ORDINANZA N. 219
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis del codice penale, promosso dal Giudice di pace di Lecce nel procedimento penale a carico di R. C., con ordinanza del 25 ottobre 2024, iscritta al n. 221 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell’anno 2024, la cui trattazione è stata fissata per l’adunanza in camera di consiglio del 1° dicembre 2025.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 2 dicembre 2025 il Giudice relatore Marco D’Alberti;
deliberato nella camera di consiglio del 2 dicembre 2025.
Ritenuto che con ordinanza del 25 ottobre 2024, iscritta al n. 221 reg. ord. del 2024, il Giudice di pace di Lecce ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 27, 102 e 111 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis del codice penale, che prevede una causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, «nella parte in cui non lo rende applicabile anche nel procedimento dinanzi al giudice di pace»;
che il rimettente riferisce di procedere nei confronti di R. C. per i reati di cui agli artt. 81, 582 e 612 cod. pen., in relazione ai quali la costituita parte civile si è opposta a un’eventuale pronuncia ai sensi dell’art. 34 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), che prevede una causa di esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto;
che, quanto alla rilevanza, la disposizione censurata non sarebbe suscettibile di una diversa interpretazione costituzionalmente orientata, ostandovi l’orientamento espresso dalle sezioni unite penali della Corte di cassazione nella sentenza 2 giugno-28 novembre 2017, n. 53683, che ha «radicalmente» escluso l’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. ai reati di competenza del giudice di pace;
che, quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente osserva in via generale che tanto secondo un orientamento giurisprudenziale, sia pure minoritario, quanto secondo una parte della dottrina sarebbe ravvisabile una «pacifica convivenza» tra l’art. 131-bis cod. pen. e l’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000, poiché «proprio le differenze fra i due istituti […] inducono a ritenere che [l’art. 131-bis cod. pen.] sia applicabile – nel rispetto dei soli limiti espressamente indicati dalla norma – a tutti i reati, ivi compresi quelli di competenza del giudice di pace, anche perché sarebbe altamente irrazionale e contrario ai principi generali che una norma di diritto sostanziale – nata per evitare alla persona offesa il pregiudizio derivante dalla condanna per fatti di minima offensività, che la coscienza comune percepisce come di minimo disvalore, e per ridurre i costi connessi al procedimento penale – sia inapplicabile proprio ai reati che, per essere di competenza del giudice di pace, sono ritenuti dal legislatore di minore gravità»;
che, inoltre, sarebbero mutate le «circostanze» rispetto alla pronuncia dell’ordinanza n. 224 del 2021, con cui questa Corte ha dichiarato in parte manifestamente inammissibili e in parte manifestamente infondate identiche questioni già proposte dal medesimo giudice, nell’ambito di un diverso procedimento;
che tali mutamenti consisterebbero nel fatto che «il Giudice di pace (GOP) è divenuto stabile» e nell’attribuzione allo stesso «GOP» di «[m]aggiori competenze»;
che, con riguardo alla violazione degli artt. 3 e 25 Cost., il rimettente evoca l’istituto del favor rei, in forza del quale l’art. 131-bis cod. pen., atteggiandosi a norma più favorevole rispetto all’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000, si dovrebbe applicare anche ai reati di competenza del giudice di pace commessi in passato;
che, con riguardo alla violazione dell’art. 27 Cost., il rimettente richiama il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità e costituzionale, secondo cui il principio di proporzionalità della pena comporta che quest’ultima deve tendere alla rieducazione del condannato e non deve essere percepita come ingiusta o sproporzionata;
