SENTENZA N. 188
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Roberto Nicola CASSINELLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge della Regione Puglia 21 novembre 2024, n. 30 (Tutela della retribuzione minima salariale nei contratti della Regione Puglia), e dell’art. 21 della legge della Regione Puglia 29 novembre 2024, n. 39 (Disposizioni di carattere finanziario e diverse. Variazione al Bilancio di Previsione per l’esercizio finanziario 2024 e pluriennale 2024-2026), promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi notificati, rispettivamente, il 24 e il 29 gennaio 2025, depositati in cancelleria il 25 e il 29 gennaio 2025, iscritti ai numeri 5 e 7 del registro ricorsi 2025 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, numeri 8 e 9 dell’anno 2025.
Visti gli atti di costituzione della Regione Puglia;
udito nell’udienza pubblica del 5 novembre 2025 il Giudice relatore Stefano Petitti;
uditi l’avvocato dello Stato Davide Di Giorgio per il Presidente del Consiglio dei ministri, nonché l’avvocata Isabella Fornelli per la Regione Puglia;
deliberato nella camera di consiglio del 5 novembre 2025.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 24 gennaio 2025 e depositato il successivo 25 gennaio, iscritto al n. 5 del registro ricorsi 2025, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge della Regione Puglia 21 novembre 2024, n. 30 (Tutela della retribuzione minima salariale nei contratti della Regione Puglia), pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Puglia, 25 novembre 2024, n. 95, in riferimento agli artt. 36, primo comma, 39, quarto comma, e 117, secondo comma, lettere l) e m), della Costituzione.
1.1.– Il ricorrente riferisce che l’art. 2, comma 1, della legge reg. Puglia n. 30 del 2024 prevede che la Regione, le Aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere, le Sanitaservice, le agenzie regionali e tutti gli enti strumentali regionali indichino nelle procedure di gara, in coerenza con quanto previsto dall’art. 11 del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 (Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici), che al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni sia applicato il contratto collettivo maggiormente attinente all’attività svolta, stipulato dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, salvi restando i trattamenti di miglior favore. Il comma 2 del medesimo art. 2, disposizione impugnata, stabilisce che «[i] soggetti di cui al comma 1 verificano che i contratti indicati nelle procedure di gara prevedano un trattamento economico minimo inderogabile pari a nove euro l’ora».
Il ricorrente precisa che poco dopo la sua entrata in vigore l’art. 2, comma 2, è stato novellato dal legislatore pugliese con la legge della Regione Puglia 29 novembre 2024, n. 39 (Disposizioni di carattere finanziario e diverse. Variazione al Bilancio di Previsione per l’esercizio finanziario 2024 e pluriennale 2024-2026) il cui art. 21 ha previsto che: «All’articolo 2, comma 2, della legge regionale 21 novembre 2024, n. 30 (Tutela della retribuzione minima salariale nei contratti della Regione Puglia) le parole “un trattamento economico minimo” sono sostituite dalle seguenti: “una retribuzione minima tabellare”». Per l’effetto, la versione vigente della disposizione recita: «I soggetti di cui al comma 1 verificano che i contratti indicati nelle procedure di gara prevedano una retribuzione minima tabellare inderogabile pari a nove euro l’ora».
1.2.– Con il primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che l’art. 2, comma 2, della legge reg. Puglia n. 30 del 2024 contrasterebbe con l’art. 36, primo comma, Cost., in quanto l’ordinamento non prevederebbe un salario minimo stabilito dalla legge o da altre disposizioni giuridiche vincolanti, e con l’art. 39, quarto comma, Cost., per violazione dei parametri che la norma costituzionale prevede a presidio dell’autonomia della contrattazione collettiva. Inoltre, poiché la materia delle retribuzioni sarebbe al momento regolata unicamente dalla contrattazione collettiva, la disciplina regionale lederebbe l’autonomia garantita alla stessa dagli artt. 36 e 39 Cost.
Il ricorrente rileva, altresì, che la direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 ottobre 2022, relativa ai salari minimi adeguati nell’Unione europea, se pure finalizzata a garantire condizioni dignitose ai lavoratori dell’Unione, non fisserebbe una soglia retributiva minima, riconoscendo la possibilità che sia la contrattazione collettiva a individuare i livelli salariali minimi nei singoli settori.
L’introduzione a livello regionale di una retribuzione minima inderogabile, pertanto, sarebbe in contrasto con i principi costituzionali in materia di retribuzione, oltre a essere elemento limitativo della libera concorrenza tra operatori economici.
1.3.– Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la previsione di un trattamento economico minimo inderogabile di nove euro l’ora nei contratti indicati nelle procedure di gara inciderebbe sulla disciplina del rapporto di lavoro privato subordinato in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere l) e m), Cost.
La determinazione del salario costituirebbe un aspetto peculiare della disciplina del rapporto di lavoro sia privato che pubblico e, per pacifico orientamento della giurisprudenza di questa Corte, ogni norma che disciplini il contratto, quale fonte regolatrice del rapporto di lavoro subordinato, andrebbe ascritta alla materia dell’ordinamento civile (si richiama la sentenza n. 50 del 2005, sulla legge 14 febbraio 2003, n. 30, recante «Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro», cosiddetta legge “Biagi”), con esclusione dell’intervento regionale, mentre le esigenze di uniformità ed eguaglianza che permeano fortemente la disciplina del contratto di lavoro giustificherebbero la potestà legislativa esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettere l) e m), Cost.
2.– Si è costituita in giudizio la Regione Puglia, in persona del Presidente della Giunta regionale, con atto depositato il 27 febbraio 2025, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e, in ogni caso, non fondate.
2.1.– La difesa regionale illustra, innanzitutto, il contesto normativo in cui si inserisce l’art. 2, comma 2, della legge reg. Puglia n. 30 del 2024, parte di una serie di interventi normativi regionali volti ad assicurare condizioni di lavoro dignitose e a garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori (è richiamata la legge della Regione Puglia 30 maggio 2024, n. 19, recante «Disposizioni per la qualità e la sicurezza del lavoro, per il contrasto al dumping contrattuale, nonché per la stabilità occupazionale nei contratti pubblici d’appalto o di concessione eseguiti sul territorio regionale»). La disposizione impugnata, come risulterebbe dalla relazione di accompagnamento, sarebbe volta a contrastare il fenomeno del cosiddetto dumping contrattuale, per cui la moltiplicazione delle sigle sindacali e datoriali e la coesistenza negli stessi settori di più contratti collettivi, alcuni dei quali sottoscritti da organizzazioni prive di adeguata rappresentatività, genererebbero una concorrenza al ribasso, a discapito del costo del lavoro, delle tutele contrattuali e della qualità dell’offerta, così favorendo il cosiddetto “lavoro povero” (si richiama Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 2 ottobre 2023, n. 27713).
