N. 396
SENTENZA 24 MARZO-7 APRILE 1988
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 17 luglio 1890, n. 6972 ("Norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza"), promosso con ordinanza emessa il 28 giugno 1985 dalla Corte d'Appello di Bologna nel procedimento civile vertente tra l'Opera Pia Ospizio S. Anna e il comune di Bologna ed altra, iscritta al n. 765 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9/prima serie speciale dell'anno 1986.
Visti gli atti di costituzione dell'Opera Pia Ospizio S. Anna, del comune di Bologna e della Regione Emilia Romagna nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 26 gennaio 1988 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;
Uditi l'avv. Edda Menzani per l'Opera Pia Ospizio S. Anna e l'Avvocato dello Stato Paolo D'Amico per il Presidente del Consiglio dei ministri;
Ritenuto in fatto
1. - L'Opera Pia Ospizio S. Anna, richiesta dalla regione Emilia-Romagna di cancellarsi dal registro di cui all'articolo 33 cod. civ. nel presupposto della sua appartenenza alla sfera degli enti pubblici previsti dall'art. 1 legge 17 luglio 1890, n. 6972, (appartenenza che ne avrebbe comportato, ai sensi dell'art. 25 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, la soppressione), adiva il Tribunale di Bologna per ottenere l'accertamento, in contradditorio con il comune e la regione, della propria natura di ente privato.
In seguito all'impugnazione della sentenza di primo grado che respingeva la domanda attrice, la Corte d'Appello di Bologna, decidendo in via non definitiva sulla giurisdizione, osservava, nel merito, che la generalizzata pubblicizzazione degli istituti di assistenza e beneficienza, operata dalla legge 17 giugno 1890, n. 6972, non poteva essere posta in dubbio, e, con separata ordinanza, impugnava dinanzi a questa Corte l'art. 1 della predetta legge, ritenendolo in contrasto con l'art. 38 u.c., della Costituzione.
Sostiene il giudice a quo che la disposizione denunciata, riconducendo nella sfera di competenza pubblica tutta l'assistenza esercitata dagli enti riconosciuti, ha istituito nel settore un vero e proprio "monopolio pubblico", così comprimendo, in misura consistente, il principio che sancisce e tutela la libertà dell'assistenza privata. Inoltre, ogni indagine volta ad accertare le modalità di nascita e di vita dell'Opera pia appellante, nonché gli scopi, anche di natura etica e religiosa, da essa perseguiti, risulterebbe inutile, dal momento che la sua qualificazione pubblica discenderebbe in modo pacifico ed evidente dalla impugnata norma della legge Crispi, mentre, la paventata soppressione, conseguenza del previsto trasferimento delle funzioni e dei beni delle IPAB infraregionali ai comuni, non potrebbe più realizzarsi in seguito alla intervenuta declaratoria di incostituzionalità dell'art. 25 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.
2. - Nel giudizio così promosso si è costituito il comune di Bologna chiedendo che la questione venisse dichiarata inammissibile per insufficiente motivazione sulla rilevanza. L'omissione - nell'ordinanza di rinvio - di ogni riferimento alla concreta fattispecie non consentirebbe, infatti, l'individuazione delle ragioni e dei termini per i quali la norma impugnata dovrebbe trovare applicazione nel giudizio a quo.
La questione, poi, sarebbe comunque irrilevante dal momento che la legge Crispi, anche se contrastante con l'invocato parametro costituzionale, resterebbe, ciò nondimeno, applicabile alle istituzioni sorte anteriormente all'entrata in vigore della Costituzione, che le trovò, secondo l'opinione di un'autorevole dottrina "viventi e operanti come enti pubblici". Al riguardo ritiene il comune che, non avendo l'opera pia impugnato una serie di atti amministrativi, ed in particolare il R.D. 9 settembre 1909, che (in applicazione dell'art. 1 della legge del 1890 e dei relativi regolamenti amministrativo e contabile del 1891) ne approvava il nuovo Statuto, la sua natura pubblica costituirebbe, ormai, uno status consolidato ed intangibile sul quale nessun effetto potrebbe spiegare un'eventuale dichiarazione di incostituzionalità della norma censurata.
