Sentenza  211/2025 (ECLI:IT:COST:2025:211) Comunicato
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALE
Presidente: AMOROSO - Redattore:  PITRUZZELLA
Udienza Pubblica del 05/11/2025;    Decisione  del 05/11/2025
Deposito del 30/12/2025;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  Art. 1, c. 1° e 2°, del testo di legge della Provincia di Trento, approvato a norma dell'art. 47 del decreto del Presidente della Repubblica 31/08/1972 n.670, recante «Modificazioni dell’articolo 14 della legge elettorale provinciale 2003».
Massime: 
Atti decisi: ric. 21/2025

Pronuncia

SENTENZA N. 211

ANNO 2025

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Roberto Nicola CASSINELLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 2, del testo di legge della Provincia di Trento, approvato a norma dell’art. 47 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), recante «Modificazioni dell’articolo 14 della legge elettorale provinciale 2003», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 19 maggio 2025, depositato in cancelleria il 21 maggio 2025, iscritto al n. 21 del registro ricorsi 2025 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2025.

Visto l’atto di costituzione della Provincia autonoma di Trento;

udito nell’udienza pubblica del 5 novembre 2025 il Giudice relatore Giovanni Pitruzzella;

uditi l’avvocato dello Stato Eugenio De Bonis per il Presidente del Consiglio dei ministri, nonché l’avvocato Giovanni Guzzetta per la Provincia autonoma di Trento;

deliberato nella camera di consiglio del 5 novembre 2025.

Ritenuto in fatto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, con ricorso notificato il 19 maggio 2025 e depositato il successivo 21 maggio (reg. ric. n. 21 del 2025), questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 2, del testo di legge della Provincia di Trento, approvato ai sensi dell’art. 47 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), e recante «Modificazioni dell’articolo 14 della legge elettorale provinciale 2003», in riferimento al medesimo art. 47 dello statuto speciale, nonché agli artt. 2, 3, 48 e 51 della Costituzione.

1.1.− Il ricorrente deduce che l’impugnato testo di legge ha ad oggetto la modifica in due punti dell’art. 14 della legge della Provincia di Trento 5 marzo 2003, n. 2 (Norme per l’elezione diretta del Consiglio provinciale di Trento e del Presidente della Provincia).

In particolare, l’art. 1, comma 1, del citato testo di legge dispone che «[n]el comma 2 dell’articolo 14 della legge provinciale 2003 le parole: “nelle due precedenti consultazioni elettorali” sono sostituite dalle seguenti: “nelle tre precedenti consultazioni elettorali”»; l’art. 1, comma 2, a sua volta, prevede che «[n]el comma 2 dell’articolo 14 della legge provinciale 2003 le parole: “per almeno quarantotto mesi anche non continuativi” sono sostituite dalle seguenti: “per almeno settantadue mesi non continuativi”».

Pertanto, l’art. 14 della legge prov. Trento n. 2 del 2003 (d’ora in avanti anche: legge elettorale provinciale), rubricato «Eleggibilità alla carica di Presidente della Provincia e di consigliere provinciale», come modificato dalle disposizioni impugnate, così recita: «1. Sono eleggibili a Presidente della Provincia e a consigliere provinciale i cittadini iscritti nelle liste elettorali di un comune della regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, compilate ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1967, che abbiano compiuto o compiano il diciottesimo anno di età entro il giorno dell’elezione e che risiedano, alla data di pubblicazione del manifesto di convocazione dei comizi elettorali, nel territorio della regione. 2. Non è immediatamente rieleggibile alla carica di Presidente della Provincia chi sia stato eletto alla carica nelle tre precedenti consultazioni elettorali e abbia esercitato le funzioni per almeno settantadue mesi anche non continuativi. Questa disposizione si applica ai soli presidenti eletti a suffragio universale diretto».

1.2.− Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, le previsioni impugnate – stabilendo che non è rieleggibile alla carica di Presidente della Provincia chi sia stato eletto nelle tre precedenti consultazioni elettorali (anziché due, come in passato) e che ciò valga per chi abbia esercitato le funzioni presidenziali per almeno settantadue mesi (in luogo dei precedenti quarantotto), anche non continuativi – si porrebbero in contrasto con l’art. 47, secondo comma, dello statuto speciale e con i limiti che esso pone alla fonte legislativa provinciale, «collide[ndo]», altresì, con gli artt. 2, 3, 48 e 51 Cost.

In particolare, il limite violato sarebbe quello dei «principi dell’ordinamento della Repubblica», tra cui andrebbe annoverato il divieto del terzo mandato consecutivo per il presidente di un organo eletto a suffragio universale e diretto, come stabilito per le regioni ordinarie dall’art. 2, comma 1, lettera f), della legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione).

L’osservanza di tale principio si imporrebbe alle autonomie speciali in forza dei rispettivi statuti, come novellati dalla legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano).

A seguito della citata novella – prosegue il ricorrente – la Provincia autonoma di Trento, al pari delle altre autonomie speciali, ha potestà legislativa in tema di forma di governo e, specificamente, in ordine ai casi di ineleggibilità del Presidente della Provincia (art. 47, secondo comma, dello statuto speciale, come modificato dall’art. 4, comma 1, lettera v, della legge cost. n. 2 del 2001).

La potestà legislativa in questione sarebbe tuttavia sottoposta a «un regime del tutto peculiare di limiti», di ordine procedurale (possibilità di impugnazione governativa entro trenta giorni dalla pubblicazione della legge ed eventuale sottoposizione a referendum regionale confermativo) e sostanziale (armonia con la Costituzione e con i principi generali dell’ordinamento, rispetto degli obblighi internazionali e osservanza delle pertinenti disposizioni dello statuto).

Quanto alla riconduzione del divieto del terzo mandato consecutivo dei presidenti di regione e di provincia autonoma alla natura di principio generale dell’ordinamento, andrebbe evidenziato che, in presenza di un sistema di elezione a suffragio universale e diretto delle cariche monocratiche di governo, esso sarebbe «positivamente formalizzato anche in altri testi normativi» relativi a ulteriori livelli di governo, come l’art. 51, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), in relazione ai sindaci dei comuni con più di 15.000 abitanti.

