Sentenza  202/2025 (ECLI:IT:COST:2025:202) Comunicato
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMOROSO - Redattore:  PATRONI GRIFFI
Camera di Consiglio del 20/10/2025;    Decisione  del 20/10/2025
Deposito del 29/12/2025;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  Art. 609 octies del codice penale.
Massime: 
Atti decisi: ord. 49/2025

Pronuncia

SENTENZA N. 202

ANNO 2025

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 609-octies del codice penale, promosso dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Milano, nel procedimento penale a carico di M. T., con ordinanza del 4 febbraio 2025, iscritta al n. 49 del registro ordinanze 2025 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2025.

Udito nella camera di consiglio del 20 ottobre 2025 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;

deliberato nella camera di consiglio del 20 ottobre 2025.

Ritenuto in fatto

1.− Con ordinanza iscritta al n. 49 del registro ordinanze 2025, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 609-octies del codice penale – che punisce la violenza sessuale di gruppo – nella parte in cui non prevede che, nei casi di minore gravità, la pena possa essere diminuita in misura non eccedente i due terzi.

1.1.− Il giudice rimettente espone di doversi pronunciare nell’ambito di un giudizio abbreviato in cui si procede per il reato di cui agli artt. 110, 628, primo e terzo comma, numero 1), cod. pen. e il reato di cui all’art. 609-octies, primo e secondo comma, in relazione all’art. 609-bis, comma primo, e cod. pen. a carico di un minore, accusato di aver avvicinato sull’autobus un ragazzo e di averlo indotto a seguirlo, con il pretesto di compiere atti sessuali consenzienti. Arrivati in uno stabile abbandonato, dove erano sopraggiunti altri due ragazzi (uno minore e l’altro rimasto non identificato), il giovane adescato era stato rapinato del suo telefono cellulare, dietro la minaccia di un coltello, e poi palpeggiato. La vittima si era allontanata ed era tornata con le forze dell’ordine sul posto, ove era stato rinvenuto l’imputato e uno dei due concorrenti. Per l’imputato era, quindi, scattata l’accusa di rapina e di violenza sessuale di gruppo.

1.2.− In punto di rilevanza, il giudice a quo assume la diretta e attuale incidenza della censurata disposizione al fine di definire il giudizio.

E ciò in quanto l’imputato è chiamato a rispondere del reato di cui all’art. 609-octies, primo e secondo comma, numero 1), cod. pen., fattispecie nella quale rientra la condotta da questi tenuta, avendo egli, unitamente ad altre due persone, posto in essere una condotta consistita «nel palpeggiamento di zone certamente erogene». Né sussisterebbero gli elementi per riconoscere l’attenuante di cui al comma quarto del citato articolo, dovendosi escludere che l’imputato abbia contribuito con un apporto marginale o lievissimo, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità per integrare la circostanza suddetta.

Sussisterebbero, invece, i presupposti per l’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 609-bis, comma terzo, cod. pen., trattandosi di ipotesi in cui – in linea con quanto richiesto dalla giurisprudenza formatasi in materia – vi sarebbe stata una minima compressione della libertà sessuale della vittima, come evincibile dalle modalità esecutive e dalle circostanze dell’azione, secondo una valutazione globale della vicenda, comprensiva del grado di coartazione esercitato sulla persona offesa, delle condizioni fisiche e psichiche della stessa, delle caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età, dell’entità della lesione alla libertà sessuale e del danno arrecato, anche sotto il profilo psichico. Viene, a tal fine, rilevato che la persona offesa non è stata costretta, con violenza o minaccia, a entrare nell’edificio abbandonato, ma lo ha fatto a seguito di alcuni ammiccamenti ricevuti da uno dei tre autori delle condotte in contestazione; le minacce che gli sono state rivolte all’interno non riguardano in alcun modo la violenza sessuale subita bensì la sottrazione del suo telefono cellulare (circostanza che ha fondato la contestazione del diverso reato di rapina aggravata); egli non è stato denudato e i palpeggiamenti sono avvenuti sopra i vestiti, per un tempo limitatissimo. È quindi uscito dall’edificio ed è stato in grado di chiedere immediatamente aiuto ad alcuni passanti; ha richiesto l’intervento delle forze dell’ordine ed è rientrato nell’edificio unitamente agli operanti indicando due dei tre autori del fatto, ancora presenti sul posto; non ha avuto necessità di cure mediche e non risulta, dagli atti acquisiti al fascicolo, che abbia avuto in seguito la necessità di supporto psicologico.

E, però, pur potendo, dunque, ritenersi che il fatto di violenza sessuale di gruppo appena descritto sia “di minore gravità” – prosegue il GUP –, non trova applicazione l’attenuante prevista dall’art. 609-bis, comma terzo, cod. pen.

