SENTENZA N. 206
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi 2 aprile 2025, Disposizioni in materia di comunicazione politica, messaggi autogestiti e informazione della società concessionaria del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale in relazione alla campagna per i referendum popolari abrogativi indetti per i giorni 8 e 9 giugno 2025, promosso dal Comitato promotore Referendum cittadinanza, in persona del legale rappresentante onorevole Riccardo Magi, con ricorso notificato il 18 luglio 2025, depositato in cancelleria l’11 agosto 2025, iscritto al n. 7 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2025 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2025, fase di merito.
Visto l’atto di costituzione della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi;
udito nell’udienza pubblica del 19 novembre 2025 il Giudice relatore Marco D’Alberti;
uditi gli avvocati Giuliano Fonderico e Gianlorenzo Ioannides per il Comitato promotore Referendum cittadinanza, nonché gli avvocati dello Stato Gianna Galluzzo e Giancarlo Caselli per la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi;
deliberato nella camera di consiglio del 19 novembre 2025.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso depositato il 28 maggio 2025 e notificato l’11 agosto 2025 (reg. confl. pot. n. 7 del 2025), il Comitato promotore Referendum Cittadinanza (in seguito: il Comitato), in persona dell’onorevole Riccardo Magi, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi (in seguito: la Commissione), ai fini dell’annullamento degli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della delibera del 2 aprile 2025, recante «Disposizioni in materia di comunicazione politica, messaggi autogestiti e informazione della società concessionaria del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale in relazione alla campagna per i referendum popolari abrogativi indetti per i giorni 8 e 9 giugno 2025» (in seguito: la delibera).
2.– Il ricorrente ha denunciato l’illegittimità costituzionale di tale delibera «nella parte in cui, agli artt. 3, 4, 5, 6 e 7, non garantisce che il Comitato ricorrente disponga di spazi di comunicazione politica idonei a illustrare le ragioni sottese alla richiesta di referendum e comunque non contiene disposizioni idonee a imporre al concessionario del servizio pubblico radiotelevisivo di garantire un elevato livello di informazione sulle tematiche oggetto del referendum».
Ad avviso del ricorrente, la delibera determinerebbe la compressione delle attribuzioni costituzionalmente garantite al Comitato dagli artt. 2, 3, 48 e 75 della Costituzione, come attuati dagli artt. 1, 2 e 5 della legge 22 febbraio 2000, n. 28 (Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica), e dagli artt. 4, 6, 59, 62 e 67 del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 208, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2018/1808 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 novembre 2018, recante modifica della direttiva 2010/13/UE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri, concernente il testo unico per la fornitura di servizi di media audiovisivi in considerazione dell’evoluzione delle realtà del mercato».
2.1.– In punto di fatto, il Comitato ha dedotto di essere stato costituito al fine di promuovere un referendum abrogativo ex art. 75 Cost. sul seguente quesito: «Volete voi abrogare l’articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione”; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.”, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza?». Il ricorrente ha riferito che il 4 settembre 2024, presso l’Ufficio centrale per il referendum della Corte di cassazione, sono state depositate 637.487 sottoscrizioni di cittadini elettori, richiedenti la convocazione dei comizi referendari sul quesito sopra indicato.
A seguito della sentenza di questa Corte n. 11 del 2025, con cui è stata dichiarata ammissibile la richiesta sopra indicata, con il d.P.R. 31 marzo 2025 (Indizione del referendum popolare abrogativo avente la seguente denominazione: «Cittadinanza italiana: Dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana») è stato indetto il referendum e sono stati convocati i comizi referendari per le giornate dell’8 e 9 giugno 2025.
Ad avviso del ricorrente, la delibera impugnata sarebbe costituzionalmente illegittima nella parte in cui non avrebbe «adeguatamente differenziato e valorizzato la posizione del Comitato [...] non riconoscendo allo stesso alcun ruolo nell’illustrare il contenuto della proposta referendaria da esso promossa». Inoltre, la stessa delibera non avrebbe garantito che «i mezzi di informazione radiotelevisivi offrano all’elettorato un’informazione completa sulle questioni oggetto del referendum».