Secondo il ricorrente, poi, sarebbe importante soffermarsi su due aspetti del divieto in questione: a) il rilievo che «è indubbiamente e decisivamente funzionale alla tutela del diritto di voto, alla par condicio fra i candidati e alla democraticità complessiva del sistema di governo, integrando un punto di equilibrio tra i diversi valori costituzionali coinvolti»; b) la conseguente impossibilità che trovi «applicazione differenziata sul piano territoriale, a nulla rilevando a tale fine la differenza (per altri profili sensibile)» fra regioni ordinarie e autonomie speciali.

1.2.1.− Quanto al primo aspetto, andrebbe considerato, innanzitutto, che il divieto del terzo mandato consecutivo è «un principio generale di organizzazione in ogni democrazia matura», come dimostrerebbe la circostanza che la Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (Commissione di Venezia), nel suo report «Democracy, limitation of mandates and incompatibility of political functions» del 31 gennaio 2013, si sarebbe pronunciata a favore «di tetti ai mandati a vari livelli» e, in particolare, per le cariche monocratiche elettive, «prospettandolo come standard della materia».

Nel medesimo senso si sarebbe espressa la giurisprudenza costituzionale, anche recente. Così, con riferimento ai comuni con popolazione non inferiore a 5.000 abitanti, questa Corte avrebbe affermato che il limite in questione è funzionale a «inverare e garantire […] fondamentali diritti e principi costituzionali: l’effettiva par condicio tra i candidati, la libertà di voto dei singoli elettori e la genuinità complessiva della competizione elettorale, il fisiologico ricambio della rappresentanza politica e, in definitiva, la stessa democraticità degli enti locali» (si cita la sentenza n. 60 del 2023).

Sarebbe poi acquisito alla giurisprudenza costituzionale che il principio dell’accesso alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza enunciato nell’art. 51 Cost. svolge il ruolo di garanzia generale di un diritto politico fondamentale, riconosciuto a ogni cittadino con i caratteri dell’inviolabilità (si citano le sentenze n. 25 del 2008, n. 288 del 2007 e n. 539 del 1990). Tale diritto, «essendo intangibile nel suo contenuto di valore, può essere unicamente disciplinato da leggi generali, che possono limitarlo soltanto al fine di realizzare altri interessi costituzionali altrettanto fondamentali e generali, senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadino e cittadino, qualunque sia la Regione o il luogo di appartenenza» (si cita la sentenza n. 235 del 1988).

Considerazioni analoghe varrebbero per «il più comprensivo» diritto di voto sancito dall’art. 48 Cost., «del pari coinvolto in quanto l’assetto dell’elettorato attivo è necessariamente inciso anche da vicende che pure direttamente limitano l’elettorato passivo».

Da ultimo, il Presidente del Consiglio dei ministri richiama la recente sentenza di questa Corte n. 64 del 2025, resa sulla legge della Regione Campania 11 novembre 2024, n. 16, recante «Disposizioni in materia di ineleggibilità alla carica di Presidente della Giunta regionale, in recepimento dell’articolo 2, comma 1, lettera f) della legge 2 luglio 2004, n. 165».

Con la sentenza da ultimo citata sono state dichiarate costituzionalmente illegittime le disposizioni regionali campane che avevano reso inapplicabile, per la successiva tornata elettorale, il principio fondamentale del divieto del terzo mandato consecutivo posto dal legislatore statale con l’art. 2, comma 1, lettera f), della legge n. 165 del 2004, così violando l’art. 122, primo comma, Cost., che attribuisce alla legge regionale il compito di disciplinare, tra l’altro, le ipotesi di ineleggibilità del presidente della giunta regionale nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica.

1.2.2.− In relazione al secondo aspetto, il Presidente del Consiglio dei ministri deduce che, come più volte affermato dalla giurisprudenza costituzionale, il limite dei due mandati consecutivi risponde all’esigenza di garantire l’uniforme esercizio dei diritti politici fondamentali di elettorato attivo e passivo, sanciti dagli artt. 2, 48 e 51 Cost., «di tal che risulta preclusa anche per tale ragione ogni differenziazione di trattamento su base territoriale».

In particolare, nella sentenza n. 60 del 2023 – con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di una disposizione della Regione autonoma Sardegna concernente il numero massimo di mandati consecutivi dei sindaci «fissato in misura superiore a quella individuata dalla normativa statale» – pur riconoscendosi che alle regioni a statuto speciale spetta la competenza legislativa primaria in materia di ordinamento degli enti locali, si sarebbe ricordato come siffatta competenza debba essere esercitata nel rispetto della Costituzione e dei principi generali dell’ordinamento.

Ancora più in particolare, questa Corte avrebbe sottolineato l’importanza, per quanto riguarda l’accesso alle cariche elettive, di una disciplina uniforme sul territorio nazionale, al fine di garantire l’uguaglianza sostanziale tra i cittadini e la stessa democraticità degli enti locali.

Soltanto le leggi generali della Repubblica, quindi, potrebbero limitare diritti politici fondamentali, individuando il punto di equilibrio «indefettibile e inderogabile» fra il diritto di elettorato e il principio democratico. Una disciplina derogatoria, tanto per le regioni ordinarie quanto per le autonomie speciali, non potrebbe alterare questo punto di equilibrio, a pena di violazione degli artt. 2, 3, 48 e 51 Cost.

In quella stessa sede si sarebbe poi ricordato che uno scostamento dalla disciplina statale è possibile «in presenza di “particolari situazioni ambientali” (sentenza n. 283 del 2010) o “condizioni peculiari locali” (sentenze n. 143 del 2010 e n. 276 del 1997), o “condizioni locali del tutto peculiari o eccezionali” (sentenza n. 539 del 1990), ossia “in presenza di situazioni concernenti categorie di soggetti, le quali siano esclusive” per la regione ad autonomia speciale, “ovvero si presentino diverse, messe a raffronto con quelle proprie delle stesse categorie di soggetti nel restante territorio nazionale” (sentenza n. 288 del 2007; in termini identici, sentenza n. 108 del 1969), o, ancora, “solo per particolari categorie di soggetti che siano esclusive della Regione” (sentenza n. 189 del 1971)».