che, nel bilanciamento costituzionale, tali valori prevarrebbero rispetto al carattere di specialità dell’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000, frutto di una mera scelta di opportunità e di politica criminale, che non può rivestire un rilievo costituzionale;
che, ad avviso del giudice a quo, la finalità eminentemente conciliativa del procedimento davanti al giudice di pace andrebbe individuata in altri istituti, come la remissione della querela, in caso di assenso della persona offesa o in caso di reiterata assenza della parte civile o della persona offesa nel processo, piuttosto che nella causa di non procedibilità di cui all’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000;
che, inoltre, mentre la persona offesa può impedire al giudice di pace di applicare tale causa di non procedibilità, ove manifesti l’interesse alla prosecuzione del giudizio o esprima la propria opposizione, la stessa non potrebbe, invece, paralizzare l’operatività dell’art. 131-bis cod. pen.;
che, ancora, la medesima persona offesa, «nell’eventuale concorrente veste di persona danneggiata, sarebbe comunque legittimata ad esercitare l’azione civile a carattere restitutorio o risarcitorio, ai sensi dell’articolo 651 bis c.p.p.»;
che, anche ad ammetterne la finalità conciliativa, il meccanismo disciplinato dall’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000 perseguirebbe comunque un obiettivo privo di carattere costituzionale, che non potrebbe giustificare l’«emarginazione dal procedimento dinanzi al giudice di pace del congegno previsto dall’articolo 131 bis c.p., la cui ratio ha invece un solido fondamento costituzionale»;
che sussisterebbe anche la violazione del «principio di sussidiarietà dell’illecito penale», atteso che il ricorso alla sanzione penale deve ammettersi esclusivamente come extrema ratio, quando cioè la tutela del bene giuridico non possa essere raggiunta adeguatamente attraverso altri strumenti dell’ordinamento giuridico;
che, con riguardo alla violazione dell’art. 102 Cost., il rimettente afferma che il giudice di pace non è un giudice speciale o diverso in relazione allo svolgimento della funzione di conciliazione delle parti, sicché anche a tale giudice dovrebbe consentirsi di applicare il modello di irrilevanza per la particolare tenuità del fatto, al fine di assicurare le istanze di economia processuale, di proporzionalità e di ragionevolezza della pena;
che, con riguardo alla violazione dell’art. 111 Cost., il rimettente evidenzia «il difetto di ragionevolezza della dosimetria della pena prevista dal vigente art. 131 bis c.p., e [dal]l’art. 34 d.lgs. n 274/2000, che emergerebbe nel raffronto con il trattamento sanzionatorio previsto per il fatto di lieve entità», non apparendo ragionevole che per le fattispecie di cui all’art. 131-bis cod. pen. vi sia il proscioglimento, mentre nel secondo caso vi sia la condanna, ove, acquisiti sufficienti elementi probatori della colpevolezza, la persona offesa si opponga a un esito di improcedibilità;
che, in riferimento alla violazione dell’art. 3 Cost., inoltre, sarebbe irragionevole prevedere che il giudice di pace, riscontrata la sussistenza di tutte le condizioni di procedibilità, debba irrogare la sanzione anche quando abbia accertato la mancanza del «bisogno di pena», non essendo applicabile l’art. 131-bis cod. pen.;
che, con riguardo alla violazione degli artt. 25 e 111 Cost., il rimettente richiama altresì le sentenze di questa Corte n. 222 e n. 233 del 2018, in tema di valutazioni discrezionali del legislatore sulla dosimetria della pena;
che, infine, sarebbe violato anche l’art. 2 Cost., il quale «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo», in quanto l’impossibilità di applicare l’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000, per l’opposizione della parte civile, porterebbe a condannare l’imputato anziché ad applicare l’art. 131-bis cod pen.;
