Sentenza  187/2025 (ECLI:IT:COST:2025:187) Comunicato
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMOROSO - Redattrice:  SANDULLI M. A.
Camera di Consiglio del 03/11/2025;    Decisione  del 03/11/2025
Deposito del 16/12/2025;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  Art. 13, c. 3° quater, del decreto legislativo 25/07/1998, n. 286.
Massime: 
Atti decisi: ord. 80/2025

Pronuncia

SENTENZA N. 187

ANNO 2025

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, nel procedimento penale a carico di L. G., con ordinanza del 24 marzo 2025, iscritta al n. 80 del registro ordinanze 2025 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2025.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udita nella camera di consiglio del 3 novembre 2025 la Giudice relatrice Maria Alessandra Sandulli;

deliberato nella camera di consiglio del 3 novembre 2025.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 24 marzo 2025, iscritta al n. 80 del registro ordinanze 2025, il Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 13, comma 3-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), a norma del quale «[n]ei casi previsti dai commi 3, 3-bis e 3-ter, il giudice, acquisita la prova dell’avvenuta espulsione, se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere».

In particolare, il rimettente dubita della legittimità costituzionale della suddetta disposizione «nella parte in cui non prevede che, nei casi di decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 429 c.p.p., il giudice possa rilevare, anche d’ufficio, che l’espulsione dell’imputato straniero è stata eseguita prima che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio e che ricorrono tutte le condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere», o, in subordine, «nella parte in cui non prevede che, nei casi di decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 429 c.p.p. per reati che di per sé consentirebbero la citazione diretta a giudizio, il giudice possa rilevare, anche d’ufficio, che l’espulsione dell’imputato straniero è stata eseguita prima che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio e che ricorrono tutte le condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere».

2.– Premette nello specifico di essere chiamato a giudicare sulla responsabilità di un cittadino straniero, imputato del reato di furto in abitazione, previsto dall’art. 624-bis del codice penale, in seguito a decreto che dispone il giudizio emesso dal Giudice dell’udienza preliminare ai sensi dell’art. 429 del codice di procedura penale. Espone, in particolare, l’ordinanza che, all’esito di verifiche effettuate prima dell’apertura del dibattimento, era emerso che l’imputato, rimasto assente all’udienza preliminare svoltasi il 14 maggio 2024, era stato in realtà espulso dal territorio nazionale in forza di provvedimento del 15 novembre 2023, emesso dal Prefetto di Roma ai sensi dell’art. 13 t.u. immigrazione e portato a esecuzione il successivo 8 gennaio 2024, con accompagnamento dello straniero alla frontiera aerea e successivo imbarco su un volo per il Paese di origine.

Riferisce, ancora, il rimettente che, «prima di dare corso all’espulsione, la Questura di Roma – rilevato nella banca dati interforze SDI che a carico del predetto pendeva un (diverso) procedimento presso la Procura di Roma – con nota del 15.11.2023 domandava alla stessa Procura di Roma il nulla osta previsto dall’art. 13 co. 3 d.lgs. 286/1998; non risulta viceversa che la Questura procedente abbia né rilevato la pendenza del presente procedimento […] né conseguentemente richiesto all’autorità giudiziaria fiorentina il previsto nulla osta».

Quindi, l’esecuzione dell’espulsione era avvenuta prima dell’emissione del provvedimento che dispone il giudizio e, di conseguenza, la difesa dell’imputato aveva chiesto l’emissione di sentenza di non luogo a procedere, in applicazione dell’art. 13, comma 3-quater, t.u. immigrazione, cui si era però opposto il pubblico ministero.

3.– Quanto alla rilevanza, il giudice a quo osserva che, qualora la questione non fosse accolta, l’imputato, pur essendo stato espulso con provvedimento prefettizio eseguito prima dell’udienza preliminare, non potrebbe beneficiare della speciale declaratoria di improcedibilità dell’azione penale rispetto alla prosecuzione del processo a suo carico poiché, secondo la giurisprudenza di legittimità, la sentenza di non luogo a procedere a seguito di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato non può essere pronunciata una volta che sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio o altro provvedimento equipollente.