Nessuna di queste peculiarità locali sarebbe rinvenibile nel caso in esame: né «dimensioni demografiche singolarmente contenute», né «peculiarità geografiche» della sola Provincia autonoma di Trento, né «condizioni lato sensu ambientali che richiedano particolari discipline ai fini della selezione di eccentrici requisiti di elettorato (attivo e) passivo per l’accesso alla carica presidenziale in questione».

Se ne dovrebbe concludere che le disposizioni impugnate, dettate nell’esercizio della competenza legislativa «“statutaria” della Provincia autonoma» resistente, non rispettano il «prefato» principio generale dell’ordinamento, in violazione dell’art. 47, secondo comma, dello statuto speciale.

Esse violerebbero anche il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., al quale, in tema di accesso alle cariche pubbliche elettive, darebbe compiuta attuazione l’art. 51 Cost.

L’originaria previsione del limite dei due mandati consecutivi contenuta nella legge elettorale provinciale sarebbe stata, per contro, «la sola legittima perché in linea» con il limite stabilito: a) per i sindaci e i presidenti di provincia dall’art. 51, comma 2, t.u. enti locali; b) per il Presidente della Regione siciliana dall’art. 9, quarto comma, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 (Conversione in legge costituzionale dello Statuto della Regione siciliana, approvato con regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455); c) per i presidenti di giunta regionale eletti a suffragio universale e diretto dall’art. 2, comma 1, lettera f), della legge n. 165 del 2004.

2.− Con atto depositato il 27 giugno 2025, si è costituita in giudizio la Provincia autonoma di Trento, eccependo l’inammissibilità e la non fondatezza del ricorso avversario.

2.1.− Le questioni, in primo luogo, sarebbero inammissibili «per erronea e dunque mancata individuazione del parametro di incostituzionalità».

Osserva la resistente che lo Stato lamenta violazione dell’art. 47, secondo comma, dello statuto speciale e degli artt. 2, 3, 48 e 51 Cost. «in conseguenza della violazione delle norme interposte costituite dai principi dell’ordinamento giuridico», i quali costituiscono un limite alla potestà legislativa provinciale «in tema di c.d. leggi statutarie».

Secondo il ricorrente, il limite dei due mandati consecutivi sarebbe indirettamente imposto alla Provincia autonoma di Trento: a) dall’art. 2, comma 1, lettera f), della legge n. 165 del 2004, adottata in attuazione dell’art. 122, primo comma, Cost., relativo alle regioni a statuto ordinario; b) dall’art. 51, comma 2, t.u. enti locali, relativo ai sindaci dei comuni con più di 15.000 abitanti e ai presidenti di provincia.

Tali «parametri interposti», tuttavia, sarebbero «inconferenti».

Con riferimento alle disposizioni relative alle regioni ordinarie e ai comuni, per l’evidente ragione che quelle in questa sede impugnate riguardano un ente che non appartiene al medesimo «genus».

Quanto alle disposizioni relative ai presidenti delle province ordinarie – «in disparte ogni considerazione sull’assoluta incomparabilità tra lo status e la collocazione nel sistema della Provincia autonoma di Trento rispetto agli enti provinciali ordinari» – varrebbe comunque la considerazione che per questi ultimi il limite in esame deve intendersi implicitamente abrogato, poiché la legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), ha eliminato la loro elezione diretta.

2.2.− Nel merito, la resistente osserva che il tema dei limiti alla «eleggibilità/candidabilità» degli organi monocratici degli esecutivi degli enti territoriali eletti direttamente è stato oggetto di «numerosi» interventi di questa Corte (si citano le sentenze n. 64 del 2025 e n. 60 del 2023).

2.2.1.− Pur in assenza di precedenti specifici relativi ai presidenti delle regioni o delle province ad autonomia speciale, dalla giurisprudenza costituzionale si potrebbe ricavare «una serie di punti fermi».

Il primo sarebbe che, alla luce degli artt. 3, 48 e 51 Cost., non sarebbe «costituzionalmente ammissibile» l’assenza di qualsiasi limite alla immediata rieleggibilità degli organi di governo monocratici eletti direttamente.

Il limite ai mandati consecutivi, infatti, si spiegherebbe con la necessità di contemperare interessi di fondamentale rilievo costituzionale in qualche misura contrapposti: da un lato, «quello di valorizzazione, in forza del principio democratico, della piena libertà di elettorato passivo e attivo (che giustificherebbe l’eleggibilità per una pluralità di mandati anche consecutivi)»; dall’altro, quelli di garantire un ricambio al vertice di tali organi e tutelare l’eguaglianza nello svolgimento delle menzionate libertà, «al fine di bilanciare il rischio, insito nell’investitura popolare diretta, di spinte plebiscitarie e di una concentrazione personalistica del potere» (si cita nuovamente la sentenza n. 64 del 2025), e di evitare che la competizione elettorale sia condizionata da captatio benevolentiae o metus publicae potestatis.

L’affermazione della «necessità costituzionale» di una limitazione al numero dei mandati non si risolverebbe, però, nella conclusione che «già nella trama costituzionale […] si possa rintracciare l’esatto “punto di equilibrio” e, fuor di metafora, l’esatta indicazione del numero dei mandati che soddisfa l’esigenza di contemperamento sopra ricordata». Dall’esame della giurisprudenza costituzionale, cioè, non parrebbe che «uno specifico numero dei mandati costituisca un “contenuto vincolato” desumibile direttamente dalla Carta».

Da essa si ricaverebbe, piuttosto, che tale punto di equilibrio vada definito «nell’ambito dell’esercizio della discrezionalità legislativa del titolare della competenza a individuarlo».

2.2.2.− Con riferimento alle regioni ordinarie e ai comuni, questa Corte avrebbe riconosciuto la competenza del legislatore statale.

Quanto alle autonomie speciali, invece, andrebbero considerate alcune «dirimenti peculiarità nella disciplina della materia», come sarebbe stato «incidentalmente» riconosciuto nella più volte citata sentenza n. 64 del 2025, là dove si è affermato che il «disegno delle autonomie speciali, definito da statuti dotati di rango costituzionale, è diverso da quello delle regioni ordinarie e il nesso tra forma di governo e materia elettorale è molto più stringente, non essendovi per le prime la competenza legislativa concorrente dello Stato delineata in Costituzione per le regioni ordinarie».