2.2.– Quanto all’ammissibilità del conflitto, il Comitato ha dedotto la sussistenza del requisito soggettivo, richiamando la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale i promotori di un referendum sono «competenti a dichiarare definitivamente, nell’ambito della procedura referendaria, la volontà della frazione del corpo elettorale titolare del potere di iniziativa previsto dall’art. 75 della Costituzione» (è richiamata tra le molte la sentenza di questa Corte n. 502 del 2000). I promotori sono titolari di una funzione costituzionalmente rilevante e garantita, in quanto essi attivano la sovranità popolare nell’esercizio dei poteri referendari e concorrono con altri organi e poteri al realizzarsi della consultazione popolare (è richiamata tra le altre l’ordinanza di questa Corte n. 137 del 2000).
Per quel che riguarda il requisito oggettivo dell’ammissibilità del conflitto, il Comitato evidenzia che solo con una piena consapevolezza sulle tematiche oggetto del referendum gli elettori potrebbero esercitare il proprio dovere civico ed esprimere un voto libero e consapevole, secondo quanto previsto dall’art. 48 Cost. In mancanza di tale consapevolezza, l’art. 75 Cost. sarebbe privato del suo reale oggetto, ossia della facoltà di una frazione del corpo elettorale di esercitare uno strumento di democrazia diretta (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 112 del 1993 e n. 502 del 2000).
La delibera impugnata costituirebbe cattivo esercizio del potere della Commissione di regolare la comunicazione politica durante la campagna referendaria. Essa, non garantendo al Comitato gli spazi necessari a illustrare la normativa oggetto del referendum e le ragioni per le quali se ne chiede l’abrogazione e non imponendo alla RAI di garantire una misura minima di informazione, sarebbe lesiva delle attribuzioni costituzionalmente riconosciute al Comitato. Di qui l’ammissibilità del conflitto anche sotto il profilo oggettivo.
2.3.– Quanto al merito del conflitto, il ricorrente deduce l’illegittimità costituzionale della delibera impugnata, sottolineandone la contrarietà agli artt. 2, 3, 48 e 75 Cost., nonché agli artt. 1, 2 e 5 della legge n. 28 del 2000 e agli artt. 4, 6, 59, 62 e 67 del d.lgs. n. 208 del 2021. Le menzionate norme di rango ordinario garantirebbero la piena parità dei soggetti politici che intervengono nelle trasmissioni radiotelevisive dedicate al referendum e attribuirebbero alla Commissione il compito di definire criteri specifici ai quali debbono conformarsi le trasmissioni radiotelevisive.
2.3.1.– In particolare, l’art. 3, comma 1, della delibera – nell’individuare i soggetti che possono partecipare alle trasmissioni radiotelevisive volte a illustrare il quesito referendario – non avrebbe riconosciuto alcun ruolo specifico al Comitato ricorrente. Pertanto, esso dovrebbe essere ricondotto alla categoria residuale degli altri soggetti politici indicati dalla lettera d) dello stesso art. 3, comma 1 (i comitati, le associazioni e gli altri organismi collettivi, comunque denominati, rappresentativi di forze sociali e politiche di rilevanza nazionale): questi ultimi possono partecipare alle trasmissioni che trattano materie proprie del referendum, ma sono onerati degli adempimenti previsti dal medesimo art. 3, commi 3 e 4, al fine di dimostrare la propria legittimazione a prendervi parte.
La menomazione delle prerogative costituzionali del ricorrente deriverebbe sia dalla mancata attribuzione di spazi di comunicazione dedicati nelle trasmissioni radiotelevisive, sia dalla necessità che la sua partecipazione ai confronti televisivi e radiofonici sui temi referendari avvenga «tenendo conto degli spazi disponibili in ciascun confronto» (art. 5, comma 1, lettera b, della delibera).
Pertanto, il Comitato sarebbe stato relegato a un ruolo deteriore rispetto agli altri soggetti politici, mentre gli andrebbe riconosciuto un «ruolo differenziato», consentendogli di illustrare efficacemente il quesito e le ragioni del referendum. La delibera impugnata sarebbe dunque costituzionalmente illegittima per non avere garantito che «i mezzi di informazione radiotelevisivi offrano all’elettorato un’informazione completa sulle questioni oggetto del referendum».
2.3.2.– Inoltre, la delibera della Commissione non conterrebbe una disciplina degli aspetti quantitativi e qualitativi della comunicazione politica e delle trasmissioni informative idonea a garantire un livello minimo di informazione sui temi referendari. Da ciò deriverebbe la violazione dell’art. 2, commi 1, 4 e 5, della legge n. 28 del 2000 e degli artt. 2, 3, 48 e 75 Cost., in quanto sarebbe ostacolata la possibilità che gli elettori partecipino in modo libero e consapevole alla formazione della politica nazionale.
