SENTENZA N. 213
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 4, lettera a), del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima, nel procedimento vertente tra C. B. e Ministero della giustizia e altri, con ordinanza del 9 gennaio 2025, iscritta al n. 7 del registro ordinanze 2025 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2025.
Visti l’atto di costituzione di C. B. e l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udita nell’udienza pubblica del 2 dicembre 2025 la Giudice relatrice Maria Rosaria San Giorgio;
udita l’avvocata dello Stato Daniela Nardo per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 2 dicembre 2025.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 9 gennaio 2025, iscritta al n. 7 del registro ordinanze 2025, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima, ha sollevato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 4, lettera a), del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57).
L’art. 4, nel prevedere i requisiti per il conferimento dell’incarico di magistrato onorario, individua i titoli di preferenza (comma 3) e stabilisce che, in caso di uguale titolo di preferenza, abbia prevalenza, in primo luogo, «la maggiore anzianità professionale o di servizio, con il limite massimo di dieci anni di anzianità» (comma 4, lettera a). Di seguito indica, come successivo criterio di preferenza, «la minore età anagrafica» (comma 4, lettera b) che, a sua volta, sopravanza «il più elevato voto di laurea» (comma 4, lettera c).
Riferisce il giudice rimettente che, con il ricorso in decisione, sono stati impugnati il bando di concorso (pubblicato l’11 aprile 2023) e le relative graduatorie, provvisorie e definitive, delle procedure di selezione per l’ammissione al tirocinio ai fini della nomina a giudice onorario di pace, ovvero a vice procuratore onorario, presso l’Ufficio del Giudice di pace di Roma, presso la Procura della Repubblica di Roma e presso l’Ufficio del Giudice di pace di Ostia. Il ricorrente C. B., avvocato con più di dieci anni di esercizio della professione, ha ottenuto per tutte e tre le procedure l’egual punteggio di 3650, «corrispondente al limite massimo previsto dal bando di 10 anni di esercizio della professione forense». Egli, tuttavia, è risultato «in posizione non utile per l’ammissione al tirocinio», in quanto, «a parità di punteggio con altri avvocati, avevano ottenuto migliore posizionamento in graduatoria i concorrenti più giovani». In base a quanto previsto dal bando, infatti, «l’eccedenza oltre i 10 anni di “anzianità professionale”» risultava non computabile tra i titoli di preferenza.
In punto di rilevanza, il TAR sottolinea che le previsioni del bando sono «riproduttive di quelle del decreto delegato». La loro applicazione ha fatto sì «che il criterio della maggiore anzianità professionale comportasse la prevalenza del candidato con il limite dell’anzianità decennale, di modo che, tra candidati che potevano vantare almeno 10 anni di anzianità, risultasse in posizione più favorevole il candidato di minore età e non quello con la maggiore anzianità di carriera». Qualora, invece, fosse stato applicato il criterio previsto dall’art. 2, comma 3, lettera c), della legge 28 aprile 2016, n. 57 (Delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace), quello, cioè, dell’assoluta preferenza per il candidato con la maggiore anzianità, il ricorrente avrebbe ottenuto un posizionamento più favorevole, «in ragione della maggiore anzianità dallo stesso vantata». Né, a giudizio del rimettente, potrebbe addivenirsi alla disapplicazione del criterio contestato per contrasto con il divieto di discriminazioni in base all’età, di cui all’art. 6 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. La disposizione censurata, infatti, atterrebbe «solo alla graduazione dei vari titoli di preferenza e non all’età, ma all’esperienza professionale», e, quindi, non potrebbe dirsi in contrasto con quella comunitaria. L’esito favorevole dell’impugnazione potrebbe dunque discendere, mediante l’accertamento dell’illegittimità costituzionale, «solo [da]l raffronto tra la disposizione del decreto delegato e il criterio, di diverso tenore, posto dalla legge delega».
