Sentenza  207/2025 (ECLI:IT:COST:2025:207) Comunicato
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMOROSO - Redattore:  ANTONINI
Camera di Consiglio del 01/12/2025;    Decisione  del 01/12/2025
Deposito del 29/12/2025;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  Art. 635, quinto comma, del codice penale.
Massime: 
Atti decisi: ord. 85/2025

Pronuncia

SENTENZA N. 207

ANNO 2025

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 635, quinto comma, del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, nel procedimento penale a carico di L.S.M. con ordinanza del 31 marzo 2025, iscritta al n. 85 del registro ordinanze 2025 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2025.

Udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2025 il Giudice relatore Luca Antonini;

deliberato nella camera di consiglio del 1° dicembre 2025.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 31 marzo 2025, iscritta al n. 85 del registro ordinanze 2025, il Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale:

a) in via principale, dell’art. 635, quinto comma, del codice penale;

b) in via gradata, dell’art. 635, quinto comma, cod. pen., nella parte in cui è applicabile al delitto di danneggiamento, di cui al precedente secondo comma, numero 1), delle cose indicate nell’art. 625, primo comma, numero 7), cod. pen.;

c) in via ulteriormente gradata, dell’art. 635, quinto comma, cod. pen., nella parte in cui è applicabile al delitto di danneggiamento, di cui al precedente secondo comma, numero 1), delle sole cose esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede.

2.– Il quinto comma dell’art. 635 cod. pen. stabilisce che, per i reati di cui ai precedenti quattro commi, che disciplinano altrettante fattispecie di danneggiamento, «la sospensione condizionale della pena è subordinata all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna».

3.– Il giudice a quo riferisce di essere chiamato a giudicare una persona imputata del reato di danneggiamento di cosa esposta alla pubblica fede, per avere deteriorato un’autovettura ferma sulla sede stradale lanciando volontariamente diversi oggetti, «tra cui una bicicletta e alcune lattine di birra […] dal balcone di un appartamento, sito al terzo piano», dal quale «certamente vedeva che in strada, immediatamente sotto, era parcheggiato il veicolo».

Dopo avere osservato che dall’istruttoria svolta emergerebbe la responsabilità dell’imputato e avere escluso che il fatto possa ritenersi di particolare tenuità ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., il rimettente rileva che, nella specie, il trattamento sanzionatorio potrebbe essere mantenuto entro il limite di due anni di reclusione e formula una prognosi favorevole in ordine all’astensione, da parte dell’imputato stesso, dalla commissione in futuro di ulteriori reati, con la conseguenza che potrebbe essere concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena.

Le questioni sollevate sarebbero, pertanto, rilevanti, attesa l’applicabilità del quinto comma dell’art. 635 cod. pen., che, in forza della sua chiara formulazione, tale da renderne impraticabile un’interpretazione costituzionalmente orientata, impone al giudice di subordinare il suddetto beneficio all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato.

4.– In punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale fiorentino premette che, in base alla disciplina di cui all’art. 165 cod. pen., la sospensione condizionale «può» essere subordinata all’adempimento di determinati obblighi (primo comma) e, soltanto se concessa a persona che ne ha già usufruito, «deve» essere necessariamente subordinata ad essi (secondo comma).

L’art. 635, quinto comma, cod. pen., invece, vincola il giudice a subordinare la sospensione ai suddetti obblighi in ogni caso e, dunque, anche quando il condannato è incensurato.

Tanto premesso, il rimettente solleva, in via gradata, tre questioni.

4.1.– In via principale, egli dubita della legittimità costituzionale dell’art. 635, quinto comma, cod. pen., in quanto questa disposizione prevedrebbe «irragionevolmente un automatismo».

Al riguardo, ricorda che, come affermato da questa Corte nella sentenza n. 49 del 1975, la subordinazione del beneficio in questione, da un lato, costituirebbe uno strumento diretto «a garantire che il comportamento del reo, successivamente alla condanna, si adegui concretamente a quel processo di ravvedimento, la cui realizzazione […] costituisce lo scopo precipuo dell’istituto stesso della sospensione condizionale della pena […]»; dall’altro, rappresenterebbe il frutto «di una valutazione, motivata ma discrezionale», del giudice.

