SENTENZA N. 193
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis, primo comma, del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, nel procedimento penale a carico di M.H. C., con ordinanza del 16 dicembre 2024, iscritta al n. 6 del registro ordinanze 2025 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2025.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 3 novembre 2025 il Giudice relatore Roberto Nicola Cassinelli;
deliberato nella camera di consiglio del 3 novembre 2025.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 16 dicembre 2024 (reg. ord. n. 6 del 2025), il Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, ha sollevato due questioni di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis del codice penale, la prima in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione e la seconda, formulata in via di subordine, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.
1.1.– Il Tribunale premette di dover giudicare sull’imputazione di furto in abitazione nei confronti di M.H. C., fermato dopo essersi impossessato di una scatola contenente anticaglie, del complessivo valore di euro 500,00, che il proprietario aveva momentaneamente depositato nell’androne dell’edificio condominiale ove risiedeva.
Su tale base, ritiene necessario un pronunciamento di questa Corte in ordine alla legittimità costituzionale della norma incriminatrice, laddove si applica anche agli spazi comuni degli edifici condominiali; in subordine, assume che la stessa norma sarebbe costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede che la pena sia diminuita fino a un terzo «quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità».
2.– In ordine alla rilevanza della questione principale, il rimettente, premesso che nel reato di furto in abitazione la condotta incriminata è posta in essere «mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa», osserva che la giurisprudenza di legittimità, con orientamento consolidato e tale da costituire diritto vivente, ha affermato che gli spazi comuni di un edificio condominiale costituiscono pertinenze di un «luogo di privata dimora» ai fini dell’applicazione della fattispecie.
Nel caso in questione, poiché la condotta furtiva è stata posta in essere nell’androne di un edificio condominiale, il dubbio di legittimità costituzionale assumerebbe pertanto rilievo decisivo nell’affermazione della responsabilità dell’imputato per il reato di furto in abitazione.
2.1.– Ciò premesso, e quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente sostiene che la norma incriminatrice, nella parte in cui si applica anche alle parti comuni del condominio, violerebbe l’art. 3 Cost. sotto il profilo del principio di ragionevolezza, nonché «il principio di offensività enucleabile dall’art. 25 co. 2 Cost.».
Quest’ultimo parametro impone che la condotta incriminata, in tutti i suoi profili, sia munita di obiettivo disvalore, tale da cagionare un danno (o un pericolo) effettivo al bene giuridico protetto.
In questo senso, l’individuazione dei beni meritevoli di tutela e delle offese passibili di incriminazione è riservata alla discrezionalità del legislatore, le cui scelte possono formare oggetto di sindacato costituzionale ove manifestamente irragionevoli o arbitrarie; e tale, per l’appunto, sarebbe la scelta operata nella specie, che avrebbe l’effetto di «tratta[re] in modo identico situazioni radicalmente differenti».
2.2.– Se, infatti, la ratio della norma incriminatrice è punire, con sanzioni più gravi di quelle previste per il furto semplice ex art. 624 cod. pen., la condotta di chi si introduce nell’altrui «privata dimora» – avuto riguardo alla dimensione personalistica dei beni che tale luogo coinvolge, in quanto vi si esplicano atti della vita privata – vi sarebbe, tuttavia, un’evidente differenza tra le pertinenze delle proprietà individuali (garage, magazzino degli attrezzi, locale lavanderia) e gli spazi comuni di un edificio condominiale.
Questi ultimi, per vero, coinvolgerebbero «un diverso livello di riservatezza ed esclusività», in quanto normalmente frequentati da un numero elevato di persone, spesso fra loro sconosciute, che accedono all’edificio condominiale, anche per ragioni familiari o lavorative, in virtù del consenso prestato da alcuni soltanto degli aventi diritto, dimodoché il livello di sicurezza e riservatezza coessenziale alla nozione di «privata dimora» sarebbe, qui, «decisamente ridotto e più prossimo a quello degli spazi pubblici».
2.3.– Del resto, osserva ancora il giudice a quo, per altri profili dell’ordinamento penale la giurisprudenza di legittimità non ha assicurato agli spazi condominiali la medesima tutela apprestata per le abitazioni private.
