  veda  come  la  ricerca  di  un  tale
delicato punto di equilibrio spetti in via esclusiva  al  legislatore
statale in quanto in condizione di compiere una valutazione globale e
omnicomprensiva dei molteplici  interessi  rilevanti  e,  quindi,  in
grado di assicurare l'effettivita'  e  la  continuita'  del  servizio
esame in termini uniformi sull'intero territorio nazionale. 
2)  Violazione  degli  artt.  3,  51,  comma  primo,   e   97   della
Costituzione. 
    Il vizio sopra  denunciato  e'  assorbente  e  si  ritiene  possa
rendere superfluo l'esame delle ulteriori  censure  che  si  vanno  a
proporre. 
    In ogni caso, la norma in  esame,  nella  misura  in  cui  incide
negativamente sulla possibilita' di tutti i potenziali  aspiranti  di
partecipare alle procedure concorsuali, viola, altresi', il  disposto
di cui agli  articoli  3  e  97  della  Costituzione,  oltre  che  il
principio della parita' di accesso  agli  uffici  pubblici  enunciato
nell'art. 51, comma primo, Cost.. 
    La prospettata formula concorsuale «riservata», infatti, lede  il
principio fondamentale di eguaglianza, nella misura  in  cui  esclude
determinate categorie di soggetti in ragione delle  loro  convinzioni
personali e morali. Ancorche' la  disciplina  regionale  non  preveda
espressamente una procedura selettiva riservata  ai  soli  obiettori,
una tale riserva risulta giocoforza imposta dalla circostanza che  la
procedura e' avviata per la sola selezione di personale  da  dedicare
al servizio di interruzione volontaria della gravidanza  (sub  specie
«di idoneo personale non obiettore di coscienza») e, per cio' stesso,
lede la liberta' di accedere al concorso da parte di chi ritenga tale
pratica  inconciliabile  con  le  ragioni  della  propria  coscienza,
risolvendosi   in   un'esclusione   discriminatoria   dei   candidati
obiettori. 
    In altre parole, il pregiudizio ai suddetti valori costituzionali
- di per  se'  indotto  dalla  previsione  di  concorsi  riservati  a
particolari  categorie  -  e'  aggravato  dalla  circostanza  che   i
requisiti sui quali si fonda la selezione degli ammessi  al  concorso
attiene ad aspetti che coinvolgono scelte fondamentali di  coscienza,
che - oltre a non poter  essere  oggettivamente  verificati  all'atto
della partecipazione al concorso - non riguardano ne'  le  competenze
professionali,  ne'  il  merito.  Individuare  in  tali  aspetti   il
requisito per l'accesso al pubblico  impiego  realizza,  quindi,  una
palese discriminazione fondata sulle convinzioni personali di  natura
etico - morale. 
    E,  per  altro  verso,  tale   restrizione   della   platea   dei
partecipanti - fondata, come detto,  su  caratteristiche  diverse  da
quelle professionali e di merito - induce, di per se', un  vulnus  al
buon  andamento  della  pubblica  amministrazione,  poiche'  nega  la
massima partecipazione e  preclude,  di  conseguenza,  una  selezione
ottimale delle risorse umane. 
    Lungi  dal  rappresentare   un'equilibrata   soluzione   per   il
contemperamento  dei  contrapposti  interessi  in  gioco,  la  misura
legislativa   regionale   si   dimostra,   poi,    irragionevole    e
sproporzionata. 
    Si e' visto, infatti, che la legge n. 194 del 1978 riconosce  che
il diritto all'obiezione di coscienza per il personale sanitario puo'
essere esercitato in qualsiasi momento.  Ne',  tale  legge,  potrebbe
prevedere qualcosa di diverso, stante  la  natura  di  incomprimibile
diritto  fondamentale,  di  rango  costituzionale,  del  diritto   di
obiezione di coscienza. 
    Non  e',  dunque,  in  alcun  modo  evitabile  che   coloro   che
risulteranno vincitori delle selezioni  pubbliche  prefigurate  dalla
legge regionale in esame possano dichiararsi obiettori in un  momento
successivo all'assunzione. Il che ben potrebbe  verificarsi  -  anche
indipendentemente da ogni  dolosa  preordinazione  al  momento  della
partecipazione al concorso - in ragione del fatto che  si  tratta  di
scelte di coscienza che possono  maturare  o  mutare  nel  tempo  (in
relazione alla formazione individuale,  spirituale  ed  esperienziale
dell'individuo). 
    Tanto meno il contratto di lavoro potrebbe impedire al medico  di
manifestare l'obiezione di coscienza o prevedere la  risoluzione  del
rapporto in caso di obiezione sopravvenuta. 
    Ne consegue che il ricorso  a  procedure  selettive  come  quelle
delineate dalla legge in esame, nonostante l'arrecato  pregiudizio  a
valori costituzionali, non sarebbe comunque risolutivo nel  garantire
il risultato che il legislatore regionale si prefigge. 
    Oltre che sproporzionata, per cosi' dire, «per difetto», la norma
lede il principio di  proporzionalita'  anche  per  eccesso,  andando
oltre  quanto  necessario  per  assicurare  i  servizi  sanitari  che
attengono all'effettuazione degli interventi  di  interruzione  della
gravidanza all'espletamento delle connesse procedure, come  richiesto
dall'art. 9, comma quarto, della legge n. 194 del 1978. 
    Risulta, infatti, del tutto indimostrato che l'obiettivo  che  la
legge regionale si propone non possa  essere  conseguito  con  misure
meno lesive di valori costituzionali - segnatamente, il principio del
pubblico concorso e il diritto inviolabile di obiezione di  coscienza
- quali, come gia' rilevato, le procedure di mobilita' (cui allude il
citato art. 9, comma quarto, citato) o il ricorso a forme  di  lavoro
flessibile. 
3) Violazione degli artt. 2, 19 e 21 della Costituzione. 
    La norma impugnata viola, altresi', le norme in rubrica, gia' per
il fatto di realizzare una discriminazione fondata sulle  convinzioni
personali e di coscienza. 
    Ma essa le viola anche nel momento  in  cui  pone  in  insanabile
conflitto la  liberta'  di  coscienza  -  che  tali  norme  tutelano,
riconoscendo il diritto di obiezione quale diritto fondamentale  -  e
il diritto al lavoro, garantito dall'art. 4 della Costituzione. 
    Ammettere che si diano procedure concorsuali riservate ai  medici
e al personale sanitario non obiettore di  coscienza  vorrebbe  dire,
infatti, porre degli individui dinnanzi alla alternativa - per  certi
versi drammatica - di dover  privilegiare  le  proprie  necessita'  e
aspirazioni personali e di vita rispetto alle ragioni  della  propria
coscienza, minando  la  relativa  liberta',  tutelata  dal  combinato
disposto dei richiamati articoli della Costituzione. 
    Cio' tanto piu' ove si consideri che - anche a  voler  ipotizzare
che  il  diritto  inviolabile  in  questione  sia  in  certa   misura
bilanciabile con altri interessi di rango costituzionale -  la  norma
regionale impugnata, come piu' volte evidenziato, individua un  punto
di equilibrio del tutto irragionevole,  dimostrandosi  inadeguata  al
conseguimento di quegli interessi e sproporzionata, nella  misura  in
cui quei medesimi interessi possono essere conseguiti con mezzi  meno
invasivi delle liberta' degli individui. 
    Anche per  tali  ragioni,  pertanto,  la  disposizione  di  legge
regionale impugnata deve essere annullata. 

