Sentenza  190/2025 (ECLI:IT:COST:2025:190) Comunicato
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMOROSO - Redattrice:  SAN GIORGIO
Camera di Consiglio del 06/10/2025;    Decisione  del 06/10/2025
Deposito del 18/12/2025;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  Art. 34, c. 2°, del codice di procedura penale.
Massime: 
Atti decisi: ord. 161/2024

Pronuncia

SENTENZA N. 190

ANNO 2025

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata nel procedimento penale a carico di M. S., con ordinanza del 4 luglio 2024, iscritta al n. 161 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udita nella camera di consiglio del 6 ottobre 2025 la Giudice relatrice Maria Rosaria San Giorgio;

deliberato nella camera di consiglio del 6 ottobre 2025.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 4 luglio 2024, iscritta al n. 161 del registro ordinanze 2024, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale nella parte in cui «non prevede la incompatibilità a decidere in sede di giudizio abbreviato del giudice che abbia in precedenza ammesso l’imputato alla messa alla prova, in tale sede esprimendosi espressamente in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti e riqualificando la ipotesi originariamente contestata in diverso titolo di reato».

Il rimettente riferisce di essere chiamato a giudicare, nelle forme del rito abbreviato, M. S., imputato del reato di cui all’art. 73, commi 1 e 4, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) per avere detenuto, al di fuori dell’abitazione a fini di spaccio, 126,9 grammi di hashish e 2,2 grammi di cocaina.

Il giudice a quo premette che l’imputato, in seguito alla notificazione del decreto di giudizio immediato, aveva chiesto di essere ammesso alla messa alla prova, previa riqualificazione del fatto contestatogli nella fattispecie attenuata di cui all’art. 73, comma 5, del citato testo unico, e, in subordine, che il processo venisse celebrato con rito abbreviato.

Lo stesso rimettente, riqualificata l’originaria imputazione nei termini richiesti, aveva disposto la sospensione del processo con messa alla prova per poi revocarla, in quanto l’imputato, dopo aver dichiarato all’ufficio di esecuzione penale esterna di non essere più interessato al beneficio, aveva insistito per la definizione del processo mediante giudizio abbreviato.

Il giudice a quo, reputando ammissibile tale rito alternativo, aveva formulato istanza di astensione «avendo in precedenza ritenuto in sede di MAP [messa alla prova] la riconducibilità dei fatti sub art. 73 c. V DPR 309/90». La richiesta era stata rigettata dal Presidente di sezione delegato sul rilievo che si trattava di una «“[…] decisione avanzata nella stessa fase processuale e che non implica comunque una approfondita valutazione sul merito della accusa ma unicamente una delibazione sulla insussistenza di causa di proscioglimento ex art. 129 cpp”».

Il GIP aveva, quindi, sollecitato una rivalutazione di tale decisione evidenziando come l’ammissione alla messa alla prova fosse stata pronunciata in una fase diversa e avesse riguardato, oltre alla insussistenza di cause di proscioglimento, la «riconducibilità delle condotte sub art. 73 c V DPR 309/90». Tuttavia il provvedimento era stato confermato.

1.1.– Tanto premesso, il giudice a quo rileva che il caso di specie non è contemplato tra le ipotesi di incompatibilità previste dall’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., e non configura neppure un motivo di ricusazione. Nemmeno sarebbe appagante, a suo avviso, il ricorso all’astensione, «non potendo essere rimessa alla discrezionalità del singolo magistrato la autovalutazione della propria capacità professionale di non lasciarsi influenzare da giudizi già espressi ritualmente».

1.2.– Nel motivare la non manifesta infondatezza delle questioni, il giudice a quo riporta ampi stralci della sentenza n. 16 del 2022 di questa Corte, con la quale, sulla base di parametri parzialmente coincidenti con quelli evocati nel presente giudizio, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo lo stesso art. 34, comma 2, cod. proc. pen. «nella parte in cui non prevede che il giudice per le indagini preliminari, che ha rigettato la richiesta di decreto penale di condanna per mancata contestazione di una circostanza aggravante, sia incompatibile a pronunciare sulla nuova richiesta di decreto penale formulata dal pubblico ministero in conformità ai rilievi del giudice stesso».