che con atto depositato il 23 dicembre 2024 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità e, comunque, per la non fondatezza nel merito delle questioni;
che le questioni sarebbero inammissibili, in primo luogo, per l’omessa descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo, con conseguente difetto di rilevanza, in quanto il rimettente non avrebbe speso alcun argomento per dimostrare che il fatto oggetto di accertamento, nemmeno riferito specificatamente, possa essere ricondotto sia all’ipotesi di cui all’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000 che a quella della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.;
che, in secondo luogo, con riferimento al denunciato contrasto con gli artt. 2, 102 e 111 Cost., il rimettente si sarebbe limitato a dedurre censure generiche e meramente assertive, senza specificare i motivi della ritenuta violazione di ciascuno dei parametri costituzionali;
che l’assenza di un’adeguata e autonoma illustrazione delle ragioni di contrasto tra la norma censurata e gli artt. 2 e 111 Cost. emergerebbe dalla circostanza che gli elementi posti a sostegno dell’asserito vulnus sarebbero ictu oculi espressione di altri parametri costituzionali (artt. 3 e 27), risolvendosi nel richiamo al principio di proporzionalità della pena e alle possibilità di intervento del giudice delle leggi su scelte sanzionatorie irragionevoli adottate dal legislatore;
che, quanto all’art. 102 Cost., il giudice a quo si limiterebbe a richiamarne il contenuto precettivo, insieme ad alcune disposizioni dei codici di rito, nonché al dispositivo di una pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea (sezione seconda, sentenza 16 luglio 2020, causa C-658/18, UX), senza illustrare i passaggi interpretativi per cui le norme richiamate non porrebbero il giudice di pace su di un piano funzionalmente diverso da quello degli altri giudici;
che, infine, la violazione dell’art. 24 Cost. sarebbe soltanto indicata, senza alcuna motivazione di supporto;
che, nel merito, l’interveniente osserva che le medesime questioni risultano già scrutinate da questa Corte, che le ha dichiarate non fondate con la sentenza n. 120 del 2019, nonché in parte manifestamente inammissibili e in parte manifestamente infondate con la successiva ordinanza n. 224 del 2021;
che le attuali questioni non presenterebbero alcun carattere di novità rispetto alle precedenti, essendo la disposizione censurata la stessa, i parametri uguali e identiche le argomentazioni a sostegno;
che, in particolare, nessun carattere di novità potrebbe riconoscersi alle circostanze relative all’acquisita stabilità del giudice di pace e all’aumento delle sue competenze, rimanendo immutata la natura eminentemente conciliativa della giurisdizione di pace, caratterizzata dal peculiare risalto dato alla posizione dell’offeso dal reato, tanto da attribuirgli, nei reati procedibili a querela, un potere di iniziativa nella vocatio in ius (è citato l’art. 21 del d.lgs. n. 274 del 2000);
che il processo davanti al giudice di pace continuerebbe a essere improntato a finalità di snellezza e rapidità, che lo rendono non comparabile con quello davanti il tribunale; il giudice di pace sarebbe rimasto un giudice onorario e non professionale; i reati di cui è chiamato a conoscere continuerebbero a essere di ridotta gravità ed espressivi per lo più di conflitti interpersonali di carattere privato;
che, pertanto, le questioni dovrebbero dichiararsi manifestamente infondate;
che, in ogni caso, le ragioni giustificative della mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. nel giudizio davanti al giudice di pace risiederebbero, alla luce della citata sentenza n. 120 del 2019, nelle peculiari connotazioni dei reati di competenza dello stesso giudice e del procedimento dinanzi a quest’ultimo.