Nel merito, la parte osserva che la questione, già sollevata contestualmente e subordinatamente all'altra concernente il trasferimento delle IPAB ai comuni (art. 25 d.P.R. n. 616 del 1977), sarebbe stata ritenuta irrilevante da questa Corte (sent. n. 173 del 1981 e ord. n. 34 del 1982) nell'implicito presupposto che, se la situazione creata dalla legge Crispi non riesce ad evolvere verso processi di svuotamento e soppressione di tutte le IPAB, ciò significa che gli elementi privatistici in esse presenti sono garantiti e, quindi, anche il principio di cui all'art. 38 Cost. non risulta violato.
D'altro canto, considerando le ipotesi sottratte alla disciplina della legge, e cioè le eccezioni di cui all'art. 2, nonché le attività assistenziali svolte in forma individuale o con strutture facenti capo ad enti di fatto, appare inesatto affermare che la stessa abbia instaurato un "monopolio pubblico" dell'assistenza e beneficienza. La tesi, comunque, non risulterebbe sufficientemente suffragata dal dato del tutto estrinseco e formale della qualificazione pubblica degli enti; ed infatti, tutte le scelte concernenti la forma dell'istituzione, le specifiche finalità, la configurazione degli organi amministrativi e i criteri per la designazione dei rispettivi componenti, restano riservate all'autonomia privata, che si prolunga così anche al di là del momento genetico riflettendosi sulla vita dell'ente.
3. - La regione Emilia-Romagna, costituendosi, ha invece eccepito l'irrilevanza della questione, non essendo contestata nel giudizio a quo la possibilità, per l'opera pia, di trasformarsi in ente privato, quanto piuttosto il raggiungimento di tale trasformazione in modo indiretto, e cioè attraverso una sentenza che ne accerti ab origine la natura privata, quando invece sia lo statuto che il suo modo di operare ne dimostrebbero incostestabilmente la qualità di ipab.
Nel merito, la regione ha poi chiesto che la questione venisse dichiarata infondata in quanto la disposizione denunciata consentendo, secondo l'interpretazione datane dalla Cassazione e dalla giurisprudenza di merito, lo svolgimento di attività assistenziali anche da parte di persone giuridiche private, non imporrebbe affatto un "monopolio pubblico" nella materia.
4. - È intervenuta l'Avvocatura Generale dello Stato, eccependo l'inammissibilità della questione per omessa motivazione sulla rilevanza. Se il giudice a quo, infatti, prima di sollevare l'incidente di costituzionalità, avesse indagato sulle modalità di nascita e di vita dell'opera pia, avrebbe potuto acquisire elementi tali da far ritenere confermata o esclusa la pubblicità dell'ente anche a prescindere dal disposto della norma impugnata.
L'interveniente ha poi osservato che al tempo dei lavori dell'Assemblea Costituente, la pubblicità degli enti morali svolgenti attività di assistenza e beneficenza - tranne quelli elencati all'art. 2 della legge Crispi - era un dato di fatto ben conosciuto, e quindi non ignorato al momento in cui fu dettato l'art. 38. Pertanto, non essendoci elementi, in tal senso, contrari, si deve ritenere che la volontà dei costituenti non era quella di sconvolgere la materia in esame, riprivatizzando le istituzioni che la legge del 1890 aveva pubblicizzato, ma piuttosto di lasciare alla legge ordinaria il compito di disciplinare quella libertà garantita dall'art. 38 e per la quale, diversamente da quanto prevede il precedente art. 33 in materia di istruzione, non risulta affatto contemplata la possibilità di istituire enti privati.