Il «“blocco di costituzionalità”» per le autonomie speciali sarebbe costituito dal combinato disposto delle disposizioni costituzionali e di quelle, di pari rango, contenute nelle leggi che adottano gli statuti speciali.

Per esse, dunque, la fonte statutaria di rango costituzionale non accoglierebbe in assoluto «la soluzione di “neutralità” di cui all’art. 51 Cost., quanto all’individuazione del punto di equilibrio relativo al numero dei mandati, ma, tutto al contrario», compirebbe, «in positivo e in negativo», delle scelte precise.

In particolare, con riferimento alla Regione siciliana, il legislatore costituzionale avrebbe operato direttamente «la ponderazione che conduce a stabilire nel numero di due i mandati consecutivi esercitabili» dal Presidente di Regione eletto direttamente, peraltro sottraendo tale scelta a eventuali future modifiche ad opera della legge statutaria.

Siffatta opzione, tuttavia, si porrebbe in termini eccentrici rispetto sia alle regioni ordinarie, per le quali «la “ponderazione” è rimessa» al legislatore ordinario, sia alle altre autonomie speciali, per le quali si dovrebbe ritenere che sia rimessa alla loro potestà legislativa.

Per queste ultime la mancata riproposizione ad opera della legge cost. n. 2 del 2001 del vincolo da essa posto per la Regione siciliana non potrebbe che essere interpretato secondo il «canone ermeneutico (a contrario) ubi voluit dixit ubi noluit tacuit». Essa esprimerebbe, pertanto, la volontà implicita, per le altre autonomie speciali, di rimettere alla legge statutaria (mediante, dunque, un procedimento aggravato, suscettibile anche di una «eventuale pronuncia referendaria approvativa») la «scelta di opportunità sul “punto di equilibrio” relativo al limite dei mandati».

Pur prevedendo gli statuti speciali emendati dalla legge cost. n. 2 del 2001 specifici limiti quali l’armonia con la Costituzione e i «principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica», sarebbe «arduo» ritenere che una specifica previsione relativa a una singola regione speciale (il limite dei due mandati consecutivi nella Regione siciliana) possa costituire un principio generale dell’ordinamento.

D’altro canto, l’applicazione alle autonomie speciali dei limiti desumibili dalla legge n. 165 del 2004 avrebbe come conseguenza che la loro competenza in tema di leggi statutarie finirebbe per essere equiparata a quella delle regioni ordinarie di cui all’art. 122, primo comma, Cost., «con sostanziale ulteriore equiparazione tra “principi dell’ordinamento”, predicati come limite alla prima, e “principi fondamentali”, predicati come limite alla seconda».

Al contrario, sarebbe evidente – come affermato da questa Corte con specifico riferimento alla Regione siciliana – che la potestà legislativa primaria delle autonomie speciali non possa incontrare limiti eguali a quelli che, ai sensi dell’art. 122 Cost., si impongono alle regioni a statuto ordinario (si cita la sentenza n. 134 del 2018).

Sarebbe vero che tale affermazione, nella giurisprudenza costituzionale, risulta accompagnata dalla precisazione che, al contempo, le suddette autonomie non possono sottrarsi, se non laddove ricorrano condizioni peculiari locali, all’applicazione dei principi enunciati dalla legge n. 165 del 2004 che siano espressivi dell’esigenza indefettibile di uniformità imposta dagli artt. 3 e 51 Cost. (si citano le sentenze n. 60 del 2023, n. 134 del 2018 e n. 143 del 2010).

2.2.3.− Non si potrebbe dubitare, tuttavia, del fatto che tali condizioni peculiari locali ricorrano per la Provincia autonoma di Trento, la quale, insieme a quella di Bolzano, godrebbe di un regime costituzionale del tutto peculiare, «tale da farne un unicum nel contesto delle autonomie territoriali», in ragione della presenza di una pluralità di minoranze linguistico-culturali.

La circostanza, poi, che la specialità dell’autonomia della Regione Trentino-Alto Adige /Südtirol e della sua conseguente architettura istituzionale sia fondata su un doppio livello, regionale e provinciale, determinerebbe delle conseguenze sulla disciplina dei mandati dei Consigli provinciali e dei relativi esecutivi.

Poiché, infatti, il Consiglio regionale, ai sensi dell’art. 25 dello statuto speciale, è composto dai membri dei Consigli provinciali di Trento e di Bolzano, «[s]e un Consiglio provinciale è rinnovato anticipatamente rispetto all’altro, esso dura in carica sino alla scadenza del quinquennio di quello non rinnovato» (art. 48, primo comma, ultimo periodo, dello statuto speciale).

Tale circostanza sarebbe sufficiente a rendere «del tutto eccentrico lo status del Presidente della provincia in ipotesi anticipatamente rieletto, il quale ex statuto non potrà godere di una intera durata del proprio mandato».

Ciò farebbe venire meno «i presupposti di comparabilità e uguaglianza delle condizioni per l’applicazione della regola generale sul numero dei mandati (ipoteticamente) definita dal legislatore nazionale».

3.− Con atto depositato il 23 giugno 2025, l’Associazione di promozione sociale «Più democrazia in Trentino» ha depositato opinione scritta, in qualità di amicus curiae, ai sensi dell’art. 6 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, argomentando in senso adesivo alle censure del ricorrente.

L’opinione è stata ammessa con decreto presidenziale del 23 settembre 2025.

4.− In data 15 ottobre 2025, la Provincia autonoma di Trento ha depositato una memoria difensiva, con cui – oltre a illustrare ulteriormente gli argomenti già spiegati nell’atto di costituzione – ha eccepito l’inammissibilità della questione avente ad oggetto la disposizione provinciale che subordina l’operatività del divieto del quarto mandato consecutivo al pregresso esercizio delle funzioni presidenziali per almeno settantadue mesi, anche non continuativi.

In ordine a tale disposizione, infatti, la difesa erariale non avrebbe “speso” «nemmeno una parola a suffragio della propria contestazione», con conseguente impossibilità per la resistente di esercitare il contraddittorio.

Considerato in diritto

l.− Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 2, del testo di legge della Provincia autonoma di Trento, recante «Modificazioni dell’articolo 14 della legge elettorale provinciale 2003», approvato ai sensi dell’art. 47, secondo comma, dello statuto speciale.