2.2.– La difesa regionale eccepisce, in primo luogo, l’inammissibilità del ricorso per mancanza di corrispondenza tra la disposizione impugnata e quella oggetto dell’autorizzazione governativa (si richiamano le sentenze di questa Corte n. 134 del 2023 e n. 128 del 2018). La deliberazione governativa riferirebbe l’impugnazione all’art. 2, comma 2, della legge reg. Puglia n. 30 del 2024 per come pubblicata nel B.U.R. Puglia n. 95 del 2024, dunque nella formulazione originaria, mentre l’allegata relazione ministeriale avrebbe a oggetto soltanto la disposizione già modificata; l’atto di ricorso, a sua volta, si riferirebbe alternativamente e indifferentemente alla versione originaria, relativa al «trattamento economico minimo», e alla versione risultante dalla modifica introdotta dall’art. 21 della legge reg. Puglia n. 39 del 2024, relativa alla «retribuzione minima tabellare», oggetto di autonoma impugnazione nel giudizio iscritto al n. 7 del registro ricorsi 2025.
Trattandosi di istituti giuridici differenti – il trattamento economico minimo sarebbe attinente all’insieme degli emolumenti corrisposti al lavoratore in maniera piena e continuativa, mentre la retribuzione corrisponderebbe alla paga base e alle attribuzioni patrimoniali accessorie previste nei diversi contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) – non sussisterebbero neppure le condizioni per il trasferimento della questione sulla nuova norma, in forza del principio di effettività della tutela costituzionale delle parti nei giudizi in via d’azione (si richiama la sentenza di questa Corte n. 220 del 2021).
2.3.– Quanto al primo motivo di ricorso, la Regione eccepisce l’inammissibilità della censura di cui all’art. 36, primo comma, Cost. per difetto di motivazione, in quanto non si comprenderebbe come la disposizione regionale contrasti con il principio della retribuzione proporzionata e sufficiente, e per inconferenza, in quanto essa non inciderebbe sulla retribuzione nei contratti di lavoro individuali e collettivi, ma solo sulla scelta del CCNL applicabile in sede di gara.
Nel merito la censura non sarebbe fondata, essendo pacifica la diretta applicabilità dell’art. 36 Cost. e la valenza di diritto soggettivo perfetto del salario minimo costituzionale (si richiamano le sentenze di questa Corte n. 559 del 1987, n. 74 del 1966 e n. 30 del 1960, nonché della Corte di cassazione, sezione lavoro, 2 ottobre 2023, n. 27711).
2.3.1.– Ad avviso della difesa regionale, anche la censura ex art. 39, quarto comma, Cost., sarebbe inammissibile in quanto «oscura», così come il riferimento, generico e non sorretto da alcun parametro costituzionale, alla libertà di concorrenza degli operatori economici.
2.3.2.– Nel merito, gli artt. 36, primo comma, e 39, quarto comma, Cost. non istituirebbero alcuna riserva normativa alla contrattazione collettiva in materia salariale (si richiama la sentenza di questa Corte n. 106 del 1962), né siffatta riserva sarebbe imposta dalla direttiva 2022/2041/UE che, al contrario, contemplerebbe espressamente la possibilità di un salario minimo previsto per legge, come accade nella maggioranza degli Stati membri dell’Unione europea.
Il legislatore regionale, consapevole del fatto che la contrattazione collettiva supera abbondantemente la percentuale indicata nella direttiva, attestandosi quasi intorno al 100 per cento (si rinvia allo studio del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, “Elementi di riflessione sul salario minimo in Italia”, 12 ottobre 2023), avrebbe previsto il minimo tabellare dei nove euro l’ora quale parametro derivato da una indicizzazione effettuata rispetto a fonti statistiche ufficiali.
2.3.3.– Sussisterebbero, inoltre, numerose disposizioni di legge che promuovono l’applicazione di condizioni non inferiori a quelle previste dal contratto collettivo attraverso la previsione di vantaggi o benefici, tra cui dovrebbe annoverarsi l’accesso ad appalti pubblici e concessioni, atteso che la scelta dell’imprenditore di partecipare alla gara resterebbe libera (si richiamano l’art. 36 della legge 20 maggio 1970, n. 300, recante «Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento», e la sentenza di questa Corte n. 226 del 1998, che ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale in parte qua; l’art. 11 cod. contratti pubblici, come modificato dal decreto legislativo 31 dicembre 2024, n. 209, recante «Disposizioni integrative e correttive al codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36»).
Analogamente, ad avviso della Regione, numerose disposizioni di legge utilizzerebbero il rinvio alla contrattazione collettiva qualificata come parametro esterno di commisurazione del trattamento salariale idoneo ai sensi dell’art. 36, primo comma, Cost. (si citano l’art. 16, comma 1, del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, recante «Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b, della legge 6 giugno 2016, n. 106»; l’art. 1 della legge 31 dicembre 2012, n. 233, recante «Equo compenso nel settore giornalistico», in riferimento ai giornalisti autonomi; l’art. 603-bis del codice penale, introdotto dall’art. 12, comma 1, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante «Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo», convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, in tema di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro; l’art. 54-bis, comma 16, del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, recante «Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo», convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 2017, n. 96, in materia di prestazione di lavoro occasionale; l’art. 203, comma 1, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, recante «Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19», convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, in tema di trattamento economico minimo per il personale del trasporto aereo; l’art. 7, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, recante «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria», convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2008, n. 31, in tema di società cooperative e la sentenza di questa Corte n. 51 del 2015).
2.3.4.– La difesa regionale richiama, inoltre, le recenti sentenze della Corte di cassazione che, in giudizi relativi a lavoratori assunti anche da ditte appaltatrici di enti pubblici o società in house, avrebbero riconosciuto il potere del giudice di motivatamente discostarsi dalla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale, quando in contrasto con i criteri di proporzionalità e sufficienza di cui all’art. 36 Cost. (Cass., n. 27713 e n. 27711 del 2023 nonché Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 10 ottobre 2023, n. 28323, n. 28321 e n. 28320 e 2 ottobre 2023, n. 27769). Ancora, la difesa regionale richiama per ampi stralci il parere dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) 19 dicembre 2023, n. 588 reso in sede di precontenzioso, con riferimento alla giurisprudenza amministrativa che avrebbe riconosciuto all’amministrazione il potere di sindacare il CCNL proposto al fine di accertare che il livello stipendiale sia conforme all’art. 36 Cost.