Il rimettente richiama, altresì, la sentenza n. 270 del 2019, con la quale questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del medesimo art. 13, comma 3-quater, t.u. immigrazione «nella parte in cui non prevede[va] che, nei casi di decreto di citazione diretta a giudizio ai sensi dell’art. 550 del codice di procedura penale, il giudice [potesse] rilevare, anche d’ufficio, che l’espulsione dell’imputato straniero [era] stata eseguita prima che [fosse] stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio e che ricorr[eva]no tutte le condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere». Inoltre, per il caso in cui non sia stato richiesto il nulla osta (come nel caso di specie), richiama la medesima sentenza, laddove afferma che «non di meno può il giudice – per il rispetto che richiede il principio di eguaglianza – verificare che sussistevano le condizioni perché il nulla osta potesse essere assentito, in particolare con riferimento all’interesse della persona offesa». E osserva che, tuttavia, neanche tale pronuncia gli consentirebbe di emettere una sentenza di non luogo a procedere, poiché, nel caso di specie, pur risultando contestato il solo reato previsto dall’art. 624-bis cod. pen., per il quale la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che si proceda con citazione diretta a giudizio, il pubblico ministero aveva esercitato l’azione penale mediante richiesta di rinvio a giudizio e si era tenuta l’udienza preliminare, con conseguente adozione del decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 429 cod. proc. pen.

4.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente, esclusa la possibilità di addivenire a un’interpretazione costituzionalmente orientata, stante il tenore letterale della norma e la costante giurisprudenza di legittimità, ravvisa una sostanziale analogia tra la questione in esame e quella già affrontata e decisa da questa Corte con la citata sentenza n. 270 del 2019 in riferimento ai processi avviati con citazione diretta. Entrambe le fattispecie, infatti, avrebbero, a suo avviso, il «decisivo elemento comune costituito dall’esecuzione dell’espulsione prima dell’emissione del provvedimento che dispone il giudizio», sia esso adottato direttamente dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 550 cod. proc. pen., sia esso adottato dal Giudice dell’udienza preliminare ai sensi dell’art. 429 cod. proc. pen., a seconda della tipologia di reato contestato. Non parrebbe, dunque, giustificabile un trattamento differenziato delle suddette fattispecie in ordine alla rilevabilità della condizione di improcedibilità sopravvenuta ex art. 13, comma 3-quater, t.u. immigrazione, legato esclusivamente alla diversa forma di esercizio dell’azione penale.

5.– Il rimettente chiede, pertanto, che venga rimosso dalla norma censurata «l’impedimento testuale, costituito dalla già intervenuta emissione del decreto che dispone il giudizio», cosicché esso giudice «potrà – eventualmente anche d’ufficio – rilevare che l’espulsione dell’imputato è stata eseguita prima dell’emissione del decreto che dispone il giudizio e che ricorrono le ulteriori condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere». In subordine, chiede che «alla citata conclusione si [possa] giungere quanto meno nelle ipotesi in cui – per errore o per le più varie ragioni – si sia proceduto con richiesta di rinvio a giudizio e udienza preliminare in relazione a reati per i quali sarebbe stata possibile l’emissione del decreto di citazione diretta a giudizio».

6.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione fosse dichiarata inammissibile o non fondata.

Ad avviso dell’interveniente, la questione sarebbe inammissibile, essendo stata censurata una norma che non potrebbe trovare comunque applicazione nel caso concreto. Osserva, a tale proposito, la difesa statale che, per costante giurisprudenza della Corte di cassazione, la causa di non procedibilità prevista dall’art. 13, comma 3-quater, t.u. immigrazione trova applicazione solo nel procedimento avente a oggetto il medesimo fatto all’esito del quale l’espulsione è stata disposta ed eseguita, non precludendo l’inizio di altri procedimenti penali per fatti eventualmente commessi dallo straniero prima dell’avvenuta espulsione (si cita Corte di cassazione, seconda sezione penale, sentenza 31 maggio-26 giugno 2018, n. 29396). Il giudice a quo avrebbe invece omesso di confrontarsi con il suesposto orientamento, seppur influente sulla rilevanza della prospettata questione atteso che il procedimento a quo attiene a un fatto di reato diverso da quello in relazione al quale è stata disposta ed eseguita l’espulsione.

