SENTENZA N. 203
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 5-bis, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), aggiunto dall’art. 6, comma 1, lettera c-bis), del decreto-legge 15 settembre 2023, n. 123 (Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale), introdotto, in sede di conversione, dalla legge 13 novembre 2023, n. 159, promossi dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Roma, con ordinanza del 18 febbraio 2025, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Bari, con ordinanza del 24 marzo 2025, e dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Roma, con ordinanza del 17 aprile 2025, iscritte rispettivamente ai numeri 45 e 68 del registro ordinanze 2025, la cui trattazione è stata fissata per l’adunanza in camera di consiglio del 22 settembre 2025, e al n. 88 del registro ordinanze 2025 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, numeri 12, 17 e 21 dell’anno 2025.
Visti l’atto di costituzione di C. L. nella qualità di esercente la responsabilità genitoriale sul minore K.D.R. O., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica e nella camera di consiglio del 23 settembre 2025 il Giudice relatore Stefano Petitti;
uditi l’avvocato Maurilio Prioreschi per C. L., nella qualità di esercente la responsabilità genitoriale sul minore K.D.R. O., e gli avvocati dello Stato Salvatore Faraci e Erica Farinelli per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 23 settembre 2025.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 18 febbraio 2025, iscritta al n. 45 del registro ordinanze 2025, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 31, secondo comma, 117, primo comma, e 3 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 5-bis, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), aggiunto dall’art. 6, comma 1, lettera c-bis), del decreto-legge 15 settembre 2023, n. 123 (Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale), introdotto, in sede di conversione, dalla legge 13 novembre 2023, n. 159, nella parte in cui prevede che le disposizioni del comma 1 dello stesso art. 28, in tema di sospensione del processo con messa alla prova, non si applicano al delitto previsto dall’art. 609-octies del codice penale (violenza sessuale di gruppo), limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’art. 609-ter del medesimo codice.
1.1.– Il giudice a quo sta procedendo nelle forme del giudizio abbreviato nei confronti di K. C. e A. U., imputati:
a) del delitto di cui agli artt. 609-octies, commi primo, secondo e terzo, 609-ter, primo comma, numeri 2) e 5), e 61, numeri 4) e 5), cod. pen., per aver costretto G. P. di anni sedici – dopo averlo portato in un garage sottostante un supermercato, mediante la forza intimidatrice del gruppo e la minaccia consistita nell’affermazione, da parte di S. H., «la devi fare sta cosa sennò passiamo alle mani» – a subire atti sessuali, consistiti, da parte di S. H., nel penetrarlo nell’ano con un bastone e nel costringerlo poi a inserire in bocca la medesima estremità del bastone, colpendolo al contempo con uno schiaffo sulla nuca, mentre tutti lo colpivano con ripetuti sputi e riprendevano con i propri telefoni cellulari. Con l’aggravante di aver adoperato sevizie e crudeltà nei confronti di un minore di anni diciotto, mediante l’utilizzo di strumenti gravemente lesivi della salute della vittima profittando di circostanze di luogo e persona tali da ostacolare la privata difesa;
b) del delitto di cui agli artt. 110 e 600-ter, primo comma, numero 1), cod. pen., perché, in concorso tra loro, realizzavano mediante i propri telefoni cellulari, diffondendoli poi su gruppi WhatsApp, video nei quali era ripreso G. P. nel compimento dei predetti atti sessuali;
c) del delitto di cui agli artt. 110 e 612-bis, primo comma, cod. pen., perché, in concorso tra loro, con condotte reiterate, consistite nel porre in essere la condotta di cui al capo che precede, nonché, in altra circostanza verificatasi in diversa data, nel deriderlo e percuoterlo ripetutamente, nel farlo sbattere più volte contro la serranda di una gioielleria, nel metterlo all’interno di un cassonetto dell’immondizia, nello spegnergli una sigaretta sul collo, nel gettargli contro un liquido, verosimilmente urina, molestavano G. P., cagionandogli un perdurante e grave stato d’ansia e di paura e ingenerando in lui un fondato timore per la propria incolumità.
Il GUP del Tribunale per i minorenni di Roma riferisce che, disposto il giudizio immediato dal giudice per le indagini preliminari, in udienza erano stati esaminati gli imputati, i quali avevano ammesso i fatti, si erano dichiarati pentiti di quanto commesso, avevano narrato di essersi scusati con la persona offesa e cercato di esporre le ragioni delle loro azioni, pur senza voler minimizzare le proprie responsabilità, e infine avevano chiesto la sospensione del processo con messa alla prova. In tale ultimo senso si era orientato anche il personale dell’Ufficio di servizio sociale per i minorenni (USSM) presente in udienza e il pubblico ministero aveva espresso parere favorevole.
1.2.– Il rimettente osserva tuttavia che il fatto di cui al capo a) dell’imputazione è stato commesso dopo l’entrata in vigore dell’art. 28, comma 5-bis, del d.P.R. n. 448 del 1988, sicché resta ex lege preclusa la possibilità per i richiedenti di essere ammessi alla prova. I difensori e il pubblico ministero avevano così chiesto di sollevare la questione di legittimità costituzionale di tale disposizione.
Il GUP del Tribunale per i minorenni di Roma illustra, allora, le ragioni della rilevanza delle sollevate questioni. In difetto dell’indicato comma 5-bis, il Collegio avrebbe potuto delibare favorevolmente la richiesta di messa alla prova, giacché, sulla base degli elementi agli atti e delle dichiarazioni confessorie rese, non potrebbe pervenirsi ad un proscioglimento nel merito degli imputati, ma gli stessi già nei giorni seguenti ai fatti avevano palesato il loro pentimento chiedendo scusa alla persona offesa. L’intento collaborativo e di partecipazione agli interventi educativi proposti era confermato dalle relazioni predisposte dall’USSM.
Per il giudice rimettente, entrambi gli imputati, uno quindicenne e l’altro sedicenne all’epoca dei fatti, avevano rivelato una sincera rimeditazione critica rispetto ai reati contestati, esternata già prima della conoscenza della pendenza delle indagini e dell’applicazione della misura cautelare, che era stata, infatti, revocata per l’assenza del pericolo di reiterazione di condotte analoghe.
Il giudice a quo specifica ulteriormente che le connotazioni del caso concreto escludono la qualificazione di minore gravità, agli effetti dell’art. 609-bis, terzo comma, cod. pen., e che l’entità della pena prevista dalla legge per i reati in contestazione non consente di prendere in considerazione gli istituti delle pene sostitutive di cui all’art. 30 del d.P.R. n. 448 del 1988 o del perdono giudiziale di cui all’art. 169 cod. pen.
1.3.– Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il giudice a quo, negata la percorribilità di una interpretazione conforme a Costituzione del comma 5-bis dell’art. 28 del d.P.R. n. 448 del 1988, ne ravvisa innanzitutto il contrasto con l’art. 31, secondo comma, Cost., in quanto la preclusione assoluta dell’accesso alla prova smentirebbe la tipica finalizzazione del processo penale minorile al recupero del minore mediante la sua rieducazione e il suo reinserimento sociale; la messa alla prova, sostiene il rimettente, è uno dei principali strumenti che consente al giudice di valutare compiutamente la personalità del minore, sotto l’aspetto psichico, sociale e ambientale, anche ai fini dell’apprezzamento dei risultati degli interventi di sostegno disposti.