Nei passaggi richiamati dal rimettente questa Corte ha, anzitutto, ricordato la propria giurisprudenza secondo la quale le norme sull’incompatibilità del giudice derivante da atti compiuti nel procedimento sono poste a tutela dei valori di terzietà e di imparzialità della giurisdizione, presidiati dagli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., essendo finalizzate a evitare che la decisione sul merito della causa possa «essere o apparire condizionata dalla forza della prevenzione […] scaturente da valutazioni cui il giudice sia stato precedentemente chiamato in ordine alla medesima res iudicanda».

Si è, quindi, tra l’altro, osservato nella sentenza richiamata dal giudice a quo che l’incompatibilità «presuppone una relazione tra due termini: una “fonte di pregiudizio” (ossia un’attività giurisdizionale atta a generare la forza della prevenzione) e una “sede pregiudicata” (vale a dire un compito decisorio, al quale il giudice, che abbia posto in essere l’attività pregiudicante, non risulta più idoneo)» (sentenza n. 16 del 2022, punto 4.2. del Considerato in diritto).

Si è, ancora, chiarito, che per giudizio deve intendersi ogni processo che, in base a un esame delle prove, pervenga ad una decisione di merito: in tale nozione rientrano, oltre al giudizio dibattimentale, il giudizio abbreviato, l’applicazione della pena su richiesta delle parti e l’udienza preliminare.

Nei passaggi della sentenza n. 16 del 2022 citati dal rimettente si è, poi, argomentato che, affinché la previsione dell’incompatibilità del giudice possa ritenersi costituzionalmente necessaria, occorre l’elemento della preesistenza di valutazioni sulla medesima res iudicanda strumentali all’assunzione di una decisione, non essendo sufficiente la sola conoscenza di atti anteriormente compiuti. Inoltre, la statuizione pregiudicante deve avere natura non formale, ma di contenuto, nel senso che deve basarsi su valutazioni attinenti al merito dell’ipotesi accusatoria, e non al mero svolgimento del processo. Infine, il precedente apprezzamento deve collocarsi in una diversa fase del procedimento, dovendo, all’interno di ciascuna delle fasi, preservarsi «l’esigenza di continuità e di globalità».

Pertanto, il giudice non incorre in incompatibilità allorché compia «valutazioni preliminari, anche di merito, destinate a sfociare in quella conclusiva, venendosi altrimenti a determinare una “assurda frammentazione” del procedimento, che implicherebbe la necessità di disporre, per la medesima fase del giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere (sentenze n. 153 del 2012 e n. 131 del 1996)» (è citata ancora, la sentenza n. 16 del 2022).

1.3.– Il rimettente, «ten[endo] conto delle indicazioni» fornite dalla richiamata pronuncia, deduce che la decisione alla quale è chiamato secondo il rito abbreviato non solo costituirebbe una funzione di giudizio, ma risulterebbe pregiudicata dalle «precedenti determinazioni già assunte», le quali, concernendo la riqualificazione del fatto oggetto di imputazione, «cadono sulla medesima res iudicanda».

L’operata derubricazione conterrebbe, infatti, un apprezzamento dell’ipotesi accusatoria «strumentale all’assunzione di una decisione», come quella sulla messa alla prova, la quale, nel caso di specie, non avrebbe potuto essere ammessa in relazione al fatto originariamente contestato.

Secondo il giudice a quo, infatti, tale provvedimento è stato adottato in una fase del procedimento diversa da quella nella quale egli deve pronunciarsi.

Non sarebbe, infatti, configurabile unitarietà di fase «per il sol fatto che genericamente si sia post emissione di decreto di giudizio immediato, con richiesta di riti alternativi», dal momento che a una prima fase concernente la procedura della messa alla prova, conclusa con la revoca del provvedimento di ammissione, ne è seguita un’altra, del tutto autonoma e separata dalla prima, nella quale il giudizio deve essere trattato nelle forme del rito abbreviato.