Le disposizioni impugnate, modificando il comma 2 dell’art. 14 della legge prov. Trento n. 2 del 2003, innalzano, rispettivamente, da due a tre i mandati consecutivi che possono essere svolti dal Presidente della Provincia eletto a suffragio universale e diretto e da quarantotto a settantadue i mesi, anche non continuativi, di effettivo esercizio delle funzioni presidenziali necessari perché operi l’introdotto divieto del quarto mandato.

Per effetto delle menzionate modifiche, dunque, il testo dell’art. 14, comma 2, della legge elettorale provinciale così recita: «[n]on è immediatamente rieleggibile alla carica di Presidente della Provincia chi sia stato eletto alla carica nelle tre precedenti consultazioni elettorali e abbia esercitato le funzioni per almeno settantadue mesi anche non continuativi. Questa disposizione si applica ai soli presidenti eletti a suffragio universale diretto».

l.1.− Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, il legislatore provinciale, in primo luogo, avrebbe violato lo stesso art. 47, secondo comma, dello statuto speciale, eccedendo il limite dei «principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica», cui sarebbe ascrivibile il divieto del terzo mandato consecutivo per il presidente «di un organo eletto a suffragio universale e diretto».

Il principio in parola si ritrarrebbe da diverse disposizioni presenti nell’ordinamento: l’art. 2, comma 1, lettera f), della legge n. 165 del 2004, dettato per i presidenti di giunta regionale; l’art. 9, quarto comma, dello statuto speciale della Regione siciliana per il Presidente della Regione; l’art. 51, comma 2, t.u. enti locali per i sindaci dei comuni con popolazione non inferiore a 15.000 abitanti e per i presidenti delle province ordinarie (fintanto che erano eletti a suffragio universale e diretto).

La natura di principio generale dell’ordinamento si ricaverebbe, poi, dalla ratio del divieto del terzo mandato consecutivo, che esprimerebbe «un principio generale di organizzazione in ogni democrazia matura», come si evincerebbe dalla giurisprudenza costituzionale e, in particolare, dalle sentenze n. 64 del 2025 e n. 60 del 2023.

1.2.− La previsione della possibilità di un terzo mandato consecutivo, recata dalle disposizioni provinciali impugnate, violerebbe, al contempo, gli artt. 2, 3, 48 e 51 Cost., il cui rispetto si imporrebbe anche alla competenza legislativa primaria in materia elettorale delle autonomie speciali.

Come più volte affermato da questa Corte, infatti, il limite dei due mandati consecutivi risponderebbe all’esigenza di garantire l’uniforme esercizio dei diritti politici fondamentali di elettorato attivo e passivo, con la conseguenza che risulterebbe «preclusa anche per tale ragione ogni differenziazione di trattamento su base territoriale».

Nemmeno sussisterebbero peculiari condizioni locali idonee a giustificare, secondo la stessa giurisprudenza costituzionale, una differente disciplina in materia.

2.− È preliminare l’esame delle eccezioni di inammissibilità sollevate dalla Provincia resistente.

2.1.− Secondo quest’ultima, le questioni sarebbero inammissibili, in primo luogo, per inconferenza delle norme «interpost[e]» da cui il ricorrente ricava il principio generale dell’ordinamento del divieto del terzo mandato consecutivo.

In particolare, gli artt. 2, comma 1, lettera f), della legge n. 165 del 2004 e 51, comma 2, t.u. enti locali riguarderebbero, rispettivamente, le regioni ordinarie e i comuni e le province ordinarie (queste ultime sino alla loro riforma operata dalla legge n. 56 del 2014), ossia enti che non appartengono al medesimo «genus» della Provincia autonoma di Trento.

2.2.− L’eccezione – che, al di là della generica formulazione, nella sua trama argomentativa si riferisce, in realtà, esclusivamente alla dedotta violazione del limite dei principi generali dell’ordinamento (e non, quindi, delle altre disposizioni costituzionali evocate) – non è fondata.

Il ricorrente menziona le disposizioni ricordate dalla resistente (unitamente all’art. 9, quarto comma, dello statuto speciale della Regione siciliana) non quali diretti parametri interposti, ma come testi normativi da cui emergerebbe un principio generale dell’ordinamento, che vincolerebbe la Provincia autonoma ai sensi dell’art. 47, secondo comma, dello statuto speciale.

Se quelle disposizioni siano idonee o meno a fare emergere siffatto principio non attiene all’ammissibilità, ma al merito delle questioni.

2.3.− Nella memoria depositata in vista dell’udienza di discussione la Provincia autonoma di Trento ha eccepito l’inammissibilità della sola questione avente a oggetto l’art. 1, comma 2, dell’impugnato testo della legge provinciale.

Secondo la resistente, la difesa erariale non avrebbe “speso” «nemmeno una parola a suffragio della propria contestazione», con conseguente impossibilità per la resistente medesima di esercitare il contraddittorio.

2.4.− Anche questa eccezione non è fondata.

È vero che le censure del ricorrente sono incentrate sulla presunta illegittimità costituzionale dell’innalzamento del limite ai mandati consecutivi stabilito dall’art. 1, comma 1.

Ciò, tuttavia, non comporta l’inammissibilità della questione promossa in relazione all’art. 1, comma 2, perché l’intervento del legislatore provinciale è unitario: con le due previsioni impugnate esso ha inciso sulla stessa disposizione (l’art. 14, comma 2, della legge elettorale provinciale). In particolare, con l’art. 1, comma 1, ha portato da due a tre il limite dei mandati consecutivi del Presidente della Provincia e con l’art. 1, comma 2, ha consequenzialmente e proporzionalmente innalzato da quarantotto a settantadue la durata minima dell’effettivo svolgimento delle funzioni presidenziali richiesta perché operi la limitazione ai mandati.

In altri termini, poiché la modifica recata con l’art. 1, comma 2, è una conseguenza logica e proporzionale dell’aumento del numero dei mandati consecutivi operata con l’art. 1, comma 1, le censure rivolte a quest’ultimo si estendono al primo.

3.− Nel merito, le questioni sono fondate.

