SENTENZA N. 210
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), in coordinamento con l’art. 299, primo comma, del codice civile, promosso dal Tribunale per i minorenni di Bari nel procedimento vertente tra G. P. e Francesca Romana Arciuli, quest’ultima nella qualità di curatrice speciale del minore D. C., con ordinanza del 17 gennaio 2025, iscritta al n. 69 del registro ordinanze 2025 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2025.
Visti l’atto di costituzione di Francesca Romana Arciuli nella qualità di curatrice speciale del minore D. C., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udita nell’udienza pubblica del 22 ottobre 2025 la Giudice relatrice Emanuela Navarretta;
uditi l’avvocata Francesca Romana Arciuli nella qualità di curatrice speciale del minore D. C., nonché l’avvocato dello Stato Wally Ferrante per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 22 ottobre 2025.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 17 gennaio 2025 (reg. ord. n. 69 del 2025), il Tribunale per i minorenni di Bari ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), in coordinamento con l’art. 299, primo comma, del codice civile, nella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione in casi particolari, di sostituire il cognome dell’adottato minore d’età con quello dell’adottante, derogando alla previsione che impone di anteporre il cognome dell’adottante a quello dell’adottato.
2.– In punto di fatto, il rimettente riferisce che, in data 12 aprile 2024, G. P. ha proposto istanza di adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lettera b), della legge n. 184 del 1983, nei confronti del minore D. C., figlio di S. R. – moglie del ricorrente – e di S. C., decaduto dalla responsabilità genitoriale nei confronti del minore.
In particolare, Tribunale per i minorenni di Bari rammenta che D. C. è nato nel 2019 e che, a causa del persistente disinteresse del padre biologico nei suoi confronti, il Tribunale ordinario di Trani, in data 17 novembre 2021, ha pronunciato l’affidamento esclusivo del minore alla madre. Di seguito, in data 16 settembre 2022, la madre ha contratto matrimonio con G. P., adottante nel giudizio principale. Infine, in data 22 novembre 2023, il Tribunale per i minorenni di Bari ha emesso una pronuncia ablativa della responsabilità genitoriale nei confronti del padre biologico.
All’udienza del 18 settembre 2024, il ricorrente ha confermato l’istanza di adozione, con il consenso della moglie, ed entrambi i coniugi hanno chiesto che il bambino possa assumere il solo cognome P.
Il giudice a quo riferisce che, pur non avendo il minore raggiunto l’età richiesta per l’ascolto, si è svolto «un breve colloquio con i giudici onorari», nel corso del quale il minore avrebbe affermato di chiamarsi «D. P.». Alla successiva udienza del 12 novembre 2024 il padre biologico, benché ritualmente convocato, non è comparso e la coppia ha ribadito la richiesta congiunta di far assumere all’adottando il solo cognome dell’adottante, «essendosi il padre biologico […] sempre disinteressato del minore». Hanno chiesto, inoltre, che siano poste questioni di legittimità costituzionale, al fine di «superare» la «rigida formulazione dell’art. 299 c.c. nell’ambito dell’adozione in casi particolari».
Il rimettente dà atto del parere favorevole all’adozione espresso dal pubblico ministero e precisa di aver nominato Francesca Arciuli curatrice speciale del minore.
3.– Il Tribunale per i minorenni di Bari solleva, dunque, questioni di legittimità costituzionale e argomenta la loro rilevanza, evidenziando di dover applicare l’art. 299, primo comma, cod. civ., cui fa rinvio l’art. 55 della legge n. 184 del 1983 in materia di adozione in casi particolari.
Nello specifico, il giudice a quo osserva che la norma censurata impedisce la sostituzione del cognome dell’adottato con quello dell’adottante – come, viceversa, auspicato dal ricorrente e dalla madre del minore adottando – ed esclude che i dubbi di legittimità costituzionale si possano superare in via interpretativa, stante la formulazione letterale dell’art. 299 cod. civ., che non lascerebbe spazio a una possibile «sostituzione del cognome originario».
A conferma della non percorribilità di un itinerario ermeneutico capace di sanare il vulnus richiama la sentenza n. 135 del 2023 di questa Corte, che ha accolto le questioni di legittimità costituzionale sollevate sull’art. 299, primo comma, cod. civ. al fine di consentire l’aggiunta, anziché l’anteposizione del cognome dell’adottante a quello dell’adottato maggiore di età, intervenendo con pronuncia additiva in un’ipotesi «meno radicale di quella in esame in cui si chiede la sostituzione del cognome».
Inoltre, il rimettente osserva come, ai fini del cambio del cognome, non «possa essere satisfattiva la possibilità di ricorrere alla procedura amministrativa di cui al DPR 396/2000, che è un rimedio succedaneo e non assimilabile al regime primario dell’adozione».
4.– Passando a motivare la non manifesta infondatezza, il Tribunale per i minorenni di Bari procede, anzitutto, a esaminare l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale, nel suo tutelare, attraverso l’art. 2 Cost., il diritto all’identità personale e con esso il diritto al nome.
4.1.– In particolare, il rimettente si sofferma sulle sentenze n. 131 del 2022, n. 286 del 2016, n. 268 del 2002, n. 120 del 2001 e n. 297 del 1996, sottolineando come tali pronunce muovano dal presupposto che il cognome, insieme con il prenome, rappresenta il fulcro dell’identità giuridica e sociale dell’individuo e lo collega alla formazione sociale che lo accoglie. In quanto tale, il cognome dovrebbe «radicarsi nell’identità familiare e, al contempo, riflettere la funzione che riveste, anche in una proiezione futura, rispetto alla persona».