Alla luce degli indicati fattori, legittimamente il legislatore regionale avrebbe fissato una soglia retributiva minima volta a evitare che le imprese che sopportano un costo del lavoro più alto risultino soccombenti e debbano ricorrere contro l’aggiudicazione ad altra impresa risultata maggiormente competitiva per aver applicato un trattamento lesivo del precetto costituzionale.
2.3.5.– Sempre in relazione alla disciplina degli appalti pubblici, la difesa regionale cita l’art. 26 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, che consente alle amministrazioni aggiudicatrici di esigere condizioni particolari, anche di ordine sociale e ambientale, in merito all’esecuzione dell’appalto, purché compatibili con il diritto comunitario e precisate nel bando di gara o nel capitolato d’oneri, disposizione sostanzialmente riprodotta nell’art. 70 della vigente direttiva (UE) 2014/24 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, in cui il riferimento è alle considerazioni economiche, a quelle legate all’innovazione, di ordine ambientale, sociale o relative all’occupazione.
La Corte di giustizia avrebbe ritenuto legittima una normativa regionale che imponeva all’offerente e ai subappaltatori l’impegno a versare un salario minimo al personale (Corte di giustizia dell’Unione europea, quarta sezione, sentenza 17 novembre 2015, causa C-115/14, RegioPost GmbH & Co. KG). Analogamente la disposizione impugnata fisserebbe condizioni rispetto alle quali gli operatori economici resterebbero liberi di scegliere se partecipare alla gara, contemperando in questo modo la libertà di iniziativa economica e la leale concorrenza con i valori sociali.
2.3.6.– La relazione illustrativa al codice dei contratti pubblici redatta dal Consiglio di Stato, d’altra parte, ad avviso della Regione chiarirebbe che l’art. 11, cui rinvia il comma 1 dell’art. 2 della legge reg. Puglia n. 30 del 2024, non impugnato, non parrebbe in contrasto con l’art. 39 Cost., in quanto si limiterebbe a indicare le condizioni contrattuali che l’aggiudicatario deve applicare al personale, ove liberamente scelga di partecipare alla gara, accettando anche di esserne escluso ove se ne discosti.
2.3.7.– La Regione osserva, inoltre, che il quantum della soglia retributiva, nove euro l’ora, non è contestato dal ricorrente, rimanendo estraneo al thema decidendum, e che si tratterebbe in ogni caso di importo già presente in una disposizione statale, l’art. 54-bis, comma 16, del d.l. n. 50 del 2017, come convertito, in tema di contratto di prestazione occasionale.
Sono evocate nel dettaglio, a questo proposito, ulteriori disposizioni nazionali che identificano parametri esterni relativi al versamento della contribuzione minima sui salari da lavoro subordinato nel settore privato e la circolare dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) 20 gennaio 2025, n. 26 sul valore del minimale contributivo legale per l’anno in corso, da cui la difesa regionale desume che l’importo di nove euro l’ora sarebbe rispettoso dei principi di proporzionalità e sufficienza di cui all’art. 36 Cost., assicurando costi certi ai servizi in appalto o in concessione, con conseguente non fondatezza delle censure relative alla violazione degli artt. 36, primo comma, e 39, quarto comma, Cost.
2.4.– Quanto al secondo motivo di ricorso, relativo ai profili competenziali, la Regione ne eccepisce l’inammissibilità e la non fondatezza.
2.4.1.– Il motivo sarebbe inammissibile per erronea identificazione del parametro in quanto l’impugnato art. 2, comma 2, della legge reg. Puglia n. 30 del 2024 afferirebbe alle procedure di gara regionali e non al rapporto di lavoro, dunque alla materia della tutela della concorrenza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., non evocato nel ricorso né negli atti prodromici (si richiama la sentenza di questa Corte n. 4 del 2022).
La materia dell’ordinamento civile rileverebbe, invece, per la fase dell’esecuzione del contratto, sebbene la giurisprudenza di questa Corte abbia ritenuto sussumibile anch’essa nella materia della tutela della concorrenza (si cita la sentenza n. 44 del 2023).
2.4.2.– Il medesimo rilievo, l’estraneità della fase di gara alla materia dell’ordinamento civile, condurrebbe in ogni caso alla non fondatezza, tanto più che la disposizione regionale non avrebbe introdotto alcun livello essenziale di prestazione.
2.4.3.– Per altro profilo, la Regione osserva che, non avendo il ricorrente impugnato il comma 1 dell’art. 2 della stessa legge regionale, resterebbe incontestata la competenza regionale ad adottare una legge che autorizzi la propria amministrazione, e quelle strumentali, a selezionare i contratti collettivi, a mente dell’art. 11 cod. contratti pubblici.
Identiche misure, ad avviso della Regione, potrebbero essere disposte senza intervenire con legge, mediante poteri di indirizzo, controllo e vigilanza (si richiama la sentenza di questa Corte n. 1 del 1960), trattandosi di aspetti riconducibili anche alla competenza residuale regionale in materia di organizzazione di cui all’art. 117, quarto comma, Cost. (si rinvia alla sentenza di questa Corte n. 43 del 2011).
2.4.4.– Non pertinente sarebbe, infine, secondo la difesa regionale, il riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni, concernenti i diritti civili e sociali, per come definiti dall’art. 1, comma 791, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), che avrebbe ripreso la sentenza di questa Corte n. 220 del 2021, e al relativo procedimento di individuazione, come definito nella sentenza di questa Corte n. 192 del 2024, non comprendendosi come la soglia della retribuzione minima da considerarsi nelle procedure di gara sia riconducibile a un livello essenziale di prestazione (LEP).
3.– Con successivo ricorso notificato il 29 gennaio 2025 e depositato in pari data, iscritto al n. 7 del registro ricorsi 2025, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, tra l’altro, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 21 della legge reg. Puglia n. 39 del 2024 pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Puglia, 30 novembre 2024, n. 11 straordinario, per violazione degli artt. 36, primo comma, 39, quarto comma, e 117, secondo comma, lettere l) e m), Cost.