Richiamando la giurisprudenza di questa Corte sulla necessità che la giustizia minorile operi valutazioni fondate su prognosi individualizzate, in grado di assolvere al compito del recupero del minore, il GUP del Tribunale per i minorenni di Roma sostiene che prevedere un catalogo di reati in relazione ai quali l’accesso dell’imputato a questo istituto è precluso, senza possibilità da parte del giudice di valutare nel merito la richiesta, costituirebbe un vulnus non solo delle esigenze di tutela e protezione del minore autore del reato, ma anche di quelle dell’intera collettività contro i rischi di una possibile recidiva.
Il rimettente rappresenta pure che i progetti di messa alla prova tengono in considerazione altresì le persone offese, soprattutto se minorenni e vittime di particolari reati, prevedendo specifiche prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione, nonché la partecipazione a programmi di giustizia riparativa.
1.4.– Il giudice a quo richiama anche le seguenti fonti sovranazionali e internazionali, che relegano la privazione della libertà personale del condannato minorenne a extrema ratio: le Regole minime delle Nazioni Unite sull’amministrazione della giustizia minorile (cosiddette “Regole di Pechino”), adottate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione 40/33 del 29 novembre 1985; le Regole ONU per la protezione dei minori privati della libertà (cosiddette “Regole dell’Avana”), adottate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione 45/113 del 14 dicembre 1990; la raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa del 5 novembre 2008 sulle regole europee per i delinquenti minori che siano soggetti a sanzioni o a misure; le Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di minore, adottate il 17 novembre 2010; la direttiva (UE) 2016/800 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2016, sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali.
Da tali atti, e dai correlati vincoli, si evincerebbero le ragioni di contrasto anche con l’art. 117, primo comma, Cost.
1.5.– Infine, il GUP del Tribunale per i minorenni di Roma ritiene che il criterio di selezione dei reati resi “ostativi” alla messa alla prova dal comma 5-bis dell’art. 28 del d.P.R. n. 448 del 1988, presenti profili di irragionevolezza, posto che reati anche più gravi, quali quelli di cui all’art. 416-bis o aggravati ex artt. 416-bis.1, 422 e 630 cod. pen., consentono tuttora l’accesso alla messa alla prova minorile.
Né sarebbe dirimente la considerazione dei dati statistici che evidenzierebbero un aumento dei procedimenti per i delitti contemplati dal comma 5-bis dell’art. 28 del d.P.R. n. 448 del 1988, dati che, quando pure tale fenomeno fosse riscontrato in concreto, ancor più richiederebbero, ad avviso del rimettente, un’analisi approfondita e individualizzata della personalità del minore imputato per giungere, nel merito, ad ammettere o escludere la messa alla prova, che comunque i tribunali per i minorenni non concedono automaticamente.
1.6.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che le questioni siano dichiarate manifestamente inammissibili o manifestamente infondate.
1.6.1.– L’Avvocatura generale eccepisce innanzitutto l’inammissibilità delle questioni «per mancata individuazione dei parametri costituzionali da porre necessariamente a riferimento» delle stesse, in quanto il giudice a quo si sarebbe limitato a sollevare la questione della violazione dell’art. 31, secondo comma, Cost. senza fare doveroso riferimento altresì agli artt. 27, terzo comma, e 24 Cost.
L’ordinanza di rimessione mancherebbe poi di motivare adeguatamente sulla sussistenza di tutti gli indicatori sulla cui base deve essere condotto, secondo la giurisprudenza di legittimità, il giudizio prognostico richiesto ai fini dell’ammissione alla messa alla prova, inerenti sia al reato commesso sia alla personalità del reo, con riguardo anche all’epoca successiva al fatto incriminato, con riflessi sulla rilevanza delle questioni sollevate.
Generico, inoltre, sarebbe il richiamo degli atti internazionali operato per fondare la censura proposta in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost.
Sarebbe altresì non corretta la ricostruzione del quadro normativo posta a sostegno della allegata irragionevolezza del catalogo dei reati resi “ostativi” alla messa alla prova dal comma 5-bis dell’art. 28 del d.P.R. n. 448 del 1988.
1.6.2.– Nel merito, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, le questioni risulterebbero, comunque, manifestamente infondate.
La difesa dello Stato obietta che la radicalità della tesi sostenuta dal GUP del Tribunale per i minorenni di Roma, secondo cui il processo minorile dovrebbe sempre e comunque basarsi, oltre che sulle finalità di recupero del minore, sull’attenuazione dell’offensività del processo e sulla rapida fuoriuscita del minore stesso dal circuito penale, sarebbe basata su una inattuale concezione della figura del minore che, dal punto di vista criminologico, non troverebbe più riscontro nella realtà, come documenterebbero i richiamati dati statistici. Le indiscutibili linee guida del processo penale minorile dovrebbero, invece, accordarsi, nel rispetto degli altri primari valori costituzionali (vita, integrità e salute dei cittadini), con le esigenze, sia special preventive che general preventive, a fronte di reati gravissimi, quali quelli contemplati dalla disposizione censurata.
Tanto premesso, l’Avvocatura sostiene che le questioni sarebbero manifestamente infondate per due distinti profili.
Il primo attiene alla considerazione che il rimettente censura, in riferimento all’art. 31, secondo comma, Cost., la preclusione del divieto assoluto di accesso alla messa alla prova, nei casi di violenza sessuale aggravata, senza nemmeno limitarlo alle ipotesi di lieve entità, il che varrebbe a teorizzare un «diritto tiranno» alla messa alla prova rispetto agli altri valori costituzionali in gioco. Si tratterebbe, ad ogni modo, di una forma di esercizio non sindacabile della discrezionalità legislativa sulla «qualificazione» della gravità assoluta del reato agli effetti della inapplicabilità delle disposizioni in tema di sospensione del processo con messa alla prova.
Il secondo concerne l’asserita violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., per inosservanza degli obblighi internazionali in tema di giustizia penale minorile. Dall’esame degli atti richiamati dal rimettente, sostiene la difesa statale, non emergerebbe alcuna normativa di carattere internazionale cogente che preveda un obbligo generale di consentire l’accesso del minore alla messa alla prova, sottolineandosi, piuttosto, che il ricorso a misure alternative alla privazione della libertà vada incoraggiato solo ove sia possibile, in considerazione anche delle particolari circostanze del caso.
Quanto, infine, all’ipotizzata violazione dell’art. 3 Cost., l’Avvocatura evidenzia il difetto di omogeneità dei rilievi contenuti nell’ordinanza di rimessione, in punto di operatività del criterio del tertium comparationis a fronte delle fattispecie ostative elencate dal comma 5-bis dell’art. 28 del d.P.R. n. 448 del 1988. Il giudice a quo avrebbe, invero, richiamato talune figure delittuose (la strage, il sequestro di persona a scopo di estorsione, l’associazione di tipo mafioso e le ipotesi aggravate dei reati connessi ad attività mafiose) che nulla hanno a che vedere, tanto sotto il profilo sanzionatorio quanto sotto quello criminologico, con le fattispecie incriminatrici oggetto della censurata preclusione, e in particolare con quella contestata agli imputati.
1.7.– Nel giudizio relativo all’ordinanza iscritta al n. 45 del registro ordinanze 2025, hanno depositato, rispettivamente in data 7 e 8 aprile 2025, opinioni scritte, quali amici curiae, l’Associazione italiana dei professori di diritto penale (AIPDP) e l’Unione camere penali italiane (UCPI). Le opinioni sono state ammesse con decreto presidenziale del 10 luglio 2025.