La Provincia autonoma di Trento ha esercitato la competenza legislativa primaria attribuitale dall’art. 47, secondo comma, dello statuto speciale, a tenore del quale «la legge provinciale, approvata dal Consiglio provinciale con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, determina la forma di governo della Provincia e, specificatamente, le modalità di elezione del Consiglio provinciale, del Presidente della Provincia e degli assessori, i rapporti tra gli organi della Provincia, la presentazione e l’approvazione della mozione motivata di sfiducia nei confronti del Presidente della Provincia, i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con le predette cariche, nonché l’esercizio del diritto di iniziativa popolare delle leggi provinciali e del referendum provinciale abrogativo, propositivo e consultivo».

Si tratta della cosiddetta legge statutaria – introdotta per tutte le autonomie speciali (ad eccezione della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol)) dalla legge cost. n. 2 del 2001 – che, ai sensi dello stesso art. 47, secondo comma, dello statuto speciale, incontra i limiti della «armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica», del «rispetto degli obblighi internazionali» e «dell’osservanza» delle norme statutarie previste nel medesimo Capo (del Titolo II).

Con le disposizioni impugnate il legislatore provinciale, ponendosi in contrasto con il divieto del terzo mandato consecutivo, ha ecceduto siffatti limiti.

Per le ragioni che si illustreranno meglio appresso, deve infatti ritenersi che il divieto in questione non sia imposto dalla Costituzione (infra, punto 8) e tuttavia valga anche per le autonomie speciali, sia perché – allo stato attuale della legislazione – deve considerarsi un principio generale dell’ordinamento (infra, punto 6), sia in ragione del necessario rispetto del principio di eguaglianza nell’accesso alle cariche elettive (infra, punto 7).

4.− A proposito del medesimo divieto posto dall’art. 51, comma 2, t.u. enti locali per i comuni più popolosi, questa Corte, con la sentenza n. 60 del 2023, ha osservato come esso − sin dalla sua introduzione ad opera dell’art. 2 della legge 25 marzo 1993, n. 81 (Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale) − sia stato pensato dal legislatore quale «temperamento “di sistema”» rispetto alla contestuale introduzione dell’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di provincia.

Non solo, ma siffatta limitazione al diritto di elettorato passivo – «in stretta connessione con l’elezione diretta dell’organo di vertice dell’ente locale, a cui fa da ponderato contraltare» – riflette anche «una scelta normativa idonea a inverare e garantire ulteriori fondamentali diritti e principi costituzionali: l’effettiva par condicio tra i candidati, la libertà di voto dei singoli elettori e la genuinità complessiva della competizione elettorale, il fisiologico ricambio della rappresentanza politica e, in definitiva, la stessa democraticità degli enti locali. Tali ulteriori interessi costituzionali sono destinati ad operare in armonia con il principio presidiato dall’art. 51 Cost., in base ad uno specifico punto di equilibrio la cui individuazione deve essere lasciata nelle mani del legislatore statale» (così, ancora, la sentenza n. 60 del 2023; nello stesso senso, sentenza n. 196 del 2024).

5.− Con la recente sentenza n. 64 del 2025 – a proposito dell’art. 2, comma 1, lettera f), della legge n. 165 del 2004 adottata per le regioni ordinarie in attuazione dell’art. 122, primo comma, Cost. – si è chiarito che quanto affermato per i sindaci vale, «a fortiori, per i Presidenti di Giunta regionale eletti a suffragio universale e diretto, dato che costoro […] assommano in sé ampi poteri, sino al punto che in dottrina la relativa forma di governo è anche stata definita “iperpresidenziale”».

La forma di governo introdotta dalla legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni), infatti, si caratterizza: «a) per il potere del Presidente di nominare o revocare i componenti della Giunta (art. 122, quinto comma, Cost.), scegliendoli anche al di fuori del Consiglio regionale; b) per il principio aut simul stabunt aut simul cadent, ossia per un meccanismo che lega il destino del Consiglio regionale a quello del Presidente della Giunta e viceversa, e che si articola, da un lato, nella regola secondo cui la perdita della carica da parte del secondo (per dimissioni volontarie, rimozione, impedimento permanente o morte) comporta lo scioglimento del primo e il ritorno alle urne (art. 126, terzo comma, Cost.) e, dall’altro, nella regola per cui il Consiglio, per rimuovere il Presidente della Giunta (e quest’ultima), può solo approvare, a maggioranza assoluta, una mozione di sfiducia, ovvero passare per le dimissioni contestuali della maggioranza dei propri eletti (art. 126, commi secondo e terzo, Cost.), con la conseguenza necessaria, anche in questi casi, dello scioglimento del medesimo Consiglio e del ritorno alle urne; c) correlativamente, per l’assenza di un rapporto di fiducia diretto tra i due organi, sostituito da un rapporto di “non sfiducia”» (sentenza n. 64 del 2025 citata).

Nella medesima sentenza si è aggiunto che anche per i presidenti di giunta regionale il legislatore ha considerato il divieto del terzo mandato consecutivo, da un lato, un temperamento di sistema rispetto all’elezione diretta del vertice monocratico, cui fa da «“ponderato contraltare”»; e, dall’altro, «un bilanciamento tra contrapposti principi», ossia un «delicato punto di equilibrio» tra il diritto di elettorato passivo e il diritto di elettorato attivo, nonché gli interessi riconducibili alla genuinità della competizione elettorale e alla generale democraticità delle istituzioni.

Tale scelta legislativa, proprio per la sua ratio e per la natura dei diritti e degli interessi coinvolti, una volta compiuta, non può che imporsi, quale principio fondamentale, in condizioni di «uniformità normativa, su tutto il territorio nazionale» (ancora, sentenza n. 64 del 2025).

6.− La connessione del divieto in questione con i menzionati diritti e principi costituzionali caratterizzanti la stessa forma di Stato spiega perché esso va ascritto anche ai principi generali dell’ordinamento, che si impongono, quali limiti alla loro potestà legislativa primaria, a quelle autonomie speciali, come la Provincia autonoma di Trento, la cui forma di governo (in seguito alle modifiche statutarie apportate dalla legge costituzionale n. 2 del 2001) si caratterizza, al pari di quella delle regioni ordinarie, per l’elezione a suffragio universale e diretto del presidente e per i suoi conseguenti ampi poteri.