Ad avviso dell'Avvocatura, infine, l'impossibilità di svolgere attività assistenziale nella forma organizzata della persona giuridica privata non violerebbe il principio della libertà di assistenza, trattandosi di una scelta discrezionalmente operata dal legislatore e giustificata dalla particolare delicatezza e importanza dell'attività svolta. Così come, allo stesso modo, il divieto posto alle persone fisiche e giuridiche (ad eccezione delle sole società per azioni) di esercitare le assicurazioni (art. 1883 cod. civ.), costituendo un limite intrinseco alla particolare natura della attività, non viola la libertà di iniziativa economica.
5. - Con memoria depositata nei termini l'Opera Pia Ospizio di S. Anna, precedentemente costituitasi, ha svolto le proprie deduzioni osservando anzitutto che la legge Crispi si preoccupò di rendere pubblico il fine assistenziale, trascurando però di verificare la natura giuridica degli enti da costituire in I.P.A.B., per i quali, l'assenza dell'obbligatorietà di conseguire il fine istituzionale, della costituzione per specifica iniziativa statale, nonché del godimento di una certa sfera di potestà pubbliche, dimostrerebbe la "forzatura" operata dalla legge del 1890 che derivò la pubblicità degli enti dalla mera pubblicizzazione dei loro fini.
Ha poi rilevato che soltanto l'eventuale caducazione della norma impugnata consentirebbe al giudice a quo un'indagine istruttoria sul carattere pubblico o privato dell'istuzione, il cui assoggettamento alla legge Crispi ed il relativo riconoscimento, di natura meramente dichiarativa, non ne avrebbero nella sostanza modificato la personalità di diritto privato.
Confutando la tesi dell'Avvocatura Generale, secondo cui l'attività assistenziale svolta dai privati incontrerebbe un limite nell'impossibilità di utilizzare a tal fine lo strumento della persona giuridica, la parte osserva che una tale interpretazione dell'art. 38 Cost., oltre che contrastare con i principi di cui agli artt. 3 e 18 dello stesso testo, sarebbe stata già respinta da questa Corte con sentenza n. 139 del 1972. D'altro canto, sostenere l'incostituzionalità della legge Crispi limitatamente agli enti sorti dopo l'entrata in vigore della Costituzione significherebbe riconoscere alla qualificazione autoritativa del soggetto una natura - di rapporto definito - che invece non ha. Trattandosi infatti di uno status personale, e quindi di una situazione ancora in atto da cui derivano diritti imprescrittibili, nessuna acquiescenza può essere riferita all'ente, in relazione alla sua natura pubblica o privata.
Considerato in diritto
1. - È sottoposta all'esame della Corte la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 17 luglio 1890 n. 6972 (c.d. legge Crispi) perché esso, riconducendo nell'ambito degli enti pubblici tutte le istituzioni di assistenza e beneficenza (IPAB), sarebbe in contrasto con l'art. 38, ultimo comma, Cost. che tutela la libertà dell'assistenza privata.
Ad avviso del giudice a quo, non può revocarsi in dubbio che, come riconosciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza unamini, la norma denunciata abbia prodotto una generalizzata pubblicizzazione delle Istituzioni predette, ciò discendendo dalla inequivoca intestazione della legge, dalla struttura e dalla disciplina ad esse imposta, dalla esplicita qualificazione loro attribuita.
Il monopolio pubblico dell'assistenza esercitata dagli enti riconosciuti, così determinato, comprimerebbe perciò in modo consistente la libertà dei privati di contribuire all'assistenza predetta, in contrasto con l'opposto principio sancito dal precetto costituzionale invocato.