1.7.1.– L’AIPDP, dichiarando di confidare nella declaratoria di illegittimità costituzionale del comma 5-bis dell’art. 28 del d.P.R. n. 448 del 1988, osserva che le preclusioni all’operatività della messa alla prova introdotte, in sede di conversione, dalla legge n. 159 del 2023 allontanano l’istituto dagli scopi della giustizia minorile, avvicinandolo all’omologo previsto per gli adulti, in violazione sia degli artt. 31, secondo comma, 3 e 27, terzo comma, Cost., sia delle fondamentali garanzie apprestate dai documenti internazionali in materia di giustizia minorile richiamati dal giudice a quo, e quindi anche dell’art. 117, primo comma, Cost.
Sottolinea, poi, che l’impianto del d.P.R. n. 448 del 1988 poggia sull’individualizzazione della risposta penale al minore autore di reato e sulla tensione educativa dell’intero rito minorile, nel quale assumono centrale rilevanza gli accertamenti sulla personalità (art. 9); finalità, queste, che trovano riscontro nella scelta del legislatore del 1988 di escludere qualsiasi preclusione di tipo oggettivo all’operatività sia del non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (art. 27), sia della messa alla prova, con riferimento alla quale ogni scelta di adeguatezza andrebbe rimessa al giudice specializzato, in relazione al caso concreto e alle esigenze educative manifestate dal minorenne, e per qualsiasi titolo di reato.
L’AIPDP ricorda altresì l’argomentazione, diffusa nella giurisprudenza di questa Corte, che pone in risalto la differenza funzionale tra la messa alla prova minorile e l’omologo istituto previsto per gli adulti, nel senso che alla funzione essenzialmente deflattiva della probation degli adulti si contrappone la finalità «puramente (ri)educativa» della prova minorile.
La scelta del legislatore di introdurre un catalogo di reati ostativi all’applicazione della messa alla prova si porrebbe, dunque, in netto contrasto con le esigenze di individualizzazione dell’intervento penale per il minore autore di reato, giacché in relazione ai reati considerati, opererebbe una presunzione di pericolosità del minore, tale da precluderne la sottrazione al circuito processuale.
L’opinione si cura di rappresentare che il periodo di prova costituisce un punto di osservazione privilegiato sull’evoluzione della personalità del minore, il quale, lungi dal ricevere una paternalistica misura di clemenza, è impegnato nell’osservanza di un programma educativo personalizzato sotto la guida dei servizi minorili, in vista dell’acquisizione della consapevolezza dei valori fondamentali della convivenza civile e della propria responsabilizzazione. Per tali ragioni, la messa alla prova si rivelerebbe maggiormente proficua proprio con riguardo ai minori autori di reati gravi, viste le speciali esigenze educative manifestate dal comportamento criminoso di un soggetto in età evolutiva. E certamente, alla luce delle prescrizioni del progetto su cui si articola la prova, l’istituto ha un carattere tutt’altro che indulgenziale.
La configurazione della violenza sessuale di gruppo aggravata come reato ostativo alla messa alla prova paleserebbe, poi, un’intollerabile irragionevolezza del sistema, atteso che la disposizione censurata lascerebbe intendere che la pena detentiva si prospetti come unica valida misura per questo reato, con riferimento al quale, tuttavia, l’ordinamento permette, entro certi limiti di pena inflitta, l’applicazione al minore della sospensione condizionale e delle pene sostitutive, come anche la sospensione dell’ordine di esecuzione e il ricorso alle misure penali di comunità.
Dopo aver segnalato che i dati delle presenze dei detenuti negli istituti penali per i minorenni mostrano un aumento del cinquanta per cento a seguito dell’entrata in vigore del d.l. n. 123 del 2023, come convertito, l’AIPDP conclude denunciando l’irragionevolezza del catalogo dei reati ostativi alla messa alla prova minorile, dal momento che sono escluse fattispecie di maggiore o analoga gravità in base ai livelli edittali di pena, ed è invece operato un rinvio indistinto agli artt. 609-bis e 609-octies cod. pen. nelle ipotesi aggravate ai sensi dell’art. 609-ter del medesimo codice, a sua volta caratterizzate dal riferimento a una nozione di «atti sessuali» che si presta ad abbracciare un’ampia gamma di condotte.
1.7.2.– Anche l’UCPI ha dichiarato di condividere le censure del giudice a quo, affermando che parte delle disposizioni introdotte dal d.l. n. 123 del 2023, come convertito, si contrapporrebbe alle idee ispiratrici del cosiddetto codice del processo per i minorenni, di cui al d.P.R. n. 448 del 1988, il quale avrebbe contribuito a far sì che l’Italia, fino al 2023, fosse uno dei Paesi europei con il minor tasso di criminalità e di carcerizzazione minorile, centrando così l’obiettivo di relegare a effettiva extrema ratio la risposta carceraria.
L’amicus curiae richiama in proposito le affermazioni delle sentenze n. 139 del 2020 e n. 68 del 2019 di questa Corte, riguardo alla profonda differenza funzionale esistente tra la messa alla prova dell’adulto, connotata da innegabili tratti sanzionatori, e la messa alla prova del minore, avente una finalità essenzialmente rieducativa. Tale eterogeneità di funzione si manifesta con particolare evidenza nel fatto che la messa alla prova del minore, al contrario di quella dell’adulto, è in larga parte svincolata da un rapporto di proporzionalità rispetto al reato per cui si procede, tanto da essere consentita per tutti i reati, compresi quelli puniti in astratto con la pena dell’ergastolo. La messa alla prova del minore si configura, inoltre, quale istituto ad applicazione officiosa e illimitata, non condizionata, cioè, dalla richiesta dell’imputato, né dal consenso del pubblico ministero, poiché l’essenziale finalità rieducativa ne plasma la disciplina in senso «rigorosamente personologico», a prescindere da ogni obiettivo di deflazione giudiziaria.
L’introduzione di preclusioni assolute all’accesso alla messa alla prova basate sui titoli di reato per cui si procede tradirebbe lo spirito dell’istituto, ponendosi in una direzione essenzialmente retributiva e punitiva del minore.
La tendenziale inconciliabilità con i principi della Carta costituzionale (colpevolezza, finalità rieducativa, uguaglianza-ragionevolezza, in particolare) di valutazioni presuntive che orientino in senso deteriore la risposta punitiva in presenza di particolari condizioni, nel diritto penale minorile, assume, ad avviso dell’UCPI, una rilevanza ancora maggiore, e anzi autonomamente decisiva.
L’opinione dell’UCPI richiama ed illustra, infine, le fonti internazionali che supporterebbero la censura di violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.
2.– Con ordinanza del 24 marzo 2025, iscritta al n. 68 del registro ordinanze 2025, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Bari ha sollevato, in riferimento agli artt. 31, secondo comma, 3, 27, terzo comma, e 117, primo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 5-bis, del d.P.R. n. 448 del 1988, nella parte in cui prevede che le disposizioni del comma 1 non si applicano al delitto di cui all’art. 609-bis cod. pen. (violenza sessuale), limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’art. 609-ter del medesimo codice.
2.1.– Il giudice a quo premette di essere investito del processo nei confronti di A. K. D. B., quattordicenne all’epoca dei fatti, imputato dei delitti di cui agli artt. 81, 605, 609-bis e 609-ter, ultimo comma, prima ipotesi, cod. pen., perché, con diverse azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, aveva costretto la vittima di tredici anni a subire atti sessuali, privandola altresì della sua libertà personale; più specificamente, dopo averla invitata da sola presso un locale nella sua disponibilità, abbracciava la vittima, le toccava ripetutamente il seno e la schiena e la baciava sulle labbra, nonostante il suo dissenso, agendo altresì con violenza, consistita nel prenderla in braccio obbligandola a sedersi su uno sgabello, nell’afferrarla per il collo e nel porsi davanti alla porta d’ingresso per impedirle di uscire, e comunque agendo repentinamente e profittando della propria superiorità fisica e dell’assenza di altre persone, abbassandosi altresì i pantaloni e le mutande e munendosi di preservativi con il chiaro intento di consumare con lei un rapporto sessuale.