In punto di non manifesta infondatezza, il TAR Lazio richiama la previsione dell’art. 2, comma 3, lettera c), della legge n. 57 del 2016 che, tra i princìpi e i criteri direttivi della delega al Governo circa i requisiti e le modalità di accesso alla magistratura onoraria, ha posto il seguente: «prevedere che a parità di titolo preferenziale abbia precedenza chi ha la più elevata anzianità professionale e che, in caso di ulteriore parità, abbia la precedenza chi ha minore età anagrafica». L’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 116 del 2017 ha poi stabilito che, in caso di uguale titolo di preferenza prevale, nell’ordine: «a) la maggiore anzianità professionale o di servizio, con il limite massimo di dieci anni di anzianità; b) la minore età anagrafica […]». Pertanto, osserva il rimettente, nel decreto delegato «è stato introdotto un limite massimo di rilevanza della maggiore anzianità professionale, non previsto dalla legge delega, idoneo ad invertire l’ordine di preferenza dalla stessa stabilito». Infatti, mentre la legge-delega, in caso di parità tra i candidati aventi il titolo di avvocato, conferiva prevalenza al candidato che vantasse il periodo più lungo di esercizio della professione, il decreto delegato ha introdotto il limite massimo dei dieci anni per la valutazione del criterio dell’anzianità, «con la conseguenza che, in caso di candidati con anzianità superiore a dieci anni, risulta prevalente non quello con più anni di esercizio della professione, ma il più giovane».
Né – aggiunge il rimettente – dalla relazione illustrativa del decreto legislativo sarebbe dato individuare alcun chiarimento in ordine alla diversa disciplina del criterio di preferenza dell’anzianità professionale.
In definitiva, evidenzia il rimettente, «la delega sembra essere stata esercitata in termini diversi da quanto prescritto dalla legge 57/2016, di modo che l’applicazione del criterio del decreto delegato può portare ad esiti in contrasto diretto con quanto stabilito dal legislatore delegante».
2.– Nel giudizio si è costituito C. B., ricorrente nel giudizio a quo, assumendo la difesa di sé medesimo e concludendo per l’accoglimento della questione.
La parte, dopo aver riportato i dati di fatto salienti della controversia pendente dinnanzi al TAR Lazio, evidenzia la differente formulazione dell’art. 4, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 116 del 2017 rispetto a quella dell’art. 2, comma 3, lettera c), della legge-delega n. 57 del 2016, sottolineando di essere stato «posposto rispetto agli avvocati utilmente collocatisi in graduatoria solo in quanto più giovani, ma tutti con una minore “anzianità professionale”».
A suo giudizio, la previsione del decreto delegato, nella parte in cui prevede il limite massimo di dieci anni di anzianità professionale computabile, violerebbe gli artt. 76 e 77 Cost., per «contrasto con la finalità espressa dal legislatore di primazia della valorizzazione della “anzianità professionale” senza limiti (in ragione della delicatezza della funzione giudiziaria da ricoprirsi)».
Sarebbe, altresì, violato, sotto diversi profili, l’art. 3 Cost., e ciò anzitutto a causa della «ingiustificata discriminazione per età, in violazione del principio di ragionevolezza», risultando penalizzati «coloro che siano più avanti con l’età, eludendosi il fine avuto di mira dal legislatore». L’«appiattimento delle esperienze professionali», una volta superati i dieci anni di anzianità, farebbe sì che situazioni uguali siano trattate in modo diverso, «in spregio del principio di uguaglianza sostanziale e del criterio di prevalenza fissato dalla “Legge delega”». Si determinerebbe, inoltre, una «mancanza di uniformità di applicazione del criterio preferenziale», posto che, per i candidati che non arrivano alla soglia dei dieci anni, prevarrebbe la maggiore anzianità professionale, mentre per quelli che superano detta soglia, «neutralizzandosi il supero, prevale la “minore età anagrafica” sulla maggiore “anzianità professionale”».
Ancora, sarebbe violato l’art. 4 Cost., a causa della «irragionevole limitazione di prerogative e aspirazioni professionali» a danno di quei candidati che, come l’esponente, risultano preceduti in graduatoria da avvocati con minore anzianità professionale.
Si richiama, infine, l’art. 6 della direttiva 2000/78/CE, in tema di disparità di trattamento per ragioni di età, che esclude l’esistenza di una discriminazione laddove sia rinvenibile una giustificazione oggettiva e ragionevole derivante da una «finalità legittima», e si sottolinea che, nel caso de quo, «la finalità espressa dal legislatore [delegante] è opposta a quella conseguita» con la norma del decreto delegato.