Tale valutazione, sottolinea il rimettente, dovrebbe quindi riguardare «ciò che sia concretamente più opportuno» per conseguire il suddetto obiettivo del ravvedimento del reo.

In questa prospettiva, «[c]omprensibilmente» la subordinazione sarebbe obbligatoria, ai sensi del sopra citato art. 165, secondo comma, cod. pen., quando la sospensione condizionale viene concessa a soggetti che hanno commesso un ulteriore reato dopo averne già goduto, giacché tale circostanza disvelerebbe, a posteriori, l’insufficienza, al fine di realizzare la funzione rieducativa della pena, della minaccia della revoca della sospensione medesima.

Viceversa, il censurato art. 635, quinto comma, cod. pen. preclude al giudice la possibilità di effettuare qualsiasi valutazione discrezionale «anche a fronte di soggetti del tutto incensurati», il cui ravvedimento potrebbe essere adeguatamente assicurato dalla sola minaccia di revoca appena detta.

4.2.– In via gradata, il rimettente deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 635, quinto comma, cod. pen., nella parte in cui è applicabile al danneggiamento, previsto dal precedente secondo comma, numero 1), di «cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento, o esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza».

Ad avviso del giudice a quo, la norma censurata violerebbe il principio di eguaglianza, in quanto recherebbe una disciplina ingiustificatamente diversa da quella riservata al furto pluriaggravato, di cui all’art. 625, primo comma, numeri 2) e 7), cod. pen., perché commesso con violenza sulle cose e avente a oggetto gli stessi beni appena menzionati.

A quest’ultima fattispecie, infatti, sarebbe applicabile l’art. 165, primo e secondo comma, cod. pen., senza quindi che la subordinazione della sospensione condizionale debba essere necessariamente disposta, come, invece, per il reato di danneggiamento.

Il Tribunale fiorentino osserva innanzitutto che «il delitto di furto pluriaggravato risulta costituire un reato complesso, nell’ambito del quale gli elementi costitutivi del danneggiamento» finiscono per integrare circostanze aggravanti, essendo pacifico in giurisprudenza l’assorbimento di quest’ultimo nel primo.

Quindi, sostiene l’omogeneità dei delitti posti a raffronto, in quanto reati di danno, che offendono il patrimonio e che hanno a oggetto i medesimi beni. Peraltro, il furto ex art. 625, primo comma, numeri 2) e 7), cod. pen. sarebbe «più grave» del danneggiamento di cui all’art. 635, secondo comma, numero 1), cod. pen., perché il primo è punito con la reclusione da tre a dieci anni, oltre che con la multa, e il secondo con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo del danneggiamento, d’altro canto, sarebbe sufficiente il dolo generico o quello eventuale, mentre per il furto sarebbe necessario lo specifico fine di profitto, «anche sotto tale profilo [confermandosi] la maggiore gravità» di quest’ultimo delitto.

Infine, l’omogeneità delle fattispecie in comparazione sarebbe stata riconosciuta dallo stesso legislatore con il decreto legislativo 19 marzo 2024, n. 31 (Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari). Infatti, l’introduzione della procedibilità a querela anche per il danneggiamento di cose esposte alla pubblica fede sarebbe stata, secondo la relazione illustrativa al suddetto decreto legislativo, «necessaria per omologare il regime di procedibilità di tale reato a quello previsto per la fattispecie analoga e più grave di cui all’art. 625 c.p.».

4.3.– In via ulteriormente gradata, nell’ipotesi in cui questa Corte «dovesse ritenere l’oggetto della questione troppo ampio», il rimettente denuncia l’art. 635, quinto comma, cod. pen., nella parte in cui è applicabile al delitto di danneggiamento delle sole cose esposte alla pubblica fede.

5.– Non è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 85 del 2025), il Tribunale di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, solleva tre questioni di legittimità costituzionale.

1.1.– In via principale, il rimettente censura l’intero art. 635, quinto comma, cod. pen., il quale stabilisce che, per i reati di danneggiamento di cui ai precedenti commi, «la sospensione condizionale della pena è subordinata all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna».