Così, ad esempio, è stato ritenuto che non vadano preventivamente autorizzate le riprese video disposte dalla polizia giudiziaria nell’atrio o nel vano scale di un immobile condominiale, in quanto «luogo frequentabile da un’intera categoria di persone o da un numero indeterminato di soggetti che hanno la possibilità giuridica e pratica di accedervi senza legittima opposizione di chi su detto luogo esercita un potere di fatto o di diritto»; ancora, ai fini dell’integrazione del reato di interferenze illecite nella vita privata, di cui all’art. 615-bis cod. pen., si è escluso che costituiscano «luoghi di privata dimora» le scale condominiali e i relativi pianerottoli, difettando negli stessi quella «particolare relazione del soggetto con l’ambiente in cui egli vive la sua vita privata».
Infine, il rimettente esclude la percorribilità di un’interpretazione conforme a Costituzione, poiché quella censurata si deve assumere come diritto vivente e può, pertanto, essere sottoposta a controllo di compatibilità con i parametri evocati senza necessità di esperire il tentativo di una diversa soluzione ermeneutica.
3.– Quanto alla questione subordinata, il Tribunale ne illustra la rilevanza assumendo che il fatto oggetto di giudizio sarebbe caratterizzato da particolare tenuità, non solo per il modesto valore della refurtiva, ma anche perché l’imputato si sarebbe «trattenuto all’interno dell’edificio per un brevissimo lasso temporale» senza «usa[re] alcuna effrazione», mentre la persona offesa avrebbe «perso il possesso dei propri beni solo per un periodo di tempo molto limitato».
Da tali elementi, sinergicamente considerati, dovrebbe inferirsi il «disvalore […] estremamente ridotto» del fatto contestato.
3.1.– In ordine, poi, alla non manifesta infondatezza, il rimettente richiama la decisione di questa Corte (sentenza n. 117 del 2021) con la quale un’identica questione è stata dichiarata inammissibile, auspicandone una rivisitazione alla luce della sua successiva giurisprudenza, che ha introdotto un’analoga fattispecie attenuata, rispettivamente, per i reati di rapina ed estorsione (sono citate le sentenze n. 86 del 2024 e n. 120 del 2023).
In tal senso, osserva che il trattamento sanzionatorio del reato di furto in abitazione ha subito un progressivo inasprimento, fino a giungere all’attuale cornice edittale, che prevede la pena della reclusione da quattro a sette anni e la multa da euro 927 a euro 1.500.
Inoltre, per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 5, comma 1, lettere a) e b), della legge 26 aprile 2019, n. 36 (Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa), nel caso di concorso di una o più circostanze aggravanti, la pena è della reclusione da cinque a dieci anni e della multa da euro 1.000 a euro 2.500, ed eventuali circostanze attenuanti concorrenti, diverse da quelle previste dagli artt. 98 e 625-bis cod. pen., non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti.
Un tale trattamento, in mancanza dell’intervento additivo richiesto, si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., comportando una risposta sanzionatoria sproporzionata rispetto a fatti di ridotta portata offensiva; la pena irrogabile, peraltro, finirebbe per corrispondere con quella che, per effetto delle richiamate pronunzie di questa Corte, è oggi prevista per i più gravi reati di rapina ed estorsione, ove il fatto risulti di lieve entità.
Ne deriverebbe, inoltre, un effetto frustrante per la finalità rieducativa della pena, espressa dall’art. 27, terzo comma, Cost., perché una sanzione violativa del canone di proporzionalità verrebbe necessariamente percepita dal condannato come ingiusta.
4.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto dichiararsi le questioni non fondate.
La difesa erariale ha sostenuto che la scelta del legislatore di equiparare tutte le pertinenze ai luoghi di privata dimora non è né arbitraria né irragionevole, avuto riguardo al fatto che quello di furto in abitazione è un delitto plurioffensivo, volto a tutelare non solo l’interesse patrimoniale sotteso alla condotta di sottrazione, ma anche il domicilio, inteso come presidio di sicurezza e della sfera di inviolabilità e riservatezza dell’individuo.
4.1.– In questo senso, anche gli spazi comuni di un edificio condominiale appaiono connotati da tale destinazione, in quanto vi si svolgono attività strettamente connesse a quelle tipiche della dimensione abitativa e, quindi, volte anch’esse a soddisfare esigenze di vita privata del loro proprietario, ancorché non esclusivo.
Quanto al fatto, poi, che altri soggetti possano accedere agli spazi comuni, si tratta di circostanza sempre e comunque subordinata al consenso dell’avente diritto e parimenti connessa al carattere strumentale di tali luoghi alle proprietà individuali; esattamente in questi termini, del resto, la giurisprudenza di legittimità ha ricondotto gli spazi comuni condominiali al concetto di «privata dimora» rilevante nella specie.
4.2.– Infine, con riguardo alla questione subordinata, il Governo sottolinea che le scelte di dosimetria sanzionatoria competono in via esclusiva al legislatore, il quale, nella specie, ha ritenuto di punire gravemente una condotta munita di particolare disvalore in ragione delle significative ripercussioni che essa arreca alla generalità dei consociati, verso i quali il reato di furto in abitazione alimenta «una diffusa sensazione di insicurezza e frustrazione […] incidendo negativamente sulla qualità della loro vita quotidiana».
Né, d’altro canto, la fattispecie in esame può essere validamente posta in comparazione con i delitti di estorsione o rapina; questi, infatti, rispetto ad essa presentano un elemento di spiccata eterogeneità, rappresentato dal concetto di «violenza o minaccia» che ne connota l’elemento oggettivo, il quale, per la sua ampia latitudine, è astrattamente idoneo a ricomprendere anche fatti di assoluta levità.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 6 del 2025), ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis cod. pen.
Il rimettente premette che il giudizio principale concerne un’imputazione per il reato di furto in abitazione, commesso mediante impossessamento di beni posti all’interno di un androne condominiale.
Assume, in tal senso, che la norma incriminatrice sarebbe costituzionalmente illegittima, per contrasto con gli artt. 3 e 25, secondo comma, Cost., nella parte in cui – in base all’interpretazione consolidata della giurisprudenza di legittimità, tale da costituire diritto vivente – si applica anche agli spazi comuni degli edifici condominiali.
In subordine, censura la medesima disposizione in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., nella parte in cui non prevede che la pena sia diminuita fino a un terzo «quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità».
2.– Il giudice a quo illustra la prima questione osservando che il principio di offensività «è chiamato ad operare non solo rispetto alla fattispecie base, ma anche rispetto alle circostanze e a tutti gli istituti che comunque incidono sulla individualizzazione della pena», imponendo che il trattamento sanzionatorio consegua a un’effettiva lesione, o messa in pericolo, del bene tutelato.
In proposito rileva che, seppure spetti alla discrezionalità del legislatore individuare i beni meritevoli di tutela, le condotte punibili e il loro trattamento sanzionatorio, le relative scelte possono essere oggetto di sindacato costituzionale ove affette da manifesta irragionevolezza.
Tale sarebbe l’ipotesi qui ricorrente, poiché l’offensività del furto in abitazione assume una connotazione personalistica, connessa all’inviolabilità del domicilio assicurata dall’art. 14 Cost., non ravvisabile nel caso in cui la condotta sia posta in essere in uno spazio comune dell’edificio condominiale, ambito che non coinvolgerebbe un tale livello di riservatezza ed esclusività.
2.1.– La questione non è fondata.
L’art. 624-bis cod. pen. punisce il fatto di chi «si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa».
Secondo l’indirizzo interpretativo della giurisprudenza della Corte di cassazione, formatosi a partire dalla sentenza delle sezioni unite penali 23 marzo-2 giugno 2017, n. 31345, rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si compiono non occasionalmente atti della vita privata e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale.
Il luogo destinato a privata dimora, precisa in tal senso la menzionata decisione, rileva «non tanto nella sua consistenza oggettiva, quanto nel suo essere proiezione spaziale della persona, cioè ambito primario e imprescindibile alla libera estrinsecazione della personalità».
2.2.– La norma incriminatrice si estende poi alle condotte realizzate nelle «pertinenze» della privata dimora, la cui nozione «non coincide con quella civilistica, non richiedendo ess[e] l’uso esclusivo del bene da parte di un solo proprietario» e dovendosi invece privilegiare l’utilità che esse arrecano al luogo di privata dimora (così, fra le altre, Corte di cassazione, quinta sezione penale, sentenza 16 dicembre 2019-2 marzo 2020, n. 8421).
Anche le pertinenze, infatti, si caratterizzano per la loro «strumentalità […] alle esigenze di vita domestica del proprietario» (Corte di cassazione, quarta sezione penale, sentenza 10-28 gennaio 2013, n. 4215).
2.3.– In altri termini, il legislatore ha ritenuto che il furto di un bene sito in una pertinenza abbia in sé maggiore offensività rispetto al furto semplice e ne ha così equiparato il trattamento sanzionatorio a quello previsto per il furto commesso in un luogo di privata dimora.
Questa estensione ha realizzato un rafforzamento della tutela prevista per la privata dimora, così presidiata anche rispetto ai beni destinati al servizio della stessa, che costituiscono ambiti nei quali possono svolgersi attività della vita privata connesse alla dimensione del domicilio.
Come è stato sottolineato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, l’esigenza «di punire con maggiore severità la particolare pericolosità manifestata da chi, al fine di commettere un furto, non esita ad introdursi in un luogo di abitazione, con la concreta possibilità di trovarsi innanzi al soggetto passivo […] sussiste anche quando il reato sia commesso in una immediata pertinenza dell’abitazione [,] come tale destinata allo svolgimento di attività strettamente complementari e strumentalmente connesse a quelle abitative» (tra le altre, Corte di cassazione, quarta sezione penale, sentenza 5-15 dicembre 2023, n. 50105; Corte di cassazione, quinta sezione penale, sentenza 28 aprile-15 luglio 2021, n. 27326).
2.4.– Ora, una tale esigenza sussiste anche con riferimento alle parti comuni dell’edificio condominiale, poiché esse sono costituite a servizio e protezione delle private dimore ubicate nel condominio e vengono a questo scopo utilizzate, nella loro interezza, dai comproprietari pro quota.
Anche le parti comuni del condominio, in altri termini, presentano i connotati fondamentali del «luogo di privata dimora», costituiti dalla non apertura al pubblico e dalla non accessibilità da parte di terzi senza il consenso, anche implicito, dei titolari, i quali ultimi mantengono, in ogni caso, il potere di limitare o impedire l’accesso a persone non gradite.
2.5.– Non assume rilievo, infine, la circostanza, evocata dal rimettente, che in relazione a diversi profili – quali, in specie, le intercettazioni effettuate mediante riprese video e il reato di interferenze illecite nella vita privata – l’ordinamento non riconosca alle parti comuni del condominio lo stesso grado di tutela prestato in favore delle private dimore.
Quest’ultima interpretazione, infatti, è connessa a una diversa accezione del concetto di «domicilio» rispetto a quella che viene qui in rilievo, poiché riguarda il domicilio inteso come luogo nel quale la persona si sottrae alle ingerenze esterne, in quanto le è consentita «l’esplicazione della vita privata al riparo da sguardi altrui» (così, fra le altre, Corte di cassazione, seconda sezione penale, sentenza 6 luglio-1° agosto 2023, n. 33580).
2.6.– In conseguenza di tali rilievi, l’interpretazione censurata dal rimettente, con la quale viene estesa alle parti comuni dell’edificio condominiale la tutela prevista per i luoghi di privata dimora, non appare né irragionevole, né irrispettosa del principio di offensività.
La questione sollevata in via principale va dunque ritenuta non fondata.
3.– Passando alla questione subordinata, il rimettente, come si è detto, dubita della legittimità costituzionale della norma incriminatrice nella parte in cui non contempla una diminuzione di pena quando il fatto risulta di lieve entità.
Una tale previsione, infatti, consentirebbe di adeguare la sanzione al disvalore della condotta, conformandola al canone di ragionevolezza e alla possibilità che essa assolva alla sua finalità rieducativa; sarebbe, inoltre, eliminata la disparità di trattamento che ora sussiste rispetto ai reati di rapina ed estorsione, in relazione ai quali questa Corte ha rimosso detta omissione normativa, proprio al fine di consentire l’adeguamento della sanzione al fatto (sentenze n. 86 del 2024 e n. 120 del 2023).
3.1.– Anche tale questione non è fondata.
Questa Corte ha da sempre riconosciuto l’ampia discrezionalità del legislatore nella definizione della sua politica criminale, in particolare nella determinazione delle pene applicabili a chi abbia commesso reati (in questo senso, fra le numerose altre, sentenze n. 207 del 2023 e n. 117 del 2021).