L’Avvocatura generale aggiunge, inoltre, che la questione, in ogni caso, non sarebbe fondata, poiché, ove accolta, determinerebbe la generalizzata applicabilità dell’istituto previsto dall’art. 13, comma 3-quater, t.u. immigrazione per qualsiasi fatto, anche di particolare gravità, precedentemente commesso, con un esito di evidente irragionevolezza. Rimarca, a tale riguardo, che la citata sentenza n. 270 del 2019 ha individuato la ratio della norma nella necessità di bilanciare «l’esigenza di limitare il rientro dell’immigrato irregolare nel territorio dello Stato una volta che l’espulsione è stata eseguita […] e la necessità che i reati commessi dallo straniero nel territorio dello Stato siano puniti». Ma osserva che non potrebbe escludersi, in via generalizzata, l’interesse dello Stato a esercitare la pretesa punitiva nei confronti dello straniero per fatti diversi e ulteriori, rispetto a quello per cui l’espulsione è stata disposta ed eseguita.

Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 80 del 2025), il Tribunale di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, dubita della legittimità costituzionale – in riferimento all’art. 3 Cost. – dell’art. 13, comma 3-quater, t.u. immigrazione, che, nel disciplinare i rapporti tra l’esecuzione dei provvedimenti di espulsione amministrativa dello straniero irregolare ed eventuali procedimenti penali pendenti a suo carico, dispone che «[n]ei casi previsti dai commi 3, 3-bis e 3-ter, il giudice, acquisita la prova dell’avvenuta espulsione, se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere».

La disposizione censurata era già stata sottoposta al vaglio di questa Corte, poiché, riferendosi testualmente al «provvedimento che dispone il giudizio», appariva implicare il necessario passaggio per l’udienza preliminare di cui agli artt. 416 e seguenti cod. proc. pen. quale sede deputata a rilevare tale atipica condizione di improcedibilità, non consentendone l’applicazione ove l’azione penale fosse stata esercitata mediante citazione diretta a giudizio. All’esito di tale giudizio, con la sentenza n. 270 del 2019 è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del suindicato comma 3-quater, «nella parte in cui non prevede che, nei casi di decreto di citazione diretta a giudizio ai sensi dell’art. 550 del codice di procedura penale, il giudice possa rilevare, anche d’ufficio, che l’espulsione dell’imputato straniero è stata eseguita prima che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio e che ricorrono tutte le condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere», ritenendosi «contrario al principio di uguaglianza e ragionevolezza» lasciare fuori dall’ambito di applicazione del comma 3-quater proprio i reati meno gravi, per i quali il passaggio dalla fase delle indagini preliminari alla fase dibattimentale non prevede lo snodo processuale dell’udienza preliminare.

Il rimettente, chiamato a giudicare sulla responsabilità di un cittadino straniero, rinviato a giudizio con decreto di cui all’art. 429 cod. proc. pen. quando era già stato allontanato dal territorio italiano, in esecuzione di un provvedimento di espulsione adottato ai sensi dell’art. 13, comma 2, t.u. immigrazione, ravvisa una ingiustificata disparità di trattamento tra ciò che gli è consentito disporre nel giudizio a quo e ciò che avrebbe potuto disporre, per effetto della richiamata sentenza n. 270 del 2019, se il pubblico ministero avesse emesso un decreto di citazione diretta a giudizio.