All’udienza preliminare del 10 marzo 2025 l’imputato aveva reso dichiarazioni spontanee, si era sottoposto all’esame ed aveva richiesto la sospensione del processo con avvio del programma trattamentale di messa alla prova.
2.2.– In punto di rilevanza delle questioni, il giudice a quo espone di non poter accogliere la richiesta, a ciò ostando l’art. 28, comma 5-bis, del d.P.R. n. 448 del 1988, non potendo applicare le disposizioni del comma 1 in presenza del delitto di cui all’art. 609-bis cod. pen., aggravato ai sensi dell’art. 609-ter del medesimo codice.
L’ordinanza di rimessione precisa che parrebbero ricorrere tutti i presupposti per l’avvio della messa alla prova: l’imputato, all’epoca dei fatti quattordicenne, ha ammesso la condotta contestata sotto il profilo dell’elemento oggettivo, è sembrato pentito della stessa, ha riferito, secondo quanto dichiarato da due testimoni, di aver agito sotto l’effetto dell’uso di sostanze stupefacenti (circostanza tuttavia negata in sede di esame), rendendo così dichiarazioni apparentemente frutto di un processo di acquisizione di consapevolezza rispetto alla vicenda.
Nel senso di una evoluzione positiva della personalità dell’imputato, adeguatamente supportato dalla famiglia, depongono pure le risultanze della acquisita relazione dei Servizi minorili dell’amministrazione della giustizia.
2.3.– Il rimettente motiva, altresì, la non manifesta infondatezza delle questioni in riferimento agli artt. 31, secondo comma, 3 e 117, primo comma, Cost. con argomenti analoghi a quelli svolti nell’ordinanza iscritta al n. 45 del registro ordinanze 2025.
Si assume che la previsione di un catalogo di reati (tra cui la violenza sessuale aggravata ai sensi dell’art. 609-ter, ultimo comma, cod. pen.) in relazione ai quali l’imputato minorenne è privato della possibilità di accesso alla messa alla prova costituirebbe un vulnus delle esigenze di tutela e protezione del minore autore del reato, stabilendo un rigido automatismo impediente.
Si evidenzia altresì la irragionevolezza della condizione dell’imputato nel giudizio principale, il quale risponde sia del delitto di violenza sessuale aggravata, sia del delitto di sequestro di persona di minore età, di per sé non ostativo alla messa alla prova.
E ancora, il rimettente deduce la violazione dell’art. 3 Cost., in quanto imputati anche di delitti più gravi, in considerazione della pena edittale prevista, quali i delitti di produzione, cessione e distribuzione di materiale pedopornografico, i delitti di strage, di terrorismo, i delitti associativi di stampo mafioso o di sequestro di persona a scopo di estorsione, avrebbero accesso all’istituto della messa alla prova, con evidente irragionevolezza delle scelte legislative.
Quanto, in particolare, al contrasto con l’art. 27, terzo comma, Cost., il GUP del Tribunale per i minorenni di Bari osserva che la condanna dell’imputato alla pena detentiva o alle sanzioni sostitutive si rivelerebbe priva della capacità educativa e responsabilizzante del programma trattamentale di messa alla prova.
2.4.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che le questioni siano dichiarate manifestamente inammissibili o manifestamente infondate, con argomenti analoghi a quelli svolti nel giudizio di cui all’ordinanza iscritta al n. 45 del registro ordinanze 2025.
2.5.– Hanno depositato in data 12 maggio 2025 opinioni scritte, quali amici curiae, l’AIPDP e l’UCPI, svolgendo considerazioni analoghe a quelle esposte nel giudizio di cui all’ordinanza iscritta al n. 45 del registro ordinanze 2025. Le opinioni sono state ammesse con decreto presidenziale del 10 luglio 2025.
3.– Con ordinanza del 17 aprile 2025, iscritta al n. 88 del registro ordinanze 2025, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 31, secondo comma, 3 e 117, primo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 5-bis, del d.P.R. n. 448 del 1988, nella parte in cui prevede che le disposizioni del comma 1 non si applicano al delitto di cui all’art. 609-bis cod. pen. (violenza sessuale), limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’art. 609-ter del medesimo codice.
3.1.– Il giudice a quo riferisce di procedere nei confronti di K.D.R. O., imputato del reato previsto dagli artt. 609-bis, ultimo comma, e 609-ter, primo comma, numero 5), cod. pen., per aver costretto una minore, dell’età di quindici anni al momento dei fatti, a subire atti sessuali baciandola contro la sua volontà e toccandola ripetutamente sul seno e nelle parti intime, nonostante il diniego più volte espresso dalla stessa, non in grado di opporsi validamente a causa dell’assunzione di bevande alcoliche.
Riferisce, altresì, che il difensore – alla luce della relazione dell’USSM e di una relazione psicologica del dipartimento di Tutela salute mentale e riabilitazione in età evolutiva (UOC TSMREE) dell’Azienda sanitaria locale RM 5 di Guidonia – aveva chiesto l’ammissione dell’imputato alla messa alla prova.
3.2.– Quanto alla rilevanza delle questioni, il rimettente premette che il reato contestato non presenta i connotati della irrilevanza del fatto ex art. 27 del d.P.R. n. 448 del 1988, non potendosi fondare tale valutazione sulla contestazione dell’ultimo comma dell’art. 609-bis cod. pen., il quale introduce una circostanza attenuante a effetto speciale, che di per sé non è idonea a rendere tenue, nel caso di specie, il fatto per cui si procede, alla luce sia dell’aggravante contestata e del bene giuridico tutelato (libertà sessuale di un soggetto minore di età), sia delle informazioni rese dalla persona offesa circa la dinamica del fatto. D’altra parte, il perdono giudiziale – pure in astratto concedibile, tenuto conto dei limiti edittali di pena previsti per il reato contestato – rappresenterebbe una soluzione deteriore rispetto alla messa alla prova, tenuto conto che la sentenza ex art. 169 cod. pen. verrebbe annotata sul certificato penale fino al compimento del ventunesimo anno di età dell’imputato, con indubbio pregiudizio per quest’ultimo in considerazione del carattere stigmatizzante del reato contestato, e precluderebbe il tentativo di recupero del minore anche sul piano di una maggiore sua responsabilizzazione in relazione alla corretta gestione della sessualità.
Il rimettente rileva, tuttavia, di non poter disporre la sospensione del processo con messa alla prova richiesta dal difensore, stante la preclusione prevista in relazione al reato per cui si procede dall’art. 28, comma 5-bis, del d.P.R. n. 448 del 1988.
L’ordinanza di rimessione sottolinea che, a fronte dell’impedimento frapposto dalla disposizione censurata, sussisterebbero in base agli atti di causa le ulteriori condizioni per l’ammissione dell’imputato alla messa alla prova ai sensi dell’art. 28 del d.P.R. n. 448 del 1988. Non potrebbe, infatti, pervenirsi a una pronuncia di proscioglimento nel merito, non vi sarebbero elementi per ritenere insussistente la capacità di intendere e di volere dell’imputato, il compimento del reato non è stato il prodotto di una scelta deviante radicata da parte di un minorenne dalla personalità delinquenziale strutturata, lo stesso imputato frequenta regolarmente la scuola e un gruppo di catechesi presso la parrocchia di zona, fa parte stabilmente di una squadra di calcio e l’intero contesto ambientale di appartenenza offre ampi spazi di recupero; il minore, infine, è disponibile ad aderire ad un progetto educativo. L’imputato, inoltre, ha ammesso l’addebito sin dalla fase delle indagini preliminari, precisando di avere commesso il fatto mentre lui e la vittima erano ubriachi e gli amici lo incitavano alla condotta contestata.