2. - Va preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilità dedotta dall'Avvocatura generale dello Stato per pretesa mancanza di motivazione sulla rilevanza. Risulta invece che la questione è stata sollevata dall'ordinanza di rimessione, nel corso di un giudizio promosso da un'Istituzione di assistenza e beneficenza che aveva chiesto che venisse accertata la sua natura di ente privato. Detta Istituzione, il cui Statuto era stato approvato nel 1909, ai sensi della legge Crispi, si era iscritta successivamente, nel 1962, al registro delle persone giuridiche private previsto dall'art. 33 c.c.. Avendole, però, la Regione Emilia-Romagna richiesto la cancellazione da detto registro, nell'assunto del suo carattere di ente pubblico, l'Istituzione predetta aveva convenuto in giudizio il comune e la regione per far accertare la propria natura privata. Il Tribunale aveva respinto la domanda affermando il carattere pubblico dell'ente. In sede di appello, il giudice di secondo grado disattendeva, con sentenza parziale, una eccezione di difetto di giurisdizione, confermando in tale occasione la natura pubblica dell'Istituzione, in quanto riconosciuta ai sensi della legge Crispi, ma, proprio partendo da questa premessa, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge stessa, sostenendo la rilevanza della questione, nell'assunto che dalla eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale di detta norma, avrebbe potuto trovare ingresso la domanda dell'ente di far accertare la propria natura privata.
Risulta così assolto l'obbligo di motivazione sulla rilevanza.
3. - Deve essere parimenti disattesa l'altra eccezione di inammissibilità per irrilevanza, sollevata dalla Regione Emilia-Romagna, dal comune di Bologna e dall'interveniente Presidenza del Consiglio dei Ministri, con prospettazioni formalmente diverse ma sostanzialmente analoghe, nell'assunto che l'invocato parametro costituzionale non sarebbe applicabile alle istituzioni sorte anteriormente all'entrata in vigore della Costituzione, che le aveva trovate in vita come enti pubblici ed in particolare, relativamente al caso di specie, che, non avendo l'ente impugnato all'epoca il decreto del 1909, il quale ne aveva approvato lo Statuto ai sensi della legge del 1890, la sua natura pubblica non potrebbe più essere messa in discussione.
In proposito va osservato che questo profilo rappresenta proprio l'oggetto principale del presente giudizio di legittimità costituzionale, avendo il giudice a quo investito questa Corte appunto del problema volto a stabilire se la legge del 1890 n. 6872, che qualificava come pubblici tutti gli enti aventi finalità di assistenza e beneficenza, per il solo fatto di ottenere il riconoscimento della personalità giuridica, sia divenuta incompatibile con l'art. 38, ultimo comma, Cost., che sancisce il principio della libertà dell'assistenza privata. Va perciò rilevato che se, come è stato anche prospettato da alcune delle parti costituite, e come sarà ancora ricordato in prosieguo, si starebbe ora determinando un orientamento nel senso che enti aventi dette finalità, possano, dopo l'avvento della Costituzione, essere riconosciuti come persone giuridiche private, ciò non elide la rilevanza della questione di legittimità dell'art. 1 della legge del 1890. Difatti, vigendo questa legge, la qualificazione pubblica di tali enti costituiva una conseguenza necessitata dal riconoscimento della personalità giuridica, anche se essi presentassero, per il resto, tutti i requisiti che avrebbero loro consentito di essere riconosciute come persone giuridiche private, se non fosse stata vigente la norma impugnata.
Né può essere condiviso l'assunto secondo cui, trattandosi di una istituzione riconosciuta in precedenza, diverrebbe irrilevante la richiesta dichiarazione di illegittimità della norma censurata, per non essere stato impugnato, all'epoca, il decreto di riconoscimento come persona giuridica pubblica. L'assunto si risolve in una evidente petizione di principio, ove si consideri che, all'epoca in cui l'ente aveva ottenuto il riconoscimento come pubblico, il relativo decreto era legittimo perché conforme alla legge allora vigente proprio per effetto della eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale di questa, venendo meno il denunciato monopolio pubblico di questo tipo di enti, diverrebbe possibile - come appunto si auspica nella ordinanza di rimessione - accertare, nelle opportune sedi giudiziarie o amministrative, il possesso di requisiti tali che consentano loro di continuare a sussistere come persone giuridiche di diritto privato.
