N. 436
SENTENZA 25 MARZO-14 APRILE 1988
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 12 giugno 1984, n. 222 ("Revisione della disciplina della invalidità pensionabile") promossi con ordinanze emesse il 28 ottobre 1985 dal Pretore di Campobasso, il 25 ottobre 1985 dal Pretore di Pavia, il 4 febbraio 1986 dal Pretore di Salerno, il 21 febbraio 1986 dal Pretore di Lecce, il 13 marzo 1986 dal Tribunale di Rimini, il 27 febbraio 1986 dal Pretore di Ancona, il 26 giugno 1986 dal Tribunale di Pavia, il 23 giugno 1986 dal Pretore di Milano, il 14 ottobre 1986 dal Pretore di Genova, il 5 novembre 1986 dal Tribunale di Pistoia, il 16 gennaio 1987 dal Pretore di Bologna, il 28 gennaio 1987 dal Pretore di Torino, il 17 dicembre 1986 dal Tribunale di Pistoia (n. 2 ordinanze), il 4 febbraio 1987 dal Pretore di Brindisi, il 20 settembre 1986 dal Pretore di Frosinone, il 13 marzo 1987 dal Pretore di Pavia, il 7 gennaio e il 4 febbraio 1987 dal Tribunale di Pistoia, il 10 marzo 1987 dal Pretore di Genova e il 13 marzo e il 6 aprile 1987 dal Pretore di Torino, rispettivamente iscritte ai nn. 853 e 905 del registro ordinanze 1985, nn. 271, 288, 357, 415, 603, 689 e 834 del registro ordinanze 1986 e nn. 3, 84, 107, 113, 114, 155, 181, 230, 238, 239, 248, 265 e 266 del registro ordinanze 1987 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 16, 22, 36, 35, 38, 43, 51 e 57 dell'anno 1986 e nn. 7, 8, 14, 15, 20, 22, 26, 27 e 29 dell'anno 1987;
Visti gli atti di costituzione di Cuomo Maria, Altieri Italia, Agù Maria, Tomaino Angela, Gramignazzo Giorgina, Samaroli Adele, Papini Asmara e dell'I.N.P.S. nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 10 novembre 1987 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;
Uditi gli avvocati Salvatore Cabibbo per Gramignazzo Giorgina, Franco Agostini per Samaroli Adele e Papini Asmara e Luigi Maresca per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Luigi Siconalfi per il Presidente del Consiglio dei ministri;
Ritenuto in fatto
1. - In ventidue procedimenti promossi da lavoratori iscritti al regime dell'assicurazione generale obbligatoria, al fine di ottenere l'accertamento del proprio diritto alla pensione di inabilità o all'assegno di invalidità, diversi giudici ordinari hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale della norma contenuta nell'art. 3 della legge 12 giugno 1984, n. 222 che vieta la liquidazione dei predetti trattamenti a coloro che presentino la relativa domanda successivamente al compimento dell'età pensionabile.
Poiché le pretese azionate davanti ai giudici remittenti concernevano per l'appunto domande che l'istituto assicuratore aveva respinto in ragione del suddetto divieto, la rilevanza della questione, nella maggior parte dei casi, è ritenuta in re ipsa, senza alcun riferimento all'applicabilità temporale del nuovo regime introdotto dalla legge n. 222 del 1984 alle fattispecie in esame. Tale aspetto, in relazione al momento di presentazione della domanda o del sorgere dello stato invalidante, viene invece considerato nelle ordinanze dei Pretori di Pavia (r.o. n. 905 del 1985 e n. 230 del 1987), di Milano (r.o. n. 689 del 1986) e di Torino (r.o. n. 107 del 1987), mentre, nessuna motivazione sulla rilevanza o concreta indicazione dell'oggetto del giudizio offre l'ordinanza del Tribunale di Rimini in data 13 marzo 1986 (r.o. n. 357 del 1986).