Lo stesso imputato ha dichiarato di aver chiesto scusa sia alla vittima, nei due giorni successivi ai fatti, sia alla sorella di quest’ultima, il che confermerebbe la maturazione di un’autentica rimeditazione critica rispetto al reato contestatogli.
Quanto alla non manifesta infondatezza l’ordinanza contiene argomentazioni analoghe a quelle già svolte nei due precedenti atti di rimessione. In particolare, il rimettente ritiene che il criterio di selezione dei reati resi “ostativi” alla messa alla prova dal comma 5-bis dell’art. 28 del d.P.R. n. 448 del 1988, presenti profili di irragionevolezza, posto che reati anche più gravi, quali quelli di cui all’art. 416-bis o aggravati ex artt. 416-bis.1, 422, 629, secondo comma, e 630 cod. pen., consentono tuttora l’accesso alla messa alla prova minorile.
3.3.– Ha depositato atto di costituzione in giudizio il 5 giugno 2025 C. L., nell’interesse del minore K.D.R. O.
Premesso che vi sarebbero tutti i presupposti per la sospensione del processo con messa alla prova, essendo la personalità del minore avviata ad un sicuro cambiamento, la parte costituita ha concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 28, comma 5-bis, del d.P.R. n. 448 del 1988, nella parte in cui prevede che le disposizioni del comma 1 non si applicano al delitto di cui all’art. 609-bis cod. pen., limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’art. 609-ter del medesimo codice, per violazione degli artt. 3 e 31, secondo comma, Cost., anche in combinato disposto con gli artt. 24, 25 e 27, terzo comma, Cost., degli artt. 77, 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, alla direttiva 2016/800/UE, nonché alle cosiddette “Regole di Pechino” e alle Linee guida per una giustizia a misura di minore del 17 novembre 2010.
3.4.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che le questioni siano dichiarate manifestamente inammissibili o manifestamente infondate, oltre che per gli argomenti già svolti nel giudizio relativo all’ordinanza iscritta al n. 45 del registro ordinanze 2025, e di cui si è dato conto, per carente motivazione sulla rilevanza, con specifico riferimento alla possibilità, ammessa dallo stesso rimettente, di concessione nel caso di specie del perdono giudiziale.
Considerato in diritto
1.– Con tre distinte ordinanze di contenuto analogo ed indicate in epigrafe, i Giudici dell’udienza preliminare dei Tribunali per i minorenni di Roma (reg. ord. n. 45 e n. 88 del 2025) e di Bari (reg. ord. n. 68 del 2025) hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 5-bis, del d.P.R. n. 448 del 1988, in riferimento agli artt. 31, secondo comma, 3, 27, terzo comma (la sola ordinanza iscritta al n. 68 del reg. ord. 2025), e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione a norme interposte sia sovranazionali che internazionali.
La norma censurata stabilisce che le disposizioni relative alla sospensione del processo e messa alla prova del minore contenute nel comma 1 dello stesso art. 28 «non si applicano ai delitti previsti dall’articolo 575 del codice penale, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 576, dagli articoli 609-bis e 609-octies del codice penale, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 609-ter, e dall’articolo 628, terzo comma, numeri 2), 3) e 3-quinquies), del codice penale».
I rimettenti devono giudicare della responsabilità di imputati minorenni, chiamati a rispondere, rispettivamente, del reato di cui agli artt. 609-octies, commi primo, secondo e terzo, e 609-ter, primo comma, numeri 2) e 5), cod. pen. (ordinanza iscritta al n. 45 reg. ord. del 2025), del reato di cui agli artt. 609-bis e 609-ter, ultimo comma, prima ipotesi, cod. pen. (ordinanza iscritta al n. 68 reg. ord. del 2025), e del reato di cui agli artt. 609-bis, ultimo comma, e 609-ter, primo comma, numero 5), del medesimo codice (ordinanza iscritta al n. 88 reg. ord. del 2025).
In tutti i giudizi, i rimettenti rilevano che, pur sussistendo tutte le condizioni per l’ammissione degli imputati alla messa alla prova, l’accoglimento delle richieste da loro formulate risulti precluso dalla disposizione censurata in ragione dei titoli di reato per cui si procede.
2.– Secondo i giudici a quibus, l’art. 28, comma 5-bis, del d.P.R. n. 448 del 1988, si porrebbe, anzitutto, in contrasto con l’art. 31, secondo comma, Cost. nella parte in cui, appunto, stabilisce che le disposizioni in tema di sospensione del processo con messa alla prova non si applicano al delitto previsto dall’art. 609-octies cod. pen. (violenza sessuale di gruppo), limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’art. 609-ter, primo comma, numeri 2) e 5), cod. pen. (ordinanza iscritta al n. 45 reg. ord. del 2025), ovvero al delitto previsto dall’art. 609-bis, commi primo e terzo, cod. pen. (violenza sessuale), limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’art. 609-ter, commi primo, numero 5), e ultimo, del medesimo codice (ordinanze iscritte ai numeri 68 e 88 reg. ord. del 2025).
Ciò perché la disposizione censurata, prevedendo un divieto assoluto di messa alla prova legato al titolo del reato, impedirebbe a un giudice specializzato di individuare, sulla base delle circostanze del singolo caso, la risposta più aderente alla personalità del minore, confliggendo così con l’intero impianto del processo minorile, che, in ossequio al citato precetto costituzionale, ha come precipua finalità il recupero del minore mediante la sua rieducazione e il suo reinserimento sociale, con rapida fuoriuscita dal circuito penale. Tale finalità troverebbe proprio nell’istituto considerato uno dei suoi più qualificanti strumenti di realizzazione.
Le ordinanze di rimessione dubitano inoltre della legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 5-bis, del d.P.R. n. 448 del 1988 con riferimento all’art. 3 Cost., prevedendosi un catalogo rigido di reati ostativi alla messa alla prova minorile, di gravità minore o uguale ad altre fattispecie criminose, per le quali, invece, è tuttora consentita l’ammissione alla prova.
Ulteriore parametro costituzionale violato dalla disposizione in esame sarebbe l’art. 117, primo comma, Cost., in quanto il divieto assoluto di messa alla prova legato al titolo del reato contravverrebbe al rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi sovranazionali e internazionali che relegano la privazione della libertà personale del condannato minorenne a extrema ratio.
Infine, l’ordinanza iscritta al n. 68 del registro ordinanze 2025 ravvisa la violazione dell’art. 27, terzo comma, Cost., perchè la norma censurata, stabilendo un divieto assoluto di messa alla prova legato al titolo del reato, esporrebbe l’imputato minorenne a una condanna a pena detentiva o a sanzioni sostitutive, comunque prive della capacità educativa e responsabilizzante del programma di messa alla prova.
3.– Le tre ordinanze di rimessione vertono sulla medesima disposizione e pongono questioni in larga parte sovrapponibili, sicché ne appare opportuna la riunione, ai fini di una decisione congiunta.