Rimarca, infatti, che, se l’azione penale fosse stata esercitata ai sensi dell’art. 550 cod. proc. pen., il giudice del dibattimento avrebbe potuto rilevare anche d’ufficio la sussistenza delle condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere. Invece, avendo il pubblico ministero, nella specie, esercitato l’azione penale con richiesta di rinvio a giudizio, cui è seguito, all’esito dell’udienza preliminare, il decreto di cui all’art. 429 cod. proc. pen., egli non potrebbe procedere in tal senso, essendogli ciò impedito dall’inciso, nel censurato comma 3-quater, «se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio» e dalla costante giurisprudenza di legittimità, che ne esclude un’applicazione analogica (si cita Corte di cassazione, terza sezione penale, sentenza 6 febbraio-28 aprile 2020, n. 13118, in un caso di espulsione avvenuta dopo la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado, e precedenti conformi).

Tale diverso trattamento violerebbe l’art. 3 Cost., attesa la sostanziale sovrapponibilità delle due situazioni, differenti solo per la forma con cui è stata esercitata l’azione penale.

L’intervento di questa Corte viene, quindi, invocato al fine di eliminare il surricordato inciso, in modo che, anche dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio, analogamente a quanto avviene – a seguito della sentenza n. 270 del 2019 – dopo il decreto di citazione diretta, il giudice del dibattimento possa rilevare, anche d’ufficio, che l’espulsione dell’imputato straniero è stata eseguita prima e che ricorrono tutte le condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere. In subordine, il rimettente chiede che tale possibilità sia consentita, quantomeno, nei casi in cui il decreto che dispone il giudizio sia stato emesso per reati che, di per sé, consentirebbero la citazione diretta a giudizio.

2.– In via preliminare, il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l’inammissibilità della questione, in ragione della sua – ritenuta – irrilevanza, poiché il rimettente avrebbe omesso di confrontarsi con l’orientamento espresso dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 29396 del 2018, secondo cui la causa di non procedibilità, prevista dall’art. 13, comma 3-quater, t.u. immigrazione, troverebbe applicazione solo nel procedimento avente a oggetto il medesimo fatto all’esito del quale l’espulsione è stata disposta ed eseguita e sarebbe, quindi, ininfluente nel procedimento a quo, riguardante un fatto di reato diverso.

2.1.– A tale proposito, questa Corte osserva che in effetti, per delineare il perimetro applicativo della condizione di improcedibilità, il comma 3-quater premette un altro inciso, consentendo la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere solo «[n]ei casi previsti dai commi 3, 3-bis e 3-ter» del medesimo art. 13. E la stessa Corte di cassazione, nel 2015, aveva precisato che «l’espulsione de qua non può che esercitare i propri effetti processuali se non in ordine al reato per il quale l’Autorità Giudiziaria ha fornito il proprio nulla osta (art. 13, comma 3), per il quale è avvenuto l’arresto in flagranza o il fermo (art. 13, comma 3-bis) od in relazione al quale sia stata revocata o dichiarata estinta per qualsiasi ragione la misura cautelare della custodia in carcere applicata nei confronti dell’indagato (art. 13, comma 3-ter). L’espresso richiamo dell’art. 13, comma 3-quater D.lvo 286/1998 ai precedenti commi 3, 3-bis e 3-ter rende di palmare evidenza che la pronuncia di sentenza di non luogo a procedere non può che avvenire solo allorquando l’espulsione consegua a[i] casi appena indicati e non in ogni altra delle diverse situazioni indicate al comma 2 dello stesso art. 13. Diversamente opinando si arriverebbe ad affermare per assurdo che basterebbe l’espulsione amministrativa del soggetto straniero ex art. 13 D.lvo 286/1998 per cancellare tutto il suo trascorso criminale» (Corte di cassazione, seconda sezione penale, sentenza 19 giugno-2 luglio 2015, n. 28112).