3.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità e la non fondatezza della questione.
Sotto il primo profilo, la difesa statale deduce un difetto di motivazione sulla rilevanza. L’ordinanza di rimessione non avrebbe chiarito se l’intervento richiesto a questa Corte «possa effettivamente garantire al ricorrente la nomina a giudice onorario di pace», non essendo stata allegata, né «tantomeno provat[a]», la produzione di un possibile «effetto utile, sotto forma di riconoscimento di un punteggio tale, a titolo di anzianità, da sopravanzare i controinteressati ed ogni altro concorrente». Mancando di considerare il periodo di anzianità professionale maturato dal ricorrente, ma accennandosi solo all’avvenuta postergazione di quest’ultimo rispetto ad altri aspiranti, l’ordinanza di rimessione non avrebbe neppure «affermato che, in virtù di tale anzianità, lo stesso, previa dichiarazione di illegittimità costituzionale […], si sarebbe collocato in graduatoria in posizione utile».
Nel merito, a giudizio della difesa statale, sarebbe «erroneo» il percorso argomentativo del giudice a quo. Il legislatore delegato avrebbe, infatti, «recepito in maniera pedissequa» i princìpi indicati dalla legge-delega, dettando «una disciplina dei requisiti di accesso pressoché identica» a quella delineata dall’art. 2, comma 3, della legge n. 57 del 2016, sulla base di una «metodica di attuazione del principio di delega» che risulterebbe «non solo in linea con i princìpi esposti nel criterio elaborato dal legislatore delegante, ma che, anzi, appare opportuna in quanto opera un bilanciamento tra l’esigenza di valorizzare la pregressa attività professionale da un lato e, dall’altro, di consentire anche alle altre circostanze menzionate, quale ad esempio la minore età, di assolvere alla propria funzione di selezione». Se, infatti, il pregresso esercizio delle funzioni indicate dall’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 116 del 2017 «costituisce la dimostrazione di una migliore conoscenza della funzione che il magistrato onorario si appresta a compiere», l’intervenuta limitazione dei dieci anni, prevista dalla normativa delegata, «muove dall’evidente considerazione secondo la quale quanto più ci si allontana, nel tempo, dallo svolgimento di tali esperienze, tanto meno può ravvisarsi nelle medesime quel portato di maggiore competenza (e, dunque, di maggiore idoneità) che il legislatore ricerca al fine di individuare l’aspirante più idoneo e dunque da preferire rispetto agli altri».
La previsione censurata, pertanto, «lungi dal porsi in contrasto con il principio di delega», ne costituirebbe, piuttosto, una «doverosa attuazione», essendo «connessa alla ratio medesima del titolo di preferenza», con ciò restituendosi al titolo preferenziale indicato dalla legge-delega (l’anzianità professionale) «quel portato di effettività che, altrimenti, consentendosi la valorizzazione di esperienze assai risalenti nel tempo, sarebbe stato necessariamente eliso dal trascorrere del tempo».
4.– Con memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica, C. B. ha svolto difese in replica agli argomenti sostenuti dall’Avvocatura dello Stato.
In punto di rilevanza, la parte fa notare che le procedure di selezione de quibus prevedono una «graduatoria a scorrimento, valevole 2 anni» (art. 8, commi 12 e 13, del bando di concorso). Ne deriverebbe il suo interesse ad ottenere l’accoglimento della questione, ravvisabile già per effetto della sua «ricollocazione in graduatoria, a prescindere dalla immediata ammissione al tirocinio». Ad ogni buon conto, come già «allegato e documentato» nel corso del giudizio principale, la parte sottolinea «che, computandosi l’intera “anzianità professionale”, lo scrivente risulterebbe primo tra gli avvocati in tutte le 3 graduatorie impugnate». La «prova di resistenza» e, con essa, la dimostrazione del requisito della rilevanza, sarebbe dunque «data dalla utilità del ricollocamento in graduatoria, di per se, a prescindere dall’immediata ammissione al tirocinio pur spettante nella fattispecie de qua».