Ciò comunque non senza considerare, quanto al caso di specie, che proprio il decreto reale del 1909, che (analogamente a tutti i simili decreti di riconoscimento) aveva approvato il nuovo Statuto dell'ente, non contiene una espressa attribuzione della personalità giuridica di diritto pubblico, derivando tale qualificazione come effetto naturale del riconoscimento, e cioè come diretta conseguenza della legge del 1890 n. 6972. Per queste ragioni la caducazione dell'art. 1 della legge stessa, da cui direttamente discende la qualificazione pubblica dell'ente, necessitata in base a detta legge per il solo fatto che esso ha finalità di assistenza e beneficenza, farebbe automaticamente riemergere la possibilità di escludere il permanere di tale effetto, ove dovesse essere riconosciuto, nelle competenti sedi, che sussistano i requisiti per una qualificazione privatistica dell'ente.
D'altronde, spetta soltanto al giudice a quo stabilire la portata dei suoi poteri a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma che, altrimenti, esso avrebbe dovuto applicare. Ebbene nell'ordinanza di rimessione, come si è già avuto modo di rilevare, si è affermato che, ove la norma denunciata dovesse essere dichiarata illegittima, ciò consentirebbe di esaminare la domanda giudiziale volta a far accertare la natura privata dell'ente che ha promosso il giudizio. Questa sola circostanza è sufficiente a far disattendere la dedotta eccezione di inammissibilità, perché è preclusa a questa Corte la possibilità di contraddire il giudizio sulla rilevanza formulato dal giudice a quo, ove esso risulti, come nella specie, plausibile.
4. - Nel merito la questione è fondata.
Sembra opportuno premettere che la Corte è stata già investita dalla medesima questione nel giudizio definito con la sentenza n. 173 del 1981, nella quale il suo esame era però rimasto, per espressa affermazione in questo senso, assorbito dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 25, comma quinto, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.
Tuttavia, già in tale occasione la Corte aveva avuto modo di rilevare che la legge del 1890, n. 6972, avendo disciplinato una serie di istituzioni aventi uno "spessore storico" del tutto peculiare, era ispirata a due principi fondamentali, quali il rispetto della volontà dei fondatori e i controlli giustificati dal fine pubblico dell'attività svolta in situazione di autonomia.
Questa posizione ambivalente di dette istituzioni è stata ancora più di recente messa in evidenza nella sentenza n. 195 del 1987, in cui si è rilevato come il loro regime giuridico sia caratterizzato dall'intrecciarsi di una disciplina pubblicistica in funzione di controllo, con una notevole permanenza di elementi privatistici, il che conferisce ad esse una impronta assai peculiare rispetto agli altri enti pubblici.
In presenza di tali peculiarità devesi convenire con quella dottrina che parla di una assoluta tipicità di questi particolari enti pubblici, in cui convivono forti poteri di vigilanza e tutela pubblica con un ruolo ineliminabile e spesso decisivo della volontà dei privati, siano essi i fondatori, gli amministratori o la base associativa. Esse quindi sono istituzioni pubbliche che, non solo in riferimento alla situazione precedente alla legge del 1890, ma anche per le successive iniziative assistenziali, sono per lo più il prodotto del riconoscimento di iniziative private, sia inter vivos che mortis causa.
La scelta operata dalla legge Crispi, come è stato ben messo in evidenza dalla dottrina, non fu una vera e propria pubblicizzazione del settore della beneficenza e poi (per effetto del d.P.R. n. 2841 del 1923) della assistenza, ma la creazione progressiva di strumenti statali di "beneficenza legale" e la predisposizione di forme di controllo e di disciplina uniforme, nella beneficenza di origine privata.
Così ancora la dottrina, commentando il sistema della legge del 1890 nell'immediatezza della sua emanazione, aveva posto in evidenza come l'assunzione, da parte di dette istituzioni, della personalità giuridica, che non poteva non essere pubblica, era finalizzata allo scopo "di mettere il Governo in grado di assicurare che la personalità giuridica della nuova istituzione... non solo è realmente di beneficenza... ma che inoltre contribuisce alla soddisfazione di un interesse pubblico armonizzante con l'indirizzo generale della beneficenza".