2.2.– Anche questa Corte, del resto, con la sentenza n. 129 del 2025, nel richiamare quanto chiarito dalla Corte di cassazione in riferimento al perimetro applicativo dell’istituto in esame, ha affermato che «[d]iversamente, si perverrebbe al risultato irragionevole di ritenere che lo straniero espulso benefici di una generale condizione di non procedibilità per qualsiasi reato, anche particolarmente grave, commesso prima della propria espulsione (Cass., n. 29396 del 2018 e, nella stessa linea, Corte di cassazione, terza sezione penale, sentenza 20 aprile 2023-22 febbraio 2024, n. 7713)».

2.3.– L’eccezione, tuttavia, non è fondata.

Il rimettente, invero, non ignora che l’espulsione è stata disposta ed eseguita in assenza (di richiesta e di rilascio) del nulla osta relativo al reato oggetto del giudizio a quo, ma, quanto alla rilevanza dell’odierna questione, sostiene che, una volta superata – per effetto della eventuale pronuncia di accoglimento da parte di questa Corte – la preclusione rappresentata dall’inciso «se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio», che gli impedisce di pronunciare sentenza di non luogo a procedere, egli potrebbe procedere, anche d’ufficio, ad accertare la sussistenza di tutte le altre condizioni.

In effetti, la sentenza n. 270 del 2019 afferma che «la diversa questione della rilevanza del previo nulla osta dell’autorità giudiziaria all’espulsione amministrativa dello straniero irregolare, nei cui confronti pende un procedimento penale, si può porre solo quando, una volta rimosso l’impedimento censurato dal giudice rimettente, quest’ultimo poi possa passare a verificare le condizioni previste dalla disposizione censurata per l’applicabilità della condizione di improcedibilità sopravvenuta» espressamente aggiungendo, poi, che il giudice «sarà chiamato a fare [tale verifica] anche in caso di mancanza di nulla osta» (punto 3, ultimo capoverso, del Considerato in diritto).

Tale affermazione è stata però resa a fronte di un’ordinanza di rimessione che non chiariva se l’espulsione fosse stata eseguita in totale assenza di nulla osta e se, quindi, fosse stata legittimamente eseguita. Lo stesso rimettente, del resto, nel riferire che la giurisprudenza di legittimità non aveva applicato i principi della sentenza n. 270 del 2019 in un giudizio in cui si era tenuta l’udienza preliminare, ha richiamato la già citata sentenza n. 7713 del 2024 della Cassazione penale, che si riferisce proprio a un’ipotesi di espulsione illegittimamente eseguita, per carenza di potere, poiché in difetto del nulla osta dell’autorità giudiziaria. Nel caso in esame, invece, la medesima ordinanza di rimessione dà atto che la Questura di Roma, rilevato che a carico del cittadino straniero destinatario del provvedimento di espulsione pendeva un procedimento presso la Procura della Repubblica di Roma, domandava a quest’ultima il prescritto nulla osta, mentre non avanzava alcuna richiesta in tal senso per il diverso procedimento pendente dinanzi all’autorità giudiziaria di Firenze. L’imputato, quindi, è stato espulso in presenza di un nulla osta, che però è stato chiesto e assentito in riferimento a un reato diverso da quello oggetto del giudizio a quo ed è per questo che potrebbe porsi il problema dell’ambito di operatività della disposizione censurata, delineato dall’inciso «[nei] casi previsti dai commi 3, 3-bis e 3-ter».

Il rimettente, dunque, nel motivare in ordine alla rilevanza della questione, interpreta erroneamente l’affermazione contenuta nella sentenza n. 270 del 2019, riferendola anche ai casi, come quello in esame, in cui si procede per reati diversi rispetto a quello in relazione al quale è stato chiesto e assentito il nulla osta all’espulsione. A ben vedere, non può parlarsi di difetto di rilevanza, ma di erronea ricostruzione del presupposto interpretativo, profilo che non attiene ai requisiti di ammissibilità della questione, ma al merito della stessa. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, il giudizio sulla rilevanza è riservato al rimettente e, rispetto a esso, la Corte effettua un controllo meramente esterno, limitato ad accertare che la motivazione non sia implausibile, non sia palesemente erronea e non sia contraddittoria (sentenze n. 160 e n. 139 del 2023, n. 199 e n. 192 del 2022 e n. 32 del 2021), senza spingersi fino a un esame autonomo degli elementi che hanno portato il giudice a quo a determinate conclusioni, potendo inferire su tale valutazione solo se essa, a prima vista, appaia assolutamente priva di fondamento. La condivisibilità o meno della motivazione data dal rimettente attiene, quindi, al merito, e non osta al riconoscimento del presupposto della rilevanza.