4.– Nell’atto di costituzione della parte del giudizio di cui all’ordinanza iscritta al n. 88 del registro ordinanze 2025 sono prospettati profili di illegittimità costituzionale della disposizione censurata in rapporto a parametri costituzionali o convenzionali diversi da quelli indicati dal giudice a quo. Al riguardo deve ribadirsi che nel giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale non possono prendersi in esame questioni o profili di costituzionalità dedotti solo dalle parti e diretti quindi ad ampliare o modificare il contenuto dell’ordinanza di rimessione (sentenze n. 112 e n. 50 del 2024, n. 215, n. 184 e n. 161 del 2023).
5.– Vanno respinte le eccezioni di manifesta inammissibilità delle questioni sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato per mancata individuazione dei parametri costituzionali da porre a riferimento delle stesse; per omessa motivazione sulla loro rilevanza; per erronea ricostruzione del quadro normativo; per difetto di rilevanza delle questioni, quanto all’ordinanza iscritta al n. 88 del registro ordinanze 2025, perché lo stesso rimettente avrebbe ritenuto applicabile, nel caso di specie, l’istituto del perdono giudiziale.
5.1.– I GUP dei Tribunali per i minorenni di Roma e di Bari dubitano della legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 5-bis, del d.P.R. n. 448 del 1988, dovendo pronunciarsi su richieste di sospensione del processo con messa alla prova in giudizi in cui si procede per i reati previsti dall’art. 609-bis cod. pen. o dall’art. 609-octies cod. pen., aggravati ai sensi dell’art. 609-ter del medesimo codice.
Le tre ordinanze di rimessione espongono le ragioni alla base della loro valutazione favorevole relativa alla possibilità di rieducazione e di reinserimento dei rispettivi imputati nella vita sociale, prospettando un giudizio prognostico condotto sulla scorta di molteplici indicatori, inerenti sia al reato commesso, sia alla personalità dei minorenni, manifestati anche in epoca successiva ai fatti incriminati.
In tal senso, le medesime ordinanze superano il controllo “esterno” in punto di rilevanza delle questioni attraverso una motivazione non implausibile del percorso logico compiuto e delle ragioni per le quali i rimettenti affermano di dover applicare la disposizione censurata nei giudizi principali (tra le tante, sentenze n. 200 e n. 148 del 2024, n. 94 del 2023 e n. 237 del 2022).
5.2.– I giudici a quibus motivano anche sulle ragioni di impraticabilità di una interpretazione adeguatrice della disposizione censurata; se tali ragioni siano condivisibili o no è profilo che attiene al merito (da ultimo, tra molte, sentenze n. 23 del 2025, n. 163, n. 105 e n. 6 del 2024).
5.3.– I rimettenti hanno altresì avvalorato le censure con una esaustiva ricostruzione del quadro normativo di riferimento e della pertinente giurisprudenza.
5.4.– Quanto alla difettosa indicazione dei parametri e in particolare degli artt. 27, terzo comma, e 24 Cost., da parte delle ordinanze iscritte ai numeri 45 e 88 del registro ordinanze del 2025, è costante l’affermazione che la questione di legittimità costituzionale deve essere scrutinata avendo riguardo anche ai parametri costituzionali non formalmente evocati, ma desumibili in modo univoco dall’ordinanza di rimessione, qualora tale atto faccia a essi chiaro, sia pure implicito, riferimento mediante il richiamo ai principi da questi enunciati (sentenze n. 35 e n. 5 del 2021, n. 227 del 2010 e n. 170 del 2008).
Nel caso di specie, il complessivo tenore delle ordinanze di rimessione cui si riferisce l’eccezione in esame consente di ritenere che l’esplicitazione del riferimento alla individualizzazione del trattamento, processuale e sostanziale, da applicare al minore imputato evochi chiaramente i principi di cui all’art. 27, terzo comma, Cost. (individualizzazione e finalità rieducativa della pena), mentre la mancata evocazione dell’art. 24 Cost. è profilo che, astrattamente, potrebbe incidere sul merito della questione, ma non condizionarne l’ammissibilità (sentenze n. 244 del 2020 e n. 282 del 2004).
5.5.– Quanto, infine, all’eccezione concernente il fatto che, nel giudizio relativo all’ordinanza iscritta al n. 88 del registro ordinanze 2025, il giudice rimettente ha rilevato l’astratta concedibilità al minore del perdono giudiziale, essendo ipotizzabile l’applicazione di una pena non superiore a due anni, deve rilevarsi che la motivazione in base alla quale il rimettente stesso ha ritenuto più adeguata, nel caso di specie, la sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato minorenne rispetto alla concessione del perdono giudiziale dà ampiamente ragione della scelta operata. E, trattandosi dell’applicazione di due istituti processuali rimessa all’apprezzamento, particolarmente qualificato, del giudice dell’udienza preliminare del tribunale per i minorenni, deve ritenersi che la valutazione in proposito svolta dal rimettente superi il vaglio di non implausibilità della motivazione in punto di rilevanza. Senza dire che dalla giurisprudenza di legittimità si desumono elementi che inducono a ritenere ammissibile la sospensione del processo con messa alla prova del minore pur in presenza di reati per i quali sarebbe in astratto concedibile il perdono giudiziale (Corte di cassazione, seconda sezione penale, sentenza 16 giugno-18 luglio 2016, n. 30435).
6.– Appaiono viceversa fondate le eccezioni di inammissibilità formulate dall’Avvocatura con riguardo alle questioni sollevate in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost.
Le ordinanze di rimessione contengono un elenco di fonti dell’Unione e internazionali che testimonierebbero il ruolo di misura di ultima istanza della privazione della libertà personale per i condannati minorenni e imporrebbero un trattamento penitenziario disegnato sulle peculiari necessità del singolo. Non vengono tuttavia illustrate le ragioni della dedotta antinomia tra la specifica disposizione che esclude determinate fattispecie di reato dalla messa alla prova minorile e i principi generali presidiati dai richiamati parametri internazionali interposti, sicché il contrasto con tali principi risulta solo genericamente affermato, ma non sufficientemente argomentato (tra le tante, sentenze n. 135 del 2023 e n. 252 del 2021).
7.– Può dunque passarsi allo scrutinio nel merito delle altre questioni di legittimità costituzionale.
Conformemente al petitum delle ordinanze di rimessione, peraltro, poiché la disposizione censurata esclude dalla possibilità di accedere all’istituto della sospensione del processo con messa alla prova i minori imputati di quattro tipologie di reati specificamente indicate, occorre precisare che l’esame delle questioni di legittimità costituzionale verrà condotto con riferimento alla prevista esclusione della sospensione del processo con messa alla prova per i minori imputati dei reati di violenza sessuale (art. 609-bis cod. pen.) e violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies cod. pen.), aggravati ai sensi dell’art. 609-ter del medesimo codice.
8.– Le questioni non sono fondate per ciò che attiene all’esclusione delle ora indicate fattispecie di reato (punti da 9 a 14.2.). Sono invece fondate per l’ipotesi in cui ricorra, per il delitto di violenza sessuale aggravata, la circostanza attenuante dei «casi di minore gravità» (punto 15.1.).
9.– Nella relazione illustrativa al d.l. n. 123 del 2023 si indicava in premessa che il provvedimento era volto a introdurre «disposizioni urgenti per il contrasto alla criminalità minorile e all’elusione scolastica, nonché per la tutela dei minori vittime di reato, considerate le caratteristiche di maggiore pericolosità e lesività acquisite nei tempi recenti dalla criminalità minorile. Ciò al fine di approntare una risposta sanzionatoria ed altresì dissuasiva, che mantenga l’attenzione per la specificità della condizione dell’autore di reato minorenne, intervenendo sui presupposti di applicabilità delle misure cautelari ed altresì prevedendo un procedimento anticipato, idoneo al reinserimento e alla rieducazione del minore autore di condotte criminose […]».