Il rafforzamento dell'obbligo di riconoscimento come persona giuridica pubblica di ogni istituzione di origine privata, finalizzata alla beneficenza, anche se strutturata in forma minima, era garantita dall'art. 103 della legge in parola, che sanciva la nullità delle disposizioni o convenzioni dirette a sottrarre alla tutela o alla vigilanza delle pubbliche autorità le istituzioni di beneficenza, nonché successivamente dall'art. 26 del d.P.R. del 1923 n. 2841, che attribuiva al prefetto il potere di promuovere di ufficio la fondazione di nuove istituzioni. Disposizione quest'ultima che è stata esattamente indicata come ulteriore strumento volto a trasferire all'area degli enti pubblici tutte le strutture di beneficenza e di assistenza che potessero sfuggire alla pubblicizzazione.
Da ciò l'esclusione dalla possibilità che, nell'area dell'assistenza e beneficenza, esistano fondazioni ed associazioni dotate di personalità giuridica privata.
5. - Gli aspetti testé evidenziati e l'esame delle modalità di applicazione della legge Crispi nella sua evoluzione portano a concludere che nel tempo sono finite per essere ad essa assoggettate non solo enti che, in quanto erogatori di servizi pubblici, avrebbero potuto, aspirare a pieno titolo alla qualificazione di enti pubblici, anche se non fosse stato sancito il monopolio ora messo in discussione ma pure "organizzazioni espressive dell'autonomia dei privati che hanno conservato caratteri propri dell'organizzazione civile anche dopo la loro formale pubblicizzazione".
Una prima rottura del sistema monolitico così descritto è derivata dalla legge del 1968 n. 195 che, in una prospettiva di progressivo avvicinamento (conclusosi nel 1978 con la legge di riforma sanitaria n. 833) al sistema di sicurezza sociale, ha sottratto alla disciplina della legge del 1890 le istituzioni sorte, soprattutto ad iniziativa di privati, per l'assistenza ospedaliera.
Le istituzioni preesistenti sono state perciò assorbite negli enti ospedalieri, determinandosi così varii effetti e cioè, da un canto, quello della impossibilità per le istituzioni aventi finalità ospedaliere di essere riconosciute come I.P.A.B. (se nuove) o di continuare a sopravvivere (se già esistenti) nel sistema della legge Crispi del 1890, dall'altro la possibilità per il futuro di istituire enti ospedalieri con personalità giuridica privata, perché questo settore dell'assistenza ospedaliera non era ormai più compreso, da quel momento, nel sistema delle I.P.A.B.
Invece, ancorché l'art. 38, u.c., Cost., tuteli ormai la libertà dell'assistenza privata, è rimasta immutata fino ad oggi la situazione delle istituzioni che, sorte per iniziativa privata, svolgono altre svariate forme di beneficenza e di assistenza, diverse da quella ospedaliera.
Mentre per le istituzioni a carattere interregionale, il loro assetto è stato definito con la disciplina dettata dagli articoli 113 e seg. del d.P.R. n. 616 del 1977, quelle a carattere regionale e infraregionale sono tuttora assoggettate al regime della legge del 1890, anche se, nonostante la loro formale pubblicizzazione, necessitata dalla previsione generalizzante dell'art. 1 di detta legge, esse abbiano requisiti tali da poter continuare ad esistere come persone giuridiche private. E ciò perché, da un lato, i fini di esse non sono per loro natura esclusivi delle strutture pubbliche, e dall'altro perché lo Stato e gli altri enti pubblici, ove ritengano di dover realizzare certi fini di assistenza e beneficenza, ben potrebbero ormai farlo attraverso proprie strutture, come è già in larga parte avvenuto.