A questo riguardo, il ricorrente ha osservato che l’art. 5, commi 6 e 7, della delibera impugnata stabilisce una rigida disciplina delle modalità attraverso le quali le tematiche referendarie possono essere trattate nei programmi radiotelevisivi: mancherebbe, tuttavia, una disciplina sul livello di informazione che deve essere garantito, ad esempio attraverso la previsione di un numero minimo di trasmissioni che trattino le tematiche relative ai referendum. In definitiva, la delibera impugnata finirebbe per ostacolare la realizzazione dell’istituto referendario, quale strumento di democrazia diretta.
2.4.– In via subordinata, ove si ritenesse che la delibera impugnata sia conforme a quanto prescritto dall’art. 4, comma 2, della legge n. 28 del 2000, concernente il riparto degli spazi radiotelevisivi tra i soggetti politici, il ricorrente ha richiesto che, nell’esercizio del potere di autorimessione, questa Corte sollevi dinanzi a sé questione di legittimità costituzionale della citata disposizione, nella parte in cui non prevede che – nell’ambito della comunicazione politica radiotelevisiva durante la campagna referendaria – il comitato promotore di un referendum sia titolare di una «posizione differenziata», corrispondente al ruolo che lo stesso riveste nel procedimento referendario, nonché nella parte in cui non prevede che debbano essergli riconosciuti spazi minimi di comunicazione politica radiotelevisiva, sufficienti a garantire il diritto dell’elettorato di ricevere un’informazione completa, tempestiva ed esaustiva.
La lesione delle prerogative del Comitato, cui sarebbe impedita l’efficace illustrazione del quesito referendario, si rifletterebbe nella violazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 48 e 75 Cost. e del diritto dei cittadini a esprimere un voto libero e consapevole.
In via cautelare, il ricorrente ha chiesto la sospensione della delibera e l’adozione di ogni idonea misura cautelare.
2.5.– Con memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, il Comitato ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
2.5.1.– In primo luogo, il ricorrente ha allegato le rilevazioni dei tempi dedicati dalle emittenti radiotelevisive della RAI alle tematiche del referendum sulla cittadinanza. Da questi dati risulterebbe che i tempi in questione sono stati minimi.
2.5.2.– Il Comitato ha ribadito la propria legittimazione al conflitto, richiamando la giurisprudenza costituzionale che riconosce ai comitati promotori una funzione costituzionalmente rilevante e garantita, in rappresentanza dei soggetti legittimati ad avanzare la richiesta di referendum (sono citate le sentenze n. 169 del 2011 e n. 69 del 1978 e l’ordinanza n. 2 del 1978 di questa Corte).
Il ricorrente ha inoltre sottolineato che la procura alle liti per il promovimento del presente conflitto è stata conferita dall’onorevole Riccardo Magi che, oltre ad essere il legale rappresentante del Comitato, è il primo dei cittadini elettori che hanno promosso e presentato la richiesta di referendum.
2.5.3.– Quanto al merito del conflitto, la difesa del ricorrente ha ribadito che la delibera impugnata avrebbe compromesso le attribuzioni costituzionalmente garantite ai promotori, richiamando argomentazioni già illustrate nel ricorso.
Ad avviso del ricorrente, la delibera si concentrerebbe esclusivamente sugli aspetti volti a garantire la parità di condizioni tra i vari soggetti ammessi alle trasmissioni, ma non conterrebbe alcuna previsione che garantisca un livello quantitativo e qualitativo minimo di informazione e comunicazione politica. Ciò determinerebbe l’effetto opposto rispetto agli obiettivi perseguiti: al fine di evitare il rischio di violare le complesse previsioni recate dalla delibera, la RAI sarebbe stata indotta a limitare le trasmissioni che vi sono soggette, come sarebbe dimostrato dai dati che evidenziano che i tempi dedicati all’informazione e alla comunicazione in materia referendaria sono stati irrisori.
2.5.4.– Il Comitato ha infine ribadito la richiesta, avanzata in via subordinata, di autorimessione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2, della legge n. 28 del 2000.