Le questioni di legittimità costituzionale sollevate risulterebbero, infine, «evidentemente rilevant[i]», in quanto lo stesso rimettente deve stabilire se «possa/debba o meno trattare e decidere il giudizio abbreviato richiesto dalla difesa a seguito della revoca della messa alla prova», essendo stata rigettata la sua istanza di astensione in mancanza di una espressa previsione di incompatibilità per il caso di specie.

2.– Con atto depositato il 30 settembre 2024 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili e comunque non fondate.

2.1.– Sotto il primo profilo, la difesa statale ritiene, anzitutto, che la motivazione dell’ordinanza di rimessione sia tautologica, limitandosi ad affermare che la decisione sulla messa alla prova sottende valutazioni che attengono alla qualificazione giuridica del fatto contestato e, quindi, alla stessa ipotesi di accusa.

Le argomentazioni svolte dal rimettente risulterebbero anche contraddittorie, posto che l’operata riqualificazione giuridica del fatto contestato non involgerebbe in realtà apprezzamenti sul merito della res controversa, ma sarebbe «il frutto di un giudizio astratto di carattere logico-giuridico, consistente nella sussunzione del fatto descritto nell’imputazione nell’alveo della corretta norma incriminatrice».

Mancherebbero, altresì, la ricostruzione della cornice normativa e giurisprudenziale di riferimento e la motivazione sulla non manifesta infondatezza.

Le questioni di legittimità costituzionale sarebbero, infine, inammissibili, per «carenza assoluta di motivazione delle censure riferite agli artt. 3 e 111 Cost.».

2.2.– Ad avviso dell’interveniente, le questioni sarebbero, comunque, non fondate.

Richiamate le condizioni che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, devono ricorrere perché si configuri un’«attività pregiudicante», la difesa statale assume che, nel caso di specie, difetterebbero sia il carattere strumentale della valutazione rispetto all’assunzione di una decisione, sia la sua inerenza al merito dell’ipotesi accusatoria.

La verifica della mancanza delle condizioni per una pronuncia di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. non può, infatti, essere equiparata al positivo accertamento della insussistenza dei relativi presupposti, né la riqualificazione giuridica del fatto costituisce una valutazione di merito sulla fondatezza o meno della ipotesi accusatoria.

Il nucleo delle censure formulate dal giudice a quo, osserva ancora la difesa statale, concerne, invece, la natura «formale o sostanziale» della valutazione espressa con il provvedimento di ammissione alla messa alla prova e, segnatamente, la sua «forza pregiudicante».

La portata condizionante sarebbe, nella specie, da escludersi, posto che, nel provvedere sulla messa alla prova, il giudice deve verificare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto operata dall’accusa ed eventualmente modificarla (viene citata la sentenza della Corte di cassazione, sezione quarta penale, 8 maggio-31 luglio 2018, n. 36752).

Né tale valutazione, né le verifiche concernenti l’insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., oltre che l’idoneità del programma di trattamento e la prognosi favorevole di non recidiva sull’interessato, inciderebbero sull’imparzialità del giudice (viene richiamata la sentenza della Corte di cassazione, sezione terza penale, 20 gennaio-11 aprile 2016, n. 14750).

Si rammenta, altresì, che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la sentenza di proscioglimento per esito positivo della messa alla prova è inidonea a esprimere un compiuto accertamento sul merito dell’ipotesi di accusa e sulla responsabilità (viene citata la sentenza della Corte di cassazione, sezione quarta penale, 9-24 luglio 2019, n. 33260).

Da ultimo, l’interveniente contesta l’assunto secondo il quale nel giudizio a quo la decisione ritenuta pregiudicante sia stata resa in una fase diversa rispetto a quella in cui il rimettente è chiamato a pronunciarsi nel merito, dal momento che «la qualificazione in termini di diversità di fase o stato mal si attagli[a] alla valutazione del passaggio da un rito speciale ad un altro».

Considerato in diritto

1.– Il GIP del Tribunale di Macerata dubita della legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui «non prevede la incompatibilità a decidere in sede di giudizio abbreviato del giudice che abbia in precedenza ammesso l’imputato alla messa alla prova, in tale sede esprimendosi espressamente in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti e riqualificando la ipotesi originariamente contestata in diverso titolo di reato».

