Ordinanza 195/2025 (ECLI:IT:COST:2025:195)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMOROSO - Redattore:  CASSINELLI
Camera di Consiglio del 01/12/2025;    Decisione  del 02/12/2025
Deposito del 22/12/2025;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  Art. 5, c. 8° bis, del decreto legislativo 25/07/1998, n. 286.
Massime: 
Atti decisi: ord. 44/2025

Pronuncia

ORDINANZA N. 195

ANNO 2025

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 8-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Santa Maria Capua Vetere, nel procedimento penale a carico di M. C., con ordinanza del 20 gennaio 2025, iscritta al n. 44 del registro ordinanze 2025 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2025.

udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2025 il Giudice relatore Roberto Nicola Cassinelli;

deliberato nella camera di consiglio del 2 dicembre 2025.


Ritenuto che, con ordinanza del 20 gennaio 2025, iscritta al n. 44 del registro ordinanze 2025, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Santa Maria Capua Vetere ha sollevato, con riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 8-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui prevede il medesimo trattamento sanzionatorio sia per il delitto di contraffazione o alterazione degli atti e dei documenti ivi indicati, sia per il delitto di utilizzo dei documenti stessi, finalizzati a ottenere il permesso di soggiorno, anziché trattamenti sanzionatori differenziati, in particolare non prevedendo che la pena per il delitto di utilizzo di atti e documenti contraffatti sia ridotta di un terzo, analogamente da quanto disposto dall’art. 489 del codice penale;

che il rimettente riferisce di essere chiamato a statuire, con il rito abbreviato, sulla responsabilità penale di M. C., imputato del delitto previsto dalla disposizione censurata per aver utilizzato, inviandolo all’Ufficio immigrazione, un atto di denuncia di rapporto di lavoro domestico apparentemente rilasciato dall’Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS), sede di Caserta, in data 22 ottobre 2018, e copia della carta di identità apparentemente rilasciata dal Comune di Casal di Principe, intestata a C. P., e ciò al fine di ottenere il permesso di soggiorno;

che, facendo propria l’eccezione sollevata dalla difesa dell’imputato, il rimettente prospetta il dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 8-bis, t.u. immigrazione sul rilievo che la disposizione si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., in quanto equipara quoad poenam plurime e autonome fattispecie, differenti quanto a gravità, condotta e grado di lesione al bene interesse tutelato;

che, in particolare, si rivelerebbe irragionevole la scelta del legislatore di sanzionare con la pena della reclusione da uno a sei anni sia la fattispecie di falsificazione di un titolo abilitativo al soggiorno nel territorio dello Stato, sia quella di falsificazione di documenti utili al rilascio del permesso di soggiorno, sia, infine, quella dell’utilizzo di atti già falsificati, finalizzata al medesimo scopo;

che le fattispecie di contraffazione/alterazione, a parere del rimettente, implicherebbero di regola un’organizzazione sia pure rudimentale di mezzi e risorse, risultando comunque espressive di maggiore capacità criminale rispetto al solo uso di atti falsificati da altri;

che, pertanto, la previsione del medesimo trattamento sanzionatorio si porrebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza, in funzione della proporzionalità della pena alla gravità del fatto, e quindi della finalità rieducativa della pena;

che un ulteriore, e perfino più evidente, profilo di contrasto con i parametri evocati deriverebbe dal raffronto tra la sanzione prevista nella disposizione censurata per le diverse condotte ivi configurate e la disciplina codicistica dei reati di falso documentale, che è caratterizzata, invece, da una marcata differenziazione del trattamento sanzionatorio delle condotte di falsificazione rispetto a quella di utilizzo di atti falsi;

che, infatti, l’art. 482 cod. pen. sanziona la falsificazione materiale di un atto pubblico o di un certificato o di un’autorizzazione amministrativa, ove commessa da soggetto privato, con le pene previste dagli artt. 476 e 477 cod. pen. (rispettivamente reclusione da uno a sei anni, e da sei mesi a tre anni) ridotte di un terzo, e l’art. 489 cod. pen. punisce l’uso di un atto falso – a condizione che non via sia stato concorso nella falsificazione – con le medesime pene ulteriormente ridotte di un terzo;