La norma impugnata è censurata con esclusivo riferimento o all'art. 3 (Pretore di Campobasso ord. 28 ottobre 1985 n. 835 del 1985), o all'art. 38 della Costituzione (Pretore di Pavia 25 ottobre 1985 r.o. n. 905 del 1985 e 13 marzo 1987 r.o. n. 230 del 1987, Tribunale di Rimini 13 marzo 1986 r.o. n. 357 del 1986, Tribunale di Pavia 26 giugno 1986 r.o. n. 603 del 1986, Pretore di Milano 23 giugno 1986 r.o. n. 689 del 1986, Pretore di Genova 14 ottobre 1986 r.o. n. 834 del 1986, Pretore di Frosinone 20 settembre 1986 n. 181 del 1987), ovvero per violazione di entrambi i parametri costituzionali (Pretore di Salerno 4 febbraio 1986 r.o. n. 271 del 1986, Pretore di Lecce 21 febbraio 1986 r.o. n. 288 del 1986, Tribunale di Pistoia 5 novembre 1986 r.o. n. 3 del 1987, 17 dicembre 1986 r.o. n. 113 del 1987 e n. 114 del 1987, 7 gennaio 1987 r.o. n. 238 del 1987 e 4 febbraio 1987 r.o. n. 239 del 1987, Pretore di Bologna 16 gennaio 1987, r.o. n. 84 del 1987, Pretore di Torino 28 gennaio 1987 r.o. n. 107 del 1987, 13 marzo 1987 r.o. n. 265 del 1987 e 6 aprile 1987 r.o. n. 266 del 1987, Pretore di Brindisi 4 febbraio 1987 r.o. n. 155 del 1987, Pretore di Genova 10 marzo 1987 r.o. n. 248 del 1987), oltre che dell'art. 53 Cost. (Pretore di Ancona 27 febbraio 1986 r.o. n. 415 del 1986).
2. - L'esclusione della copertura del rischio di inabilità o invalidità dopo il compimento dell'età pensionabile determinerebbe, ad avviso dei giudici remittenti, una lesione del principio di eguaglianza per l'ingiustificata disparità di trattamento che si verrebbe a creare, fra categorie di soggetti che, avendo entrambe e a prescindere dal fattore dell'età, il diritto di lavorare e l'obbligo di versare i relativi contributi, si trovano nella medesima condizione e sono tuttavia discriminate in relazione al mero raggiungimento di una determinata età.
Tale discriminazione non potrebbe poi giustificarsi neanche con la eventuale previsione di una garanzia per il lavoratore invalido di fruire comunque di altri redditi o trattamenti previdenziali, (pensione di vecchiaia o pensione sociale), aspetto questo del tutto ignorato dalla disposizione impugnata.
Un'ulteriore ed irrazionale disparità di trattamento fra soggetti che, per invalidità e requisiti contributivi, versano in identica situazione, si determinerebbe anche in relazione al diverso momento in cui può insorgere lo stato invalidante o viene presentata la relativa domanda, nonché in riferimento al diverso limite di età pensionabile stabilito per i lavoratori dipendenti (55 e 60 anni) e per i lavoratori autonomi (65 anni), ovvero alla diversa consistenza della posizione contributiva che gli iscritti ad una medesima gestione maturano nel tempo.
3. - La disposizione denunciata, inoltre, ad avviso dei giudici remittenti violerebbe anche il secondo comma dell'art. 38 della Costituzione privando il lavoratore invalido della relativa tutela e, addirittura, di ogni altra tutela previdenziale nell'ipotesi in cui non abbia ancora maturato il diritto alla pensione di vecchiaia o alla pensione sociale.