3.– Con decreto presidenziale del 29 maggio 2025 è stata fissata la discussione in camera di consiglio sull’istanza di sospensione e concessione di misure cautelari ed è stata autorizzata l’audizione delle parti. Con ordinanza n. 79 del 2025 è stata respinta, per difetto dei presupposti, l’istanza cautelare presentata dalla parte ricorrente.
Il conflitto è stato dichiarato ammissibile, ai sensi dell’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), con successiva ordinanza n. 98 del 2025.
4.– La Commissione si è costituita nel presente giudizio con atto depositato il 4 settembre 2025, in cui ha chiesto che il conflitto sia rigettato.
4.1.– Quanto alla lamentata equiparazione del Comitato agli altri soggetti di cui all’art. 3, comma 1, lettera d), della delibera, la Commissione ha riferito di avere costantemente adottato delibere di tenore analogo a quella in esame, nelle quali non sono stati riservati ai comitati promotori specifici spazi radiotelevisivi rispetto agli altri soggetti ammessi ad intervenire.
D’altra parte, la delibera della Commissione potrebbe legittimamente disporre – come avvenuto anche in precedenti campagne referendarie – che nelle trasmissioni radiotelevisive di comunicazione politica si realizzino confronti diretti, con la partecipazione sia dei rappresentanti delle forze politiche, sia dei comitati promotori ed ostativi. La discrezionalità della Commissione incontrerebbe il solo limite della idoneità e congruità delle proprie scelte rispetto al fine da conseguire, rappresentato da una corretta e completa informazione radiotelevisiva, strumentale all’espressione di un voto consapevole da parte degli elettori (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 49 del 1998).
4.2.– La Commissione ha inoltre sottolineato che – tenuto conto del calendario delle trasmissioni andate in onda nel periodo della campagna referendaria – non si sarebbe verificata alcuna irragionevole compressione delle attribuzioni dei promotori del referendum in materia di cittadinanza. Infatti, nei confronti radiotelevisivi cui ha preso parte, il Comitato ricorrente avrebbe avuto la possibilità di illustrare compiutamente le ragioni a sostegno della propria posizione.
I contenuti della delibera non avrebbero violato i principi costituzionali richiamati dal ricorrente, non potendosi desumere da essi la necessità di un trattamento radiotelevisivo ed informativo specificamente dedicato ai comitati promotori.
4.3.– La Commissione ha inoltre contestato l’assunto secondo cui la delibera, all’art. 5, comma 1, lettera b), avrebbe limitato gli spazi di comunicazione riconosciuti al Comitato, in contrasto con l’art. 52 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), che imporrebbe l’equiparazione dei comitati promotori ai partiti o ai gruppi politici.
Infatti, il ricorrente non avrebbe considerato che anche la partecipazione delle forze politiche parlamentari ai confronti televisivi e radiofonici è sottoposta ad altrettante, se non più stringenti, condizioni. Esse sono stabilite dall’art. 5, comma 1, lettera a), della delibera, ove si prevede che la partecipazione delle forze politiche di cui all’art. 3, comma 1, lettere a), b) e c), avvenga «in modo da garantire la parità di condizioni e in rapporto all’esigenza di ripartire gli spazi in due parti uguali fra le opposte indicazioni di voto», precisando altresì che «la loro partecipazione non può aver luogo se non dopo che esse abbiano dichiarato la loro posizione rispetto a ciascun quesito referendario».
4.4.– Quanto alla doglianza relativa alla mancanza di una dettagliata disciplina degli aspetti quantitativi dei programmi di informazione e di approfondimento giornalistico sui temi referendari, la Commissione ha sottolineato la differenza tra la comunicazione politica ed i programmi di informazione, alla luce delle disposizioni contenute negli artt. 2 e 4 della legge n. 28 del 2000.
La disciplina della comunicazione politica è stabilita dalla Commissione e dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), secondo i criteri stabiliti dalla stessa legge n. 28 del 2000, connotati dal principio della parità di condizioni. D’altra parte, quanto ai programmi di informazione e di approfondimento giornalistico, in nessuna precedente delibera della stessa Commissione sarebbe rinvenibile un’indicazione puntuale in ordine al numero minimo di trasmissioni da mandare in onda, in cui si trattino le tematiche relative ai referendum, né al numero minimo di minuti da dedicare alle stesse.