Sono, quindi, venuti ormai meno i presupposti che avevano presieduto, all'epoca della legge Crispi, al generalizzato regime di pubblicizzazione, oggi non più aderente alla mutata situazione dei tempi ed alla evoluzione degli apparati pubblici, per l'avvenuta assunzione diretta da parte di questi di certe categorie di interessi, la cui realizzazione era invece assicurata, nel sistema della legge del 1890, quasi esclusivamente dalla iniziativa dei privati, che veniva poi assoggettata al controllo pubblico per costituire un sistema di "beneficenza legale", che altrimenti sarebbe mancata del tutto.
Una volta mutata tale situazione, non possono ormai non essere assecondate le aspirazioni di quelle figure soggettive sorte nell'ambito dell'autonomia privata, di vedersi riconosciuta l'originaria natura.
Questa esigenza è imposta dal principio pluralistico che ispira nel suo complesso la Costituzione repubblicana e che, nel campo della assistenza, è garantito, quanto alle iniziative private, dall'ultimo comma dell'art. 38, rispetto al quale è divenuto ormai incompatibile il monopolio pubblico delle istituzioni relative.
6. - Le considerazioni che precedono denotano, perciò, il contrasto con la norma costituzionale citata, dell'art. 1 della legge del 1890, che invece continua ad esigere, - pur essendo superata la situazione sociale e l'assetto delle strutture dello Stato che avevano ispirato la legge stessa - un sistema di pubblicizzazione generalizzato, esteso a tutte le iniziative originate dall'autonomia privata.
Queste perciò ben potrebbero essere restituite all'ambito privato ove fosse constatata la presenza di requisiti propri di una persona giuridica privata.
7. - Per quel che riguarda gli enti di nuova istituzione, non può non prendersi atto di quanto già riferito in precedenza, e che è stato posto in luce sia in dottrina che negli scritti difensivi, circa il già avvenuto superamento del regime di obbligatoria pubblicizzazione proprio della legge Crispi.
Questo superamento manifestatosi più di recente sia in sede amministrativa, sia in sede di controllo, sia in sede giurisdizionale, afferma il principio che enti di nuova istituzione, aventi finalità di assistenza e di beneficenza, possano essere riconosciuti come persone giuridiche private: un principio che è la diretta conseguenza del precetto costituzionale dell'art. 38, u.c., Cost., il quale, affermando la libertà dell'assistenza privata e conformando l'intero sistema costituzionale dell'assistenza ai principi pluralistici, sancisce il diritto dei privati di istituire liberamente enti di assistenza e, conseguenzialmente, quello di vedersi riconosciuta, per tali enti, una qualificazione giuridica conforme alla propria effettiva natura.
Per effetto della Costituzione, si è perciò già realizzata un'inversione di tendenza, nel senso del superamento del principio di pubblicizzazione generalizzata per realizzare quel sistema di "pluralismo delle istituzioni in relazione alla possibilità di pluralismo nelle istituzioni", auspicato dalla già richiamata sentenza n. 173 del 1981, che le interpretazioni e le prassi applicative prima ricordate, hanno puntualmente colto.
Ciò basta per esimere questa Corte dal dover dichiarare l'illegittimità costituzionale della norma impugnata con riferimento alle nuove istituzioni di assistenza, relativamente alle quali, in base all'indicata inversione di tendenza, è già possibile il loro riconoscimento come enti privati.
Per le istituzioni preesistenti, invece, la cui pubblicizzazione non sia aderente alle caratteristiche dell'ente, la loro riprivatizzazione, garantita dall'art. 38, u.c., Cost. è possibile solo a seguito della dichiarazione di illegittimità della norma denunciata, che afferma l'opposto principio.
8. - La Corte non può comunque non sottolineare come, nonostante il lungo tempo trascorso, sia rimasto irrealizzato l'auspicio che, nella già richiamata sentenza n. 173 del 1981, era stato formulato, sia pure in forma indiretta, circa l'esigenza di un intervento legislativo di carattere generale che prendesse atto del superamento del regime della legge n. 6972 del 1890. Di un intervento cioè che avrebbe dovuto riconsiderare i principi fondamentali che avevano ispirato, all'epoca, il regime di pubblicizzazione generalizzato nel campo della assistenza e riflettere sulla pluralità di forme e di modi in cui l'attività assistenziale viene prestata, differenze queste che non erano state prese in considerazione dalla legge Crispi che aveva perseguito l'opposto disegno.