Anche nel loro caso, infatti, la regolamentazione del limite ai mandati consecutivi, in primo luogo, «incide sulle condizioni di accesso alla carica apicale, con rilevanti ricadute sull’assetto complessivo» dell’ente regionale (o provinciale), e «individua un punto di equilibrio tra plurime esigenze di rilievo costituzionale» (sentenza n. 60 del 2023).

Anche nel loro caso, in secondo luogo, ricorre l’esigenza democratica di «bilanciare il rischio, insito nell’investitura popolare diretta, di spinte plebiscitarie e di una concentrazione personalistica del potere» (sentenza n. 64 del 2025): tale esigenza riguarda, segnatamente, gli organi monocratici titolari di potere politico che hanno un ruolo significativo nella dialettica democratica.

Come messo in luce dalla Commissione di Venezia nel citato report «Democracy, limitation of mandates and incompatibility of political functions», infatti, la democrazia moderna può funzionare solo «con o attraverso limitazioni» che siano predeterminate come «legittime e ragionevoli» e la limitazione ai mandati politici è uno dei «principi chiave» che «limitano» la democrazia, ma che «allo stesso tempo la rendono possibile».

7.− Il divieto in questione si impone alle ricordate autonomie speciali anche a tutela del principio costituzionale di eguaglianza nell’accesso alle cariche elettive, che parimenti assurge a limite della loro competenza legislativa primaria in materia elettorale.

Il rispetto di tale limite non comporta il disconoscimento di quella potestà legislativa, «“[…] ma significa tutelare il fondamentale diritto di elettorato passivo, trattandosi ‘di un diritto che, essendo intangibile nel suo contenuto di valore, può essere unicamente disciplinato da leggi generali, che possono limitarlo soltanto al fine di realizzare altri interessi costituzionali altrettanto fondamentali e generali, senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadino e cittadino, qualunque sia la Regione o il luogo di appartenenza’ (cfr. ex plurimis sentenza n. 235 del 1988)” (sentenza n. 143 del 2010; in termini, sentenze n. 288 del 2007, n. 539 del 1990 e n. 189 del 1971)» (sentenza n. 60 del 2023).

Come questa Corte ha già affermato, del resto, le autonomie speciali, nel disciplinare le cause di ineleggibilità e incompatibilità, per quanto rimesse alla loro competenza legislativa primaria, sono comunque tenute al rispetto dei principi enunciati dalla legge n. 165 del 2004 che siano «espressivi dell’esigenza indefettibile di uniformità imposta dagli artt. 3 e 51 Cost.» (sentenza n. 143 del 2010; nello stesso senso, sentenze n. 148 del 2025, n. 134 del 2018 e n. 294 del 2011).

Tra questi principi, per le ragioni già esposte ai punti 5, 6 e 7 – ossia per la sua ratio di temperamento di sistema dell’elezione diretta e di punto di equilibrio tra contrapposti diritti e principi fondamentali – deve annoverarsi quello del divieto del terzo mandato consecutivo recato dal citato art. 2, comma 1, lettera f).

8.− Non conduce a conclusioni diverse il rilievo svolto dalla Provincia autonoma di Trento, secondo cui la giurisprudenza costituzionale non ha mai affermato che il divieto in parola è costituzionalmente imposto e ha precisato, anzi, che esso riflette un punto di equilibrio la cui concreta determinazione è rimessa al legislatore statale.

Invero, la Costituzione non impone il divieto del terzo mandato e spetta al legislatore statale individuare, a monte, il punto di equilibrio tra i ricordati e contrapposti principi costituzionali che sottende il limite temporale all’esercizio delle cariche monocratiche apicali elette a suffragio universale e diretto.

Ciò che conta, tuttavia, nell’odierna prospettiva, è che, una volta fissato, quel punto di equilibrio si impone, a valle, anche alle autonomie speciali sia come principio generale dell’ordinamento che per il necessario rispetto del principio di eguaglianza nell’accesso alle cariche elettive.

9.− Parimenti inconferente appare l’ulteriore rilievo svolto dalla resistente, secondo cui questa Corte ha affermato che il «disegno delle autonomie speciali, definito da statuti dotati di rango costituzionale, è diverso da quello delle regioni ordinarie e il nesso tra forma di governo e materia elettorale è molto più stringente, non essendovi per le prime la competenza legislativa concorrente dello Stato delineata in Costituzione per le regioni ordinarie» (sentenza n. 64 del 2025).

Si tratta, infatti, di una affermazione volta a escludere, in generale, la piena sovrapponibilità del quadro delle competenze in punto di materia elettorale e forma di governo tra regioni ordinarie e autonomie speciali, ma che nulla dice sui limiti alla legislazione primaria delle seconde.

10.− Non è condivisibile, poi, l’argomento a contrario della Provincia autonoma di Trento per cui il legislatore costituzionale del 2001, prevedendo espressamente il divieto del terzo mandato consecutivo solo nello statuto speciale della Regione siciliana, avrebbe rimesso alle altre autonomie speciali – e in particolare alle loro leggi statutarie – la concreta determinazione della limitazione ai mandati.

La presenza del divieto nello statuto della Regione siciliana ha una sua più semplice giustificazione storica e istituzionale.

Per tale Regione, infatti, come emerge dai lavori parlamentari, il legislatore costituzionale ha inteso recepire integralmente la cosiddetta “legge-voto”, approvata quasi all’unanimità dall’Assemblea regionale siciliana e recante tutte le modifiche poi apportate al suo statuto, ivi compresa quella sul divieto del terzo mandato.

11.− Nemmeno condivisibili sono gli ulteriori argomenti della resistente incentrati sulla presenza di peculiari situazioni locali che, secondo la stessa giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 148 del 2025, n. 60 del 2023, n. 283 e n. 143 del 2010, n. 288 del 2007, n. 276 del 1997, n. 539 del 1990, n. 189 del 1971 e n. 108 del 1969), giustificherebbero una deroga all’esigenza di uniformità di trattamento nella regolazione dell’accesso alla carica di Presidente della Provincia.

Tali peculiarità sarebbero date da: a) la presenza in entrambe le Province autonome «di una pluralità di minoranze linguistico-culturali»; b) la regola fissata dallo statuto speciale all’art. 48, primo comma, per cui, in caso di scadenza anticipata di uno dei due Consigli provinciali (che formano il Consiglio regionale), il Presidente della Provincia rieletto non dura per l’intero mandato, ma solo per il tempo rimanente all’altro Consiglio.