La parte resistente ha inoltre sottolineato che, in base all’art. 7, comma 2, della delibera impugnata, i programmi di contenuto informativo devono conformarsi «con particolare rigore, per quanto riguarda le materie oggetto dei quesiti referendari, ai criteri di tutela del pluralismo, dell’imparzialità, dell’indipendenza, della completezza, dell’obiettività, dell’equilibrata rappresentanza di genere e della parità di trattamento fra i diversi soggetti politici».
La Commissione ha inoltre richiamato l’art. 7, comma 3, della delibera impugnata che stabilisce alcuni specifici obblighi dei direttori responsabili dei programmi informativi, nonché dei loro conduttori e registi, al fine di assicurare la massima informazione possibile sui temi referendari.
La Commissione ha riferito che, a partire dalla delibera che ha regolato nel 2024 la campagna per le elezioni del Parlamento europeo, accanto alle prescrizioni sopra riportate sono stati introdotti anche criteri di tipo qualitativo, volti a stabilire: a) che il principio della parità di trattamento nei programmi di informazione sia realizzato in modo tale che ciascuno dei soggetti politici abbia analoghe opportunità di ascolto; b) che la parità di trattamento all’interno di tali programmi sia garantita anche tenendo conto della collocazione oraria delle trasmissioni e degli ascolti; c) che la visibilità di tali programmi sia calcolata considerando un indicatore ricavato dal rapporto tra gli ascolti medi registrati per ciascuna fascia oraria da ognuna delle reti RAI nel mese di marzo 2025 e gli ascolti medi registrati dal totale della platea televisiva nell’intera giornata.
4.5.– In definitiva, ad avviso della Commissione, la delibera avrebbe previsto una disciplina volta a garantire la completezza dell’informazione per quanto attiene alle tematiche referendarie, nel rispetto dei principi posti dalla legge n. 28 del 2000.
In particolare, per quanto concerne la comunicazione politica, sarebbe stata prevista una programmazione su tutte e tre le reti generaliste, in collocazioni orarie di maggiore ascolto, prima o dopo i notiziari, secondo una programmazione equiparabile a quella della precedente campagna referendaria del 2022.
Quanto ai programmi di informazione, la delibera avrebbe imposto il rispetto del principio della parità di trattamento, tenendo conto non solo di indici quantitativi, ma anche di criteri qualitativi, in funzione della visibilità a seconda delle fasce orarie e sulla base degli ascolti registrati.
Considerato in diritto
1.– Il Comitato promotore Referendum cittadinanza ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, ai fini dell’annullamento degli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della delibera del 2 aprile 2025, con cui la stessa Commissione ha disciplinato forme e modi della programmazione radiotelevisiva della RAI dedicata alla campagna per i referendum popolari abrogativi indetti per i giorni 8 e 9 giugno 2025.
Tali disposizioni sono ritenute lesive delle attribuzioni costituzionali garantite ai promotori del referendum abrogativo dagli artt. 2, 3, 48 e 75 Cost., come attuati dagli artt. 1, 2 e 5 della legge n. 28 del 2000 e dagli artt. 4, 6, 59, 62 e 67 del d.lgs. n. 208 del 2021.
La delibera sarebbe costituzionalmente illegittima «nella parte in cui, agli artt. 3, 4, 5, 6 e 7, non garantisce che il Comitato ricorrente disponga di spazi di comunicazione politica idonei a illustrare le ragioni sottese alla richiesta di referendum e comunque non contiene disposizioni idonee a imporre al concessionario del servizio pubblico radiotelevisivo di garantire un elevato livello di informazione sulle tematiche oggetto del referendum».
2.– Stante il carattere delibativo dell’ordinanza che ha ammesso il conflitto, occorre in questa sede accertare anzitutto – in termini definitivi – la presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi idonei a legittimare la proposizione del conflitto, ai sensi degli artt. 134 Cost. e 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953.
3.– Sotto il profilo della legittimazione attiva, va rilevato che, a partire dal 1978, la giurisprudenza di questa Corte è costante nel riconoscere agli elettori, in numero non inferiore a 500.000, sottoscrittori della richiesta di referendum, la titolarità di una funzione costituzionalmente rilevante e garantita, in quanto essi attivano la sovranità popolare nell’esercizio dei poteri referendari e concorrono con altri organi e poteri al realizzarsi della consultazione popolare (tra le molte, ordinanze n. 169 del 2011, n. 172 del 2009, n. 38 del 2008, n. 195 del 2003 e n. 17 del 1978). La frazione del corpo elettorale che ha sottoscritto la richiesta di referendum è dunque un potere dello Stato, titolare della «potestà di proporre tale richiesta, con l’effetto di rendere costituzionalmente dovuta la convocazione del corpo elettorale» (sentenza n. 69 del 1978).