Considerato che il Giudice di pace di Lecce ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 27, 102 e 111 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis cod. pen., che prevede una causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, nella parte in cui esso non è applicabile anche nel procedimento davanti al giudice di pace;
che l’Avvocatura generale dello Stato ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità delle questioni per l’insufficiente descrizione della fattispecie concreta, che non consentirebbe di valutare se sussiste il requisito della rilevanza;
che il rimettente, invero, si sarebbe limitato a riferire che il giudizio a quo concerne i reati di cui agli artt. 81, 582 e 612 cod. pen., omettendo di descrivere le condotte illecite contestate nel capo di imputazione e di indicare le ragioni che giustificherebbero l’applicabilità, nello stesso giudizio a quo, della causa di esclusione della punibilità ex art. 131-bis cod. pen.;
che l’eccezione non è fondata;
che il rimettente, dopo avere premesso che nella specie la dichiarazione di improcedibilità per particolare tenuità del fatto è preclusa solo dall’opposizione della persona offesa, ai sensi dell’art. 34, comma 3, del d.lgs. n. 274 del 2000, prospetta chiaramente la possibilità di adottare, per gli stessi fatti di reato sottoposti al suo esame, una decisione ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., ove non vi ostasse il censurato diritto vivente, che di quest’ultima disposizione esclude l’applicabilità nel procedimento davanti al giudice di pace;
che, in tal modo, il giudice a quo ha ritenuto per implicito sussistenti, in concreto, tutti gli altri presupposti dell’esimente prevista dall’art. 131-bis cod. pen., così sufficientemente motivando sulla necessità di risolvere le questioni di legittimità costituzionale per definire il processo principale;
che le questioni sono, comunque, in parte manifestamente inammissibili e in parte manifestamente infondate;
che nell’ordinanza n. 224 del 2021 questa Corte ha adottato una analoga decisione con riguardo a questioni identiche, che il medesimo Giudice di pace di Lecce aveva sollevato, sempre in relazione all’art. 131-bis cod. pen., nell’ambito di un diverso procedimento penale avente per oggetto gli stessi titoli di reato;
che tale ordinanza ha dichiarato manifestamente inammissibili, per «lacune in punto di motivazione sulla non manifesta infondatezza», le questioni sollevate in riferimento agli artt. 2, 102 e 111 Cost., essendosi «il rimettente […] limitato a dedurre censure generiche e meramente assertive, senza specificare i motivi della ritenuta violazione di ciascuno dei parametri costituzionali», e in riferimento all’art. 24 Cost., essendo la violazione di tale parametro «soltanto indicata»;
che, quanto agli stessi parametri, le attuali censure e le argomentazioni offerte a loro sostegno sono letteralmente sovrapponibili alle precedenti, senza alcun elemento di novità;
che, come ha osservato l’Avvocatura, le ragioni dell’asserito contrasto tra la norma censurata e gli artt. 2 e 111 Cost. possono astrattamente ricondursi al contrasto con altri parametri, quali gli artt. 3 e 27 Cost., essendo richiamati il principio di proporzionalità della pena e la possibilità di intervento di questa Corte su scelte sanzionatorie irragionevoli;
che, quanto alla denunciata violazione dell’art. 102 Cost., il giudice a quo si limita a riprodurre il testo di tale disposizione costituzionale e a richiamare alcune norme dei codici di rito, quali l’art. 6 del codice di procedura penale e l’art. 7 del codice di procedura civile, nonché il dispositivo di una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, senza alcuna illustrazione della censura;
che, inoltre, la violazione dell’art. 24 Cost. è anche qui «soltanto indicata»;
che sul punto si deve dunque concludere, ancora sulla scorta dell’ordinanza n. 224 del 2021, che «tali lacune in punto di motivazione sulla non manifesta infondatezza, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, determinano la manifesta inammissibilità delle questioni proposte»;
che la citata ordinanza n. 224 del 2021 ha, inoltre, dichiarato manifestamente infondate le questioni sollevate in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 Cost., rilevando che «la sentenza n. 120 del 2019 ‒ peraltro depositata in data antecedente all’ordinanza di rimessione, ma non presa in considerazione dal giudice a quo ‒ ha dichiarato non fondata analoga questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.»;