Quanto al merito della sollevata questione di legittimità costituzionale, si evidenzia che «la facoltà riconosciuta al legislatore delegato di individuare ulteriori (subordinati) criteri di prevalenza non può espandersi in contrasto con quelli espressi dal legislatore delegante, salvo incorrere in eccesso di delega (come accaduto nel caso de quo)». Circa l’opportunità – segnalata dalla difesa statale – di non valorizzare le esperienze professionali passate, qualora troppo distanti nel tempo, la parte privata replica osservando che «il legislatore delegante ha espresso differente criterio preferenziale, valorizzando la “minore età” soltanto a parità di “anzianità professionale”, quindi solo in via subordinata».
Considerato in diritto
1.– Il TAR Lazio, sezione prima, solleva, in riferimento all’art. 76 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 116 del 2017. Il predetto art. 4, comma 4, regola i criteri di prevalenza per il conferimento dell’incarico di magistrato onorario. La disposizione stabilisce che, in caso di parità tra i candidati quanto ai titoli di preferenza (indicati dal comma 3), «prevale, nell’ordine: a) la maggiore anzianità professionale o di servizio, con il limite massimo di dieci anni di anzianità; b) la minore età anagrafica; c) il più elevato voto di laurea».
A giudizio del rimettente, la previsione del limite massimo decennale, di cui alla lettera a), comporta che i candidati aventi il medesimo titolo professionale (nella specie, quello di almeno dieci anni di anzianità nell’esercizio della professione di avvocato) vengano selezionati unicamente in base alla minore età anagrafica, a nulla valendo la maggiore anzianità professionale, superiore ai dieci anni, che essi possano vantare. Tale è la fattispecie oggetto del giudizio a quo, nella quale il ricorrente, avvocato con anzianità professionale superiore ai dieci anni, e comunque maggiore di quella posseduta da altri candidati, si è visto sopravanzare in graduatoria da questi ultimi unicamente in ragione della loro meno elevata età anagrafica.
Per contro – osserva il rimettente – la legge-delega aveva stabilito la prevalenza, senza alcun limite temporale, del criterio della maggiore anzianità professionale. L’art. 2, comma 3, lettera c), della legge n. 57 del 2016 aveva, infatti, previsto, tra i princìpi e i criteri direttivi ai quali avrebbe dovuto attenersi il legislatore delegato, il seguente: «prevedere che a parità di titolo preferenziale abbia precedenza chi ha la più elevata anzianità professionale e che, in caso di ulteriore parità, abbia la precedenza chi ha minore età anagrafica».
2.– L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità della questione per difetto di motivazione sulla rilevanza. L’ordinanza di rimessione avrebbe indicato, quale unico vantaggio per il ricorrente all’esito di un eventuale accoglimento da parte di questa Corte, quello di ottenere un «posizionamento per lui più favorevole», senza alcun riferimento all’utile ingresso in graduatoria, corrispondente all’effettivo conseguimento del bene della vita consistente nell’ammissione al corso di tirocinio.
L’eccezione non è fondata.
Contrariamente a quanto osservato dalla difesa statale, il provvedimento di rimessione dà conto, in modo adeguato, delle reali possibilità dell’interessato di ottenere una utile posizione in graduatoria, in caso di sentenza favorevole di questa Corte. Già nella sua epigrafe, invero, l’ordinanza precisa che l’interesse del ricorrente è quello di essere «ricolloca[to] nelle impugnate graduatorie tenendo conto della intera “anzianità professionale” maturata». Nelle premesse in fatto, viene puntualizzato che, come da sua prospettazione, «il ricorrente risultava in posizione non utile per l’ammissione al tirocinio […] poiché, a parità di punteggio con altri avvocati, avevano ottenuto migliore posizionamento in graduatoria i concorrenti più giovani, risultando l’eccedenza oltre i 10 anni di “anzianità professionale” non computabile». Infine, si aggiunge che il ricorrente «è risultato posposto rispetto ad altri concorrenti, avvocati, che avevano minore anzianità professionale, ma minore età anagrafica, in ragione dell’applicazione del limite massimo di 10 anni per l’utilizzo del criterio di preferenza dell’anzianità professionale».
Ne consegue che il rimettente mostra di aver già apprezzato la portata decisiva del limite temporale stabilito dalla disposizione censurata. Le riferite affermazioni consentono di desumere, in modo non implausibile, che senza la contestata limitazione la posizione “non utile” in graduatoria, attualmente ricoperta dal ricorrente, sarebbe divenuta “utile”, in ragione del superamento degli altri candidati aventi minore anzianità.