Competenti, in particolare, a dichiarare definitivamente la volontà della frazione del corpo elettorale titolare del potere di iniziativa previsto dall’art. 75 Cost. sono i promotori della richiesta di referendum, ai quali spetta dunque la legittimazione a proporre ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (tra le molte, sentenze n. 174 del 2009, n. 502 del 2000, n. 49 del 1998, n. 102 del 1997, n. 161 del 1995, n. 69 del 1978; ordinanze n. 95 del 2020, n. 169 del 2011, n. 172 del 2009, n. 198 del 2005, n. 195 del 2003, n. 137 del 2000, n. 172, n. 171, n. 131, n. 13 e n. 9 del 1997; n. 226 e n. 118 del 1995; n. 17 del 1978).
I promotori esercitano poteri che sono loro propri, ma nell’interesse di altri soggetti: essi agiscono in qualità di rappresentanti degli elettori che hanno sottoscritto la richiesta referendaria (tra le molte, sentenze n. 102 del 1997 e n. 69 del 1978; ordinanze n. 172, n. 13 e n. 9 del 1997). Anche in tempi recenti è stata riconosciuta la legittimazione dei promotori «in rappresentanza dei soggetti legittimati ad avanzare la richiesta di referendum» (sentenza n. 195 del 2020). Si tratta di una peculiare forma di rappresentanza istituzionale, di carattere pubblicistico, che trova fondamento non in un mandato elettivo, ma in una comunione d’intenti tra chi ha promosso la richiesta di referendum e chi ha condiviso tale iniziativa, sottoscrivendo la richiesta stessa.
In virtù di tale rapporto di rappresentanza istituzionale, i promotori sono i soggetti esponenziali del potere dello Stato costituito dai sottoscrittori che esercitano una funzione costituzionalmente rilevante, in quanto volta ad «attivare la sovranità popolare nell’esercizio di una potestà normativa diretta, anche se limitata all’abrogazione» (sentenza n. 69 del 1978; nello stesso senso, ordinanze n. 169 del 2011, n. 38 del 2008, n. 198 del 2005, n. 195 del 2003, n. 137 del 2000 e n. 9 del 1997).
I promotori possono anche adottare la forma del comitato, ossia una struttura organizzativa volta a consentire l’esercizio collettivo dei poteri che l’ordinamento riconosce loro. Quale che sia la forma prescelta, la rilevanza costituzionale della funzione svolta dai firmatari al fine di giungere all’adozione di un atto-fonte impone comunque la sintonia tra rappresentati e rappresentanti ed esige che la struttura organizzativa la quale agisce per il potere dello Stato investito di tale rilevantissima funzione non sia incerta né mutevole, ma abbia una identità precisa e non possa essere alterata dalla presenza di soggetti estranei.
Solo i promotori, eventualmente costituiti in comitato, sono dunque il soggetto giuridicamente capace di rappresentare dinnanzi a questa Corte gli interessi del potere dello Stato costituito dai 500.000 cittadini elettori che hanno sottoscritto la richiesta di referendum.
4.– Ciò premesso, occorre verificare se, nel caso in esame, il Comitato ricorrente possa ritenersi legittimato a promuovere il conflitto.
Invero, già nell’ordinanza n. 98 del 2025, con cui è stato dichiarato preliminarmente ammissibile il presente conflitto, questa Corte ha sottolineato che «resta impregiudicata ogni ulteriore decisione, anche in punto di ammissibilità, e potrà essere approfondito in contraddittorio tra le parti il profilo della legittimazione soggettiva del Comitato ricorrente, con particolare riguardo ai tempi di costituzione del Comitato stesso e alla sua composizione».
All’esito dell’approfondito scrutinio consentito in questa fase la conclusione deve essere negativa.
Deve pertanto essere dichiarata l’inammissibilità del conflitto in esame per difetto di legittimazione attiva del Comitato ricorrente.