Imponendo, anche in presenza di persone incensurate, la subordinazione della sospensione condizionale all’adempimento dei suddetti obblighi, la norma denunciata prevedrebbe «irragionevolmente un automatismo», in violazione dell’art. 3 Cost., dal momento che il ravvedimento di questi soggetti potrebbe essere assicurato dalla sola minaccia della revoca della sospensione condizionale nel caso di commissione di ulteriori delitti.

2.– La questione non è fondata.

La premessa interpretativa da cui muove il rimettente, ovvero che la subordinazione prevista dal quinto comma dell’art. 635 cod. pen. sarebbe sempre obbligatoria, è corretta.

Il tenore letterale di tale disposizione è difatti univoco nell’imporla ed essa non è, pertanto, suscettibile di valutazione discrezionale da parte del giudice (Corte di cassazione, quinta sezione penale, sentenza 6 marzo-16 aprile 2025, n. 15143).

2.1.– Da tanto non consegue, tuttavia, un automatismo intrinsecamente irrazionale.

Al riguardo, occorre innanzitutto precisare che, a seguito di molteplici modifiche, la più significativa delle quali è stata introdotta dall’art. 2, comma 1, lettera l), del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 (Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell’articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67), l’art. 635 cod. pen. configura ormai il danneggiamento come un reato plurioffensivo.

All’esito della riforma del 2016, infatti, «il danneggiamento non è più da considerarsi come figura posta genericamente ed esclusivamente a tutela del patrimonio mobiliare e immobiliare, bensì come ipotesi che ne tutela l’integrità laddove l’aggressione si accompagni a specifiche modalità (ad esempio, violente o minacciose, ex art. 635, primo comma, cod. pen.), condizioni di contesto (ad esempio, in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico, ex art. 635, terzo comma, cod. pen.) o a una particolare qualità del bene oggetto del reato (art. 635, secondo comma, cod. pen.)» (sentenza n. 212 del 2024).

Va poi anche chiarito che il delitto di cui all’art. 635 cod. pen. è un «reato di danno» e che l’elemento soggettivo è integrato dal dolo «generico» (ancora, sentenza n. 212 del 2024).

Pur non essendo necessario l’animus nocendi, il dolo del delitto di danneggiamento, quindi, richiede in ogni caso «la coscienza e volontà di danneggiare» (ex plurimis, Corte di cassazione, sesta sezione penale, sentenza 18-19 settembre 2012, n. 35898), anche nella forma del dolo eventuale.

Il suddetto delitto, inoltre, come osservato in dottrina, si risolve, nella generalità dei casi, in condotte di insensato vandalismo, in quanto caratterizzate da una mera motivazione distruttiva, come del resto emerge emblematicamente dalla fattispecie oggetto del giudizio a quo, in cui l’imputato ha lanciato dal balcone della propria abitazione, sito al terzo piano di un edificio, una bicicletta e altri oggetti su un’autovettura parcheggiata in strada.

2.2.– In questa cornice, la norma denunciata non detta affatto una disciplina intrinsecamente irrazionale laddove impone di subordinare necessariamente, anche in presenza di soggetti incensurati, la sospensione condizionale «all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna».

Questa Corte ha, infatti, rimarcato che la sospensione condizionale favorisce la rieducazione del reo non solo mediante la minaccia della sua revoca, ma pure «attraverso gli obblighi riparatori, ripristinatori o di recupero», i quali conferiscono «un contenuto risocializzativo anche “positivo” al beneficio» (sentenza n. 208 del 2024).

In effetti, la norma indubbiata si connota per una forte vocazione rieducativa, resa evidente proprio dagli adempimenti da essa contemplati, che si risolvono, l’uno, nella reintegrazione dello status quo ante, che permette al reo di acquisire maggiore consapevolezza delle conseguenze dannose derivate dalla sua condotta illecita; l’altro, nella prestazione di un’attività non retribuita in favore della collettività, con chiaro richiamo al vincolo di solidarietà che deve legare i consociati all’interno del vivere civile.

Tale finalità rieducativa, che mira a favorire una «rivisitazione critica rispetto alla condotta illecita commessa» (Cass. n. 15143 del 2025), viene del tutto trascurata dal giudice remittente, che si limita a considerare l’efficacia deterrente che, a suo avviso, già conseguirebbe dalla minaccia della revoca del beneficio in caso di commissione di un ulteriore reato.