11.1.− Quanto al primo dei due argomenti, la resistente non spiega perché la presenza di minoranze linguistiche giustificherebbe un numero di mandati più elevato e, quindi, un vertice monocratico eletto direttamente ancora più forte rispetto al resto del territorio nazionale.

Va osservato, al contrario, che, per le autonomie ove la presenza delle minoranze in questione è più radicata (Provincia autonoma di Bolzano e Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée dʼAoste), il legislatore costituzionale ha optato – fino a diversa scelta da parte della legge statutaria – per il mantenimento della elezione consiliare del Presidente: ciò sulla base del presupposto implicito che quelle minoranze trovino una più adeguata rappresentanza politica e una maggiore tutela (non in un organo monocratico eletto a suffragio universale e diretto ma) nel Consiglio provinciale e regionale, ossia in un organo collegiale.

11.2.− Quanto al secondo argomento, la possibilità che uno dei mandati duri meno dell’ordinario quinquennio costituisce pur sempre un’evenienza “patologica” dovuta alla scadenza anticipata del precedente e, in quanto tale, non può giustificare – come accade con le previsioni impugnate – un innalzamento del tetto ai mandati anche per l’ipotesi del loro regolare compimento.

Essa, per contro, può giustificare, ad opera del legislatore provinciale, una regolazione dei cosiddetti spazi “interstiziali” (sentenza n. 64 del 2025).

Non a caso, alcune legislazioni regionali prevedono una durata temporale minima perché un mandato possa essere computato ai fini dell’operatività del limite. La stessa Provincia autonoma di Trento, del resto, ha regolato tale aspetto, stabilendo che il divieto del terzo mandato opera solo a condizione che il Presidente uscente abbia già svolto nei due mandati pregressi almeno quarantotto mesi, anche non consecutivi (innalzati, con la modifica in esame, a settantadue in relazione ai pregressi tre mandati).

12.− Pur trattandosi di profilo non dedotto dalla resistente, è il caso di precisare che nemmeno possono ravvisarsi peculiari condizioni locali atte a giustificare un regime derogatorio nelle circostanze che, per la Provincia autonoma di Trento, il principio del simul stabunt simul cadent è parzialmente attenuato ed è prevista una mozione di sfiducia individuale nei confronti di uno o più assessori.

12.1.− Quanto al principio del “simul simul”, in primo luogo, lo statuto speciale per entrambe le Province non regola, a regime, le due ipotesi “fisiche” dell’impedimento permanente e della morte del Presidente, che sono invece disciplinate dalla legge elettorale provinciale in modo parzialmente diverso rispetto a quanto previsto per le regioni ordinarie in Costituzione e per le altre autonomie speciali nei relativi statuti (ove comportano sempre le dimissioni della giunta e lo scioglimento del consiglio).

In particolare, la legge prov. Trento n. 2 del 2003 dispone, all’art. 5, comma 4, che l’impedimento permanente e la morte che intervengano dopo tre anni dall’inizio della legislatura non portano alla sua automatica conclusione: in questo caso, «il Consiglio provinciale rimane in carica per l’ordinaria amministrazione ed elegge, per la restante parte della legislatura, il nuovo Presidente della Provincia, scegliendolo tra i propri componenti».

12.2.− Parzialmente eccentrico è anche il regime delle dimissioni del Presidente: all’art. 5, comma 3, della medesima legge provinciale è previsto, infatti, che, qualora egli le presenti negli ultimi dodici mesi della legislatura, la Giunta e il Consiglio provinciale rimangono in carica per l’ordinaria amministrazione fino alla scadenza del quinquennio e le funzioni di Presidente della Provincia sono svolte dal vicepresidente, ovvero dall’assessore più anziano di età in caso di assenza, impedimento o cessazione dalla carica del vicepresidente.

12.3.− Tutte le ricordate previsioni si spiegano con la volontà del legislatore provinciale di limitare i casi di elezione di un Consiglio e di un Presidente destinati a durare in carica per un tempo ridotto, ossia fino al termine del mandato del Consiglio dell’altra Provincia autonoma, ai sensi di quanto previsto dal citato art. 48, primo comma, dello statuto speciale.

12.4.− Tali ipotesi, per quanto qui rileva, pur facendo registrare una parziale deroga al principio del “simul simul”, sono, tuttavia, marginali e non in grado di mutare l’assetto di fondo dei rapporti tra poteri proprio della forma di governo basata sull’elezione diretta del Presidente: a) quanto all’impedimento permanente e alla morte, perché si tratta di evenienze statisticamente infrequenti e politicamente non significative, oltre che disciplinate in modo diverso solo nell’ultimo biennio; b) quanto alle dimissioni, perché – anche a prescindere dalla compatibilità o meno di siffatta previsione con lo statuto speciale – disciplinate diversamente solo nell’ultimo tratto del mandato (l’ultimo dei cinque anni).

12.5.− Anche la previsione della mozione di sfiducia individuale nei confronti di uno o più assessori, pur costituendo un parziale limite al potere del Presidente di (nomina e) revoca dei componenti della Giunta, non è idonea a stravolgere l’impianto di fondo del sistema della sua elezione diretta.

Tale sistema, infatti, resta pur sempre caratterizzato non solo da ampi residui poteri del Presidente medesimo nei confronti del Consiglio regionale e della Giunta, ma anche dal suo plus di legittimazione derivante dall’investitura popolare diretta e dal connesso rischio di spinte plebiscitarie e di una concentrazione personalistica del potere.

13.− Alla luce delle considerazioni che precedono, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 2, del testo di legge della Provincia autonoma di Trento, approvato ai sensi dell’art. 47 dello statuto speciale e recante «Modificazioni dell’articolo 14 della legge elettorale provinciale 2003».

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 2, del testo di legge della Provincia autonoma di Trento, approvato ai sensi dell’art. 47 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), e recante «Modificazioni dell’articolo 14 della legge elettorale provinciale 2003».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Giovanni PITRUZZELLA, Redattore

Igor DI BERNARDINI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 dicembre 2025

Il Cancelliere

F.to: Igor DI BERNARDINI