Così, già nella sentenza n. 90 del 2025, al punto 5.2. del Considerato in diritto, questa Corte ha rimarcato che «[c]ome emerge dal titolo del provvedimento d’urgenza, dal suo preambolo e dai lavori preparatori, il d.l. n. 123 del 2023 reca un complesso di norme accomunate dall’obiettivo di fronteggiare situazioni di disagio e degrado giovanili e, al contempo, di contrastare la criminalità minorile, in risposta a episodi delittuosi di particolare gravità, perpetrati da minori in danno di minori nel territorio del comune di Caivano».
10.– L’art. 6 del d.l. n. 123 del 2023, come convertito, ha introdotto alcune innovazioni alla disciplina del processo penale minorile di cui al d.P.R. n. 448 del 1988. Nel corso dell’esame al Senato della Repubblica, in particolare, è stata aggiunta al comma 1 dell’art. 6 la lettera c-bis), la quale, inserendo il comma 5-bis nell’art. 28 del citato d.P.R. n. 448 del 1988, esclude la possibilità di accedere all’istituto della sospensione del processo con messa alla prova per una serie tassativa di reati di particolare gravità, ovvero l’omicidio volontario, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’art. 576 cod. pen., la violenza sessuale e la violenza sessuale di gruppo, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’art. 609-ter cod. pen., la rapina aggravata dalle circostanze di cui all’art. 628, terzo comma, numeri 2), 3) e 3-quinquies), del medesimo codice.
11.– È noto che, in base all’originaria disciplina dell’istituto introdotto nel processo minorile con l’art. 28 del d.P.R. n. 448 del 1988 e finalizzato alla valutazione della personalità del minore al termine del periodo di prova, la sospensione del processo con messa alla prova (misura di cosiddetta diversion processuale) poteva essere disposta per qualunque tipo di reato, indipendentemente dalla tipologia e dalla pena astrattamente prevista, come anche dall’eventuale esistenza di precedenti penali, assumendo rilevanza il quantum della pena edittale soltanto ai fini della durata del periodo di prova. Ciò ne delineava una radicale differenza rispetto alla sospensione del procedimento con messa alla prova prevista nel rito degli adulti (artt. 464-bis e seguenti del codice di procedura penale): l’istituto contemplato nell’ambito del processo minorile, caratterizzato, appunto, dall’assenza di preclusioni ostative, costituiva la privilegiata soluzione alternativa alla condanna del minore, quale forma di intervento rieducativo innestato nella fase processuale.
Peraltro, tanto nel caso di messa alla prova minorile (art. 29 del d.P.R. n. 448 del 1988) quanto nel caso di messa alla prova degli adulti (art. 168-ter cod. pen.) l’esito positivo della prova comporta l’estinzione del reato.
12.– Come questa Corte ha più volte osservato (tra le ultime, sentenze n. 23 e n. 8 del 2025, n. 139 del 2020), la disciplina della messa alla prova del minore si è connotata, fin dalla sua introduzione nell’ordinamento, proprio per la finalità essenzialmente rieducativa e di reinserimento sociale, restando svincolata nell’an da un rapporto di proporzionalità rispetto alla gravità del reato per cui si procede, e affidata, nella prospettiva dell’adeguata protezione della gioventù di cui all’art. 31, secondo comma, Cost., alla sola discrezionalità del giudice dell’udienza preliminare del tribunale per i minorenni e dello stesso tribunale, cioè di un giudice collegiale caratterizzato dalla presenza di due componenti onorari, «strutturalmente idoneo a valutare la personalità del minore» (sentenza n. 139 del 2020).
Ciò non ha significato postulare un accesso generalizzato e indiscriminato dell’imputato minorenne alla messa alla prova, essendo il giudice investito, piuttosto, del delicato compito di rivolgere la sua indagine alla ricerca di elementi che gli consentano di valutare se sia adeguato il ricorso a detto istituto, al fine tanto della rieducazione e del positivo reinserimento del minore nella società, quanto dell’esigenza di assicurare la prevenzione del pericolo che questi commetta altri reati; elementi da individuarsi nel tipo di reato commesso, nelle modalità di attuazione di esso, nei motivi a delinquere, nei precedenti penali dell’imputato, nella sua personalità, nel suo carattere e in quanto altro di utile per la formulazione di tale giudizio.
13.– La sentenza n. 8 del 2025, peraltro, ha già rimarcato la notevole portata innovativa dell’art. 28, comma 5-bis, del d.P.R. n. 448 del 1988 rispetto alla cornice normativa preesistente, rinvenendo in tale disposizione una presunzione iuris et de iure di gravità delle condotte integrative dei reati ivi contemplati, tale da impedire qualsiasi possibilità che il minore – al di là delle circostanze concrete delle condotte poste in essere e prescindendo dalla valutazione sulle sue effettive possibilità di recupero e di reinserimento sociale – venga sottratto al circuito processuale volto all’accertamento di responsabilità e, eventualmente, all’irrogazione della pena.
Pur nel mutato quadro normativo permane, tuttavia, una eterogeneità teleologica tra la messa alla prova dell’adulto e quella del minore, giacché quest’ultima si radica e trova la sua ragion d’essere nelle finalità dell’art. 31, secondo comma, Cost., esprimendo una funzione eminentemente rieducativa, mentre la prima ha un’innegabile componente sanzionatoria (sentenze n. 23 del 2025, n. 139 e n. 75 del 2020, n. 68 del 2019).
Questa Corte ha in più occasioni ribadito, infatti, che «[i]l tratto qualificante dell’istituto è rappresentato dall’adozione di un progetto di intervento che si traduce in una serie di prescrizioni individualizzate e a contenuto variabile perché tarate sul profilo personologico del minore e sul contesto socio-familiare in cui questi è inserito» (sentenza n. 8 del 2025).
14.– Tanto premesso, il Collegio ritiene che anche nella materia del diritto penale minorile – nella quale la funzione rieducativa della pena acquisisce un ruolo di speciale preminenza, alla luce dell’art. 31, secondo comma, Cost. (sentenze n. 23 del 2025, n. 231 del 2021, n. 139 del 2020, n. 263 e n. 68 del 2019, n. 90 del 2017 e n. 125 del 1995) – non possa negarsi un margine di discrezionalità al legislatore nella individuazione dei requisiti di accesso agli strumenti di diversion processuale, anche in funzione della particolare rilevanza del bene giuridico protetto; ciò sempre che la reazione sanzionatoria al reato commesso, e prima ancora lo stesso procedimento penale, conservino in ogni caso quella speciale vocazione a favorire la rieducazione del minore che caratterizza il “volto costituzionale” del diritto penale minorile.
A fronte, dunque, di reati, come quelli oggi all’esame di questa Corte, gravemente lesivi dei diritti delle persone offese, tanto più quando siano anch’esse minorenni, non può considerarsi irragionevole la scelta del legislatore di prevedere in ogni caso lo svolgimento di un processo, secondo regole specificamente calibrate sulle esigenze del minore imputato, nell’ottica general preventiva di approntare una risposta dissuasiva rispetto a determinate forme di criminalità minorile.
La determinazione del legislatore di escludere la sospensione del processo con messa alla prova del minore per i reati di cui agli artt. 609-bis e 609-octies, ove aggravati ai sensi dell’art. 609-ter cod. pen., non può, dunque, essere in questa sede censurata: l’esclusione dalla messa alla prova è stata infatti circoscritta, con formulazione tassativa, a reati certamente gravi, spesso commessi, come nella specie, da minori in danno di minori; di talché la disposizione censurata non equivale ad arbitrio, potendo comunque razionalmente giustificarsi in relazione alle finalità perseguite e risultando i mezzi prescelti non manifestamente sproporzionati rispetto alle finalità stesse (sentenza n. 46 del 2024).
14.1.– Non sono nemmeno fondate le questioni con le quali i rimettenti assumono l’irragionevolezza della disposizione censurata per aver essa precluso la messa alla prova minorile anche con riguardo a reati meno gravi rispetto ad altri che tuttora la consentono (complessivamente, i rimettenti indicano i delitti di produzione, cessione e distribuzione di materiale pedopornografico, i delitti di strage, di terrorismo, i delitti associativi di stampo mafioso o di sequestro di persona a scopo di estorsione).
Tali censure poggiano, infatti, su un giudizio comparativo che evoca evidentemente quali termini di raffronto le cornici edittali delle fattispecie di reato, asseritamente più gravi, non contemplate dall’art. 28, comma 5-bis, del d.P.R. n. 448 del 1988; si tratta, però, di elementi che non evidenziano profili di omogeneità tra gli indicati delitti e quelli che qui vengono in rilievo (artt. 609-bis e 609-octies, aggravati ai sensi dell’art. 609-ter cod. pen.), ove si consideri che la scelta del legislatore è stata nella specie ispirata, come già detto, dall’apprezzamento delle specifiche esigenze di contrasto di alcune condotte più frequenti di criminalità minorile, lesive, per quanto qui rileva, della libertà sessuale delle vittime.
14.2.– Non sono, quindi, fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 5-bis, del d.P.R. n. 448 del 1988, censurato, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 31, secondo comma, Cost., nella parte in cui stabilisce che le disposizioni del comma 1 dello stesso art. 28, in tema di sospensione del processo con messa alla prova, non si applicano ai delitti previsti dagli artt. 609-bis, commi primo e secondo, e 609-octies cod. pen., aggravati ai sensi dell’art. 609-ter del medesimo codice.
15.– La norma censurata risulta invece manifestamente irragionevole e sproporzionata nella parte in cui colloca tra i reati “ostativi” alla messa alla prova la violenza sessuale aggravata, anche quando si verta nei «casi di minore gravità» di cui all’art. 609-bis, terzo comma, cod. pen.
Avendo il comma 5-bis dell’art. 28 del d.P.R. n. 448 del 1988 delineato una presunzione iuris et de iure di gravità delle condotte integrative dei reati contemplati, appare irragionevole che la preclusione operi allorquando si configura la circostanza attenuante a effetto speciale del fatto di minore gravità ex art. 609-bis, terzo comma, cod. pen., astrattamente riferibile anche alle ipotesi circostanziate previste dall’art. 609-ter del medesimo codice in rapporto al grado di compromissione del bene giuridico tutelato, alle modalità esecutive e alla considerazione globale del fatto.
L’astratta prognosi legislativa, in senso negativo sulle effettive possibilità di recupero e di reinserimento sociale del minore attraverso il percorso della sospensione del processo con messa alla prova, sottesa all’art. 28, comma 5-bis, del d.P.R. n. 448 del 1988, frustra in modo manifestamente irragionevole la ratio posta a fondamento della circostanza attenuante in parola; si tratta, infatti, di un’attenuante che, infatti, come già affermato da questa Corte, si pone proprio «quale temperamento degli effetti della concentrazione in un unico reato di comportamenti, tra loro assai differenziati, che comunque incidono sulla libertà sessuale della persona offesa, e della conseguente diversa intensità della lesione dell’oggettività giuridica del reato» (sentenze n. 106 del 2014 e n. 325 del 2005; nello stesso senso, sentenza n. 91 del 2024).
15.1.– La medesima ricostruzione interpretativa dell’art. 28, comma 5-bis, del d.P.R. n. 448 del 1988, inteso quale disposizione ispirata dalla intenzione del legislatore di escludere la messa alla prova minorile in relazione a fattispecie criminose che destano un particolare allarme sociale, lascia la stessa sprovvista di ragionevole giustificazione quanto alle ipotesi di gravità significativamente inferiore a quella normalmente associata alla realizzazione di un fatto conforme alla figura astratta.
L’irragionevolezza nasce dal fatto che, per le violenze sessuali di minore gravità, il terzo comma dell’art. 609-bis cod. pen. prevede la possibilità di diminuire la pena in misura particolarmente significativa, ossia fino a due terzi. A tale significativo riconoscimento della minore gravità del fatto a livello penale sostanziale non corrisponde un’adeguata, diversa considerazione della stessa condotta con riguardo all’istituto della sospensione del processo con messa alla prova.
La “valvola di sicurezza” fornita dal terzo comma dell’art. 609-bis cod. pen., quindi, ben può valere come segno di confine oltre il quale risulta superata la soglia della manifesta irragionevolezza in conseguenza della mancata previsione della facoltà del giudice minorile di disporre la sospensione del processo con messa alla prova sulla base di una valutazione individualizzata della personalità del minore, funzionale alle esigenze del suo recupero e della sua risocializzazione. Un imperativo di coerenza, per linee interne al sistema, esige, allora, che tale specificità venga riconosciuta anche nell’ambito dell’istituto della messa alla prova.
16.– Con la sentenza n. 202 del 2025 è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 609-octies cod. pen., nella parte in cui non prevede che, anche con riguardo al delitto di violenza sessuale di gruppo, nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.
Le ragioni che inducono alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 28, comma 5-bis, del d.P.R. n. 448 del 1988, nella parte in cui prevede che le disposizioni del comma 1 dello stesso art. 28 non si applicano al delitto previsto dall’art. 609-bis cod. pen., aggravato ai sensi dell’art. 609-ter cod. pen., anche nei «casi di minore gravità» di cui al terzo comma dell’art. 609-bis del medesimo codice, non possono non valere anche con riferimento al reato di cui all’art. 609-octies cod. pen., aggravato ai sensi dell’art. 609-ter cod. pen., allorquando ricorra la circostanza attenuante del caso di minore gravità.
17.– Pertanto, alla luce delle considerazioni che precedono, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 28, comma 5-bis, del d.P.R. n. 448 del 1988, per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui prevede che le disposizioni del comma 1 dello stesso art. 28 non si applicano ai delitti previsti dagli artt. 609-bis e 609-octies cod. pen., aggravati ai sensi dell’art. 609-ter cod. pen., anche quando ricorra la circostanza attenuante dei «casi di minore gravità».
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 28, comma 5-bis, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), nella parte in cui prevede che le disposizioni del comma 1 dello stesso art. 28 non si applicano ai delitti previsti dagli artt. 609-bis e 609-octies del codice penale, aggravati ai sensi dell’art. 609-ter cod. pen., anche quando ricorra la circostanza attenuante dei «casi di minore gravità»;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 5-bis, del d.P.R. n. 448 del 1988, sollevate, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Roma e dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Bari, con le ordinanze indicate in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 5-bis, del d.P.R. n. 448 del 1988, nella parte in cui prevede che le disposizioni del comma 1 dello stesso art. 28, in tema di sospensione del processo con messa alla prova, non si applicano ai delitti previsti dagli artt. 609-bis, commi primo e secondo, e 609-octies cod. pen., aggravati ai sensi dell’art. 609-ter del medesimo codice, sollevate, in riferimento, complessivamente, agli artt. 3, 27, terzo comma, e 31, secondo comma, Cost., dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Roma e dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Bari, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 settembre 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Stefano PETITTI, Redattore
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 29 dicembre 2025
Il Cancelliere
F.to: Igor DI BERNARDINI
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