L’esercizio di tale discrezionalità è sindacabile solo sotto il profilo della ragionevolezza, nel senso che il trattamento sanzionatorio «deve potersi razionalmente giustificare in relazione a una o più finalità legittime perseguite dal legislatore» e i mezzi prescelti «non devono risultare manifestamente sproporzionati rispetto a quelle pur legittime finalità» (così, fra le altre, sentenza n. 46 del 2024).
3.2.– In questo senso, e seppure in relazione a un diverso profilo del trattamento riservato al furto in abitazione, la sentenza n. 216 del 2019 ha chiarito che esso trova la sua ratio nella «discrezionale, e non irragionevole, presunzione del legislatore relativa alla particolare gravità del fatto di chi, per commettere il furto, entri in un’abitazione altrui, ovvero in altro luogo di privata dimora o nelle sue pertinenze, e della speciale pericolosità soggettiva manifestata dall’autore di un simile reato».
A conferma di ciò, la successiva ordinanza n. 67 del 2020 ha precisato «che la particolare gravità del fatto e la speciale pericolosità soggettiva del suo autore, dimostrate dall’ingresso non autorizzato nei luoghi predetti al fine di commettervi un furto, non vengono meno per il solo fatto che l’autore non abbia usato violenza nei confronti di alcuno».
La scelta legislativa di adottare un trattamento sanzionatorio di maggior rigore appare dunque giustificata, ove posta in relazione a una condotta delittuosa così connotata.
3.3.– D’altra parte come questa Corte ha affermato, la condotta punita dall’art. 624-bis, primo comma, cod. pen. è descritta in termini definiti, e rispetto a essa non sono concretamente ipotizzabili fatti che si discostino significativamente dalla portata offensiva della fattispecie astratta (sentenza n. 117 del 2021); la stessa sentenza ha precisato, quanto al profilo personalistico della lesione arrecata alla vittima del reato, che «quest’ultimo è insuscettibile di una graduazione quantitativa, atteso che il domicilio, quale spazio della persona, o è violato o non lo è, essendo pertanto inconcepibile già sul piano logico un ingresso “lieve” nell’abitazione altrui».
In altri termini, il furto in abitazione non comprende al suo interno fattispecie così diversificate tali da meritare l’introduzione, da parte di questa Corte, della circostanza attenuante della lieve entità.
Non sussiste, pertanto, il denunziato contrasto con i principii di ragionevolezza e finalità rieducativa della pena.
3.4.– Né la scelta del legislatore appare violare il principio di uguaglianza, ove si consideri che l’attenuante del fatto di lieve entità è stata invece introdotta da questa Corte per i reati di rapina ed estorsione.
In tali casi, la previsione di una “valvola di sicurezza” sanzionatoria ha tratto giustificazione dalla particolare latitudine della fattispecie tipica, nella quale l’elemento «violenza o minaccia» è idoneo a racchiudere condotte multiformi e con ampia gradazione di offensività.
In presenza di una condotta tipica così conformata, la giurisprudenza di questa Corte ha còlto il fondamento della scelta del legislatore di impiegare la tecnica del “ritaglio” di ipotesi di minore gravità, scelta che si giustifica, per l’appunto, col fatto che «il reato base, in ragione della sua formulazione, ha una portata ampia» (sentenza n. 88 del 2019).
Una tale latitudine non si riscontra nel reato di furto in abitazione, nel quale invece, come si è osservato, assume rilievo decisivo la condotta lesiva del bene protetto sotto il profilo personalistico, che, per sua natura, è tale o non è.
3.5.– Va da sé, peraltro, che restano intatti tutti i poteri del giudice quanto alla commisurazione della pena, anche in considerazione della peculiarità delle singole fattispecie, in rapporto alla possibilità che la gravità della lesione della sfera privata della vittima del reato si attenui man mano che ci si allontana dai luoghi in cui si svolgono le sue più personali attività, anche relazionali.
4.– Per tutto quanto esposto, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis cod. pen. sollevate dal Tribunale di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, vanno dichiarate non fondate.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 novembre 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Roberto Nicola CASSINELLI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 22 dicembre 2025
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
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