1.1.– Sebbene nell’ordinanza di rimessione non risulti specificato, dal tenore complessivo delle argomentazioni emerge con chiarezza che oggetto di censura è la disciplina dell’incompatibilità, cosiddetta “orizzontale”, di cui al comma 2 dell’art. 34 cod. proc. pen., ossia dell’incompatibilità attinente alla relazione tra una fase del giudizio e quella che la precede (ex aliis, sentenze n. 93 e n. 74 del 2024, n. 16 del 2022).

1.2.– Il giudice a quo ritiene, anzitutto, che la decisione sulla richiesta di sospensione con messa alla prova si collochi in una fase distinta e autonoma rispetto a quella, deputata alla trattazione del giudizio nelle forme del rito abbreviato, in cui egli è chiamato a pronunciarsi.

In secondo luogo, assume che la corretta qualificazione giuridica del fatto contestato, operata ai fini della stessa pronuncia ex art. 464-quater cod. proc. pen., sarebbe espressione di un potere valutativo che attinge il merito dell’ipotesi di accusa, così dispiegando un effetto pregiudicante rispetto alle decisioni da assumere nella fase successiva.

In definitiva, ad avviso del rimettente, nel procedimento di ammissione alla messa alla prova il giudice che riqualifichi l’originaria imputazione compie una valutazione contenutistica, e non meramente formale, della causa, così divenendo incompatibile a compiere atti nella fase processuale susseguente.

La mancata previsione dell’incompatibilità del giudice nel caso considerato contrasterebbe con gli artt. 3 e 111 Cost., in quanto la riqualificazione dell’imputazione originaria, da un lato, comporterebbe un apprezzamento che cade sulla medesima res iudicanda ed è strumentale all’assunzione di una decisione, quale è quella sull’ammissibilità della messa alla prova; dall’altro lato, implicherebbe una valutazione di merito sull’ipotesi di accusa.

2.‒ In via preliminare, devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità formulate dal Presidente del Consiglio dei ministri.

Esse non sono fondate.

2.1.– Diversamente da quanto asserito dall’interveniente, la motivazione sulla non manifesta infondatezza non risulta tautologica né contraddittoria.

Dal tenore complessivo dei pur sintetici argomenti sviluppati nell’ordinanza di rimessione le ragioni del sospetto di illegittimità costituzionale emergono, infatti, con sufficiente chiarezza: il giudice a quo, da un lato, assume che la riqualificazione giuridica del fatto compiuta ai fini dell’ammissione al beneficio ex art. 168-bis del codice penale integrerebbe una valutazione del merito dell’ipotesi accusatoria idonea a pregiudicare l’attività giurisdizionale successiva; dall’altro, ritiene che, dopo la notificazione del decreto di giudizio immediato, la richiesta di messa alla prova introduca una fase processuale distinta e separata rispetto a quella, a essa successiva, in cui il giudice per le indagini preliminari è chiamato a pronunciarsi nelle forme del giudizio abbreviato.

2.1.1.– Non è fondata neanche l’eccezione di inammissibilità per omessa ricostruzione della cornice normativa e giurisprudenziale di riferimento.

Come ripetutamente affermato da questa Corte, l’analisi del quadro normativo e giurisprudenziale in cui si inscrive la disposizione censurata rileva, ai fini dell’ammissibilità delle questioni, solo se è carente e tale da inficiare la chiarezza dell’iter logico argomentativo (ex aliis, sentenze n. 38 del 2025, n. 228 del 2023, n. 194 del 2021).

Nel caso di specie, il nucleo essenziale delle censure – con cui è denunciata l’illegittimità costituzionale della mancata previsione dell’incompatibilità del giudice che si sia espresso sulla causa riqualificando il fatto ai fini della decisione sulla messa alla prova – risulta comunque delineato in termini adeguatamente definiti.

La ricostruzione compiuta nell’ordinanza di rimessione non compromette, dunque, l’intellegibilità dell’iter logico seguito dal giudice a quo.

2.1.2.– Da ultimo, non è meritevole di accoglimento neanche l’eccezione di inammissibilità per la mancata indicazione delle ragioni per le quali si ritengono violati gli artt. 3 e 111 Cost.

Dal complessivo tenore dell’ordinanza di rimessione si evince, infatti, che tali parametri costituzionali – pur formalmente indicati nel solo dispositivo – sono stati evocati in quanto posti a presidio dei valori della imparzialità e della terzietà del giudice, alla cui tutela, come ripetutamente affermato da questa Corte, è preordinata la disciplina della incompatibilità oggetto di censura (ex aliis, le sentenze n. 182 del 2025, n. 93 e n. 74 del 2024, n. 64 e n. 16 del 2022).

Inoltre, si tratta di parametri in parte coincidenti con quelli alla cui stregua lo stesso art. 34, comma 2, cod. proc. pen. è stato scrutinato nella ricordata sentenza n. 16 del 2022, alla quale il giudice rimettente dimostra chiaramente di aderire (sentenza n. 88 del 2018).

3.– Nel merito, le questioni non sono fondate.

3.1.– Per costante giurisprudenza di questa Corte, la disciplina dell’incompatibilità di cui si tratta rinviene la sua ratio nella salvaguardia dei valori della terzietà e imparzialità del giudice presidiati dall’art. 111, secondo comma, Cost., essendo intesa a evitare che questi possa pronunciarsi quando sia condizionato dalla “forza della prevenzione” ‒ cioè «dalla tendenza a confermare una decisione o a mantenere un atteggiamento già assunto, derivante da valutazioni che sia stato precedentemente chiamato a svolgere in ordine alla medesima res iudicanda» ‒ e ad assicurare «che le funzioni del giudicare siano assegnate a un soggetto “terzo”, scevro di interessi propri che possano far velo alla rigorosa applicazione del diritto e anche sgombro da convinzioni precostituite in ordine alla materia su cui pronunciarsi» (sentenza n. 93 del 2024; nello stesso senso, ex aliis, sentenze n. 182 del 2025, n. 74 del 2024, n. 172 del 2023 e precedenti ivi citati).

3.1.1.– Il principio di imparzialità del giudice si rinviene anche nell’ordinamento sovranazionale, posto che l’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo stabilisce che «ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale», e l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea garantisce il diritto all’esame della causa da parte di un giudice «indipendente e imparziale, precostituito per legge».

3.2.– Con riferimento alla incompatibilità “orizzontale”, che viene in considerazione nel caso di specie, questa Corte ha ripetutamente affermato che essa presuppone una relazione tra una “fonte di pregiudizio”, coincidente con un’attività giurisdizionale idonea a generare la forza della prevenzione, e una “sede pregiudicata”, ravvisabile in un compito decisorio al quale il giudice che abbia posto in essere l’attività pregiudicante non risulta più idoneo (ex aliis, sentenze n. 182 del 2025, n. 74 del 2024, n. 172 del 2023, n. 64, n. 16 e n. 7 del 2022).

Perché possa ritenersi sussistente tale forma di incompatibilità, non è, tuttavia, sufficiente la semplice conoscenza, da parte del giudice, di atti anteriormente compiuti, ma occorre che egli ne abbia effettuato una valutazione strumentale all’assunzione di una decisione.

Quest’ultima deve, poi, avere natura non formale, ma di contenuto, nel senso che deve implicare valutazioni che attengono al merito dell’ipotesi di accusa e non già al mero svolgimento del processo.

Infine, affinché insorga un’incompatibilità endoprocessuale di rilievo costituzionale, è necessario che la precedente valutazione si collochi in una diversa fase del procedimento (ancora, ex aliis, sentenze n. 182 del 2025, n. 93 e n. 74 del 2024, n. 172 del 2023 e n. 64 del 2022).

3.2.1.– In ordine a quest’ultimo profilo, questa Corte, con indirizzo costante, ha affermato che «[è] del tutto ragionevole [...] che, all’interno di ciascuna delle fasi – intese come sequenze ordinate di atti che possono implicare apprezzamenti incidentali, anche di merito, su quanto in esse risulti, prodromici alla decisione conclusiva – resti, in ogni caso, preservata l’esigenza di continuità e di globalità, venendosi altrimenti a determinare una assurda frammentazione del procedimento, che implicherebbe la necessità di disporre, per la medesima fase del giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere (ex plurimis, sentenze n. 153 del 2012, n. 177 e n. 131 del 1996; ordinanze n. 76 del 2007, n. 123 e n. 90 del 2004, n. 370 del 2000, n. 232 del 1999)» (sentenza n. 18 del 2017).

Deve, pertanto, escludersi che sia configurabile una incompatibilità di rilievo costituzionale all’interno della medesima fase processuale: il processo è, per sua natura, costituito da una sequenza di atti, ciascuno dei quali può astrattamente implicare apprezzamenti su quanto risulti incidere sui suoi esiti, così che, se si dovesse isolare ogni atto che contenga una decisione idonea a manifestare un apprezzamento all’interno della medesima fase, si pregiudicherebbe irrimediabilmente l’unitarietà del giudizio.

A tale riguardo, questa Corte ha recentemente rilevato che, poiché risponde a un dato di comune esperienza che la statuizione giudiziale, al pari di ogni processo decisionale, maturi in itinere, l’incompatibilità (ma lo stesso vale per l’astensione e la ricusazione) non può operare in relazione agli atti assunti nell’ambito della stessa fase processuale – quale frazione dell’iter decisorio in cui «il fenomeno della formazione progressiva del convincimento del giudicante si compie con peculiare concentrazione» –, venendo, altrimenti, a determinarsi «l’assoluta impossibilità di funzionamento della giurisdizione» (ancora, sentenza n. 182 del 2025).

3.3.– Nell’ipotesi specifica dell’ordinanza di sospensione del processo con messa alla prova, che viene in rilievo nel caso all’esame odierno, questa Corte ha escluso che il requisito della diversità di fase ricorra nell’ipotesi in cui la richiesta di tale beneficio sia stata rigettata prima della dichiarazione di apertura del dibattimento (ancora, sentenza n. 64 del 2022).

Nel giudizio definito con la pronuncia appena richiamata i giudici rimettenti avevano ravvisato nel provvedimento ex art. 464-quater, comma 1, cod. proc. pen. un’approfondita valutazione sul merito dell’ipotesi di accusa.

Questa Corte ha, tuttavia, chiarito che, a prescindere dalla validità di tale assunto, i giudici a quibus avevano trascurato un «particolare essenziale»: la decisione individuata come fonte di pregiudizio «si colloca, non già in una fase processuale precedente e distinta, ma nella stessa fase – quella dibattimentale – rispetto alla quale l’invocato effetto pregiudicante dovrebbe dispiegarsi; il che esclude in radice, alla luce della ricordata, costante giurisprudenza di questa Corte, la configurabilità di una situazione di incompatibilità costituzionalmente necessaria» (sentenza n. 64 del 2022, punto 5.2. del Considerato in diritto).

3.3.1.– Anche la giurisprudenza di legittimità ha escluso che il provvedimento di rigetto dell’istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova determini l’incompatibilità del giudice nel processo che prosegua nelle forme ordinarie, trattandosi di decisione adottata nella medesima fase processuale che non implica una valutazione sul merito dell’accusa, ma esclusivamente una delibazione sull’inesistenza di cause di proscioglimento immediato ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., nonché una verifica dell’idoneità del programma di trattamento e una prognosi favorevole di non recidiva (ancora, Cass. n. 33260 del 2019).

3.4.– Tanto premesso, nel giudizio principale l’imputato, in seguito alla notificazione del decreto di giudizio immediato, ha avanzato richiesta di ammissione alla messa alla prova e, in subordine, di giudizio abbreviato.

Il giudice a quo, avendo dapprima accolto, previa riqualificazione della imputazione, la richiesta ex art. 168-bis cod. pen., per poi revocarla a seguito di rinuncia dell’imputato, è ora chiamato a provvedere nelle forme del rito abbreviato.