Essendo mancato fino ad oggi un intervento organico, non può ulteriormente rimanere disattesa l'esigenza di adeguamento del sistema al principio costituzionale di libertà dell'assistenza privata. Né potrebbe costituire remora alla realizzazione di tale esigenza la considerazione della mancanza di una espressa disciplina alternativa che, per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale, possa consentire in concreto il rientro delle istituzioni preesistenti, che ne presentino i requisiti, nella categoria dei soggetti privati, cui per loro natura sarebbero fin dalle origini dovute appartenere, ove non fosse diversamente stato imposto dalla pubblicizzazione generalizzatrice della legge del 1890.
Al riguardo sembra sufficiente considerare che, anche in mancanza di una apposita normativa che disciplini le ipotesi ed i procedimenti per l'accertamento della natura privata delle I.P.A.B., la possibilità di realizzare in concreto le finalità auspicate dell'ordinanza di rimessione sarebbero offerte, non solo perseguendo la via dell'accertamento giudiziale, come nel caso oggetto del giudizio a quo, ma anche la via della trasformazione in via amministrativa, sulla base dell'esercizio dei poteri di cui sono titolari sia l'amministrazione statale che quella regionale in tema di riconoscimento, trasformazione ed estinzione delle persone giuridiche private.
Al riguardo potrebbe costituire utile punto di riferimento, in quanto esprime principi generali insiti nell'ordinamento, l'art. 17 del d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348 (recante norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna) il quale indica una serie di caratteristiche e di presupposti come idonei a consentire la trasformazione in persone giuridiche private, di enti già in precedenza appartenenti alla categoria della IPAB, sottraendoli così alla soppressione prevista per le istituzioni aventi natura di enti pubblici veri e propri.
Altro esempio normativo da assumere in proposito come punto di riferimento, in quanto anche esso espressione di principi generali, può essere considerato l'art. 30 della legge regionale siciliana n. 22 del 1986 il quale prevede che "le istituzioni in atto qualificate quali IPAB per atto positivo di riconoscimento o per possesso di Stato, che, avuto riguardo alle disposizioni della legge fondamentale sulle opere pie 17 luglio 1890, n. 6972 e successive modifiche, agli atti di fondazione ed agli statuti delle istituzioni medesime, nonché ai criteri selettivi da determinare con le procedure di cui al successivo comma, per prevalenza di elementi essenziali sono classificabili quali enti privati, sono incluse dal Presidente della Regione, su proposta dell'Assessore regionale per gli enti locali, in apposito elenco ai fini del riconoscimento ai sensi dell'art. 12 del Codice civile".
Gli esempi normativi richiamati, a parte le indicazioni procedimentali, che potrebbero valere solo per le Regioni cui esse si riferiscono, costituiscono per il resto un significativo superamento della legge n. 6872 del 1890, con l'indicazione di principi e criteri che, ove dovesse ancora mancare una apposita normativa che disciplini compiutamente la materia dell'assistenza, in conformità ai principi costituzionali, possono essere considerati utili punti di riferimento, per far conseguire nelle competenti sedi giudiziarie o amministrative, la qualificazione privatistica a quelle IPAB che dovessero mostrarsi interessate a tale diverso riconoscimento, fino ad oggi impedito dalla vigenza della norma di cui viene dichiarata l'illegittimità costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 17 luglio 1890, n. 6972 ("Norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza") nella parte in cui non prevede che le IPAB regionali e infraregionali possano continuare a sussistere assumendo la personalità giuridica di diritto privato, qualora abbiano tuttora i requisiti di un'istituzione privata.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 1988.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: CAIANIELLO
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 7 aprile 1988.
Il direttore della cancelleria: MINELLI