Le argomentazioni poste a sostegno della questione, variamente prospettata possono così sintetizzarsi:
a) la norma censurata non realizza affatto il principio di gradualità nell'attuazione della tutela previdenziale, ed infatti il requisito negativo che essa prescrive non è collegato alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia ma bensì al raggiungimento dell'età pensionabile. D'altra parte, lo stesso legislatore, all'art. 1, decimo comma, della legge n. 222 del 1984, ha espressamente stabilito che al compimento dell'età prescritta per il diritto a pensione di vecchiaia, l'assegno di invalidità si trasforma in pensione di vecchiaia soltanto in presenza dei necessari requisiti di assicurazione e contribuzione;
b) nella fattispecie sottoposta all'esame della Corte si realizza invece una vera e propria ipotesi di mancata tutela del lavoratore invalido che nulla ha a che vedere con la discrezionalità di cui il legislatore gode nella determinazione delle modalità di attuazione del sistema previdenziale;
c) gli unici limiti che la Costituzione consente di porre alla tutela assicurativa sono quelli attinenti alla specifica posizione del lavoratore e consistenti in una apprezzabile durata della sua attività (requisiti contributivi) e nella sussistenza del rapporto assicurativo al momento in cui si verifica l'evento protetto; il mancato raggiungimento dell'età pensionabile costituisce pertanto un limite non omogeneo alla tutela costituzionale;
d) l'esclusione della tutela previdenziale posta in essere dalla norma denunciata risulta ancor più incongruente se si considera che, da un lato, il diritto al lavoro non incontra limiti in ragione dell'età e, che, dall'altro, il nostro ordinamento prescrive l'obbligo contributivo prescindendo da ogni riferimento all'età del lavoratore (artt. 27 l. 4 aprile 1952, n. 218 e 1 d.P.R. 27 aprile 1957, n. 818);
e) la norma denunciata infine costringerebbe a continuare a lavorare, o ad impegnare improbabili risorse finanziarie per effettuare versamenti volontari, una categoria di soggetti che, per età e condizioni di salute, non ha più una consistente capacità lavorativa.
4. - La negazione dell'assegno di invalidità all'assicurato in età pensionabile, che non ha maturato il diritto ad altri trattamenti previdenziali, violerebbe, ad avviso del Pretore di Ancona, (r.o. n. 415 del 1986), anche l'art. 53 Cost., in quanto la non utilizzazione della contribuzione obbligatoriamente versata si risolverebbe in un prelievo fiscale attuato senza alcun riferimento alla capacità contributiva.
5. - In tutti i giudizi conseguenti alle ordinanze di rimessione si è costituito l'I.N.P.S.. È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, per il tramite dell'Avvocatura dello Stato, fatta eccezione per i giudizi introdotti con le ordinanze dei Pretori di Brindisi (r.o. 155/87), di Frosinone (r.o. 181/87), di Pavia (r.o. 230/87), di Torino (r.o. 266/87) e dei Tribunali di Pistoia (r.o. 239/87) e Rimini (r.o. 356/86). Infine nei giudizi promossi dai Pretori di Salerno (r.o. 271/86), di Lecce (r.o. 288/86), di Ancona (r.o. 415/86), di Bologna (r.o. 84/87), di Torino (r.o. 265 e 266/87) e dal Tribunale di Pistoia (r.o. 239/87) si sono costituite le parti attrici dei procedimenti a quibus.
6. - Nei vari atti depositati dalla difesa di quest'ultime si ribadiscono sostanzialmente le argomentazioni svolte dai giudici remittenti, sottolineandone l'una o l'altra.
Soltanto in relazione al giudizio promosso dal Tribunale di Pistoia con ordinanza del 4 febbraio 1987 (r.o. 239/87), si prospetta la probabile irrilevanza della questione sollevata sul presupposto che la parte attrice avesse presentato domanda in via amministrativa in epoca anteriore all'entrata in vigore della legge 222 del 1984. In tal caso, infatti, la norma impugnata, non avendo effetto retroattivo, non risulterebbe applicabile.
Nel merito, si insiste sui profili discriminatori della norma censurata nei rapporti tra soggetti che, pur trovandosi nella medesima situazione di invalidità e di contribuzioni, vedono riconosciuto il loro diritto al trattamento pensionistico soltanto in ragione di un elemento di natura meramente temporale.