2.3.– D’altra parte, se è pur vero che questa Corte ha manifestato, in più occasioni, un favor per le valutazioni individualizzate, a ragione del rischio che l’opzione repressiva finisca per «relegare nell’ombra il profilo rieducativo» (sentenza n. 24 del 2025), tuttavia ciò non comporta che ogni opzione legislativa che imponga una determinata soluzione al giudice costituisca di per sé un irrazionale automatismo legislativo.

Non è, quindi, arbitraria la scelta legislativa che mira a rafforzare la funzione risocializzante che la sospensione condizionale esplica nell’ambito del sistema sanzionatorio.

Del resto, per consolidata giurisprudenza costituzionale, il legislatore gode di «ampia discrezionalità […] nella conformazione» della sospensione condizionale (ex plurimis, ordinanza n. 296 del 2005), al punto che la disciplina dell’istituto resta rimessa all’apprezzamento discrezionale «del legislatore in via generale ed astratta, prima ancora che a quello del giudice» (sentenza n. 85 del 1997 e ordinanza n. 475 del 2002).

Tali valutazioni discrezionali del legislatore possono risolversi anche nel «diversificare talune categorie di reati», persino precludendo la concessione stessa del beneficio in relazione a fattispecie che, indipendentemente «dalla pena edittale per esse prevista», riguardino «condotte particolarmente gravi nel comune sentire» (sentenza n. 85 del 1997).

In analoga prospettiva, si è affermato, ad esempio, che il legislatore «ha, con valutazione immune da censure sul piano costituzionale, ritenuto che – indipendentemente dalla gravità della condotta posta in essere dal condannato, e dall’entità della pena irrogatagli – la pericolosità individuale evidenziata dalla violazione dell’altrui domicilio rappresenti ragione sufficiente per negare in via generale ai condannati per il delitto [di furto in abitazione] il beneficio della sospensione dell’ordine di carcerazione, in attesa della valutazione caso per caso, da parte del tribunale di sorveglianza, della possibilità di concedere al singolo condannato i benefici compatibili con il suo titolo di reato e la durata della sua condanna» (sentenza n. 216 del 2019).

Recentemente, inoltre, scrutinando la norma che impedisce al giudice di irrogare le pene sostitutive delle pene detentive brevi in rapporto a determinate fattispecie criminose, questa Corte ha affermato che «non può disconoscersi al legislatore un’ampia discrezionalità nella determinazione dei limiti oggettivi entro i quali l’applicazione di tali pene sia possibile per il giudice» stesso, anche mediante il «riferimento […] a specifici titoli di reato», «sempre che, rispetto alle esclusioni obiettive previste per taluni reati, la scelta del legislatore non risulti manifestamente irragionevole»; ciò secondo «una tecnica comune nell’ordito del codice penale, a disposizione del legislatore ogniqualvolta intenda definire l’ambito applicativo di misure che prefigurino un esito sanzionatorio alternativo a quello carcerario» (sentenza n. 139 del 2025).

In conclusione, se, come si è detto sopra, al legislatore non è inibito precludere la stessa fruizione della sospensione condizionale per alcuni reati, nella specie non integra un irrazionale e aprioristico automatismo legislativo la definizione del quomodo della sospensione medesima, mediante la sua necessaria subordinazione all’adempimento di determinati obblighi.

Del resto, in un ordinamento complesso come quello penale, al legislatore non può essere contestata la sola mancanza di una razionalità puramente geometrica.

3.– In via gradata, il giudice a quo solleva questione di illegittimità costituzionale dell’art. 635, quinto comma, cod. pen., nella parte in cui è applicabile al danneggiamento delle cose indicate nell’art. 625, primo comma, numero 7), cod. pen.

Secondo il rimettente, si verificherebbe, in violazione dell’art. 3 Cost., un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla fattispecie, «analoga e più grave», del furto pluriaggravato perché avente a oggetto gli stessi beni e commesso con violenza sulle cose, per il quale la subordinazione della sospensione condizionale non è obbligatoria.

3.1.– Anche tale questione non è fondata.