3.– Nel merito, entrambe le questioni sollevate dal rimettente – principale e subordinata – non sono fondate.

Giova premettere che l’istituto disciplinato dalla disposizione censurata, così come ricostruito da questa Corte nelle sentenze n. 270 del 2019 e n. 129 del 2025, integra «una sopravvenuta condizione di non procedibilità dell’azione penale per il reato commesso nel territorio dello Stato dall’immigrato irregolare [che opera] allorché l’esecuzione della sua espulsione (amministrativa) intervenga prima dell’emissione del provvedimento che dispone il giudizio» (sentenza n. 270 del 2019, punto 7 del Considerato in diritto). È stato chiarito che «[t]ale regola processuale, che rientra nell’ambito degli interventi normativi volti a un complessivo inasprimento della disciplina di contrasto all’immigrazione irregolare, non è volta a costituire una sorta di immunità dello straniero dalla giurisdizione, ma, come ricordato anche dal giudice rimettente, è “la risultante di un bilanciamento, operato dal legislatore, tra l’esigenza di limitare il rientro dell’immigrato irregolare nel territorio dello Stato una volta che l’espulsione è stata eseguita (stante anche la difficoltà concreta di dar seguito ai rimpatri forzati) e la necessità che i reati commessi dallo straniero nel territorio dello Stato siano puniti”. Si tratta, invero, di un’improcedibilità «temporanea e sottoposta a una sorta di “condizione risolutiva”, nel senso che, se è poi violato l’obbligo di reingresso nel territorio dello Stato per il periodo di tempo stabilito dal comma 3-quinquies dello stesso articolo, si applica l’art. 345 cod. proc. pen. e l’azione penale torna a essere procedibile”» (sentenza n. 129 del 2025, punto 3 del Considerato in diritto).

La disposizione censurata, infatti, si inserisce nella disciplina, contenuta nel t.u. immigrazione, dei rapporti tra l’esecuzione dell’espulsione amministrativa e il procedimento penale pendente a carico dello straniero che ne sia destinatario, «incentrata sugli istituti, previsti dagli artt. 13 e 17, del nulla osta giudiziario, dell’autorizzazione al reingresso dello straniero espulso per l’esercizio del diritto di difesa e dell’improcedibilità dell’azione penale per avvenuta espulsione» (ancora sentenza n. 129 del 2025). In particolare, nella medesima sentenza si precisa che «nella fase che precede l’esecuzione del provvedimento di espulsione, quando lo straniero è sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato di custodia cautelare in carcere, l’autorità amministrativa, secondo quanto disposto dai commi 3, 3-bis e 3-ter del citato art. 13, deve richiedere il nulla osta all’autorità giudiziaria procedente in sede penale, che può negarlo solo in presenza di inderogabili esigenze processuali, valutate in relazione all’accertamento della responsabilità di eventuali concorrenti nel reato o imputati in procedimenti per reati connessi, e all’interesse della persona offesa. Una volta concesso il nulla osta (o formatosi il silenzio assenso sulla relativa richiesta) ed eseguita l’espulsione, se nel procedimento penale è già stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio o altro provvedimento equipollente si applica l’art. 17 t.u. immigrazione, che consente allo straniero espulso di rientrare in Italia, se munito di un’autorizzazione, per il solo tempo necessario all’esercizio del diritto di difesa, ai fini della partecipazione al giudizio o del compimento di atti per i quali è necessaria la sua presenza. Ove, invece, non sia stato già instaurato il rapporto processuale, non essendo stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio o altro provvedimento equipollente, trova applicazione il comma 3-quater del medesimo art. 13, che impone al giudice di pronunciare sentenza di non luogo a procedere, non dando ulteriore corso al procedimento» (sentenza n. 129 del 2025, punto 3 del Considerato in diritto).