Ricostruite le fonti normative e giurisprudenziali in materia di diritto al nome e all’identità personale, il rimettente aggiunge la considerazione secondo cui «l’evoluzione normativa e il diritto vivente» darebbero sempre più «rilievo alla volontà di soggetti minori» (evoca in proposito gli artt. 145, 244, 250, 252, 264, 273, 284, 336-bis, 363, 774 e 1389 cod. civ.; l’art. 473-bis.5 del codice di procedura civile; gli artt. 4, 10 e 25 della legge n. 184 del 1983; nonché, genericamente, la legge 1° dicembre 1970, n. 898, recante «Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio», e l’art. 12 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176).
Da tale complesso di richiami, e rifacendosi anche alla giurisprudenza della Corte di cassazione, il rimettente inferisce che «i criteri di individuazione del cognome del minore si pongono in funzione esclusiva del suo interesse, che è essenzialmente quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale (cfr. Cass. civ. sez. I, n. 12670 del 2009)».
4.2.– Il giudice a quo passa, di seguito, a esaminare altre vicende che, come nell’ipotesi dell’adozione in casi particolari, prospettano la «possibilità per il figlio di acquisire un secondo cognome».
A tal fine, si sofferma, anzitutto, sull’art. 262 cod. civ. che, nelle fattispecie del riconoscimento o dell’accertamento giudiziale del vincolo di filiazione successivi all’attribuzione del cognome materno o all’assegnazione del cognome da parte dell’ufficiale dello stato civile, rimette al figlio maggiore d’età la scelta sull’aggiunta, sull’anteposizione o sulla sostituzione del precedente cognome. Ove, invece, il figlio sia minore d’età, il medesimo articolo affida al giudice la relativa decisione, previo ascolto del minore che abbia compiuto dodici anni o che sia capace di discernimento, se di età inferiore.
L’altra disciplina che il rimettente esamina è proprio quella dell’art. 299, primo comma, cod. civ. nella sua applicazione all’adozione del maggiore d’età, rispetto alla quale indugia nel sottolineare come la sentenza di questa Corte n. 135 del 2023 abbia reso flessibile la disciplina, consentendo, in alternativa alla anteposizione del cognome dell’adottante a quello dell’adottato, l’aggiunta del primo al secondo, se adottante e adottando, nel manifestare il consenso all’adozione, si sono espressi a favore di tale effetto.
4.3.– Il giudice a quo dimostra di essere consapevole che questa Corte, con la sentenza n. 268 del 2002, ha rigettato questioni di legittimità costituzionale non dissimili da quelle oggetto dell’odierno giudizio.
Nondimeno, ritiene che l’evoluzione del quadro normativo e giurisprudenziale debba condurre ad approdi differenti rispetto all’esito cui era pervenuto il precedente del 2002. A giudizio del rimettente, «non consentire […] di accogliere la volontà del minore capace di discernimento, dell’adottante o del rappresentante legale, di ottenere, in deroga all’art. 299 primo comma c.c., di posporre o di sostituire il cognome dell’adottante a quello originario, viol[erebbe] il diritto all’identità personale del minore». In particolare, il giudice a quo ritiene che la rigidità della norma censurata non consentirebbe di tenere in considerazione la «varietà delle situazioni concrete in cui si va formando la personalità del minore, rispetto alle quali va adeguata in modo conforme l’attribuzione del cognome, come fondamentale segno distintivo della personalità, anche alla luce della diversità delle ipotesi in cui si declina l’adozione in casi particolari».
La necessità di poter approdare a una valutazione in concreto del miglior interesse del minore troverebbe, inoltre, rispondenza nella giurisprudenza di questa Corte, in particolare nella sentenza n. 183 del 2023, nonché in ulteriori pronunce (in particolare, le sentenze n. 33 e n. 32 del 2021), delle quali riporta ampi stralci, specie nelle parti in cui richiamano la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Il superiore interesse del minore varrebbe a distinguere la fattispecie normativa qui considerata dalla situazione dell’adozione del maggiore d’età, nella quale – ad avviso del rimettente – sarebbe «più pregnante l’interesse pubblico alla certezza dell’attribuzione del cognome, da bilanciarsi con il bene primario dell’identità personale», il che giustificherebbe la decisione di questa Corte di limitare la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 299, primo comma, cod. civ. alla sola inversione dell’ordine dei cognomi, senza prevedere la possibilità della sostituzione.
Viceversa, con riferimento al minore, entrerebbe nel bilanciamento il suo preminente interesse, «sicché massima dovrebbe essere la discrezionalità consentita nell’individuazione del cognome per lui più confacente, sì da estenderla anche alla possibilità della sostituzione del cognome originario, ove ciò sia ritenuto dal giudice conforme all’interesse del minore da valutarsi in concreto».
5.– Così argomentata la violazione dell’art. 2 Cost., il rimettente aggiunge di ravvisare un contrasto anche con l’art. 3, secondo comma, Cost., in quanto la norma impedirebbe un «pieno sviluppo della personalità del minore con l’uso di un cognome che identifichi la sua appartenenza familiare o adottiva».
6.– Inoltre, sempre in riferimento all’art. 3 Cost., il giudice a quo denuncia una irragionevole disparità di trattamento rispetto a due tertia comparationis.
6.1.– In primo luogo, secondo il rimettente, l’adottato minore d’età sarebbe trattato in modo deteriore rispetto al minore riconosciuto in via successiva dal padre o destinatario di riconoscimento o di accertamento giudiziale della filiazione dopo l’attribuzione del cognome da parte dell’ufficiale di stato civile: in questi casi, infatti, l’art. 262 cod. civ. offre al giudice un’ampia gamma di possibilità, comprendenti anche la sostituzione del cognome originario con il nuovo cognome o l’aggiunta di quest’ultimo al primo, oltre alla sua anteposizione.
6.2.– In secondo luogo, ravvisa una irragionevole disparità di trattamento anche nel raffronto con la situazione normativa applicabile all’adozione del maggiore d’età, come determinatasi a seguito della già citata sentenza di questa Corte n. 135 del 2023, che ha attenuato la rigidità dell’art. 299 cod. civ.
Il rimettente, infine, esclude che l’accoglimento della questione possa determinare una surrettizia assimilazione dell’adozione in casi particolari all’adozione cosiddetta piena, fermo restando che la sentenza di questa Corte n. 79 del 2022 avrebbe, comunque, già attenuato i confini tra i due istituti.
7.– Il Tribunale rimettente ravvisa, di seguito, una violazione anche dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 CEDU, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU.
Il giudice a quo richiama, anzitutto, la giurisprudenza della Corte EDU, là dove ha ricondotto il diritto al nome all’alveo della tutela offerta dall’art. 8 CEDU (terza sezione, sentenza 26 ottobre 2021, Leon Madrid contro Spagna e seconda sezione, sentenza 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo contro Italia) e ha sottolineato l’esigenza di «compiere una delicata opera di bilanciamento tra l’interesse pubblicistico alla certezza delle regole in materia di attribuzione dei cognomi e la salvaguardia del diritto al nome come principale elemento di individualizzazione di una persona nella società» (seconda sezione, sentenza 7 febbraio 2023, Jacquinet e Embarek Ben Mohamed contro Belgio). Di seguito, passa a sottolineare il rilievo che sempre la giurisprudenza convenzionale assegna al preminente interesse del minore (grande camera, sentenza 6 luglio 2010, Neulinger e Shuruk contro Svizzera), entro la cornice normativa dell’art. 8 CEDU (seconda sezione, sentenza 25 settembre 2012, Godelli contro Italia).
Il rimettente conclude che «la previsione normativa dell’art. 299 primo comma del codice civile, [nel] preclude[re] la possibilità di ottenere con la sentenza di adozione in casi particolari la sostituzione del cognome del padre biologico, estraneo alla vita del minore e in cui lo stesso non si riconosce, con il cognome dell’adottante, che il minore identifica come figura paterna, configur[erebbe] una lesione della vita privata e familiare e si po[rrebbe] in contrasto con il “best interest” del minore».
8.– Con atto depositato il 30 aprile 2025, si è costituita in giudizio l’avvocata Francesca Romana Arciuli, nella qualità di curatrice speciale dell’adottando, insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.
8.1.– Relativamente alla violazione dell’art. 2 Cost., anche la difesa della parte ha ripercorso l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale che ha indotto a riconoscere nel cognome, unitamente al prenome, una componente essenziale dell’identità personale.
Nello specifico, la difesa della parte afferma che il minore si identificherebbe pienamente con il cognome dell’adottante, che rappresenta l’unico nucleo familiare in cui vive e si riconosce. Secondo la curatrice speciale, l’imposizione del doppio cognome (con quello dell’adottante anteposto a quello originario) non risponderebbe al superiore interesse del minore, ma rischierebbe di pregiudicarne lo sviluppo psicofisico e la costruzione dell’identità.
8.2.– La norma censurata – a detta della parte – violerebbe altresì l’art. 3 Cost., introducendo una disparità di trattamento tra i minori adottati con l’adozione piena (che assumono solo il cognome dell’adottante) e i minori adottati con quella in casi particolari (che devono anteporre il cognome dell’adottante a quello originario). Questa disparità non sarebbe giustificata, soprattutto quando il minore sia privo – come nel caso da cui origina il dubbio di legittimità costituzionale – di alcun legame affettivo o relazionale con il genitore biologico.
8.3.– Infine, la curatrice speciale ritiene che la norma censurata vìoli il diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito dall’art. 8 CEDU, alla cui osservanza il legislatore è chiamato dall’art. 117, primo comma, Cost.
La giurisprudenza della Corte EDU avrebbe incluso il diritto al nome tra gli aspetti tutelati dall’art. 8 CEDU, sicché l’imposizione del cognome dell’adottante anteposto a quello originario potrebbe generare discriminazioni all’interno del nucleo familiare, in quanto il minore potrebbe sentirsi diverso rispetto agli altri componenti della famiglia. Ciò potrebbe avvenire qualora nascessero figli dall’unione tra la madre e l’adottante, il che evidenzierebbe la diversità di cognome tra fratelli e sorelle.
Ad avviso della difesa della parte, rinunciare alla conservazione del cognome del padre biologico non confliggerebbe con alcuno dei limiti posti dall’art. 8 CEDU che ammette l’ingerenza di autorità pubbliche, ove essa si traduca in una misura che, «in una società democratica, è necessaria […] alla protezione dei diritti e delle libertà altrui» (la memoria di costituzione riporta, sul punto, un ampio stralcio della sentenza n. 33 del 2025 di questa Corte).
9.– Con atto depositato il 13 maggio 2025, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito l’inammissibilità e la non fondatezza delle questioni sollevate.
9.1.– In rito, la difesa dello Stato ritiene che il rimettente abbia richiesto a questa Corte un intervento creativo che eccede i poteri del giudice costituzionale. Le questioni sollevate, ove accolte, si risolverebbero in un intervento manipolativo additivo che sarebbe ammesso soltanto in presenza di un’unica soluzione costituzionalmente obbligata (sono citate la sentenza n. 87 del 2013 e le ordinanze n. 176 e n. 156 del 2013) o quando, nell’esercizio della sua discrezionalità, il legislatore abbia travalicato il canone della ragionevolezza: nel caso di specie non ci si troverebbe in alcuna delle due condizioni.
9.2.– Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene che tutte le questioni sollevate debbano essere dichiarate non fondate.
9.2.1.– La difesa statale sostiene che il legislatore abbia operato una scelta ponderata e non arbitraria, rispettosa della personalità del minore, proprio nel mantenere il cognome originario e nel prevedere l’aggiunta di quello dell’adottante. Tale scelta, lungi dal ledere l’identità personale del minore di cui all’art. 2 Cost., sarebbe funzionale a preservare i legami con la famiglia di origine, che nell’adozione in casi particolari non vengono recisi.
L’adozione piena, che presuppone lo stato di abbandono, comporterebbe la rottura totale di ogni legame con la famiglia biologica; al contrario, l’adozione in casi particolari mira a costruire nuovi legami senza cancellare quelli esistenti. In simile contesto, il mantenimento del cognome originario rappresenterebbe un segno di continuità e di rispetto per la storia personale del minore (vengono evocate la sentenza di questa Corte n. 79 del 2022 e Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanze 13 luglio 2022, n. 22179 e 5 aprile 2022, n. 10989).
L’Avvocatura dello Stato richiama, peraltro, la sentenza n. 268 del 2002 di questa Corte (della quale si riportano ampi stralci), che avrebbe già affrontato questioni analoghe, affermando che il cognome è parte essenziale della personalità e che la scelta legislativa di mantenerlo, pur aggiungendo quello dell’adottante, è conforme all’art. 2 Cost.
Eliminare il cognome originario significherebbe cancellare un tratto fondamentale dell’identità del minore, con il rischio di interrompere legami sociali e familiari significativi.
Ancora sul fronte della lesione dell’identità personale, l’Avvocatura generale dello Stato rammenta la giurisprudenza di questa Corte con riguardo all’art. 299, primo comma, cod. civ., in materia di adozione del maggiore d’età.
Sottolinea, in particolare, come tale norma, se da un lato è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, nella parte in cui non consente di aggiungere, anziché di anteporre, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato maggiore d’età, ove entrambi, nel manifestare il consenso all’adozione, si siano espressi a favore di tale effetto (sentenza n. 135 del 2023), da un altro lato, ha visto viceversa rigettare analoghe questioni di legittimità costituzionale, concernenti la medesima disposizione nella parte in cui non consente «di sostituire, anziché di aggiungere o di anteporre, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato maggiore di età» (sentenza n. 53 del 2025).
9.2.2.– Ancora, nel merito, la difesa erariale è dell’avviso che la disciplina censurata non determini una irragionevole disparità di trattamento, per lesione dell’art. 3 Cost., in quanto difetterebbe l’omogeneità tra le situazioni poste a raffronto (sono citate le sentenze n. 34 del 2025, n. 212 e n. 171 del 2024 di questa Corte).
Secondo l’Avvocatura, «proprio dal confronto tra un istituto concepito intorno al minorenne e un altro plasmato in funzione del maggiorenne emerge[rebbe] l’evidente disomogeneità tra le due fattispecie».
Inoltre, e analogamente, non potrebbe «dedursi alcuna sperequazione tra l’ipotesi oggetto del giudizio di rinvio, in cui il ricorrente non ha alcun legame biologico con il minore, e quella, del tutto disomogenea, del minore che sia riconosciuto in via successiva dal padre biologico, rispetto al quale il giudice può optare per la sostituzione o l’anteposizione del cognome paterno».
9.2.3.– Infine, la difesa dello Stato sostiene la non fondatezza anche delle questioni che evocano la violazione dei diritti convenzionali, per il tramite dei vincoli di cui all’art. 117, primo comma, Cost.
Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, mentre la Corte EDU sarebbe chiamata a decidere sul singolo caso, con una tutela parcellizzata dei diritti coinvolti, questa Corte sarebbe chiamata, invece, a operare una valutazione sistemica, tenendo conto dell’equilibrio tra i diversi principi costituzionali implicati (sono richiamate le sentenze n. 149 e n. 54 del 2022, n. 25 del 2019 e n. 264 del 2012).
In simile quadro, l’Avvocatura dello Stato evidenzia come il principio del best interest of the child, pur essendo centrale nella giurisprudenza sovranazionale, non imporrebbe la facoltà di sostituire il cognome originario dell’adottando con quello dell’adottante. Al contrario, la normativa italiana, nel prevedere l’anteposizione del cognome dell’adottante, tenderebbe proprio a bilanciare il nuovo legame familiare con la conservazione della storia personale del minore, evitando una cancellazione identitaria che potrebbe risultare lesiva.
10.– In data 26 settembre 2025, la parte ha depositato memoria integrativa, replicando alle argomentazioni dell’Avvocatura generale dello Stato.
L’intervento richiesto a questa Corte non sarebbe inammissibile, perché sarebbe vòlto ad armonizzare la normativa con i principi costituzionali e convenzionali, tutelando il superiore interesse del minore, anche in virtù dello scenario normativo vigente almeno a partire dalla riforma della filiazione introdotta nel biennio 2012-2013.
La curatrice speciale ritiene, inoltre, che gli argomenti spesi dalla difesa dello Stato per sostenere la non fondatezza delle questioni siano privi di pregio. Richiama, invece, i tratti della giurisprudenza costituzionale più recente proprio al fine di evidenziare il progressivo avvicinamento tra le diverse tipologie adottive, in nome della tutela del superiore interesse del minore e della protezione della sua identità personale (in particolare, la difesa della parte richiama le sentenze n. 53 del 2025, n. 183 e n. 135 del 2023 e n. 79 del 2022).
Infine, la curatrice speciale menziona la circostanza di fatto che ha visto gli organi scolastici assumere la decisione di chiamare tutti i compagni di classe del minore utilizzando il solo prenome, in attesa del giudizio di questa Corte.
Considerato in diritto
1.– Con ordinanza del 17 gennaio 2025 (reg. ord. n. 69 del 2025), il Tribunale per i minorenni di Bari ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 55 della legge n. 184 del 1983, in coordinamento con l’art. 299, primo comma, cod. civ., nella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione in casi particolari, di sostituire il cognome dell’adottato minore d’età con quello dell’adottante, derogando alla previsione che impone di anteporre il cognome dell’adottante a quello dell’adottato.
2.– Il giudice minorile ritiene che la norma censurata si ponga in contrasto con l’art. 2 Cost., là dove impedisce la sostituzione del cognome dell’adottando minore d’età con quello dell’adottante, così inibendo «la valutazione in concreto del preminente interesse del minore alla tutela dell’identità personale». Auspica, dunque, la possibilità che venga consentito al giudice, ove ciò risulti più confacente all’identità personale del minore e al suo preminente interesse, sostituire il cognome originario dell’adottando con quello dell’adottante.
Per ragioni analoghe, il giudice a quo ravvisa una violazione anche dell’art. 3, secondo comma, Cost., poiché sostiene che la disciplina censurata ostacoli lo sviluppo della personalità del minore.
Di seguito, il rimettente lamenta la lesione dell’art. 3, primo comma, Cost., per irragionevole disparità di trattamento, rispetto a due tertia comparationis.
Per un verso, evoca l’art. 262, quarto comma, cod. civ. il quale, nel regolare l’attribuzione del cognome al figlio minore d’età per effetto del riconoscimento o dell’accertamento giudiziale della filiazione successivi all’attribuzione del cognome materno o all’assegnazione del cognome da parte dell’ufficiale di stato civile, prevede la possibile anteposizione o aggiunta o sostituzione di un cognome all’altro e affida la decisione al giudice, «previo ascolto del figlio minore, che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento».
Per un altro verso, il giudice a quo segnala una disparità di trattamento rispetto alla disciplina applicabile all’adozione del maggiore d’età, per la quale, in virtù della sentenza n. 135 del 2023, sarebbe disponibile un ventaglio di scelte più ampio della mera anteposizione del cognome dell’adottante a quello dell’adottando, essendo ammessa l’aggiunta del primo cognome al secondo, se vi è il consenso di entrambi.
Infine, secondo il Tribunale per i minorenni di Bari la norma censurata violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 CEDU, in quanto la sua rigida disciplina comporterebbe una indebita ingerenza nella vita privata e familiare, specie in riferimento alla tutela del miglior interesse del minore e alla protezione della sua identità personale.
3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio, ha eccepito l’inammissibilità delle questioni, poiché l’intervento additivo richiesto a questa Corte sarebbe vòlto a ottenere una pronuncia manipolativa in assenza di un’unica soluzione costituzionalmente obbligata.
4.– L’eccezione non è fondata.
Il rimettente indica il contenuto nonché il verso delle censure e, traendo ispirazione da elementi già presenti nel sistema, specifica che la rimozione del vulnus sarebbe possibile consentendo al giudice di valutare in concreto, nell’ambito del procedimento di adozione, se la sostituzione del cognome dell’adottando con quello dell’adottante risponda al preminente interesse del minore, rispettandone l’identità.
L’ordinanza è dunque coerente con quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale che delimita i propri interventi manipolativi reputando che sia necessario, ma al contempo sufficiente, rinvenire nel «sistema nel suo complesso […] “precisi punti di riferimento” e soluzioni “già esistenti” (sentenza n. 236 del 2016) […] immuni da vizi di illegittimità, ancorché non “costituzionalmente obbligat[i]”» (sentenza n. 222 del 2018 e, di recente, sentenza n. 146 del 2025).
Questo vale tanto più ove si consideri che lo stesso «“[…] petitum dell’ordinanza di rimessione ha la funzione di chiarire il contenuto e il verso delle censure mosse dal giudice rimettente”, ma non vincola questa Corte, che, “ove ritenga fondate le questioni, rimane libera di individuare la pronuncia più idonea alla reductio ad legitimitatem della disposizione censurata”» (sentenze n. 146 e n. 53 del 2025, nonché n. 46 del 2024).
5.– Nel merito, la questione sollevata in riferimento all’art. 2 Cost. è fondata.
6.– L’art. 55 della legge n. 184 del 1983, nel regolare l’attribuzione del cognome per effetto dell’adozione in casi particolari, opera un rinvio all’art. 299, primo comma, cod. civ., dettato in materia di adozione del maggiore d’età, in base al quale «[l]’adottato assume il cognome dell’adottante e lo antepone al proprio».
Il rimettente ravvisa in tale disciplina un vulnus all’art. 2 Cost., nella parte in cui impedisce al giudice di sostituire il cognome dell’adottando con quello dell’adottante, qualora ciò corrisponda all’effettiva identità del minore e risponda al suo preminente interesse.
7.– In via preliminare, occorre evidenziare che la disciplina censurata interseca sia il complesso tema dei rapporti fra l’attribuzione del cognome e il diritto all’identità personale sia la relazione tra l’adozione in casi particolari e le regole dettate per l’adozione del maggiore d’età, cui l’art. 55 della legge n. 184 del 1983 opera un rimando.
7.1.– Quanto al primo profilo, giova sottolineare che il cognome, da un lato, tende a rispecchiare l’identità familiare e a riflettere gli eventi che vi incidono; da un altro lato, unendosi al prenome, finisce esso stesso per assorbire nel tempo l’identità personale.
Il cognome, attribuito alla nascita con l’acquisizione dello status filiationis, collega «l’individuo alla formazione sociale che lo accoglie» (sentenza n. 131 del 2022) e può mutare in conseguenza, anzitutto, di un successivo riconoscimento o accertamento giudiziale della filiazione, nel qual caso si apre un’ampia gamma di possibilità che spazia dall’anteposizione, all’aggiunta, alla sostituzione nel nuovo cognome al precedente (art. 262, commi secondo e quarto, cod. civ.). Viceversa, in presenza dell’adoptio plena, che presuppone l’accertato stato di abbandono del minore, il cognome dell’adottato viene sempre sostituito con quello degli adottanti (art. 27, primo comma, della legge n. 184 del 1983). Infine, al verificarsi sia dell’adozione in casi particolari (art. 55 della legge n. 184 del 1983, in raccordo con l’art. 299, primo comma, cod. civ.) sia dell’adozione del maggiore d’età (art. 299, primo comma, cod. civ.), opera l’anteposizione del cognome dell’adottante a quello dell’adottando (salvo quanto risulta dalla sentenza di questa Corte n. 135 del 2023).
A ciò si aggiunga che, una volta consolidatasi la «funzione identificativa e identitaria» della persona intorno al nome, composto dal prenome e dal cognome (sentenze n. 53 del 2025 e, in senso analogo, n. 131 del 2022), quest’ultimo – anche quando non sia correlato allo status filiationis poiché attribuito alla nascita dall’ufficiale di stato civile – diviene potenzialmente resistente (sentenze n. 120 del 2001, n. 297 del 1996 e n. 13 del 1994, e art. 262, comma terzo, cod. civ.) o più resistente (sentenza n. 135 del 2023) agli eventi che nel corso della vita incidono sullo status filiationis o che, comunque, tendono a modificare il cognome stesso.
7.2.– A fronte di tale complesso intreccio di esigenze, occorre segnalare che la rigida previsione dell’art. 299, primo comma, cod. civ. ha già suscitato in passato censure che hanno riguardato tanto la sua applicazione all’adozione del maggiore d’età quanto il suo riferirsi all’adozione in casi particolari.
7.2.1.– Con la sentenza n. 135 del 2023, questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 299, primo comma, cod. civ., nella parte in cui non consente al giudice – con la sentenza che fa luogo all’adozione del maggiore d’età – «di aggiungere, anziché di anteporre, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato maggiore d’età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto».
La rigidità della norma censurata è stata ritenuta inidonea a riflettere la varietà di funzioni cui oramai assolve l’istituto dell’adozione del maggiore d’età (sentenza n. 5 del 2024). Inoltre, la deroga è apparsa necessaria a bilanciare le esigenze proprie dell’adozione del maggiore d’età, cui è connaturale la trasmissione del cognome dell’adottante, con l’eventuale forte radicamento – a livello lavorativo, sociale e familiare – dell’identità personale dell’adottando nel suo stesso cognome.
7.2.2.– Oltre a valutare l’illegittimità costituzionale dell’art. 299 cod. civ. in relazione alla citata deroga, questa Corte è stata chiamata, in ulteriori giudizi, a pronunciarsi anche sulla mancata previsione della possibilità di sostituire il cognome dell’adottando con quello dell’adottante.
Con la sentenza n. 268 del 2002 – concernente l’adozione in casi particolari e, dunque, il rinvio effettuato dall’art. 55 della legge n. 184 del 1983 all’art. 299 cod. civ. – questa Corte ha escluso la lesione dell’identità personale dell’adottando, sul duplice presupposto che i legami giuridici del minore con la famiglia d’origine non vengono legalmente recisi e che di fatto il minore potrebbe aver «instaurato e manten[uto] legami significativi (sentenza n. 27 del 1991, cit.)» con «l’altro genitore biologico e/o con i di lui parenti». Nondimeno, in quella medesima pronuncia, questa Corte ha riconosciuto che il peculiare istituto dell’adozione in casi particolari abbraccia molteplici e diverse situazioni suscettibili di veder applicate «soluzioni differenziate per i diversi casi».
Più di recente, la sentenza n. 53 del 2025 ha parimenti escluso la fondatezza di analoga questione, ma si è pronunciata solo sull’applicazione dell’art. 299 cod. civ. all’adozione del maggiore d’età, focalizzando gli argomenti proprio sulle specificità di tale istituto. Anzitutto, è apparsa non irragionevole la scelta legislativa di preservare un cognome «che per (almeno) diciotto anni ha rappresentato il segno distintivo della […] identità personale» dell’adottando. Inoltre, è emersa l’esigenza di prevenire il rischio che quest’ultimo possa subire «condizionamenti da parte dell’adottante», rinunciando al proprio cognome in ragione dei «benefici che l’adozione civile apporta all’adottato sul piano successorio». Infine, è stato evidenziato come l’eventuale interesse del maggiore d’età a cancellare «il cognome che attesta la propria origine naturale» – interesse che potrebbe sussistere «nonostante la funzione identitaria da esso lungamente svolta» – «è tale da dover coinvolgere esclusivamente la persona, che quel cognome ha portato, [sicché] può trovare tutela in altre previsioni dell’ordinamento [quale] l’art. 89, comma 1, del d.P.R. n. 396 del 2000».
8.– Tanto premesso, questa Corte ritiene, da un lato, che le ragioni della non fondatezza, che compongono l’argomentazione della sentenza n. 53 del 2025, non si possano estendere all’adozione in casi particolari – la cui disciplina viene in considerazione nell’odierna questione – e, da un altro lato, che l’evoluzione dell’ordinamento giuridico giustifichi, nel solco della giurisprudenza costituzionale, una rimeditazione del giudizio espresso con la sentenza n. 268 del 2002 (si vedano, da ultimo, quanto ai presupposti che rendono possibile un ripensamento, le sentenze n. 24 del 2025 e n. 203 del 2024).
In particolare, se coloro che sono tenuti a esprimere i consensi e gli assensi all’adozione, in base agli artt. 45 e 46 della legge n. 184 del 1983, sono favorevoli alla sostituzione del cognome dell’adottando con quello dell’adottante e se il giudice accerta che ciò risponde al preminente interesse del minore, in quanto riflette la sua effettiva identità, la norma che impedisce tale sostituzione è lesiva dell’art. 2 Cost.
Tre sono le ragioni che depongono per la fondatezza della questione.
La prima si rinviene nella notevole varietà di fattispecie ascritte all’adozione in casi particolari e nell’esigenza primaria di privilegiare l’interesse del minore, anche alla luce del rilievo che ha acquisito nella giurisprudenza costituzionale, nelle fonti internazionali e nella stessa legislazione (legge 10 dicembre 2012, n. 219, recante «Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali» e decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, recante «Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219»).
La seconda si lega proprio alla minore età dell’adottando, che rende più flebile il rilievo identitario del cognome originariamente attribuitogli.
La terza, infine, si identifica nell’esigenza di rendere possibile l’eventuale sostituzione del cognome dell’adottando con quello dell’adottante, nel contesto del procedimento giurisdizionale di adozione in casi particolari dei minori, in quanto itinerario preferibile (infra, punto 8.3.) rispetto alla soluzione residuale del procedimento amministrativo, di cui all’art. 89 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), come modificato dal decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 2012, n. 54 (Regolamento recante modifica delle disposizioni in materia di stato civile relativamente alla disciplina del nome e del cognome prevista dal titolo X del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396).
8.1.– L’istituto dell’adozione in casi particolari abbraccia una complessa varietà di fattispecie – previste dall’art. 44, comma 1, della legge n. 184 del 1983 – con riguardo alle quali si possono prospettare situazioni molto differenti, quanto al rapporto tra il cognome dell’adottante e quello dell’adottando.
8.1.1.– In particolare, se a quest’ultimo è stato attribuito il cognome del genitore biologico, che mantiene la responsabilità genitoriale, e il minore viene adottato o dal coniuge del genitore biologico (art. 44, comma 1, lettera b, della legge n. 184 del 1983) o dal genitore intenzionale (art. 44, comma 1, lettera d, della legge n. 184 del 1983), non sembra emergere un possibile interesse del minore alla sostituzione del proprio cognome. Parimenti, tale esigenza non sembra ordinariamente configurarsi quando il minore orfano è adottato nell’ambito della sua stessa famiglia (da un parente entro il sesto grado o da chi ha tenuto con il bambino un rapporto stabile e duraturo, ex art. 44, comma 1, lettera a, della legge n. 184 del 1983), salvo che, ad esempio, ricorra il caso – già contemplato dal legislatore al di fuori dell’istituto dell’adozione – del minore che porta il cognome del genitore che ha ucciso l’altro genitore. Al riguardo, posto che in tale ipotesi il minore ha diritto alla sostituzione del cognome attraverso la procedura amministrativa (art. 13 della legge 11 gennaio 2018, n. 4, recante «Modifiche al codice civile, al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in favore degli orfani per crimini domestici»), non vi è ragione per impedire che il medesimo effetto consegua già all’eventuale procedura adottiva.
8.1.2.– Diverse sono, invero, le situazioni nelle quali si trovano: l’adottando cui è stato attribuito il cognome del genitore che è decaduto dalla responsabilità genitoriale o che è favorevole all’adozione e alla sostituzione del proprio cognome (art. 44, comma 1, lettera b, in coordinamento con l’art. 46 della legge n. 184 del 1983); oppure il minore orfano e affetto da «durature compromissioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali» (art. 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, recante «Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate», cui l’art. 44, comma 1, lettera c, della legge n. 184 del 1983 fa rinvio), che viene adottato, in quanto nessun componente della famiglia d’origine, di cui porta il cognome, è disposto a prendersene cura; o ancora il minore che viene adottato in quanto – benché abbandonato – si constati l’impossibilità di fatto dell’affidamento preadottivo (art. 44, comma 1, lettera d, della legge n. 184 del 1983).
In tali ipotesi, non basta constatare che l’adozione in casi particolari non recide il legame giuridico con la famiglia d’origine per ritenere che sia rispettata l’identità del minore applicando la regola generale dell’art. 299 cod. civ.
Infatti, ove il giudice sia sollecitato alla sostituzione del cognome da parte di chi esprime i consensi e gli assensi di cui agli artt. 45 e 46 della legge n. 184 del 1983, deve poter verificare se il cognome originario del minore rispecchi in effetti la sua identità o se realizzi, invece, il suo preminente interesse la sostituzione di tale cognome con quello dell’adottante o degli adottanti; in tal caso, deve poter disporre la sostituzione.
Vari sono gli indici dai quali il giudice potrebbe inferire l’esigenza di una tale sostituzione.
Possono rilevare, anzitutto, il totale disinteresse e l’assenza di rapporti tra il minore e la famiglia d’origine, a fronte di rapporti già instaurati da tempo con il genitore adottante nell’ambito della famiglia ricomposta o con la famiglia adottiva, che sia stata in precedenza affidataria del minore. Parimenti, potrebbero essere valutate anche ulteriori circostanze aggiuntive, quale, per ipotesi, la sussistenza (o anche la possibilità che possano nascere) fratelli o sorelle che già hanno (o potrebbero assumere) il cognome dell’adottante o degli adottanti.
8.2.– Chiaramente, non si deve trascurare che fra le variabili di cui deve tenere conto il giudice per accertare l’interesse del minore vi è anche quella dell’età dell’adottando, poiché essa incide sul possibile autonomo rilievo identitario del suo originario cognome.
Quanto più il bambino è in tenera età, tanto più il processo di formazione della sua identità personale intorno all’originario cognome risulta tenue e, dunque, può far ritenere preminente, in circostanze come quelle sopra evidenziate, l’esigenza di attribuire esclusivo rilievo alla nuova identità che sorge con il vincolo adottivo.
Viceversa, anche in assenza di legami effettivi con la famiglia d’origine, potrebbe risultare prevalente, nel caso dei cosiddetti grands mineurs, il processo di consolidamento dell’identità personale intorno all’originario cognome dell’adottando, sì da indurre il giudice a escludere che risponda al suo interesse la sostituzione del cognome.
In sostanza, si tratta di accogliere la prospettiva del best interest of the child, inteso quale sintesi verbale dell’esigenza di operare i bilanciamenti di interessi, nell’ambito di discipline giusfamiliari concernenti il minore, tenendo conto che la loro finalità primaria si rinviene proprio nella protezione del minore stesso (art. 2 Cost. in raccordo con la stessa legislazione ordinaria, sopra evocata, e con molteplici fonti internazionali: art. 8 CEDU; Convenzione europea sull’adozione di minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967, ratificata e resa esecutiva con legge 22 maggio 1974, n. 357; Convenzione ONU sui diritti del fanciullo; Convenzione sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L’Aja il 29 maggio 1993, ratificata e resa esecutiva con legge 31 dicembre 1998, n. 476).