Pur a fronte di elementi comuni ai due reati in comparazione, resta chiaramente distinta la condotta tipica, tale da escludere la «piena omogeneità delle situazioni poste a raffronto» (sentenza n. 76 del 2019). I reati in parola, infatti, sono diversi quanto alla finalità della condotta, dal momento che nel furto «l’intenzione dell’agente [è] diretta all’impossessamento», mentre nel danneggiamento lo è «al mero deterioramento» della cosa (ex multis, Corte di cassazione, quarta sezione penale, sentenza 29 ottobre-28 novembre 2024, n. 43376; quinta sezione penale, sentenza 27 ottobre 2022-16 gennaio 2023, n. 1359; quinta sezione penale, sentenza 11 novembre-12 dicembre 2022, n. 46852).

In questi termini, la violenza sulle cose, mentre nel furto si configura come un mezzo al fine di realizzare la condotta sottrattiva, al punto da risultare assorbita in esso (sentenza n. 207 del 2023), nel danneggiamento si pone di norma come un fine ed esprime una particolare indifferenza per i beni altrui.

Non sussistendo, tra le fattispecie poste a confronto, una omogeneità strutturale, non è quindi manifestamente irragionevole la scelta della previsione, con riguardo al reato di danneggiamento, di un percorso rieducativo diverso da quello contemplato per il furto commesso con violenza sulle cose.

3.2.– In tale prospettiva, non convince nemmeno l’accento che il rimettente pone sulla maggiore gravità di quest’ultimo reato, in quanto punito con una pena edittale più severa di quella prevista per il danneggiamento.

La ratio della subordinazione in questione risiede, infatti, principalmente nella funzione rieducativa della pena alla luce della specificità del reato che viene in rilievo, risultando secondaria, per questo profilo, la cornice edittale prevista dal legislatore.

Del resto, a fortiori, va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, al legislatore non è nemmeno precluso negare la stessa concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena in riferimento a «condotte particolarmente gravi nel comune sentire», anche, in fondo, a prescindere dalla «pena edittale per esse prevista» (sentenza n. 85 del 1997).

3.3.– Nemmeno coglie nel segno l’argomento speso dal giudice a quo nel sottolineare che il d.lgs. n. 31 del 2024 ha previsto la procedibilità a querela anche per il delitto di danneggiamento di cose esposte alla pubblica fede, allineando così il relativo regime a quello del furto.

La procedibilità a querela, infatti, risponde a una finalità differente dalla subordinazione della sospensione condizionale, essendo preordinata, la prima, anche ad assicurare una significativa deflazione del lavoro giudiziario (ex plurimis, sentenza n. 9 del 2025) e, la seconda, come si è detto, essenzialmente a realizzare la funzione rieducativa della pena.

Di conseguenza, l’omologazione tra i due delitti in punto di procedibilità non rende arbitraria l’omessa omologazione anche riguardo alla sospensione condizionale.

4.– In via ulteriormente gradata, il Tribunale fiorentino denuncia, infine, il quinto comma dell’art. 635 cod. pen., nella parte in cui è applicabile al delitto di danneggiamento di cui al precedente secondo comma, numero 1), limitatamente alle condotte aventi a oggetto cose esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede.

Benché non motivi espressamente sul punto, da una lettura complessiva dell’ordinanza di rimessione si desume chiaramente che il giudice a quo ritiene che la norma denunciata violi il principio di eguaglianza per le stesse ragioni addotte a sostegno della questione precedente.

4.1.– Le medesime considerazioni appena esposte conducono, pertanto, evidentemente alla non fondatezza anche di tale questione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 635, quinto comma, del codice penale, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 635, quinto comma, cod. pen., nella parte in cui è applicabile al delitto di danneggiamento, di cui al precedente secondo comma, numero 1), delle cose indicate nell’art. 625, primo comma, numero 7), cod. pen., sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 635, quinto comma, cod. pen., nella parte in cui è applicabile al delitto di danneggiamento, di cui al precedente secondo comma, numero 1), delle cose esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1° dicembre 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Igor DI BERNARDINI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 29 dicembre 2025

Il Cancelliere

F.to: Igor DI BERNARDINI


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