La giurisprudenza costituzionale è ormai costante nel ritenere che il giudizio in ordine alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale «è riservato al rimettente e, rispetto a esso, questa Corte effettua un controllo meramente esterno, limitato ad accertare che la motivazione non sia implausibile, non sia palesemente erronea e non sia contraddittoria (sentenze n. 160 e n. 139 del 2023, n. 199 e n. 192 del 2022 e n. 32 del 2021), senza spingersi fino a un esame autonomo degli elementi che hanno portato il giudice a quo a determinate conclusioni, potendo sindacare tale valutazione solo se essa, a prima vista, appaia assolutamente priva di fondamento» (così, tra le tante, sentenza n. 129 del 2025, punto 2 del Considerato in diritto).
3.– Ancora in via preliminare, occorre precisare l’odierno thema decidendum come derivante dalle censure formulate dal TAR rimettente.
Nell’atto di costituzione, la parte ha evocato a sostegno dell’accoglimento delle questioni sollevate – oltre al vizio dell’eccesso di delega, e quindi alla violazione dell’art. 76 Cost., peraltro arricchito dal richiamo all’art. 77 Cost. – anche le previsioni costituzionali in tema di non discriminazione (art. 3 Cost.) e di tutela dei lavoratori e delle loro «prerogative e aspirazioni professionali» (con richiamo all’art. 4 Cost.). In tal modo, sono state sollevate censure che non trovano corrispondenza nella motivazione dell’ordinanza, che ha prospettato la questione unicamente sul parametro dell’art. 76 Cost.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale è limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nell’ordinanza di rimessione, con esclusione della possibilità di ampliare il thema decidendum proposto dal rimettente, fino a ricomprendervi questioni formulate dalle parti, che tuttavia egli non abbia ritenuto di fare proprie» (così, tra le tante, sentenza n. 239 del 2021, punto 5.5.1. del Considerato in diritto). L’odierna questione deve dunque essere esaminata in base al parametro costituzionale individuato dal TAR Lazio, che si riferisce unicamente al profilo dell’eccesso di delega legislativa.
4.– Nel merito, la questione è fondata.
In materia di delegazione legislativa, la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente ritenuto che il margine di discrezionalità da riconoscersi al Governo, nell’opera di attuazione dei princìpi e dei criteri direttivi individuati dal legislatore delegante, è tale da consentirgli di introdurre «norme che rappresentino un coerente sviluppo e», se del caso, «anche un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante» (tra le tante, sentenza n. 150 del 2022). Rimane, tuttavia, fermo che la discrezionalità dell’organo esecutivo deve essere «apprezzata e ritenuta in relazione al grado di specificità dei criteri fissati dalla legge di delega e in coerenza con la ratio sottesa a questi ultimi» (così, ex plurimis, sentenza n. 98 del 2024, punto 5.1. del Considerato in diritto).
Rilievo decisivo assume, nel caso di specie, la tecnica di redazione dei princìpi e dei criteri direttivi utilizzata dalla legge-delega che, per quanto riguarda la disciplina dei requisiti e delle modalità di accesso alla magistratura onoraria, ha scelto di indirizzare l’opera attuativa del legislatore delegato secondo un alto grado di specificità. L’art. 2, comma 3, della legge n. 57 del 2016 individua, infatti, con pronunciato dettaglio, sia i titoli preferenziali per la nomina a magistrato onorario (lettera b), sia i criteri di precedenza, a parità di titoli, per l’ammissione al tirocinio (lettera c). Particolarmente puntuale appare il tenore letterale di quest’ultima previsione, tale da non consentire altra soluzione, al legislatore delegato, se non quella della esatta trasposizione: «prevedere che a parità di titolo preferenziale abbia precedenza chi ha la più elevata anzianità professionale e che, in caso di ulteriore parità, abbia la precedenza chi ha minore età anagrafica».