5.– In punto di fatto, va rilevato che il giudizio in esame è stato introdotto con ricorso sottoscritto dall’onorevole Riccardo Magi, nella dichiarata qualità di legale rappresentante del Comitato Referendum cittadinanza. Dal ricorso introduttivo del conflitto e dai documenti allegati risultano provate alcune circostanze che portano a negare al soggetto ricorrente la qualità di Comitato promotore.
In particolare, alla costituzione del Comitato hanno partecipato – oltre a tredici degli originari diciannove promotori – anche soggetti che non hanno in alcun modo preso parte alle attività di impulso dell’iter referendario. Il Comitato, peraltro, è stato costituito successivamente all’avvio dell’iter referendario e al deposito delle sottoscrizioni presso l’Ufficio centrale per il referendum della Corte di cassazione.
6.– È pacifica la legittimazione dei promotori che si siano costituiti in comitato (tra le molte, sentenza n. 102 del 1997; ordinanze n. 195 del 2020, n. 169 del 2011, n. 13 del 1997). Infatti, l’assunzione della forma di comitato rappresenta una insindacabile scelta organizzativa che non incide sulla qualità di promotori dei soggetti che lo compongono.
Tuttavia, dall’atto costitutivo del Comitato risulta che di esso fanno parte, come detto, alcuni soggetti che non hanno in alcun modo partecipato alle attività svolte dai promotori per l’avvio dell’iter referendario. Tali soggetti non si identificano dunque con gli originari promotori, ossia con coloro che – avendo assunto l’iniziativa per la presentazione della richiesta referendaria – agiscono in rappresentanza del potere dello Stato titolare delle attribuzioni defendibili in conflitto e sono legittimati a promuoverlo.
L’identità dei promotori, attestata dai verbali delle attività che essi hanno compiuto dinnanzi all’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione, è decisiva ai fini della maturazione della decisione di sottoscrivere la richiesta di referendum, poiché è in funzione di tale identità che l’ordinamento riconosce loro il potere di rappresentare i sottoscrittori. La composizione del Comitato ricorrente è incompatibile con questa originaria identità. Non già per la presenza in esso di un numero di soggetti inferiore a quello degli originari promotori (sedici su diciannove), ma perché del Comitato fanno parte anche altri soggetti ad essi estranei, i quali non hanno espresso il loro intento abrogativo fin dal momento della promozione del referendum. Pertanto, essi non possono ritenersi rappresentanti del potere dello Stato costituito dalla frazione di corpo elettorale che ha sottoscritto la richiesta di referendum.
In definitiva, la presenza all’interno del Comitato ricorrente di soggetti estranei agli originari promotori è tale da escludere la comunione di intenti e la sintonia che devono sussistere, come detto, tra coloro che hanno avviato la procedura referendaria e l’organismo collettivo costituitosi dopo tale avvio.
Tale conclusione è confermata anche dallo statuto del Comitato, prodotto in giudizio dal ricorrente, ove, all’art. 7, si contempla la possibilità che dell’assemblea del Comitato stesso possano entrare a far parte anche ulteriori soggetti: «un rappresentante per ogni organizzazione di right holders; […] un rappresentante per ogni organizzazione che aderisca al Comitato versando un contributo di 5000 (cinquemila) euro». Tanto, a comprova del fatto che lo stesso Comitato ricorrente si autointerpreta come soggetto diverso dagli originari promotori.
La legittimazione a promuovere il conflitto va infatti riconosciuta solo a coloro che in concreto abbiano rivestito la qualità di promotori fin dalla fase iniziale della presentazione della richiesta referendaria e della raccolta delle sottoscrizioni. Ai fini della proposizione del conflitto, i promotori possono costituirsi in comitato anche successivamente a tale fase iniziale, purché l’organismo collettivo sia composto esclusivamente da soggetti che rientrino tra gli originari promotori.
L’esatta delimitazione dell’ambito dei soggetti legittimati alla proposizione del conflitto discende dalla indefettibile necessità di non snaturare il giudizio ex art. 134 Cost. e di evitare derive verso la legittimazione di mutevoli aggregazioni di persone o di singoli cittadini.
7.– Il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Comitato promotore Referendum Cittadinanza deve essere pertanto dichiarato inammissibile.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso nei confronti della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, dal Comitato promotore Referendum Cittadinanza con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 novembre 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Marco D'ALBERTI, Redattore
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 29 dicembre 2025
Il Cancelliere
F.to: Igor DI BERNARDINI