Va, altresì, ricordato che, ai sensi dell’art. 3, primo comma, Cost., in tanto può essere fatta valere l’irragionevole disparità di trattamento, in quanto la censura miri a estendere una medesima disciplina a situazioni che, avendo riguardo alla ratio di tale normativa, risultino omogenee (ex multis, da ultimo, sentenze n. 53 e n. 34 del 2025, n. 212 e n. 171 del 2024). Di conseguenza, il principio di uguaglianza non impedisce al legislatore ordinario di emanare norme differenziate, quando la disparità di trattamento sia fondata su presupposti logici obiettivi, i quali ne giustifichino l’adozione (ex plurimis, sentenze n. 149 del 2021, n. 288 del 2019 e, in epoca più risalente, l’ordinanza n. 460 del 1998).

4.– Ciò posto, il dubbio del giudice rimettente si fonda sull’assunto che, dopo la sentenza n. 270 del 2019, integrerebbe una ingiustificata disparità di trattamento precludere al giudice del dibattimento, nei procedimenti in cui l’azione penale è stata esercitata con richiesta di rinvio a giudizio, la possibilità di rilevare la condizione di improcedibilità prevista dall’art. 13, comma 3-quater, t.u. immigrazione nella fase successiva all’emissione del decreto di cui all’art. 429 cod. proc. pen., ove l’espulsione dell’imputato straniero sia stata eseguita in data antecedente.

L’ordinanza di rimessione, però, raffronta situazioni disomogenee tra loro, poiché l’ipotesi oggetto del giudizio a quo non è sovrapponibile a quella oggetto della questione affrontata e decisa nella sentenza n. 270 del 2019.

In quest’ultima pronuncia, infatti, il vulnus è stato ravvisato proprio nella circostanza che la disposizione censurata, facendo testuale riferimento al «provvedimento che dispone il giudizio», implicava il necessario passaggio per l’udienza preliminare, non lasciando così la possibilità di pronunciare sentenza di non luogo a procedere nei casi in cui l’azione penale venisse esercitata mediante citazione diretta a giudizio e, quindi, mancasse una fase di contraddittorio prima di arrivare davanti al giudice del dibattimento (punto 1, terzo capoverso, del Considerato in diritto).

Nel giudizio a quo, invece, l’udienza preliminare si è ritualmente svolta e, quindi, vi è stato lo snodo processuale individuato dalla disposizione censurata quale momento in cui l’organo giudicante è tenuto a verificare l’eventuale sussistenza della condizione di improcedibilità.

Proprio la previsione di una fase di contraddittorio processuale davanti all’organo giudicante giustifica il trattamento differenziato delle due situazioni raffrontate dal rimettente.

Non può dirsi manifestamente irragionevole, infatti, che il legislatore, dovendo bilanciare, nell’esercizio della sua discrezionalità, le contrapposte esigenze di limitare il rientro dell’immigrato irregolare e di punire i reati commessi nel territorio dello Stato, abbia fissato nella emissione del decreto che dispone il giudizio il limite temporale oltre il quale l’atipica condizione di improcedibilità prevista dall’art. 13, comma 3-quater, t.u. immigrazione non può più essere rilevata. La scelta di rinunciare alla pretesa punitiva nei confronti dello straniero espulso solo fino a quando il processo si trovi in una fase iniziale, e cioè sino a quando venga emesso il decreto di cui all’art. 429 cod. proc. pen. non risulta incoerente, essendovi comunque una sede processuale – l’udienza preliminare – in cui l’organo giudicante può, nel contraddittorio, accertare se si sia o meno verificata la condizione di improcedibilità per l’intervenuta esecuzione dell’espulsione. Invece, una volta superato lo snodo processuale dell’udienza preliminare ed effettuato dal giudice di tale udienza il vaglio in ordine alla prognosi di ragionevole previsione di condanna, non può dirsi illogico che il legislatore abbia ritenuto prevalente l’interesse dello Stato a proseguire il processo, al fine di accertare la eventuale colpevolezza dell’imputato, anche ove questo sia stato espulso e allontanato dal territorio dello Stato, ritenendo a questo punto recessivo l’interesse a evitare il suo reingresso per il solo esercizio del diritto di difesa.