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, all’organo esecutivo può riconoscersi un potere di «“riempimento” normativo, che è pur sempre esercizio delegato di una funzione “legislativa”» tutte le volte in cui vengano in rilievo «settori dell’ordinamento che, per la complessità dei rapporti e la tecnicità e interconnessione delle regole, mal si prestano ad esame ed approvazione diretta delle Camere» (sentenza n. 96 del 2024, punto 6.1. del Considerato in diritto). Quando, invece, l’oggetto fissato dalla legge-delega assuma contorni oltremodo definiti e «assai puntual[i]», lo scrutinio di legittimità costituzionale concernente la conformità ai princìpi e criteri direttivi, nonché il connesso rispetto dei limiti della legge-delega, «è molto stretto» (sentenza n. 22 del 2024, punto 7 del Considerato in diritto).
In tale contesto, occorre ricordare, altresì, che il sindacato rimesso a questa Corte deve muovere dal dato letterale delle disposizioni della legge-delega, per poi svilupparsi nella prospettiva di «una indagine sistematica e teleologica per verificare se l’attività del legislatore delegato, nell’esercizio del margine di discrezionalità che gli compete nell’attuazione della legge di delega, si sia inserito in modo coerente nel complessivo quadro normativo, rispettando la ratio della norma delegante (sentenze n. 250 e n. 59 del 2016; n. 146 e n. 98 del 2015; n. 119 del 2013) e mantenendosi comunque nell’alveo delle scelte di fondo operate dalla stessa (sentenza n. 278 del 2016)». Il percorso di indagine, così descritto, deve considerare il «rapporto inversamente proporzionale» che sussiste tra l’elemento letterale e quello funzionale-teleologico: «meno preciso e univoco è il primo, più rilevante risulta il secondo» (ancora, sentenza n. 22 del 2024, punto 8 del Considerato in diritto).
Nel caso all’odierno esame, l’intenzione del legislatore delegante emerge, con netta evidenza, come già rilevato, dal dettaglio con cui sono esposti i princìpi e i criteri direttivi di cui alla lettera c) dell’art. 2, comma 3, della legge n. 57 del 2016. Si intendeva preferire, a parità di titoli di merito, il candidato in possesso della più estesa esperienza professionale e, solo «in caso di ulteriore parità», il candidato più giovane di età. Non vi sono margini per possibili letture alternative, nemmeno a voler seguire un (sussidiario) approccio funzionale-teleologico il quale, peraltro, proprio in considerazione dell’intenzione palese del delegante, non sembra tale da poter condurre a risultati diversi.
In tale prospettiva, non hanno pregio gli argomenti difensivi dell’Avvocatura dello Stato, secondo cui la limitazione decennale, introdotta dall’art. 4, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 116 del 2017, sarebbe il frutto di un bilanciamento tra le esigenze, entrambe considerate dal legislatore delegante, di valorizzare la pregressa attività professionale dei candidati e di favorire, al contempo, l’accesso alla magistratura onoraria per i candidati più giovani di età. Non vi è dubbio che, nell’ambito della riforma della magistratura onoraria, i due obiettivi siano stati perseguiti dal Parlamento, rinvenendo base normativa nel dettato della lettera c) dell’art. 2, comma 3, della legge-delega n. 57 del 2016; ma è altrettanto evidente che quest’ultima disposizione li ha previsti secondo un ordine di preferenza ben preciso, che vede sempre la prevalenza della maggiore esperienza professionale rispetto alla minore età anagrafica.
La previsione del decreto legislativo, oggetto di odierno esame, è tale, invece, da capovolgere l’ordine individuato dalla legge-delega. Come plasticamente emerge dalla fattispecie controversa nel giudizio principale, il rapporto tra i due criteri di preferenza è invero delineato, dal comma 4 dell’art. 4 del d.lgs. n. 116 del 2017, in modo tale che la «minore età anagrafica» dei candidati (lettera b), pur astrattamente sottordinata rispetto alla «maggiore anzianità professionale o di servizio» (di cui alla lettera a), risulta in concreto prevalere allorquando quest’ultima superi «il limite massimo di dieci anni di anzianità», introdotto dalla lettera a).
Ne consegue l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 116 del 2017, limitatamente alle parole «, con il limite massimo di dieci anni di anzianità».
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 4, lettera a), del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57), limitatamente alle parole «, con il limite massimo di dieci anni di anzianità».
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattrice
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 30 dicembre 2025
Il Cancelliere
F.to: Igor DI BERNARDINI
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