che, quanto alla rilevanza delle questioni, il rimettente ribadisce che nel giudizio principale è in contestazione l’uso di falsa documentazione attestante un rapporto di lavoro domestico, finalizzato a ottenere il permesso di soggiorno, e quindi evidenzia le ricadute dell’auspicato allineamento della disciplina prevista dalla norma censurata a quella codicistica richiamata in comparazione, evidenziando che, ove fosse accertata la responsabilità penale dell’imputato per l’uso dell’atto falso, questi potrebbe giovarsi della riduzione della pena, secondo il modello delineato dall’art. 489 cod. pen.;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che le questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, manifestamente infondate;

che, secondo la difesa statale, le questioni sarebbero prive di rilevanza in quanto ipotetiche;

che, infatti, dall’ordinanza di rimessione non emergerebbe se la condotta contestata all’imputato sia circoscritta all’uso della falsa documentazione e, nel silenzio del rimettente, si dovrebbe concludere che i documenti utilizzati, o quanto meno uno di essi – la denuncia di rapporto di lavoro domestico inesistente –, siano stati contraffatti dall’imputato medesimo;

che, pertanto, l’auspicato intervento di questa Corte potrebbe risultare privo di ricadute ai fini della decisione che spetta al rimettente;

che, comunque, nel merito le questioni sarebbero manifestamente infondate essendo intervenuta, successivamente all’ordinanza di rimessione, la sentenza di questa Corte n. 27 del 2025, che ha dichiarato non fondate questioni analoghe, aventi ad oggetto l’art. 5, comma 8-bis, t.u. immigrazione, riferite agli stessi parametri oggi evocati;

che la citata pronuncia ha escluso, per un verso, che le fattispecie comprese nella disposizione censurata siano connotate, già in astratto, da disvalore tanto differente da rendere necessaria la previsione di diverse cornici edittali, e, per altro verso, ha affermato che la peculiare natura dei documenti indicati nel censurato art. 5, comma 8-bis, t.u. immigrazione, renda non utilmente evocabile l’art. 489 cod. pen. a tertium comparationis.

Considerato che il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 8-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost.;

che la disposizione censurata, nel testo applicabile al giudizio a quo, prevede l’identico trattamento sanzionatorio della reclusione da uno a sei anni per «[c]hiunque contraffà o altera un visto di ingresso o reingresso, un permesso di soggiorno, un contratto di soggiorno o una carta di soggiorno, ovvero contraffà o altera documenti al fine di determinare il rilascio di un visto di ingresso o di reingresso, di un permesso di soggiorno, di un contratto di soggiorno o di una carta di soggiorno oppure utilizza uno di tali documenti contraffatti o alterati»;

che il rimettente reputa irragionevole l’equiparazione quoad poenam delle indicate fattispecie, a suo dire caratterizzate da differente disvalore, e, in particolare, assume che la mancata previsione di una diminuzione di pena per la fattispecie di mero uso di un documento contraffatto o alterato, da parte di chi non abbia concorso alla contraffazione o all’alterazione, determini una irragionevole disparità di trattamento rispetto alla disciplina sanzionatoria dei reati comuni di falso contenuta nel codice penale, nella quale il mero uso del documento contraffatto o alterato, ai sensi dell’art. 489 cod. pen., è punito con la riduzione di un terzo della pena rispetto ai delitti di falsità materiale ivi configurati;

che, prima di esaminare le questioni indicate, occorre verificare se le modifiche intervenute sul testo della disposizione censurata rispetto alla formulazione in vigore al momento del fatto contestato all’imputato impongano la restituzione degli atti al giudice a quo;

che tali modifiche, introdotte dall’art. 16, comma 1, lettera b), numero 2), della legge 23 dicembre 2021, n. 238 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea - Legge europea 2019-2020) e dall’art. 18, comma 1, lettera b), del decreto-legge 13 giugno 2023, n. 69 (Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi derivanti da atti dell’Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano), convertito, con modificazioni, nella legge 10 agosto 2023, n. 103, hanno aggiunto nuove tipologie di documenti all’elenco contenuto nella disposizione in vigore al momento del fatto addebitato all’imputato, risalente al mese di ottobre 2019;

che, trattandosi di modifiche estensive della punibilità, che neppure hanno inciso sul trattamento sanzionatorio previsto dalla disposizione censurata, se ne deve escludere qualsiasi ricaduta sul giudizio principale, con la conseguenza che non è necessaria la restituzione degli atti;

che, ancora in via preliminare, occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità delle questioni formulata dall’Avvocatura dello Stato, che assume il carattere ipotetico delle stesse, e dunque il difetto di rilevanza;

che l’eccezione non è fondata;

che dall’ordinanza di rimessione risulta che all’imputato è contestato l’utilizzo di documenti falsi e, in riferimento a tale ipotesi delittuosa, il rimettente struttura le censure concernenti il trattamento sanzionatorio, asseritamente troppo severo nel raffronto sia con le altre fattispecie configurate nella medesima disposizione censurata, sia con la sanzione prevista dall’art. 489 cod. pen. per l’uso dell’atto falso;

che, diversamente da quanto eccepito dall’Avvocatura dello Stato, il rimettente non era tenuto a motivare sulla qualificazione della fattispecie concreta in termini di mero utilizzo di documenti falsi, così anticipando il giudizio sull’an della responsabilità penale dell’imputato (ex plurimis, sentenza n. 27 del 2025);

che, pertanto, l’applicazione della disposizione censurata non risulta solo eventuale e successiva e ciò esclude il carattere ipotetico delle questioni (ex plurimis, ordinanze n. 210 del 2020, n. 259 del 2016 e n. 161 del 2015);

che, nel merito, questa Corte ha già deciso questioni analoghe a quelle ora in esame, con la sentenza n. 27 del 2025, depositata il 7 marzo 2025, e quindi sopravvenuta all’ordinanza di rimessione in scrutinio;

che tale sentenza ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 8-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, sollevate dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Vicenza, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., nelle quali parimenti si censurava la disposizione in esame per la mancata previsione di una cornice edittale differenziata per le singole fattispecie astratte ivi previste e, in particolare, la mancata previsione di una pena ridotta di un terzo per la fattispecie meno grave, individuata in quella di mera utilizzazione del documento da altri contraffatto o alterato, sul modello della disciplina dei delitti di falsità documentale previsti dal codice penale;

che la citata sentenza n. 27 del 2025 ha negato che la disposizione oggi all’esame comprenda fattispecie che, già nella loro dimensione astratta, siano all’evidenza connotate da disvalore tanto differente, da rendere necessaria la previsione di diverse cornici edittali;

che, considerata la specifica tipologia di documenti cui la disposizione censurata si riferisce, questa Corte ha rilevato che l’utilizzazione del documento presuppone, nella generalità dei casi, un previo concorso, quanto meno morale, dell’utilizzatore nella falsificazione del documento stesso, che normalmente contiene i dati identificativi dello straniero e che soltanto lo stesso interessato è in grado di comunicare a chi compie la condotta materiale di falsificazione;

che, pertanto, è apparso non irragionevole che «il legislatore, muovendo da tale implicito presupposto, abbia ritenuto di sottoporre alla medesima cornice edittale tutte e tre le condotte descritte dalla disposizione censurata, consentendo così alla pubblica accusa di ottenere una condanna sulla base della prova, alternativamente, di una sola di esse» (punto 4.3. del Considerato in diritto);

che, inoltre, questa Corte ha ritenuto insussistente anche la violazione del principio di uguaglianza sotto il profilo della disparità di trattamento tra la disposizione censurata e i tertia comparationis evocati dal rimettente, e, in particolare, quello rappresentato dall’art. 489 cod. pen.;

che, a tale riguardo, la sentenza n. 27 del 2025 ha evidenziato che «[l]e ragioni che hanno indotto il legislatore del 1930 a prevedere una generale riduzione di pena per chi abbia semplicemente usato l’atto falso, senza essere concorso nella sua falsità, non paiono […] necessariamente sussistenti anche con riferimento agli speciali documenti cui si riferisce la disposizione censurata, rispetto ai quali, come si è appena osservato, non è agevole ipotizzare, già sul piano fattuale, una loro utilizzazione in assenza di un previo concorso nella loro falsificazione; e rispetto ai quali, comunque, è proprio il momento dell’utilizzazione a creare un immediato pericolo per l’interesse che il legislatore intende tutelare» (punto 4.4. del Considerato in diritto);

che, infine, è stata esclusa la fondatezza delle censure relative alla funzione rieducativa della pena, svolte peraltro in chiave ancillare rispetto a quelle sollevate in riferimento al principio di uguaglianza;

che l’ordinanza di rimessione in esame non apporta argomenti nuovi rispetto a quelli già esaminati nella citata sentenza n. 27 del 2025, o tali da indurre a una diversa conclusione;

che, pertanto, le questioni devono essere dichiarate manifestamente infondate (ex plurimis, ordinanze n. 50 del 2025, n. 97 e n. 78 del 2024, n. 214 del 2023).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 11, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 8-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Santa Maria Capua Vetere, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Roberto Nicola CASSINELLI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 22 dicembre 2025

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA


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