Tali considerazioni risultano in linea anche con la giurisprudenza di legittimità, che ha affermato che «[a]ppare, infatti, logicamente coerente ritenere che la finalità pubblica di ridurre il considerevole affollamento carcerario e di allontanare dal territorio dello Stato soggetti sottoposti a procedimento penale, sulla base di una valutazione discrezionale del Legislatore affatto irrazionale, possa prevalere sull’interesse alla celebrazione del giudizio penale, in una fase in cui il rapporto processuale tra le parti, con tutto il complesso catalogo dei principi che lo governano, sancito dall’art. 111, Costituzione, non si è ancora costituito, laddove, nel momento in cui tale rapporto si è instaurato – attraverso l’adozione di atti, come il decreto che dispone il giudizio o la presentazione dell’imputato al giudice del dibattimento per la convalida dell’arresto e il contestuale giudizio, che manifestano la volontà dello Stato di far prevalere l’interesse alla celebrazione del giudizio sugli altri interessi sottesi all’adozione della sentenza di improcedibilità atipica di cui si discute – permane l’interesse pubblico alla “naturale” conclusione del giudizio stesso, rappresentata dai diversi epiloghi decisori contemplati dal codice di rito, ai quali risulta del tutto estranea la sentenza di non doversi procedere per espulsione dello straniero dal territorio dello Stato» (Corte di cassazione, quinta sezione penale, sentenza 22 aprile-4 agosto 2021, n. 30522).

Resta fermo il potere del legislatore di individuare un diverso limite temporale.

5.– Le suesposte considerazioni conducono a ritenere non fondata sia la questione proposta in via principale sia quella proposta in via subordinata. Riguardo a quest’ultima, anche ove il reato contestato consenta di esercitare l’azione penale mediante citazione diretta a giudizio, una volta che, invece, l’azione penale sia stata esercitata mediante richiesta di rinvio a giudizio, l’udienza preliminare costituisce lo snodo processuale ragionevolmente individuato dalla disposizione censurata quale momento in cui l’organo giudicante è chiamato a verificare, nel contraddittorio, l’eventuale sussistenza della condizione di improcedibilità.

Del resto, proprio nel caso di specie, lo stesso rimettente riferisce che all’udienza preliminare era presente il difensore di fiducia dell’imputato, il quale ben avrebbe potuto far rilevare (in quella che era la prima sede in cui formulare le proprie eccezioni) che il suo assistito non era comparso, perché allontanato dal territorio italiano in esecuzione di un provvedimento di espulsione.

Va, peraltro, ricordato che l’udienza preliminare, in considerazione dell’evoluzione normativa, è ormai divenuta un momento di “giudizio”. Infatti, a seguito delle importanti innovazioni introdotte, in particolare, dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e all’ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense) e, successivamente, dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), tale udienza ha subito una profonda trasformazione sul piano sia della quantità e qualità di elementi valutativi che vi possono trovare ingresso, sia dei poteri correlativamente attribuiti al giudice, e, infine, per ciò che attiene alla più estesa gamma delle decisioni che lo stesso giudice è chiamato ad adottare. Essa è stata, dunque, ritenuta anche da questa Corte un momento delibativo privo dei «caratteri di sommarietà», che originariamente la caratterizzavano (ordinanza n. 150 del 2024; nello stesso senso sentenza n. 335 del 2002 e ordinanza n. 269 del 2003).

6.– In conclusione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, sollevate in riferimento all’art. 3 Cost., non sono fondate.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 novembre 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Maria Alessandra SANDULLI, Redattrice

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 16 dicembre 2025

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA


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