Abbracciando il punto di vista del minore emerge allora, da un lato, come l’eventuale sostituzione del suo cognome non recida i legami con i componenti della famiglia d’origine, sicché a essi non è certo inibito – anche ove fossero stati assenti in precedenza – avere rapporti con il minore stesso. Da un altro lato, tale mancata recisione dei legami originari non può impedire al giudice di verificare, guardando al passato e alle prospettive future del bambino, quale sia il suo preminente interesse, sostituendo il cognome dell’adottando con quello dell’adottante (o degli adottanti), se quest’ultimo rispecchia l’effettiva identità del minore.
Del resto, questa stessa Corte ha riconosciuto che, una volta che si faccia luogo all’adozione in casi particolari, la personalità del minore si svolgerà nell’ambito del nuovo nucleo familiare, che si tratti di una famiglia ricomposta o di una nuova famiglia, tant’è che ha attribuito rilevanza giuridica anche ai legami parentali che sorgono dal vincolo di adozione in casi particolari (sentenza n. 79 del 2022).
8.3.– Da ultimo, la terza ragione che rende necessario permettere nell’ambito dell’adozione in casi particolari la possibile sostituzione del cognome dell’adottando con quella dell’adottante deriva dalle maggiori tutele che offre tale procedura rispetto a quella amministrativa, di cui all’art. 89 del d.P.R. n. 396 del 2000, come modificato dal d.P.R. n. 54 del 2012.
Quest’ultima disposizione prevede, al comma 1, che «chiunque vuole cambiare il nome o aggiungere al proprio un altro nome ovvero vuole cambiare il cognome, anche perché ridicolo o vergognoso o perché rivela l’origine naturale […] deve farne domanda al prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione è situato l’ufficio dello stato civile dove si trova l’atto di nascita al quale la richiesta si riferisce. Nella domanda l’istante deve esporre le ragioni a fondamento della richiesta». Tale procedura, che la modifica introdotta con il d.P.R. n. 54 del 2012 ha reso più agevolmente esperibile, grazie all’aggiunta dell’espressione «anche perché», può essere invero attivata, come di recente precisato dalla Corte di cassazione (sezione prima civile, ordinanza 30 marzo 2025, n. 8369), su richiesta dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale nell’interesse del figlio e, dunque, anche su richiesta dei genitori di cui uno o entrambi abbiano adottato, ex art. 44, comma 1, della legge n. 184 del 1983, il minore.
Ebbene, mentre nel caso della persona maggiore d’età la richiamata procedura amministrativa può essere sufficiente a garantire l’interesse al cambio del cognome dell’adottato con quello dell’adottante, in quanto viene in rilievo un interesse del maggiorenne, che è coinvolto in via «esclusiva [in quanto] persona, che quel cognome ha portato» (sentenza n. 53 del 2025), non altrettanto può dirsi nel caso dell’adottato minore d’età.
In tale ipotesi, il ricorso alla procedura amministrativa deve ritenersi un rimedio residuale rispetto alla possibilità di sostituire il cognome dell’adottato con quello dell’adottante nell’ambito della procedura di adozione, che consente di vagliare i vari interessi implicati nella pienezza del contraddittorio e dinanzi a un’autorità giudiziaria specializzata nel garantire il preminente interesse del minore.
9.– In definitiva, questa Corte reputa lesiva dell’identità del minore una regola, come quella censurata, che stabilisce il vincolo assoluto all’anteposizione del cognome dell’adottante a quello dell’adottando, impedendo al giudice di disporre la sostituzione del cognome di quest’ultimo con quello dell’adottante, a fronte dei consensi e assensi, di cui gli artt. 45 e 46 della legge n. 184 del 1983, favorevoli a tale effetto e dell’accertamento che esso risponda all’interesse del minore.
Sono assorbite le ulteriori questioni sollevate in riferimento agli artt. 3, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU.
10.– La citata facoltà derogatoria si aggiunge, dunque, a quella già resa esercitabile dalla sentenza n. 135 del 2023, che ha inciso sul testo dell’art. 299 cod. civ., consentendo, in deroga all’anteposizione, l’aggiunta del cognome dell’adottante a quello dell’adottando, se nel manifestare il consenso all’adozione entrambi si sono espressi a favore di tale effetto. Chiaramente, nell’adattamento di tale norma al contesto dell’adozione in casi particolari, occorre che i consensi e gli assensi favorevoli all’effetto siano quelli degli artt. 45 e 46 della legge n. 184 del 1983 e che, all’esito di un accertamento giudiziale particolarmente attento, l’aggiunta del cognome dell’adottante a quello dell’adottando, in luogo dell’anteposizione, risponda all’interesse del minore.
11.– Per le ragioni esposte, è costituzionalmente illegittimo l’art. 55 della legge n. 184 del 1983, in relazione all’art. 299, primo comma, cod. civ., nella parte in cui non consente all’adottando di assumere, con la sentenza di adozione del minore d’età, il solo cognome dell’adottante, se i consensi e gli assensi di cui agli artt. 45 e 46 della legge n. 184 del 1983 sono favorevoli a tale effetto e se esso risponde all’interesse del minore.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), in relazione all’art. 299, primo comma, del codice civile, nella parte in cui non consente all’adottando di assumere, con la sentenza di adozione del minore d’età, il solo cognome dell’adottante, se i consensi e gli assensi di cui agli artt. 45 e 46 della legge n. 184 del 1983 sono favorevoli a tale effetto e se esso risponde all’interesse del minore.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Emanuela NAVARRETTA, Redattrice
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 30 dicembre 2025
Il Cancelliere
F.to: Igor DI BERNARDINI
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