(1) Si veda, in tal senso, la sentenza n. 43  del  1997,  secondo  la
    quale gli «artt. 2, 3, 19 e 21, primo comma,  della  Costituzione
    (...), come riconosciuto dalla  giurisprudenza  di  questa  Corte
    (sentenze nn. 196 del 1987 e 467 del 1991), contengono un insieme
    di elementi normativi convergenti nella  configurazione  unitaria
    di un  principio  di  protezione  dei  cosiddetti  diritti  della
    coscienza» (punto 5 della motivazione in diritto). 

(2) Nello stesso senso, sempre in  tema  di  obiezione  di  coscienza
    rispetto al  servizio  militare,  si  vedano,  per  tutte,  Corte
    europea dei diritti dell'Uomo, 7 luglio 2011, Bayatyan c. Armenia
    e 7 giugno  2016,  Ydemir  c.  Turchia,  che  fanno  applicazione
    dell'art.  9  della  Convenzione  («Liberta'  di   pensiero,   di
    coscienza e di religione»). Il diritto all'obiezione di coscienza
    e', del  resto,  riconosciuto  come  diritto  fondamentale  dalla
    generalita' delle nazioni civili, sovente in forma espressa nelle
    Carte costituzionali: cfr., ad esempio, i Paesi Bassi all'art. 99
    della propria Costituzione, l'Austria all'art. 9, comma terzo, la
    Spagna all'art. 30, commi secondo e terzo, il Portogallo all'art.
    41 comma quinto. 

 
                               P.Q.M. 
 
     Alla stregua di quanto precede si  confida  che  codesta  Ecc.ma
Corte  vorra'  dichiarare  l'illegittimita'  dell'articolo  2,  comma
terzo, legge della Regione Siciliana 5 giugno 2025, n. 23. 
    Con l'originale notificato del ricorso si depositera'  l'estratto
della delibera del Consiglio dei ministri del 4 luglio 2025. 
      Roma, 7 luglio 2025 
 
                 L'Avvocato dello Stato: Fiorentino