3.1.– L’art. 21 della legge reg. Puglia n. 39 del 2024 modifica l’art. 2, comma 2, della legge reg. Puglia n. 30 del 2024, già oggetto del ricorso iscritto al n. 5 reg. ric. del 2025, sostituendo le parole «un trattamento economico minimo» con le parole «una retribuzione minima tabellare».
Ad avviso del ricorrente, il contenuto precettivo di entrambe le disposizioni sarebbe lo stesso. Il ricorso, pertanto, fa propri e riproduce testualmente i motivi già formulati nel precedente atto di impugnazione.
4.– Con atto depositato il 5 marzo 2025 si è costituita in giudizio la Regione Puglia, in persona del Presidente della Giunta regionale, deducendo l’inammissibilità e, in ogni caso, la non fondatezza in parte qua del ricorso.
4.1.– La Regione eccepisce l’inammissibilità del ricorso, nella parte relativa all’art. 21 della legge reg. Puglia n. 39 del 2024, in quanto la disposizione e i parametri costituzionali sarebbero indicati nella sola relazione del Dipartimento per gli affari regionali e non nella deliberazione del Consiglio dei ministri che autorizza l’impugnazione.
4.2.– Quanto agli altri profili, anche la Regione riprende testualmente tutte le eccezioni di inammissibilità e di non fondatezza già formulate in sede di costituzione nel parallelo giudizio.
5.– Nel giudizio relativo al ricorso iscritto al n. 5 reg. ric. del 2025, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria il 10 ottobre 2025.
5.1.– L’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa regionale non sarebbe fondata in quanto la deliberazione del Consiglio dei ministri sarebbe chiara nel riferire l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge reg. Puglia n. 30 del 2024 «nel testo pubblicato sul B.U.R.P. n. 95 del 25 novembre 2024», sicché i richiami contenuti nel ricorso alla disposizione modificata avrebbero funzione ricostruttiva, senza alterare il perimetro dell’impugnazione. Soltanto se la disciplina originaria non fosse stata impugnata si sarebbe potuto se mai, ad avviso dell’Avvocatura, eccepire l’inammissibilità del successivo ricorso, essendo la disposizione sopravvenuta priva di autonoma portata normativa e identica nella ratio alla precedente. L’impugnazione della disposizione originaria, invece, attesterebbe lo specifico e autonomo interesse al ricorso, poiché «essendo rimasta in vigore nella sua versione originale per il periodo di sette giorni, ha esplicato nell’ordinamento effetti, potenzialmente ancora in atto».
5.2.– Non sarebbe fondata neppure l’eccezione di inammissibilità delle censure relative alla violazione degli artt. 36, primo comma, e 39, quarto comma, Cost., sul presupposto che l’art. 2, comma 2, della legge reg. Puglia n. 30 del 2024 impugnato sarebbe limitato al settore degli appalti.
Secondo l’Avvocatura, i principi di proporzionalità e di sufficienza costituirebbero «due facce ricomposte in una nozione unitaria di retribuzione», l’una con funzione corrispettiva, in relazione al sinallagma contrattuale, l’altra con funzione sociale, in relazione al valore del lavoro nella Costituzione repubblicana (si richiama la sentenza di questa Corte n. 559 del 1987).
Sia nella giurisprudenza di merito, che nella giurisprudenza di legittimità, con le citate sentenze del 2023, il sindacato sulla «adeguatezza» della retribuzione ex art. 36 Cost. opererebbe in giudizi individuali, sul singolo rapporto di lavoro. Gli artt. 36, primo comma, e 39, quarto comma, Cost., infatti, per il loro stesso tenore testuale, escluderebbero «la normativizzazione del parametro minimo salariale», così come l’attribuzione di efficacia erga omnes alla regolazione collettiva, con aggiramento del meccanismo mai inveratosi dell’art. 39 Cost. (si richiama la sentenza di questa Corte n. 51 del 2015). Non troverebbe giustificazione, pertanto, un potere regionale di etero-determinazione numerica di minimi salariali legali, né sarebbe dirimente la deduzione regionale per cui la disposizione impugnata si limiterebbe a individuare per legge i requisiti di partecipazione alle gare, dal momento che essa interverrebbe in un intero settore lavorativo sotto il profilo salariale, comprimendo l’autonomia della contrattazione collettiva.
5.2.1.– Ad avviso dell’Avvocatura, inoltre, la direttiva 2022/2041/UE, in conformità all’art. 153, paragrafo 5, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, non obbligherebbe gli Stati a introdurre un salario minimo legale; il sistema italiano basato sulla contrattazione collettiva e sull’art. 36 Cost. (retribuzione proporzionata e sufficiente) sarebbe compatibile con la direttiva, mentre una legge regionale che introducesse un salario minimo si porrebbe in contrasto con i parametri costituzionali e, nel metodo, con il diritto dell’Unione.
La sentenza RegioPost della Corte di giustizia, d’altra parte, confermerebbe che spetta alla dimensione interna dei singoli Stati il modo di determinazione del salario adeguato, derivante in Italia dal combinato disposto degli artt. 36 e 39 Cost., dimostrando anzi che la previsione controversa attiene alla più ampia disciplina del trattamento salariale.
5.2.2.– Sotto altro profilo, la fissazione di un parametro numerico minimo (e non di adeguatezza) renderebbe evidente che la disposizione impugnata non si limiterebbe a incentivare l’adozione di condizioni non inferiori a quelle previste nei contratti collettivi attraverso l’accesso al beneficio del contratto pubblico, ma imporrebbe un trattamento economico minimo in un intero settore rilevante della contrattualistica regionale.
5.2.3.– Non sarebbe, per altro verso, dirimente il richiamo alla relazione illustrativa al codice dei contratti pubblici. L’art. 11 del medesimo codice predisporrebbe un modello di rinvio alla contrattazione collettiva qualificata rimesso alla singola stazione appaltante, con poteri di verifica di equivalenza e possibilità di sindacato sull’idoneità del CCNL, senza introdurre alcuna base numerica; la disposizione impugnata, invece, provocherebbe lo spostamento della fonte dell’obbligo giuridicamente vincolante e del suo quantum «dalla contrattazione (con annesso controllo di adeguatezza) al precetto legislativo regionale», intervenendo in maniera penetrante sulla disciplina del lavoro alle dipendenze di operatori economici privati, in specie nel settore della sanità regionale.
5.3.– Quanto al secondo motivo di ricorso, l’eccezione di inammissibilità per erronea individuazione del parametro non sarebbe fondata in quanto la qualificazione della norma come «mera condizione di gara» o come «profilo organizzativo» non muterebbe la natura sostanziale dell’intervento, consistente nel «fissare un quantum retributivo rigido che incide su istituti civilistici».