7. - Nei suoi atti difensivi l'Istituto assicuratore ha eccepito l'irrilevanza delle questioni sotto i seguenti profili:
a) in relazione a quasi tutti i giudizi promossi dinanzi a questa Corte, per il mancato accertamento preliminare, da parte del giudice a quo, dell'esistenza dei requisiti di assicurazione e di contribuzione ovvero dello stato di invalidità o di entrambi i presupposti;
b) per i giudizi conseguenti alle ordinanze di rimessione dei Pretori di Pavia (r.o. 905/85 e 230/87), di Milano (r.o. 689/86) e di Torino (r.o. 265 e 266/87), nonché dei Tribunali di Rimini (r.o. 357/86), di Pavia (r.o. 603/86) e di Pistoia (r.o. 3/87, 238 e 239/87), in dipendenza della erronea ritenuta applicabilità della norma impugnata anche alle domande in via amministrativa presentate prima dell'entrata in vigore della legge n. 222 del 1984. Viene in proposito, menzionata una recente giurisprudenza della Cassazione che escluderebbe la predetta applicabilità;
Deduce poi nel merito che dal principio, pacifico in dottrina e giurisprudenza, della unitarietà e complessità del rapporto assicurativo obbligatorio, discenderebbe il corollario dell'alternatività delle prestazioni pensionistiche. Essendo infatti l'assicurazione obbligatoria unica per i due distinti eventi dell'invalidità e della vecchiaia, l'avverarsi dell'uno precluderebbe il diritto al conseguimento della prestazione relativa al verificarsi dell'altro.
Poiché, peraltro, la pensione di vecchiaia (prevista al compimento di una certa età che il legislatore ha collegato ad un apprezzabile decadimento fisico tale da non consentire un normale guadagno) coprirebbe anche il rischio di invalidità verificatosi dopo l'età pensionabile, le prestazioni collegate allo stato di bisogno derivante dalla diminuita capacità di lavoro resterebbero precluse dal raggiungimento di tale limite.
La tesi esposta troverebbe conferma anche nell'art. 1, 10° comma, e 2, legge 222/84, che rispettivamente prevedono la trasformazione dell'assegno di invalidità in pensione di vecchiaia, e, con criteri mutuati da quest'ultima, la quantificazione della pensione di inabilità.
L'ente previdenziale ritiene infine che la temporanea carenza di tutela per un soggetto che, pur avendo versato un certo numero di contributi, non riesca a perfezionare i requisiti per il diritto a prestazioni previdenziali e debba così attendere un periodo più o meno lungo per il conseguimento delle prestazioni medesime, versando ulteriori contributi che consentano il perfezionamento dei requisiti di legge, costituisca un fenomeno connaturale all'uso della discrezionalità legislativa nell'attuazione della tutela previdenziale.
8. - L'Avvocatura dello Stato, in relazione al giudizio introdotto dal Pretore di Campobasso con ordinanza del 28 ottobre 1985 (r.o. 853/85), eccepisce la possibile irrilevanza della questione sollevata. Ed infatti, non precisando il giudice a quo a qual titolo la ricorrente ultrasessantenne già godrebbe di un'adeguata posizione assicurativa, ben potrebbe la stessa consistere in una pensione di vecchiaia, rendendo così giustificabile, in virtù di quanto prescrive il 10° comma dell'art. 1 della legge 222/84, il mancato riconoscimento dell'assegno di invalidità.
Nel merito degli altri giudizi, l'Avvocatura osserva che la ratio della norma sospettata di incostituzionalità va rinvenuta nell'esigenza di contrastare un fenomeno di dilatazione e di abuso delle pensioni di invalidità. La disciplina anteriore alla legge 222/84 consentiva infatti ad un soggetto in età pensionabile, ma privo dei requisiti di anzianità contributiva per il riconoscimento della pensione di vecchiaia, di fruire del trattamento di invalidità, al di fuori delle finalità originarie dell'istituto.
La prefissione di un termine oltre il quale non si ha più diritto al trattamento di invalidità risulterebbe invece coerente con la esigenza di tutelare il lavoratore "di fronte ad eventi che lo colpiscono nel lasso di tempo in cui è da ritenersi sia effettivamente e concretamente presente sul mercato del lavoro", il che costituisce la ratio specifica dell'istituto.
L'Avvocatura nega infine la possibilità di una violazione dell'art. 53 Cost., esulando dalla materia previdenziale ogni aspetto impositivo.
Considerato in diritto
1. - Con ventidue ordinanze emesse da diverse autorità giudiziarie è stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 12 giugno 1984 n. 222, il quale stabilisce che l'assegno di invalidità e la pensione di inabilità, previsti dalla legge stessa, non possano essere liquidati agli iscritti nell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti e nelle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, che presentino domanda successivamente al compimento dell'età pensionabile.