Lo stesso rimettente ritiene che la decisione di cui è investito si collochi in una fase distinta ed autonoma rispetto a quella in cui ha assunto la statuizione ritenuta pregiudicante, ossia la diversa qualificazione del fatto contestato.

3.4.1.– Tale assunto non può essere condiviso.

La decisione sulla richiesta di messa alla prova si colloca non già in una fase processuale precedente e distinta, ma nella medesima fase ‒ quella della definizione anticipata del giudizio immediato attraverso i riti alternativi al dibattimento ‒ in cui, nella specie, deve giudicarsi nelle forme del rito abbreviato, così che il supposto effetto di prevenzione non può prodursi.

3.4.2.– Lo snodo processuale che si apre con l’innesto della richiesta di riti alternativi ‒ e, cioè, del giudizio abbreviato, del patteggiamento e della messa alla prova ‒ sul giudizio immediato instaurato dal pubblico ministero può condurre all’epilogo anticipato del processo secondo moduli decisori speciali.

Tale fase, per la quale il GIP è investito di apposita competenza funzionale (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 17-25 gennaio 2006, n. 3088), può concludersi tanto con una sentenza che definisce anticipatamente il processo (la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, la sentenza di condanna o di proscioglimento all’esito di giudizio abbreviato o la sentenza di proscioglimento per estinzione del reato, in caso di esito positivo della messa alla prova), quanto con una ordinanza di trasmissione degli atti al giudice del dibattimento, nel caso in cui nessuna delle richieste di riti alternativi trovi accoglimento o vada a buon fine (art. 458, comma 2-ter, cod. proc. pen.).

Soltanto in quest’ultima evenienza prende avvio la distinta fase dibattimentale dinanzi a un giudice diverso.

3.4.3.– Il carattere unitario dello snodo processuale in esame è stato accentuato dalle modifiche apportate alla sua disciplina dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari).

La soppressione della facoltà, riconosciuta al GIP dalla disciplina anteriore, di delibare de plano l’istanza di definizione alternativa e la collocazione di tale valutazione in un’apposita udienza nella quale all’imputato è consentito di emendare la scelta originariamente compiuta, da un lato, mira a favorire l’accesso ai riti speciali e la definizione anticipata del giudizio immediato; dall’altro, individua una specifica sede processuale in cui il giudice può esaminare, in un unico contesto decisorio, le richieste avanzate dall’imputato.

L’affinità teleologica che intercorre tra i procedimenti speciali innestabili sul giudizio immediato, la previsione, ad opera dei riformati artt. 458, comma 2, e 458-bis, comma 1, cod. proc. pen., di un’apposita udienza in cui tali forme di definizione alternativa possono essere sperimentate anche in via successiva e l’attribuzione al GIP di una specifica competenza funzionale valgono a configurare il momento procedimentale in esame come un’articolazione strutturalmente e funzionalmente unitaria.

3.5.– Nel contesto decisorio in esame le valutazioni espresse in relazione alla domanda di un rito alternativo alla quale non segua la definizione del giudizio non possono essere considerate “fonte di pregiudizio” per la decisione, nel medesimo contesto, sulla richiesta di un altro procedimento speciale.

La decisione sulla messa alla prova assunta dal giudice a quo si colloca, dunque, nella stessa fase della definizione anticipata del giudizio immediato attraverso i riti alternativi al dibattimento in cui il rimettente stesso è chiamato ora a decidere nelle forme del rito abbreviato.

Ciò impedisce in radice di ravvisare una incompatibilità di rilievo costituzionale, a prescindere dalla portata della statuizione nella specie ritenuta pregiudicante, ossia della riqualificazione giuridica del fatto operata ai fini della decisione sulla messa alla prova.

Peraltro, va rilevato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, tale diversa qualificazione non implica una delibazione del merito dell’ipotesi di accusa, ma è «limitata alla valutazione della correttezza dell’inquadramento della condotta descritta nell’imputazione nell’ambito della fattispecie astratta indicata dal pubblico ministero» (Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 25 ottobre-19 novembre 2018, n. 52088).

4.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen. devono, pertanto, essere dichiarate non fondate.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 ottobre 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattrice

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 18 dicembre 2025

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA


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