6.– In data 14 ottobre 2025, nel giudizio iscritto al n. 5 del registro ricorsi 2025, ha depositato memoria la Regione Puglia.
Nel ribadire gli argomenti già spesi a sostegno dell’inammissibilità e della non fondatezza delle questioni, la Regione dà conto dell’intervenuta entrata in vigore della legge 26 settembre 2025, n. 144 (Deleghe al Governo in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva nonché di procedure di controllo e informazione) per ribadire che il legislatore regionale non avrebbe introdotto una soglia di salario minimo applicabile a tutti i contratti di lavoro, non avendo competenza per farlo, ma avrebbe previsto un minimo tabellare per le sole procedure di evidenza pubblica regionali.
7.– Il 15 ottobre 2025 la Regione Puglia ha depositato memoria anche nel giudizio iscritto al n. 7 del registro ricorsi 2025, insistendo per l’accoglimento delle eccezioni di rito e di merito già dedotte e dando conto, anche in questo giudizio, della non interferenza della disposizione regionale impugnata con la sopravvenuta legge n. 144 del 2025.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, con il ricorso iscritto al n. 5 del registro ricorsi 2025, l’art. 2, comma 2, della legge reg. Puglia n. 30 del 2024, in riferimento agli artt. 36, primo comma, 39, quarto comma, e 117, secondo comma, lettere l) e m), Cost.
La disposizione stabilisce che la Regione e gli enti strumentali indicati nel comma 1 dell’art. 2, non impugnato, «verificano che i contratti indicati nelle procedure di gara prevedano un trattamento economico minimo inderogabile pari a nove euro l’ora».
La disposizione violerebbe l’art. 36, primo comma, Cost., in quanto l’ordinamento non prevederebbe un salario minimo stabilito dalla legge o da altre disposizioni giuridiche vincolanti; violerebbe, altresì, gli artt. 36, primo comma, e 39, quarto comma, Cost., poiché si porrebbe in contrasto con i parametri costituzionali posti a presidio dell’autonomia della contrattazione collettiva; l’art. 117, secondo comma, Cost. alle lettere l), atteso che la disciplina delle retribuzioni nei rapporti di lavoro, sia pubblico che privato, sarebbe ascrivibile alla materia dell’ordinamento civile, e m), che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, per le esigenze di uniformità ed eguaglianza che permeano la disciplina del contratto di lavoro.
2.– Con separato ricorso, iscritto al n. 7 del registro ricorsi 2025, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, tra l’altro, l’art. 21 della legge reg. Puglia n. 39 del 2024, che ha modificato l’art. 2, comma 2, della legge reg. Puglia n. 30 del 2024, stabilendo che «le parole “un trattamento economico minimo” sono sostituite dalle seguenti: “una retribuzione minima tabellare”».
3.– Attesa la sostanziale identità delle questioni, i ricorsi meritano di essere riuniti e decisi con un’unica sentenza.
Restano riservate a separata decisione le restanti questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso iscritto al n. 7 del registro ricorsi 2025.
4.– Preliminarmente occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso iscritto al n. 5 reg. ric. del 2025 sollevata dalla difesa regionale per mancanza di corrispondenza tra la disposizione impugnata e quella oggetto dell’autorizzazione governativa.
4.1.– L’eccezione non è fondata.
Per costante giurisprudenza di questa Corte nei giudizi in via principale deve sussistere una «piena e necessaria corrispondenza tra la deliberazione con cui l’organo legittimato si determina all’impugnazione ed il contenuto del ricorso, attesa la natura politica dell’atto d’impugnazione» (tra le molte, sentenze n. 161 del 2025 e n. 142 del 2024).
La deliberazione del Consiglio dei ministri alla base del ricorso iscritto al n. 5 reg. ric. del 2025, adottata nella seduta del 23 gennaio 2025, indica come oggetto dell’impugnazione la legge reg. Puglia n. 30 del 2024, di cui sono indicati il titolo «Tutela della retribuzione minima salariale nei contratti della Regione Puglia» e la pubblicazione nel B.U.R. Puglia n. 95 del 2024. Le conclusioni del ricorso chiedono che l’illegittimità costituzionale sia dichiarata nei confronti dell’art. 2, comma 2, della legge reg. Puglia n. 30 del 2024, anche in questo caso con riferimento al titolo della legge e alla pubblicazione nel B.U.R., sicché per questo aspetto la deliberazione governativa e il ricorso coincidono.
4.2.– La difesa regionale rileva, inoltre, che nella parte motiva il ricorso, riprendendo la relazione ministeriale allegata alla deliberazione governativa, dà immediatamente atto della sopravvenuta modifica dell’art. 2, comma 2, e pure adotta indistintamente le espressioni «trattamento economico minimo» e «retribuzione minima tabellare» relative alla versione originaria e alla versione modificata della disposizione, con conseguente inammissibilità del ricorso per questa specifica ragione.
4.2.1.– Anche per questo profilo l’eccezione non è fondata.
È dirimente il rilievo che, con deliberazione adottata nella medesima seduta del 23 gennaio 2025, il Consiglio dei ministri ha autorizzato l’impugnazione con distinto e autonomo atto della legge reg. Puglia n. 39 del 2024, indicata mediante il titolo «Disposizioni di carattere finanziario e diverse. Variazione al Bilancio di Previsione per l’esercizio finanziario 2024 e pluriennale 2024-2026» e la pubblicazione nel B.U.R. Puglia 30 novembre 2024, n. 11. Questa legge, e in parte qua il suo art. 21, che ha modificato l’art. 2, comma 2, della legge reg. Puglia n. 30 del 2024, è oggetto del ricorso iscritto al n. 7 reg. ric. del 2025.
Le due deliberazioni di autorizzazione governativa, adottate nella stessa data e riferite distintamente alle due leggi regionali, rendono chiara la volontà del Governo di impugnare sia il testo originario dell’art. 2, comma 2, recante l’espressione «trattamento economico minimo» – oggetto del ricorso iscritto al n. 5 reg. ric. del 2025 – sia il testo risultante dalla modifica introdotta dall’art. 21 della legge reg. Puglia n. 39 del 2024, relativo alla «retribuzione minima tabellare» – oggetto del ricorso iscritto al n. 7 del medesimo registro.