In una delle ordinanze si sostiene che la norma impugnata violerebbe l'art. 3 Cost., in altre l'art. 38, secondo comma, in altre ancora entrambi i parametri costituzionali predetti, ed in altra, infine, l'art. 53 Cost.
1.2 - In riferimento all'art. 3 Cost., si sostiene nelle varie ordinanze di rimessione, con argomentazioni sostanzialmente analoghe, che si creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento fra due categorie di soggetti, che sarebbero discriminate in ragione del mero raggiungimento dell'età pensionabile, laddove entrambe hanno il diritto di lavorare e l'obbligo di versare i contributi.
Tale discriminazione sarebbe ancora più evidente, si rileva, quando il lavoratore, pur avendo raggiunto l'età pensionabile, non goda di altri redditi né di altri trattamenti previdenziali come la pensione di vecchiaia o quella sociale.
Ulteriore ingiustificata disparità viene ravvisata in relazione sia al diverso momento in cui può insorgere lo stato invalidante o viene presentata la relativa domanda, sia al diverso limite di età pensionabile stabilito fra i lavoratori dipendenti e i lavoratori autonomi, sia alla diversa consistenza della posizione contributiva che gli iscritti ad una medesima gestione maturano nel tempo.
In riferimento all'art. 38 Cost., secondo comma, si sostiene che la norma denunciata priverebbe il lavoratore invalido della relativa tutela e, addirittura, di ogni altra tutela previdenziale, nell'ipotesi in cui non abbia ancora maturato il diritto alla pensione di vecchiaia o quella sociale.
Per quel che riguarda infine l'art. 53 Cost., si rileva che la mancata utilizzazione della contribuzione obbligatoriamente versata si risolverebbe, per chi non abbia maturato altri trattamenti previdenziali, in un prelievo fiscale attuato senza alcun riferimento alla capacità contributiva.
2. - Previa riunione per connessione di tutti i giudizi promossi con le ordinanze in epigrafe, deve essere in primo luogo disattesa l'eccezione di inammissibilità sollevata dall'INPS che, costituita in tutti i giudizi conseguenti alle ordinanze di rimessione, ha dedotto, in relazione alla maggior parte di esse, l'irrilevanza della questione, per essere mancato, da parte dei giudici a quibus, il preliminare accertamento circa l'esistenza dei requisiti di assicurazione e di contribuzione, ovvero dello stato di invalidità o di entrambi i presupposti.
In proposito è sufficiente osservare che, nell'ordine logico delle questioni da affrontare da parte del giudice, adito per il riconoscimento del diritto al trattamento di invalidità, è da ritenersi senz'altro prioritaria quella che concerne il possesso del requisito dell'età, cioè di un requisito di carattere generale direttamente rilevabile, la cui mancanza preclude ogni ulteriore accertamento circa il possesso degli altri requisiti da valutarsi invece, caso per caso, in base a ben più complessa indagine.
3. - È invece manifesta l'inammissibilità della questione sollevata dal Tribunale di Rimini (reg. ord. n. 357 del 1986), in quanto l'ordinanza di rimessione non è motivata né sul punto della rilevanza né su quella della non manifesta infondatezza, come prescrive l'art. 23 della legge 11 marzo 1957, n. 87.
4. - Fondata è poi l'eccezione di inammissibilità per irrilevanza, dedotta dall'INPS, in relazione ad alcune ordinanze di rimessione, nonché da una delle altre parti private costituite - relativamente alla ordinanza che la concerne - nell'assunto che la norma denunciata non si applicherebbe nell'ipotesi di presentazione della domanda in via amministrativa prima della sua entrata in vigore.
Al riguardo va rilevato che, nel senso della inapplicabilità di tale disposizione, relativamente alle domande presentate in via amministrativa anteriormente al 1° luglio 1984, data di entrata in vigore della legge, è la giurisprudenza della Cassazione (v. sent., Sez. Lav., n. 5486 del 22 giugno 1987 e n. 6219 del 15 luglio 1987) e, quindi, la posizione dei lavoratori che si trovino in tale condizione è regolata dalla normativa precedente.