che, con riguardo all’alternatività degli istituti di cui all’art. 131-bis cod. pen. e all’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000, la stessa ordinanza ha ricordato come questa Corte, nell’indicata sentenza n. 120 del 2019, abbia, «tra l’altro, affermato che “[l]e ragioni che giustificano, sul piano del rispetto dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza, questa alternatività […] risiedono nelle connotazioni peculiari dei reati di competenza del giudice di pace e del procedimento innanzi a quest’ultimo rispetto ai reati di competenza del tribunale”», e abbia «altresì richiamato il proprio costante orientamento secondo cui “il procedimento penale davanti al giudice di pace configura un modello di giustizia non comparabile con quello davanti al tribunale, in ragione dei caratteri peculiari che esso presenta (sentenza n. 426 del 2008; nello stesso senso, ordinanze n. 28 del 2007, n. 415 e n. 228 del 2005)”»;
che questa Corte ha ribadito, sempre nell’ordinanza n. 224 del 2021, che «la previsione di “un rito orientato, più che alla repressione del conflitto sotteso al singolo episodio criminoso, alla sua composizione, oltre che a finalità deflattive” (sentenza n. 120 del 2019), e le distinte aree applicative degli istituti in esame giustificano, sul piano dell’art. 3 Cost., [la loro] alternatività»;
che, infine, nella medesima ordinanza si è osservato che «la sentenza n. 120 del 2019 reca una motivazione esaustiva dei rilievi sollevati dal Giudice di pace di Lecce, anche con riferimento alla violazione dei parametri di cui agli artt. 25 e 27 Cost.», e che il rimettente non aveva aggiunto, «rispetto a quelli oggetto di esame nella richiamata sentenza, argomenti ulteriori o diversi di censura»;
che anche in questa sede il rimettente sostiene, come nel precedente giudizio, la possibilità di una «pacifica convivenza» degli istituti in esame, anziché la loro alternatività, senza prendere in alcuna considerazione la sentenza n. 120 del 2019, con la quale ancora non si confronta, e senza aggiungere argomenti ulteriori o diversi di censura;
che, sotto quest’ultimo profilo, il giudice a quo adduce, quali «circostanze» sopravvenute alla pronuncia dell’ordinanza n. 224 del 2021, il fatto che il giudice onorario di pace sarebbe divenuto «stabile», nonché l’attribuzione allo stesso di «[m]aggiori competenze»;
che, tuttavia, simili «circostanze» non costituiscono novità suscettibili di tradursi in ulteriori o diversi argomenti di censura dell’art. 131-bis cod. pen., nella parte in cui non prevede l’applicabilità ai reati di competenza del giudice di pace della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto;
che la «stabilità» asseritamente raggiunta dal giudice onorario di pace è invocata in modo generico, senza chiarire il nesso tra una simile vicenda e le questioni sottoposte all’esame di questa Corte;
che non si giunge a diversa conclusione ipotizzando che il rimettente abbia inteso riferirsi all’istituto della conferma dei magistrati onorari in servizio, disciplinato dall’art. 29 del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57), come sostituito dall’art. 1, comma 629, lettera a), della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024);
che tale conferma, infatti, non muta la natura onoraria dei magistrati confermati, né, per quanto qui specificamente rileva, modifica le connotazioni peculiari dei reati di competenza del giudice di pace e del procedimento davanti a quest’ultimo rispetto ai reati di competenza del tribunale, connotazioni peculiari nelle quali risiedono, alla luce della sentenza n. 120 del 2019, le ragioni giustificative della alternatività degli istituti disciplinati dall’art. 131-bis cod. pen. e dall’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000;
che è generica e assertiva, altresì, la deduzione relativa alle «[m]aggiori competenze» del giudice di pace, cosicché anche sotto questo profilo non emerge alcuna pertinente novità argomentativa;
che, pertanto, va data continuità ai principi affermati nella sentenza n. 120 del 2019 e confermati nell’ordinanza n. 224 del 2021, più volte citate, dovendosi ribadire che «il tendenziale rispetto dei propri precedenti – unitamente alla coerenza dell’interpretazione con il testo delle norme interpretate e alla persuasività delle motivazioni – è, per le giurisdizioni superiori, condizione essenziale dell’autorevolezza delle loro decisioni» (sentenza n. 203 del 2024);
che, in conclusione, deve essere dichiarata la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis cod. pen., sollevate in riferimento agli artt. 2, 24, 102 e 111 Cost., mentre va dichiarata la manifesta infondatezza delle questioni, aventi ad oggetto la medesima disposizione, sollevate in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
ELG:DISPOSITIVO]
1) dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 24, 102 e 111 della Costituzione, dal Giudice di pace di Lecce con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis cod. pen., sollevate, in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 Cost., dal Giudice di pace di Lecce con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Marco D’ALBERTI, Redattore
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 30 dicembre 2025
Il Cancelliere
F.to: Igor DI BERNARDINI
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