Risulta condivisibile, pertanto, l’assunto dell’Avvocatura generale, svolto nella memoria difensiva, secondo cui, nel ricorso avverso la originaria formulazione dell’art. 2, comma 2, della legge reg. Puglia n. 30 del 2024, il riferimento alla disciplina sopravvenuta ha una funzione meramente ricostruttiva e non altera il perimetro dell’impugnazione concernente la disposizione originaria.
5.– La Regione Puglia ha eccepito anche l’inammissibilità del ricorso iscritto al n. 7 reg. ric. del 2025 perché la disposizione impugnata e i parametri costituzionali non sarebbero indicati nella deliberazione del Consiglio dei ministri, ma soltanto nella allegata relazione del Dipartimento per gli affari regionali.
5.1.– L’eccezione non è fondata.
La deliberazione del Consiglio dei ministri indica che la legge reg. Puglia n. 39 del 2024 è impugnata «secondo i termini e le motivazioni di cui all’allegata relazione». L’allegata relazione puntualmente identifica le disposizioni impugnate – l’art. 21 della legge reg. Puglia n. 39 del 2024 e, dunque, il testo come modificato dell’art. 2, comma 2, della legge reg. Puglia n. 30 del 2024 – e i relativi parametri. Non sussiste, dunque, il vizio lamentato dalla difesa regionale.
6.– Può procedersi, pertanto, all’esame contestuale delle questioni promosse nei confronti dell’art. 2, comma 2, della legge reg. Puglia n. 30 del 2024 sia nella versione originaria, sia nella versione modificata.
6.1.– Conviene premettere un inquadramento normativo della disposizione impugnata.
L’art. 2 è contenuto in una legge composta da due soli articoli, il cui titolo è «Tutela della retribuzione minima salariale nei contratti della Regione Puglia». L’art. 2 è rubricato «Procedure di gara». Il comma 1, non impugnato, prevede che: «La Regione Puglia, le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere, le Sanitaservice, le agenzie regionali e tutti gli enti strumentali regionali indicano in tutte le procedure di gara, in coerenza con quanto previsto all’articolo 11 del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 (Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici), che al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni sia applicato il contratto collettivo maggiormente attinente alla attività svolta, stipulato dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, salvo restando i trattamenti di miglior favore».
Il comma 2, unico impugnato, stabilisce nella versione originaria: «I soggetti di cui al comma 1 verificano che i contratti indicati nelle procedure di gara prevedano un trattamento economico minimo inderogabile pari a nove euro l’ora». Per effetto della modifica introdotta dall’art. 21 della legge reg. Puglia n. 39 del 2024, le parole «un trattamento economico minimo» sono state sostituite dalle parole «una retribuzione minima tabellare».
I commi 3 e 4 dell’art. 2, anch’essi non impugnati, disciplinano la facoltà degli operatori economici di applicare un diverso contratto collettivo, da dichiararsi in sede di offerta, l’obbligo delle stazioni appaltanti, ai sensi dell’art. 11 cod. contratti pubblici, di verificare che tale contratto garantisca ai dipendenti le medesime tutele e i criteri del giudizio di equivalenza.
6.2.– Quanto all’ambito oggettivo di applicazione, risulta dalla rubrica e dal tenore testuale dell’intero articolo che l’impugnato comma 2 è destinato a trovare applicazione nelle procedure di evidenza pubblica bandite dall’amministrazione regionale e dagli enti strumentali. La disposizione, in particolare, nel porre in capo alle stazioni appaltanti l’obbligo di verifica di una soglia retributiva minima, detta un criterio di selezione del contratto collettivo che le stazioni appaltanti sono chiamate a indicare negli atti di gara, fermo restando il potere dell’operatore economico di indicare un diverso contratto collettivo che garantisca tutele equivalenti.
L’art. 2, comma 2, della legge reg. Puglia n. 30 del 2024, pertanto, in entrambe le versioni controverse, non introduce un obbligo generalizzato di retribuzione minima che si imponga direttamente a tutti i contratti di lavoro privato subordinato posti in essere nel territorio regionale, ma ha un ambito di applicazione circoscritto agli appalti pubblici e alle concessioni affidati dalla Regione e dai suoi enti strumentali.
6.3.– Quanto alle finalità della disciplina, risulta dai lavori preparatori che la Regione Puglia, con una serie di interventi normativi, ha inteso porre norme volte ad assicurare condizioni di lavoro dignitose e a garantire i diritti dei lavoratori.
La legge reg. Puglia n. 30 del 2024, in particolare, vorrebbe contrastare il dumping contrattuale, alimentato dalla coesistenza di molteplici contratti collettivi in uno stesso settore, spesso sottoscritti da soggetti poco o per nulla rappresentativi, che finirebbe per favorire il cosiddetto “lavoro povero”, consentendo un confronto concorrenziale fondato sulle retribuzioni più basse, a discapito delle tutele del lavoro e della qualità dell’offerta (sul tema, si veda la sentenza n. 156 del 2025, nonché Cass., sez. lavoro, n. 28323, n. 28321, n. 28320, n. 27769, n. 27713 e n. 27711 del 2023).
6.3.1.– La stessa direttiva 2022/2041/UE relativa ai salari minimi adeguati nell’Unione europea (il cui recepimento è stato avviato dalla legge 21 febbraio 2024, n. 15, recante «Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea - Legge di delegazione europea 2022-2023») riconosce che negli ultimi decenni le strutture tradizionali di contrattazione collettiva si sono indebolite a causa, tra l’altro, di spostamenti strutturali dell’economia verso settori meno sindacalizzati e del calo delle adesioni ai sindacati, anche come conseguenza di attività antisindacali e dell’aumento delle forme di lavoro precarie e atipiche (considerando n. 16). Nel fare esplicitamente salva la scelta degli Stati membri, in conformità alle proprie tradizioni, di prevedere salari minimi per legge, per contrattazione collettiva o mediante entrambi (art. 1, paragrafi 3 e 4; considerando n. 12 e n. 19), la direttiva istituisce un quadro di azioni volte a garantire l’adeguatezza dei salari minimi legali, ove previsti, la promozione della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari e il miglioramento dell’accesso effettivo dei lavoratori al diritto alla tutela garantita dal salario minimo ove previsto dal diritto nazionale e/o dai contratti collettivi (art. 1, paragrafo 1).