Ne consegue l'inammissibilità, per irrilevanza della questione, in quanto risulta dagli atti che ricorre tale evenienza, relativamente ai giudizi sollevati con le ordinanze nn. 905 del 1985, 603 e 689 del 1986, 3, 238, 265 e 266 del 1987, adottate rispettivamente dal Pretore di Pavia, dal Tribunale di Pavia, dal Pretore di Milano, dal Tribunale di Pistoia e dal Pretore di Torino.
5. - La questione, sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. ed all'art. 38, comma secondo, Cost., è fondata.
Al fine della soluzione della questione prospettata, occorre premettere che la legge n. 222 del 1984 ha completamente innovato al sistema precedente in tema di trattamenti previdenziali connessi alla invalidità, dei lavoratori iscritti all'Assicurazione per l'invalidità di vecchiaia, e superstiti (I.V.S.) dell'I.N.P.S., disciplinando nell'art. 1 l'assegno di invalidità, connesso alla diminuita capacità lavorativa, e nell'art. 2 un nuovo trattamento, la pensione di inabilità, connesso al grado di assoluta incapacità.
Entrambi gli articoli richiamati, nel disciplinare gli anzidetti istituti, si occupano delle ipotesi di incompatibilità dei trattamenti anzidetti con altri trattamenti previdenziali, coordinandoli fra loro e prevedendo in particolare, quanto all'assegno di invalidità (art. 1, comma decimo, della legge n. 222 del 1984), la sua incumulabilità con la pensione di vecchiaia, in quanto si stabilisce che, al momento del raggiungimento dell'età pensionabile, tale assegno si trasforma in pensione di vecchiaia e si precisa altresì che gli anni in cui il lavoratore abbia goduto di tale assegno sono computabili ai fini della costituzione della posizione assicurativa.
Naturalmente rimangono anche in vigore le norme che regolano l'incumulabilità della pensione sociale.
Così individuata, negli artt. 1 e 2 della legge in parola, che non formano oggetto dell'incidente sollevato, la fonte normativa relativa al coordinamento fra trattamenti di invalidità e pensione di vecchiaia, cui perciò esclusivamente si deve far riferimento per determinare il regime della incumulabilità fra tali trattamenti, risulta agevole la soluzione della questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della stessa legge, il quale vieta che, dopo il raggiungimento dell'età pensionabile, il lavoratore possa chiedere il riconoscimento dei trattamenti di invalidità.
Orbene, la norma denunciata non può sottrarsi alle censure prospettate, perché come è stato ben messo in evidenza nelle ordinanze di rimessione, nella ipotesi in cui al raggiungimento di tale età, il lavoratore non abbia ancora i requisiti contributivi per conseguire la pensione di vecchiaia - non venendo perciò in tale ipotesi in evidenza alcun profilo di incumulabilità, mancandone il presupposto - il divieto che tale norma pone lo priverebbe di ogni tutela previdenziale e ciò in palese contrasto con l'art. 38, secondo comma, Cost.
6. - La dichiarazione di illegittimità costituzionale nei sensi anzidetti consente l'assorbimento delle questioni sollevate in riferimento ad altri parametri costituzionali.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 12 giugno 1984, n. 222, ("Revisione della disciplina della invalidità pensionabile");
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 12 giugno 1984, n. 222, sollevata, in riferimento all'art. 38 Cost. dal Tribunale di Rimini con ordinanza n. 357 del 1986;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 12 giugno 1984, n. 222, sollevata, in riferimento all'art. 38 Cost., dal Pretore di Pavia con ordinanza n. 905 del 1985, dal Tribunale di Pavia con ordinanza n. 603 del 1986, dal Pretore di Milano con ordinanza n. 689 del 1986, dal Tribunale di Pistoia con ordinanze
nn. 3, 238 e 239 del 1987, dal Pretore di Torino con ordinanze nn. 265 e 266 del 1987.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1988.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: CAIANIELLO
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 14 aprile 1988.
Il direttore della cancelleria: MINELLI