A impedire un’interpretazione estensiva di tale disposizione all’ipotesi in esame osterebbe il dato letterale e l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale. Secondo quest’ultima, infatti, depone in tale senso, soprattutto, la considerazione che l’art. 609-octies cod. pen. non richiama in alcun modo il comma terzo dell’art. 609-bis cod. pen., mentre, ove il legislatore ha inteso estendere l’attenuante de qua a ipotesi differenti rispetto all’ipotesi base, lo ha espressamente previsto (come nel caso dell’art. 609-quater cod. pen.).

Constatata, in questi termini, l’impossibilità di giungere a un’interpretazione costituzionalmente orientata, il giudice rimettente ribadisce la rilevanza delle questioni in esame, escludendo possa incidere in senso contrario la circostanza che nel medesimo giudizio si proceda anche per il reato di rapina aggravata. E ciò in quanto, nel caso di specie, ben potrebbe essere riconosciuta in via di equivalenza la diminuente della minore età prevista ex art. 98 cod. pen., e, potendosi egualmente riconoscere la continuazione tra i reati ascritti, alla luce dei criteri indicati dalla Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 28 febbraio-13 giugno 2013, n. 25939, il reato più grave andrebbe certamente individuato in quello di violenza sessuale di gruppo non aggravata (la cui pena edittale, alla luce del bilanciamento delle circostanze, va da otto a quattordici anni di reclusione, superiore a quella prevista per la rapina non aggravata, atteso il bilanciamento delle circostanze, da cinque a dieci anni di reclusione oltre alla multa).

1.3.− Ciò premesso in punto di rilevanza, il giudice rimettente imposta le questioni di legittimità costituzionale prendendo le mosse dai precedenti arresti di questa Corte che, con due pronunce, l’ordinanza n. 170 del 2006 e la sentenza n. 325 del 2005, ha respinto i dubbi di legittimità costituzionale sollevati sul trattamento sanzionatorio della violenza sessuale di gruppo.

A fronte di questo scrutinio, il GUP del Tribunale per i minorenni di Milano espone gli elementi di novità che giustificano una nuova sottoposizione a questa Corte della questione, richiamando, in particolare, l’inasprimento della cornice edittale del reato in esame operata dalla legge 19 luglio 2019, n. 69 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere).

Il rimettente ricorda che gli aumenti operati da quest’ultima novella sul trattamento sanzionatorio sono diversamente calibrati per la violenza sessuale di cui all’art. 609-bis cod. pen. e per la violenza sessuale di gruppo di cui all’art. 609-octies cod. pen. I limiti edittali del primo reato sono passati rispettivamente da cinque e dieci anni a sei e dodici anni di reclusione, con un aumento pari al 20 per cento, tanto per il minimo quanto per il massimo; i limiti edittali del secondo reato sono passati rispettivamente da sei e dodici anni a otto e quattordici anni di reclusione, con un aumento pari al 17 per cento per il massimo e al 33 per cento per il minimo.

A fronte di tale inasprimento non è stato previsto un meccanismo di attenuazione per i casi di minore gravità; nel che si ravvisa la contrarietà ai principi di cui agli artt. 3 e 27 Cost.

Tanto premesso, il Tribunale milanese opera un sintetico sguardo d’insieme delle ipotesi in cui tale attenuante è normativamente prevista. Vengono, quindi, ricordati i già menzionati reati di violenza sessuale (art. 609-bis, comma terzo, cod. pen.) e di atti sessuali compiuti con minorenni (art. 609-quater, comma sesto, cod. pen.); nonché altri delitti – che lo stesso rimettente esclude poter fungere da tertia comparationis – quali il sequestro a scopo di coazione (art. 289-ter, comma terzo, cod. pen.); i delitti contro la personalità dello Stato (art. 311 cod. pen.); buona parte dei delitti contro la pubblica amministrazione (quelli indicati dall’art. 323-bis cod. pen.); i delitti contro il patrimonio culturale (art. 518-septiesdecies cod. pen.); i reati in materia di stupefacenti (art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, recante «Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza»); oltre che, a seguito degli interventi di questa Corte, i reati di estorsione (sentenza n. 120 del 2023) e di sequestro di persona a scopo di estorsione (sentenza n. 68 del 2012). Viene peraltro precisato che la medesima ratio ha ispirato, tra le varie, anche le sentenze di questa Corte n. 40 del 2019 (che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990, nella parte in cui prevede la pena minima edittale di otto anni di reclusione anziché di sei anni) e n. 141 del 2023 (che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 62, numero 4, cod. pen., sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.).

Da questa panoramica il giudice a quo ricava «l’immagine di un sistema che […] risulta coerente e ragionevole, perché prevede a monte (o, in altre parole, a valle consente al giudice di utilizzare) meccanismi che, in buona sostanza, consentono di adeguare la pena alle caratteristiche concrete del fatto, tenuto anche conto che molti dei reati sopra richiamati, e che prevedono tutti una attenuante, sono puniti con pene edittali di notevole rilevanza».

Alla luce di tali argomentazioni, reputa «ingiustificata, irragionevole e, in definitiva, violativa dell’art. 3 Cost.» «l’impossibilità per il giudice di temperare la (grave) pena edittale prevista dall’art. 609-octies cod. pen. con una attenuante specifica per i fatti di minore gravità».

Ciò affermato, il GUP svolge ulteriori argomentazioni.

Partendo dalla considerazione che non tutti i reati richiamati possono fungere da tertia comparationis, ne individua due (i reati di cui agli artt. 609-bis e 609-quater cod. pen.), sottolineando che sono «fattispecie in parte sovrapponibili nella loro oggettività giuridica (avendo, come minimo comune denominatore, proprio il compimento di atti sessuali), che tutelano lo stesso bene giuridico, inserite nei medesimi titolo, capo e sezione del codice, caratterizzate da un parallelismo evolutivo dei rispettivi trattamenti sanzionatori».

A ciò aggiungendo che la differenza di trattamento, derivante dalla mancata previsione dell’attenuante per i casi di minore gravità, non può ritenersi giustificata dalla «diversità oggettiva delle due fattispecie (da una parte una violenza sessuale commessa da un singolo; dall’altra una violenza sessuale commessa da più persone)», essendo, questa, già valorizzata dal legislatore tramite la previsione di due cornici edittali completamente differenti (da sei a dodici anni di reclusione nel caso di cui all’art. 609-bis cod. pen.; da otto a quattordici anni di reclusione nel caso di cui all’art. 609-octies cod. pen.).

Il giudice a quo sottolinea come lo scarto sussistente tra il trattamento sanzionatorio per le ipotesi di minore gravità dei due reati ex artt. 609-bis e 609-octies cod. pen. sia significativamente e irragionevolmente più ampio di quello tra le ipotesi di non minore gravità dei medesimi reati. Tra i fatti di non minore gravità la differenza del trattamento sanzionatorio dei due reati è pari a due anni, mentre tra i fatti di minore gravità è pari a sei anni di reclusione; differenza, quest’ultima, pari, quindi, al 300 per cento rispetto alla differenza tra i fatti di non minore gravità.

Questa sproporzione «tra fattispecie non già eguali o sovrapponibili, ma analoghe e […] idonee per effettuare una comparazione rilevante ex art. 3 Cost.» dovrebbe, dunque, a parere del Collegio rimettente, condurre alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 609-octies cod. pen. «nella parte ove non prevede che nei casi di minore gravità la pena sia diminuita in misura non eccedente i due terzi».

La mancata proporzione della pena ne determinerebbe, altresì, la contrarietà alla sua finalità rieducativa di cui all’art. 27 Cost., che verrebbe fatalmente ostacolata dall’inflizione di una sanzione sproporzionata e, per ciò solo, percepita come ingiusta dal condannato. Tanto più tale considerazione assume rilievo nell’ambito di un giudizio minorile, tenuto conto che il principio costituzionale espresso dall’art. 31, secondo comma, Cost. richiede l’adozione di un sistema di giustizia minorile caratterizzato dalla prevalente esigenza rieducativa.

2.− Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio e in esso non si è costituito l’imputato.

Considerato in diritto

1.− Con ordinanza iscritta al n. 49 del registro ordinanze 2025, il GUP del Tribunale per i minorenni di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 609-octies cod. pen. – che punisce la violenza sessuale di gruppo – nella parte in cui non prevede che, nei casi di minore gravità, la pena possa essere diminuita in misura non eccedente i due terzi.

1.1.− Il rimettente, dopo avere sommariamente descritto i fatti di causa, precisa che le modalità e le circostanze della condotta e la modesta entità degli atti di violenza sessuale posti in essere in danno della persona offesa (le minacce non hanno riguardato la sfera sessuale bensì la sottrazione del telefono cellulare e la violenza è consistita, in particolare, nel palpeggiamento delle parti intime, al di sopra dei vestiti, per un ridottissimo lasso di tempo) renderebbero configurabile, ove fosse applicabile anche alla violenza sessuale di gruppo, l’attenuante dei casi di minore gravità.

Sulla base di tale premessa, il giudice a quo si duole dell’irragionevolezza e del difetto di proporzionalità del trattamento sanzionatorio sancito dall’art. 609-octies cod. pen. che, in assenza di un meccanismo di attenuazione per i casi di minore gravità, nella sua eccesiva severità, anche in considerazione della significativa asprezza del minimo edittale (pari a otto anni di reclusione) e della latitudine normativa della disposizione, gli precluderebbe di graduare il trattamento punitivo, come invece consentito in una serie di altre fattispecie criminose, tra cui il reato di violenza sessuale ex art. 609-bis cod. pen. e il reato di atti sessuali compiuti con minorenne ex art. 609-quater cod. pen., che prevedono la specifica diminuente, in misura non eccedente i due terzi, nei «casi di minore gravità»; con la conseguente violazione dell’art. 3 Cost., sotto il duplice profilo della irragionevolezza e della disparità di trattamento, nonché dell’art. 27 Cost., in quanto una pena sproporzionata, derivante dall’omissione censurata, rischia di venire percepita dal condannato come ingiusta e, quindi, ne svilisce la funzione rieducativa.

Per tali ragioni, il rimettente – attraverso la dichiarazione di illegittimità costituzionale in parte qua evocata − mira a estendere alla disposizione censurata la possibile attenuazione in misura non eccedente i due terzi per i casi di minore gravità, già prevista dall’art. 609-bis, terzo comma, cod. pen.

2.– Le questioni sono fondate.

3.– Giova, innanzitutto, dare, sia pur brevemente, conto dell’evoluzione della disposizione censurata nel complessivo contesto normativo e giurisprudenziale.

3.1.– L’originaria disciplina dei delitti contro la libertà sessuale, inseriti nel Capo I del Titolo IX (Dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume) del Libro secondo del codice penale, è stata interamente abrogata dalla legge 15 febbraio 1996, n. 66 (Norme contro la violenza sessuale), che ha al contempo inserito gli articoli da 609-bis a 609-decies nella sezione del codice dedicata ai delitti contro la libertà personale, all’interno del Titolo relativo ai delitti contro la persona.

Il legislatore, con tale riforma, ha disposto la concentrazione nell’unico delitto di violenza sessuale (art. 609-bis cod. pen.) delle fattispecie di violenza carnale e di atti di libidine violenti, rispettivamente previste negli artt. 519 e 521 del testo originario del codice penale, con la conseguenza che a tale nuovo delitto è riconducibile una gamma assai vasta di comportamenti, dal disvalore marcatamente diversificato, accomunati dall’idoneità a incidere comunque sulle facoltà della persona offesa di autodeterminarsi liberamente nella propria sfera sessuale.

È stato, inoltre, introdotto l’autonomo delitto di violenza sessuale di gruppo dall’art. 609-octies cod. pen., che punisce la «partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all’articolo 609-bis» cod. pen. con la reclusione da sei a dodici anni, pena successivamente elevata, con l’art. 13, comma 5, lettera a), della legge n. 69 del 2019, dagli otto ai quattordici anni.

In passato, l’agire da parte di più persone riunite veniva colpito in base alle comuni norme sul concorso di persone nel reato (artt. 110 cod. pen. e seguenti), naturalmente in relazione agli originari artt. 519, 520, 521 cod. pen. (poi, come detto, abrogati dalla stessa legge n. 66 del 1996), eventualmente anche tramite l’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 61, numero 5), del medesimo codice, ravvisandosi nella condotta di più persone contro una vittima un caso di minorata difesa. Con la predetta legge del 1996, dunque, viene elevata a titolo autonomo di reato un’ipotesi, pur qualificata, di concorso di persone nel reato, senza un ampliamento della sfera del penalmente rilevante, ma con la previsione di una più severa forbice edittale rispetto al reato di cui all’art. 609-bis cod. pen.

Al riguardo, la Corte di cassazione ha precisato che l’elemento che caratterizza la violenza sessuale di gruppo è la partecipazione di più persone riunite alla commissione degli atti di violenza sessuale. Nel perimetrare la figura del compartecipe si è chiarito che «[n]on è tuttavia richiesto che tutti i componenti del gruppo compiano atti di violenza sessuale, essendo sufficiente che dal compartecipe sia comunque fornito un contributo causale, materiale o morale, alla commissione del reato, né è necessario che i componenti del gruppo assistano al compimento degli atti di violenza sessuale, essendo sufficiente la loro presenza nel luogo e nel momento in cui detti atti vengono compiuti, anche da uno solo dei compartecipi, atteso che la determinazione di quest’ultimo viene rafforzata dalla consapevolezza della presenza del gruppo» (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 21 luglio-21 ottobre 2020, n. 29096; conformi, sezione terza penale, 29 ottobre-6 dicembre 2019, n. 49723; sezione seconda penale, sentenza 7 dicembre 2018-21 gennaio 2019, n. 2721).

Per quanto di interesse in questa sede, l’art. 609-octies cod. pen., al quarto comma, prevede che la pena sia diminuita per il partecipante la cui opera abbia avuto minima importanza nella preparazione o nella esecuzione del reato. La Corte di cassazione ha applicato tale attenuante in maniera rigorosa, riconoscendola nel solo caso in cui l’apporto del concorrente, tanto nella fase preparatoria che in quella esecutiva, sia stato di minima, lievissima e marginale efficacia eziologica e risulti, perciò, del tutto trascurabile nell’economia generale della condotta criminosa, non essendo sufficiente, a tal fine, la minore efficienza causale della condotta dell’agente rispetto a quelle degli altri concorrenti (tra le ultime, Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 24 gennaio-14 marzo 2024, n. 10649).

Secondo la giurisprudenza di legittimità non trova invece applicazione l’attenuante dei «casi di minore gravità», contemplata dal terzo comma dell’art. 609-bis cod. pen., sia perché non richiamata dalla norma incriminatrice, sia perché, quando il legislatore ha voluto estenderla a fattispecie diverse dall’ipotesi base della violenza sessuale, lo ha espressamente previsto (per esempio, al sesto comma dell’art. 609-quater cod. pen., che disciplina il delitto di atti sessuali con minorenne).

Trattasi di una circostanza attenuante − come ricordato nella sentenza n. 325 del 2005 di questa Corte – introdotta dal legislatore in conseguenza della scelta di introdurre una più comprensiva ed estesa tutela contro qualsiasi comportamento che costituisca una ingerenza nella piena autodeterminazione della sfera sessuale, riconducendo, nell’unitaria nozione di atto sessuale, da un lato, la congiunzione carnale e, dall’altro, gli atti di libidine. Tale attenuante – nella logica del legislatore – risponde, dunque, proprio all’esigenza di garantire un temperamento degli effetti della concentrazione in un unico reato di comportamenti, tra loro assai differenziati, che, pur accomunati dalla loro incidenza sulla libertà di autodeterminazione della persona offesa nella propria sfera sessuale, ne determinano la compromissione con gradi di diversa intensità.

3.2.– Con la citata sentenza n. 325 del 2005 (seguita poi dalla ordinanza n. 170 del 2006, di manifesta infondatezza della medesima questione), questa Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, Cost., dell’art. 609-octies cod. pen., nella parte in cui, a differenza di quanto dispone l’art. 609-bis, terzo comma, dello stesso codice, non prevede l’applicabilità dell’attenuante dei «casi di minore gravità», ritenendo improponibile una diretta comparazione con le regole concernenti la violenza sessuale di cui all’art. 609-bis cod. pen. (evocata come tertium comparationis dal rimettente), attesa la peculiare e intrinseca gravità dell’offesa recata da più persone riunite.

4.– Questa Corte ritiene che il proprio precedente possa essere riconsiderato alla luce dell’evoluzione del quadro normativo e dei propri pertinenti indirizzi giurisprudenziali.

È bensì vero che «il tendenziale rispetto dei propri precedenti – unitamente alla coerenza dell’interpretazione con il testo delle norme interpretate e alla persuasività delle motivazioni – è condizione essenziale per l’autorevolezza delle decisioni di qualsiasi giurisdizione superiore; e che ciò vale anche, in speciale misura, per il giudice costituzionale (sentenza n. 203 del 2024, punto 4.5. del Considerato in diritto)» (sentenza n. 24 del 2025).

Tuttavia, resta ferma la possibilità per questa Corte di rimeditare i propri orientamenti «allorché sussistano “ragioni di particolare cogenza che rendano non più sostenibili le soluzioni precedentemente adottate: ad esempio, l’inconciliabilità dei precedenti con il successivo sviluppo della stessa giurisprudenza di questa Corte o di quella delle Corti europee; il mutato contesto sociale o ordinamentale nel quale si colloca la nuova decisione o – comunque – il sopravvenire di circostanze, di natura fattuale o normativa, non considerate in precedenza; la maturata consapevolezza sulle conseguenze indesiderabili prodotte dalla giurisprudenza pregressa” (sentenza n. 203 del 2024, punto 4.5. del Considerato in diritto)» (così, ancora, sentenza n. 24 del 2025).

5.– Come anticipato, la sentenza n. 325 del 2005 ha ritenuto non fondate analoghe questioni, sollevate in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, Cost., dell’art. 609-octies cod. pen., proprio nella parte in cui, a differenza di quanto dispone l’art. 609-bis, terzo comma, dello stesso codice, non prevede l’applicabilità dell’attenuante dei «casi di minore gravità».

In tale occasione, questa Corte ha rilevato che le proprie sentenze di accoglimento per superamento del limite della ragionevolezza sono state pronunciate in situazioni in cui l’arbitrarietà delle scelte legislative derivava dal «diretto confronto tra fattispecie di reato sostanzialmente identiche, ma sottoposte a diverso trattamento sanzionatorio (sentenze n. 102 del 1985, n. 341 del 1994 e n. 287 del 2001), ovvero in casi in cui era prevista la medesima pena sia per il delitto consumato (omicidio), sia per il tentativo del medesimo delitto». Rispetto a tale perimetro, nel cui ambito veniva ammesso il sindacato dell’esercizio del potere discrezionale del legislatore in tema di corrispondenza tra entità della pena e gravità del reato, venivano ritenute estranee le questioni di legittimità costituzionale in esame, in considerazione della «sostanziale diversità [della violenza di gruppo] rispetto agli atti di violenza sessuale monosoggettiva, tale da rendere non proponibile una diretta comparazione, rilevante ai fini dell’art. 3 Cost., tra il trattamento sanzionatorio riservato ai due reati».

E, dunque, è da tale incomparabilità che veniva fatta discendere l’esclusione del contrasto con gli evocati parametri costituzionali, in quanto la scelta del legislatore non poteva ritenersi palesemente irragionevole, arbitraria o ingiustificata.

Rispetto a tale pronuncia, l’attuale giudice rimettente, pur argomentando anche sul confronto con le ipotesi delittuose di cui agli artt. 609-bis e 609-quater cod. pen., emancipa le questioni sollevate dal raffronto con uno specifico tertium comparationis, concentrando le proprie doglianze principalmente sulla irragionevolezza intrinseca della sanzione, in quanto assume a raffronto un sistema che, nel suo complesso «risulta coerente e ragionevole, perché prevede a monte (o, in altre parole, a valle consente al giudice di utilizzare) meccanismi che, in buona sostanza, consentono di adeguare la pena alle caratteristiche concrete del fatto», soprattutto per i reati puniti con pene edittali di notevole severità.

6.– Al di là di tale preliminare considerazione più strettamente legata alla diversa prospettazione dell’odierno rimettente rispetto alle questioni esaminate dalla sentenza n. 325 del 2005, va verificato se, alla luce della successiva evoluzione del contesto normativo e giurisprudenziale, sussistano ragioni tali da indurre questa Corte a rimeditare le conclusioni cui era pervenuta la suddetta decisione.

6.1.− Sul piano più propriamente normativo, si sono realizzati diversi mutamenti.

Il primo riguarda l’intervenuto aumento del minimo edittale dell’art. 609-octies cod. pen.

Come sopra ricordato, con la legge n. 69 del 2019 esso è stato elevato da sei a otto anni di reclusione.

La particolare asprezza del minimo edittale ancor meglio emerge alla luce dell’evoluzione normativa del trattamento sanzionatorio delle fattispecie di violenza sessuale di cui agli artt. 609-bis e 609-octies cod. pen. Con la citata legge del 2019 la cornice edittale di quest’ultima diposizione mutava, passando da una forbice pari a sei-dodici anni di reclusione a una forbice pari a otto-quattordici anni, con un incremento, quindi, del minimo e del massimo edittale percentualmente differente. Circostanza particolarmente significativa considerando che l’aumento previsto, con la stessa legge n. 69 del 2019, per il reato previsto dall’art. 609-bis cod. pen. andava, invece, di pari passo per il minimo e il massimo edittale.

Sempre nel raffronto fra i due reati di violenza sessuale di cui agli artt. 609-bis e 609-octies cod. pen., particolarmente indicativo è che, nell’ipotesi in cui si applichi il minimo edittale, il trattamento sanzionatorio è pari, rispettivamente, a sei e otto anni di reclusione, con una differenza, quindi, tra i due reati, di due anni. Di contro, per i fatti di minore gravità, per i quali il giudice può applicare la diminuente fino a due terzi per la sola ipotesi di cui all’art. 609-bis cod. pen., la differenza può salire fino a ben sei anni.

Il secondo, ancor più decisivo, fattore di mutamento successivo alla sentenza n. 325 del 2005 – risalente a venti anni fa – è la progressiva maggiore attenzione mostrata dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di margini di sindacabilità della dosimetria penale e di ragionevolezza e proporzionalità della sanzione.

La giurisprudenza costituzionale, gradatamente affrancando il sindacato di conformità al principio di proporzione della pena edittale dalle strettoie segnate dalla necessità di individuare un preciso tertium comparationis, ha progressivamente privilegiato «un modello di sindacato sulla proporzionalità “intrinseca” della pena, che – ferma restando l’ampia discrezionalità di cui il legislatore gode nella determinazione delle cornici edittali […] ‒ valuta direttamente se la pena comminata debba considerarsi manifestamente eccessiva rispetto al fatto sanzionato, ricercando poi nel sistema punti di riferimento già esistenti per ricostruire in via interinale un nuovo quadro sanzionatorio in luogo di quello colpito dalla declaratoria di incostituzionalità, nelle more di un sempre possibile intervento legislativo volto a rideterminare la misura della pena, nel rispetto dei principi costituzionali» (sentenza n. 284 del 2019). Principio ribadito, più di recente, dalle sentenze n. 91 del 2024 e n. 136 del 2020.

La crescente considerazione della necessaria e intrinseca ragionevolezza e proporzionalità della pena ha condotto alla necessità di prevedere delle cosiddette valvole di sicurezza idonee a garantire la possibilità di adeguare la sanzione alle caratteristiche concrete del fatto. E ciò, in presenza soprattutto di due condizioni: un minimo edittale significativamente elevato e una latitudine normativa tale da includere nella medesima fattispecie di reato condotte dal disvalore marcatamente dissimile (come per le sentenze n. 91 del 2024, n. 120 del 2023, n. 244 del 2022 e n. 68 del 2012, relative, rispettivamente, ai reati di produzione di materiale pornografico mediante l’utilizzazione di minori di anni diciotto, estorsione, sabotaggio militare e sequestro di persona a scopo di estorsione).

D’altronde, al di là di tale mutamento, il complessivo panorama normativo offre una serie di ipotesi in cui il legislatore prevede un’attenuante per i casi di minore gravità. Basti pensare, alle ipotesi di sequestro a scopo di coazione ex art. 289-ter, terzo comma, cod. pen., ma anche ai delitti contro la personalità dello Stato (art. 311 cod. pen.) e a gran parte dei delitti contro la pubblica amministrazione (quelli indicati dall’art. 323-bis cod. pen.); ma soprattutto, per la particolare similarità con la fattispecie in questione, ai reati di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis cod. pen. e al reato di atti sessuali compiuti con minorenni.

7.– Tanto premesso – e fermo restando che le valutazioni discrezionali di dosimetria della pena spettano al legislatore, con il solo limite delle scelte sanzionatorie che si rivelino arbitrarie o manifestamente irragionevoli (ex multis, tra le ultime, sentenze n. 91 e n. 46 del 2024, n. 120 del 2023, n. 260 e n. 95 del 2022, n. 62 del 2021) –, si è già detto, in via generale, che, nello scrutinio di legittimità costituzionale sulla ragionevolezza intrinseca e la proporzionalità della pena la giurisprudenza costituzionale valorizza due fattori: la latitudine normativa della disposizione censurata e l’eccessiva asprezza del minimo edittale.

Quanto al primo profilo, la necessità di prevedere delle diminuenti per poter individualizzare la sanzione rispetto allo specifico disvalore della singola condotta e assicurare il rispetto dei princìpi fissati dagli artt. 3 e 27 Cost. si impone, in particolar modo, quando la formulazione della disposizione censurata sia di ampiezza tale da ricomprendere fattispecie significativamente diversificate sul piano criminologico e del tasso di disvalore (ex multis, sentenze n. 83 del 2025; n. 91 del 2024; 120 del 2023, n. 244 del 2022, n. 117 del 2021, n. 88 del 2019, n. 106 del 2014 e n. 68 del 2012).

Quanto al secondo profilo, viene in rilievo il minimo edittale particolarmente elevato, tale da precludere al giudice di graduare la sanzione per adattarla al caso concreto e allo specifico disvalore della condotta incriminata (ex multis, sentenze n. 91 e n. 46 del 2024, n. 120 del 2023, n. 244 e n. 63 del 2022, n. 143 del 2021 e n. 68 del 2012).

8.– Alla luce di tali coordinate giurisprudenziali, le questioni di legittimità costituzionale – come si è detto – si rivelano fondate.

Per il reato ex art. 609-octies cod. pen. ricorrono, infatti, entrambi i profili: estesa latitudine normativa e minimo edittale particolarmente elevato.

8.1.− Secondo quanto sopra ricordato, la disposizione in esame («partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all’articolo 609-bis»), stante l’ampiezza della nozione di atto di violenza sessuale (comprensiva della violenza carnale e degli atti di libidine violenti, originariamente previsti dagli abrogati artt. 519 e 521 cod. pen.), si caratterizza per una notevole latitudine descrittiva atta a coinvolgere una vasta gamma di condotte dal diversificato disvalore, idonee cioè a compromettere il bene giuridico tutelato in maniera profondamente differente, come, del resto, dimostrato dalla fattispecie in esame nel giudizio a quo.

8.2.− È pur vero che, come affermato nella citata sentenza n. 325 del 2005, il reato in esame, proprio a causa della presenza di più persone riunite, cagiona una lesione particolarmente grave e traumatica della sfera di autodeterminazione della libertà sessuale della vittima, in tal modo «differenzian[dosi] anche sul terreno qualitativo» rispetto agli atti di violenza sessuale posti in essere da una sola persona.

Ma tale peculiare disvalore è già alla base della previsione di un’autonoma fattispecie di reato (anziché costituire un’aggravante del reato base di violenza sessuale) e, soprattutto, della significativa maggiore severità del relativo trattamento sanzionatorio rispetto alla fattispecie di cui all’art. 609-bis cod. pen.

8.3.− D’altronde, anche per la fattispecie necessariamente plurisoggettiva, per quanto appena sopra osservato, si pone la medesima esigenza cui è ispirata l’introduzione dell’attenuante per i casi di minore gravità prevista per la fattispecie di cui all’art. 609-bis cod. pen, ovverosia garantire un temperamento degli effetti della concentrazione in un unico reato di condotte idonee a ledere la libertà sessuale della persona offesa in maniera marcatamente diversificata.

Né può assumere alcuna rilevanza, in tale ottica, l’attenuante prevista dal quarto comma dello stesso art. 609-octies cod. pen. per il partecipe la cui opera abbia avuto minima importanza nella preparazione o nell’esecuzione del reato. E ciò in quanto essa riguarda il contributo apportato dal singolo partecipe e non consente in alcun modo di calibrare la sanzione alla gravità della fattispecie concreta posta in essere da tutti i compartecipi, in considerazione delle modalità esecutive del reato e della compromissione del bene giuridico tutelato.

8.4.− E, dunque, la mancata previsione di una valvola di sicurezza che consenta al giudice di modulare la pena, onde adeguarla alla concreta gravità della singola condotta, può determinare l’irrogazione di una sanzione non proporzionata, in quanto la formulazione normativa del censurato art. 609-octies cod. pen., nella sua ampiezza, è idonea a includere, nel proprio ambito applicativo, condotte marcatamente dissimili, sul piano criminologico e del tasso di disvalore, alcune delle quali anche difficilmente riconducibili alla logica sottesa alla severa cornice sanzionatoria in materia di violenza sessuale di gruppo.

Tali valutazioni assumono ancor maggior peso in considerazione della previsione di una cornice edittale del reato caratterizzata da un minimo di significativa asprezza, pari a otto anni di reclusione.

9.− Quanto sin qui esposto conduce in definitiva a ritenere sussistente la violazione del principio di proporzionalità della pena nonché del principio di ragionevolezza intrinseca desumibili dagli artt. 3 e 27 Cost.

10.− La diminuente può essere individuata, sulla scorta, peraltro, di quanto indicato dal rimettente, in quella applicabile alla figura di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis cod. pen.

Siffatta soluzione sanzionatoria, già esistente nell’ordinamento e anzi in qualche modo simmetrica rispetto alla fattispecie in esame, costituisce una soluzione idonea a porre rimedio al vulnus riscontrato. Ciò ovviamente non esclude − secondo i princìpi − una generale riconsiderazione da parte del legislatore della tematica in esame, sotto il profilo sistematico delle fattispecie criminose, delle norme incriminatrici e dei trattamenti sanzionatori; riconsiderazione sistematica che dovrà naturalmente tener conto dei canoni costituzionali di proporzionalità e di individualizzazione della pena.

Va, infine, sottolineato che l’applicazione in concreto di tale diminuente può trovare ragionevole giustificazione limitatamente alle ipotesi di disvalore significativamente inferiore a quello normalmente associato alla realizzazione di un fatto conforme alla figura astratta del reato, trattandosi di condotta che incide comunque sulla libertà di autodeterminazione nella propria sfera sessuale della persona offesa, la quale subisce un’aggressione, sia qualitativamente che quantitativamente, più intensa rispetto al caso di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis cod. pen.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 609-octies del codice penale, nella parte in cui non prevede che nei casi di minore gravità la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente i due terzi.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 ottobre 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore

Igor DI BERNARDINI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 29 dicembre 2025

Il Cancelliere

F.to: Igor DI BERNARDINI


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