Recentemente, è intervenuta la sentenza della Corte di giustizia, grande sezione, 11 novembre 2025, causa C-19/23, Regno di Danimarca contro Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione europea, che ha rigettato la domanda di annullamento integrale della citata direttiva, mentre ha annullato singole frazioni normative contenute nell’art. 5, relativo alle procedure per la determinazione dei salari minimi legali adeguati, in quanto ritenute un’ingerenza diretta nella determinazione delle retribuzioni, in violazione della esclusione di competenza dell’Unione di cui all’art. 153, paragrafo 5, TFUE.
6.4.– In questo quadro normativo si inserisce la legge reg. Puglia n. 30 del 2024.
Alla luce del tenore testuale e delle sue finalità, essa è ascrivibile al cosiddetto uso “strategico” dei contratti pubblici, ossia la previsione, nelle procedure di evidenza pubblica, di condizioni volte alla realizzazione di obiettivi sociali, tra cui la tutela dei lavoratori, che sono ulteriori rispetto alle finalità proprie dei contratti stessi (sentenza n. 4 del 2022).
6.5.– Le direttive di settore dell’Unione europea, nelle diverse fasi della loro evoluzione, hanno previsto la possibilità per le stazioni appaltanti di considerare fattori di ordine sociale e ambientale nelle procedure di evidenza pubblica attraverso l’inserimento negli atti di gara di “clausole sociali”.
Anche la già richiamata direttiva 2022/2041/UE riconosce il ruolo fondamentale dei contratti pubblici per l’attuazione efficace della tutela del salario minimo, sia esso previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva (considerando n. 31 e art. 9, rubricato «Appalti pubblici»).
6.6.– Il legislatore statale ha da tempo recepito e fatto proprio l’uso “strategico” dei contratti pubblici di matrice europea attraverso istituti volti a contemperare la libertà di iniziativa economica degli operatori privati, nell’ottica di favorire la concorrenza per il mercato (ancora, sentenza n. 4 del 2022), e il perseguimento di obiettivi di politica sociale, di tutela dei lavoratori, di sostegno al reddito e alle imprese (da ultimo, sentenza n. 80 del 2025).
È espressione di questo orientamento l’art. 11 cod. contratti pubblici che, in attuazione dell’art. 1, comma 2, lettera h), della legge 21 giugno 2022, n. 78 (Delega al Governo in materia di contratti pubblici), ha introdotto, tra i principi generali del codice, l’obbligo delle stazioni appaltanti di indicare nei bandi o inviti il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione.
6.7.– Dopo l’entrata in vigore delle disposizioni regionali controverse, l’art. 11 cod. contratti pubblici è stato modificato dall’art. 2 del d.lgs. n. 209 del 2024, il cui art. 73 ha contestualmente introdotto un apposito Allegato I.01 al codice, espressamente richiamato nell’art. 11 e recante criteri per la scelta del CCNL applicabile e per il giudizio di equivalenza che le stazioni appaltanti sono chiamate a svolgere.
Il legislatore statale, inoltre, è intervenuto con la legge n. 144 del 2025 con l’obiettivo di dare attuazione al diritto a una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost. (art. 1), dettando principi e criteri direttivi relativi anche ai trattamenti economici complessivi minimi negli appalti di servizi (art. 1, comma 2, lettera b).
6.8.– La conformità dell’art. 2, comma 2, della legge reg. Puglia n. 30 del 2024 all’art. 11 cod. contatti pubblici non è oggetto di contestazione e resta estranea al presente giudizio. I rinvii operati all’art. 11 del medesimo codice nei commi 1 e 3 della disposizione regionale, tuttavia, rilevano ai fini del corretto inquadramento della fattispecie normativa, che è indubbiamente circoscritto all’alveo degli appalti pubblici e delle concessioni. Vengono in gioco, pertanto, l’insieme dei beni e degli interessi di rango costituzionale e unionale sottesi al sistema dei contratti pubblici, tra cui, in relazione alla disciplina di cui è causa, la libertà degli operatori economici di decidere se partecipare alla procedura di evidenza pubblica e, per coloro che si siano determinati a presentare un’offerta, la possibilità di optare per un diverso contratto collettivo, se pure condizionato al giudizio di equivalenza.
7.– Ricostruito l’ambito di applicazione della disposizione impugnata, può procedersi all’esame delle singole questioni.
7.1.– Con il primo motivo di ricorso, l’art. 2, comma 2, della legge reg. Puglia n. 30 del 2024 è impugnato per violazione dell’art. 36, primo comma, Cost.
La Regione ha eccepito l’inammissibilità della questione per difetto di motivazione e per inconferenza del parametro, in quanto la disposizione non stabilirebbe un principio generale, ma soltanto un requisito relativo alle procedure di gara regionali.
7.2.– L’eccezione è fondata per entrambi i profili.
Costituisce principio costante della giurisprudenza di questa Corte quello per cui «l’esigenza di un’adeguata motivazione a fondamento dell’impugnazione si pone in termini rigorosi nei giudizi proposti in via principale, nei quali il ricorrente ha l’onere non soltanto di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali denuncia la violazione, ma anche di suffragare le ragioni del dedotto contrasto con argomentazioni chiare, complete e sufficientemente articolate», per cui «il ricorrente deve proporre una motivazione che non sia meramente assertiva ma contenga una specifica e congrua indicazione delle ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con i parametri evocati, con il sostegno di una sintetica argomentazione di merito» (sentenze n. 136, n. 126, n. 106 e n. 28 del 2025).
Il ricorrente si limita a dedurre che l’ordinamento non prevede un salario minimo stabilito dalla legge o da altre disposizioni giuridiche vincolanti. Si tratta di una affermazione assertiva, dal momento che il ricorrente non chiarisce perché la previsione di una soglia minima retributiva dovrebbe porsi in contrasto con i principi di sufficienza e di proporzionalità della retribuzione garantiti dall’art. 36, primo comma, Cost., né si esprime sull’incidenza di tale soglia quale criterio di selezione del contratto collettivo applicabile all’appalto o alla concessione, dunque in relazione allo specifico assetto degli interessi che connota l’ambito delle procedure di evidenza pubblica.
La questione relativa alla violazione dell’art. 36, primo comma, Cost., pertanto, è inammissibile.
8.– Sempre con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta un contrasto con gli artt. 36, primo comma, e 39, quarto comma, Cost., per violazione dei principi costituzionali posti a presidio dell’autonomia della contrattazione collettiva.
Anche di questa questione la difesa regionale eccepisce l’inammissibilità, in quanto la censura sarebbe «oscura» e generica nella motivazione.
8.1.– L’eccezione è fondata per ragioni analoghe a quelle già menzionate.
Il ricorso assume l’erronea prospettiva dell’incidenza imperativa e cogente della disposizione regionale sulla generalità dei rapporti di lavoro privato subordinato o comunque sull’intera fascia del mercato del lavoro coperta dalla contrattualistica pubblica regionale, ma non affronta i profili della compatibilità o meno con gli evocati parametri della fissazione di una soglia minima retributiva quale criterio per la selezione del CCNL applicabile in sede di gara, omettendo ogni considerazione sia sugli obblighi delle stazioni appaltanti, sia sulle facoltà degli operatori economici.
La questione relativa alla violazione degli artt. 36, primo comma, e 39, quarto comma, Cost., pertanto, è inammissibile.
9.– Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Secondo il ricorrente, ogni norma che disciplina il contratto, inteso come fonte regolatrice del rapporto di lavoro subordinato, rientra nella materia dell’ordinamento civile, riservata alla potestà legislativa esclusiva statale, per cui la previsione di una soglia salariale di riferimento determinerebbe un intervento nella disciplina del lavoro privato subordinato sottratta al legislatore regionale (si richiama la sentenza di questa Corte n. 50 del 2005).
La Regione eccepisce l’inammissibilità della questione per erronea individuazione del parametro costituzionale, che avrebbe se mai dovuto essere l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che riserva alla competenza esclusiva statale la materia della tutela della concorrenza, sempre a motivo che la disposizione controversa circoscrive la sua incidenza al solo ambito dei contratti pubblici regionali.
9.1.– L’eccezione merita di essere accolta.
La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che le disposizioni del codice dei contratti pubblici che riguardano la scelta del contraente (le procedure di affidamento) sono riconducibili alla tutela della concorrenza (tra le tante, sentenze n. 80 del 2025 e n. 174 del 2024).
È pacifico, inoltre, che la disciplina dei contratti pubblici comprende anche profili essenziali del diritto dei contratti relativi alle fasi di conclusione ed esecuzione dell’appalto (sentenze n. 79 del 2023 e n. 23 del 2022). Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’attrazione di una disposizione nell’area del diritto privato dipende dall’oggetto e dal contenuto della norma, dalla sua ratio e dalla finalità che persegue, mentre non è di per sé dirimente il coinvolgimento di istituti disciplinati dal codice civile. Proprio con riferimento al contratto pubblico d’appalto sono stati ravvisati aspetti di specialità rispetto a quanto previsto dal codice civile, relativi alla fase di stipulazione e di esecuzione del contratto, che non costituiscono tuttavia un ostacolo al riconoscimento della competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (sentenza n. 132 del 2023).
In più occasioni, d’altra parte, questa Corte si è occupata di istituti di diritto privato correlati all’esecuzione del contratto di appalto che assumono rilievo sin dalla fase di gara, in quanto contribuiscono a definire le condizioni di parità di accesso degli operatori economici (sentenza n. 79 del 2023) e sono ispirati a un principio di continuità che deve sussistere lungo l’intera fase procedimentale, dalla predisposizione dei meccanismi di selezione del contraente, all’aggiudicazione del contratto e alla sua esecuzione, a garanzia del fatto che le imprese, nella fase di esecuzione, si mantengano in possesso di requisiti già emersi in condizione di par condicio nella fase di gara, spesso proprio con riferimento a obblighi connessi alla tutela dei lavoratori (sentenza n. 44 del 2023).
9.2.– Nel caso di specie, tuttavia, come già evidenziato, il ricorrente prospetta una violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile senza considerare che la disciplina regionale impugnata afferisce alla sfera dei contratti pubblici. L’errore di prospettiva in cui incorre il ricorrente nel ricostruire la fattispecie normativa, come se si trattasse di una disciplina imperativa di portata generale applicabile a tutti i contratti di lavoro privato subordinato, si riflette nel fatto che non è dedotto alcun profilo di censura con riferimento all’assetto dei beni e degli interessi, connessi alla tutela della concorrenza e all’ordinamento civile, che assumono consistenza nello specifico settore dei contratti pubblici. Non è sufficiente, da questo punto di vista, la prospettazione di una generalizzata interferenza con l’attività negoziale, che non dia conto delle peculiari condizioni in cui tale interferenza opera nelle procedure di evidenza pubblica.
La questione relativa alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. pertanto, è inammissibile.
9.3.– Quanto ai riflessi concorrenziali della disciplina, nessun rilievo può assumere l’inciso, appena accennato dal ricorrente, secondo cui l’intervento regionale sarebbe «limitativo della libera concorrenza tra gli operatori economici». L’inciso è formulato in entrambi i ricorsi in seno al primo motivo, relativo ai parametri costituzionali sostanziali, artt. 36, primo comma, e 39, quarto comma, Cost., e non al secondo motivo, relativo ai profili competenziali; è sprovvisto del relativo parametro e del tutto privo di motivazione, sicché appare inidoneo a fondare una autonoma questione di legittimità costituzionale.
Resta impregiudicata ogni valutazione di merito in ordine ai profili competenziali attinenti alla tutela della concorrenza e all’ordinamento civile non dedotti nei presenti ricorsi.
10.– Anche la questione relativa al contrasto dell’art. 2, comma 2, della legge reg. Puglia n. 30 del 2024 con l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., dedotta con il secondo motivo di ricorso, è inammissibile.
Il ricorrente si limita ad affermare assertivamente che la disciplina del contratto di lavoro è fortemente permeata da esigenze di uniformità ed eguaglianza che giustificano la potestà legislativa esclusiva statale anche ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., ma non chiarisce in alcun modo perché e in che modo si realizzerebbe il preteso vulnus, incorrendo in un difetto assoluto di motivazione.
Anche la questione relativa alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., pertanto, è inammissibile.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separata pronuncia la decisione dell’ulteriore questione di legittimità costituzionale promossa con il ricorso n. 7 del registro ricorsi 2025;
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge della Regione Puglia 21 novembre 2024, n. 30 (Tutela della retribuzione minima salariale nei contratti della Regione Puglia), promosse, in riferimento agli artt. 36, primo comma, 39, quarto comma, e 117, secondo comma, lettere l) e m), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 21 della legge della Regione Puglia 29 novembre 2024, n. 39 (Disposizioni di carattere finanziario e diverse. Variazione al Bilancio di Previsione per l’esercizio finanziario 2024 e pluriennale 2024-2026), promosse, in riferimento agli artt. 36, primo comma, 39, quarto comma, e 117, secondo comma, lettere l) e m), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Stefano PETITTI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 16 dicembre 2025
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA